DELLA FORZA DE’CORPI CHE CHIAMANO VIVA LIBRI TRE DEL SIGNOR FRANCESCO MARIA ZANOTTI AL SIGNORE GIAMBATISTA MORGAGNI.

Ne quali libri ha proccurato l’ Autore, quanto ha potuto, di promovere la qui$tione col $olo di$cor$o metafi$ico, $enza a$$umere dalla geometria, ne dalla mec- canica altro, che le propo$izioni più note, e più comuni.

IN BOLOGNA MDCCLII.

Per gli Eredi di Con$tantino Pi$arri, e Giacomo Filippo Primodì, Impre$$ori del S. Officio. _Con lic. de’ Sup._

FRANCESCO TIBALDI a quelli, nelle cui mani verrà que$to libro.

_E_Gli $uole a$$ai $pe$$o intervenire, iettor corte$e, che alcuni mettan$i a leggere un libro, e non $apendo quello, che da e$$o a$pettar debba- no, a$pettin tutt’ altro da quello, che poi ritrovano; di che condanna- no il libro $te$$o, e $e ne dolgono; ne avverto- no, che il libro non è mancato for$e all’ intendi- mento, per cui fu $critto, ma $olo a quello, per cui e$$i lo hanno letto. Di che la colpa è bene $pe$$o degli autori, i quali dovrebbono nel princi- pio delle loro opere dichiarare, e metter bene di- nanzi agli occhi quello, che in e{$s}e a$pettar deb- ba$i; e non permettere, che gli altri le legge$$ero a ca$o, e $i trova$$ero finalmente del loro $tudio, e della lor fatica ingannati. Il perchè avendo io diliberato di dare alle $tampe la pre$ente operet- ta, non $enza con$entimento del $uo autore, con- vengo avvi$arvi di alcune co$e, acciocchè non er- riate, e leggendola non dobbiate commettervi del tutto alla fortuna. E prìmamente non ba già in- te$o l’ autore, $crivendo que$to libretto, di promo- vere la qui$tione della forza viva, et e$tender- la di là da quei termini, ai quali per opera di molti valenti$$imi uomini era giunta; molto me- no poi ha voluto diffinirla, cosi che non debba re- $tarne alcun dubio; perciocchè egli non $i tien da tanto, e $i ha propo$to nell’ animo di trattare la controver$ia, non di levarla. Solamente ha proc- curato $piegarla, quanto poteva$i, col di$cor$o me- tafi$ico, $enza a$$umere dalle $cien<052>e matematiche, $e non le propo$i<052>ioni più note e più comuni, e ciò a fine, che quelli, i quali $on privi della geo- metria, e della meccanica più $ottile, non credan per ciò di dover’ e$$er anche privi d’ una qui$tion così illu$tre, e $i di$perino di poterne intendere veruna parte; il che $arebbe danno della qui$tio- ne mede$ima. E que$ta è la ragione, perchè io ho creduto far bene, $tampando la pre$ente opera; parendomi, che dove$$e e$$er utile a molti; e che quantunque l’ argomento non fo$$e nuovo, fo$$e però nuova la maniera di trattarlo. Quelli adun- que, i quali hanno toccato alcun poco i principj della geometria e della meccanica, e $anno qual- cuna delle propo$izioni più famo$e, potranno entra- re a leggere que$to libro con grande animo, $icu- ri di doverlo intendere pienamente. Gli altri, che niente $anno di matematica, quantunque po$$ano leggerne, et intenderne molti$$ime parti, tuttavia debbono e$$ere avvi$ati, che perduta opera $arebbe, che tutto il legge$$ero. Ne è però, che quelli, i quali $ono negli $tudj della geometria, e della meccanica ver$ati$$imi, non abbiano ancb’ e$$i bi$o- gno di qualche avvi$o. Perciocchè molti di loro $i $degnano di fermar$i nelle co$e, che e$$i $timano fa- cili, e vorrebbono entrar $ubito nelle più alte, e più recondite; i quali però $e hanno bene inte$o il titolo, che abbiamo dato al libro, do vrebbono anche avere inte$o, che egli è fatto per li meno fretto- lo$i, e non per loro. I più poi $ono cosi impazien- ti, che vorrebbono in ogni co$a udir $ubito la pro- po$izione, che vuol dimo$trar$i, e venir to$to alla dimo$trazione, ne $offrono verun’ indugio; con che $i allontanano dal $ermon comune e familiare, che $i u$a tutto di nelle civili compagnie, dove non è alcuno mai, che argomenti con tanta fretta. E tan- to più banno in odio ogni dimora, e $i noiano del- le interrogazioni, e delle ampliazioni, e dei proe- mj; $e venga loro $o$petto, che $ieno fatti con qual- che $tudio, e v’ abbia alcuna parte l’ eloquenza. E que$ti ancora po$$ono rimaner $i di leggere la pre- $ente operetta, a cui l’ autore, $crivendola, non per darla alle $tampe, ma per ingannare il tempo et alleviar le $ue noje, ha voluto dar forma di dialogo; la qual forma l’ ha a$tretto a $eguire una maniera alquanto ampia di dire, che i più dei matematici non $offrono; ma egli ha creduto di dover più to$to provedere a $e $te$$o, che a lo- ro. Ne io mi $arei avvi$ato di farla imprimere, $e non ave$$i creduto, che fo$$ero ancor molti a$$ai più pazienti, ai quali gli ornamenti del dialogo non di$piacerebbono. E certo io non $o, per qual ragione debbano di$piacere a veruno; perchè $e i matematici $te$$i, eziandio i più au$teri, e di- ciam pure, i più $alvatichi, e rozzi, con$idere- ranno bene quello, ch’ e’ fanno nelle loro $cuole, troveranno, che ridicono e$$i ancora le mede$ime co$e più volte, e interrogano, e $i la$ciano inter- rogare; e per render$i attenti gli uditori commen- dano le co$e, che vogliono in$egnare; e perchè $ie- no più dilettevoli, le $pargon talvolta di leggia- dri motti; il che $e fanno con giudicio, e con pru- denza, $ono eloquenti $enza avveder$ene. E $e cosi fatti artificj u$ano e$$i in$egnando nelle loro $cuo- le, perchè non debbon $offrire, che $i u$ino $criven- do? Oltreche a $piegar le quiftioni alquanto $ot- tili, e diffic<007>li, chi è che non abbia $timata $empre comod<007>$$ima la forma del dialogo? la qual però $a- rebbe inutile, $e dove{$s}er levar$ene tutti quegli artificj, che ritardando la di$puta, la rendon tut- tavia molto più chiara, e più gioconda. Dee dun- que e{$s}er lecito in un dialogo trattener le qui$tioni acciocchè non vadano cosi $ubito alle loro ul- time con$eguenze, ma a$pettino fino a tanto, che $i $ieno abbellite, et ornate. Al che certamente mol- ta, e lunga opera $i richiede. Perchè io $entj già dire a un $avio uomo, e nelle lettere grandemente ver$ato, che il dialogo dee avere in $e tutte le bellezze della commedia, con que$ta differenza $o- la, che dove nella commedia $i intrecciano varie avventure, nel dialogo $i intrecciano di$pute e ra- gionamenti; ne dee però l’ intrecciamento di que$ti nel dialogo e$$ere men veri$imile, ne meno meravi- glio$o che l’ intrecciamento di quelle nella comme- dia. Dee dunque nel dialogo parere, che quei ra- gionamenti, che vi $i raccontano, $ieno veramente $tati fatti, et in quel modo; onde bi$ogna, che pa- jano di tanto in tanto na$cere a ca$o, perchè cosi per lo più $oglion na$cere nelle comuni compagnie; e che $ieno accomodati alla condizione, et al gene- re delle per$one, che ragionano; cosi che vi $i veg- ga anche il co$tume; ne debbono sfuggir$i le di- gre$$ioni vaghe e dilettevoli, cercando in ogni par- te la varietà e la copia. E $opra tutto vuol’ e$- $ere il dialogo maraviglio$o, cosi che anche in que- $to niente ceda alla commedia; il che s’ ottiene per le dimande, e molto più per le ri$po$te ina$pettate; e faccendo u$cir talvolta il di$cor$o, donde men $i credea, che u$cir dove$$e, e ricominciar la qui$tio- ne, dove parea finita; e torcendo anche $pe$$o gli argomenti per modo, che n’ e$cano le con$eguenze improvvi$e, e contrarie a quelle, che $i a$pettava- no. A tutto ciò $i aggiunge, che ricerca$i al dia- logo un dir dome$tico e familiare qua$i come al- la commedia, con una perpetua giocondità, $par$a di varie facezie, e quelle non già frivole e pue- rili, ma quai $i convengono ad uomo d’ alto inge- gno, e di grande animo; e molto meno vili e ple- bee; che, tali e$$endo, anche alle commedie ben fatte $i disdicono. Nella qual’ arte, come in ogni co$a, furono veramente eccellenti$$imi Cicerone tra i la- tini, e tra i no$tri il Ca$tiglione. Ora non potreb- bono certamente $eguir$i tutti que$ti artificj, ne dar$i al dialogo tanta vagbezza, e varietà, qual- ora $i e$pone{$s}er le co$e con quella fretta, che $uol piacere ai matematici: della quale quelli, che $o- no vaghi, e la vogliono per tutto, non dovranno per mio avvi$o leggere il pre$ente libro. Sebbene $aranno anche di quegli, i quali, quantunque ami- no il dialogo, e ne prendan piacere, non vorranno però concedergli una certa libertà, che gli è $tata $empre conceduta, di $cherzar talvolta, e metter$i in dime$tichezza: ed altri, $e egli è $critto in ita- liano, vorranno riprenderlo, ove non o{$s}ervi le re- gole della lingua fiorentina. E cosi gli uni come gli altri mi pajon degni di avvi$o. Però comin- ciando dai primi: non $i accorgono e$$i, che le van- do al dialogo ogni $cherzo, gli levano eziandio ogni giocondità? levata la quale, che accade più $criver dialoghi o leggerne? E certo che il dialogo altro non è, che una imitazione, e per così dire un’ im- magine delle one$te e civili compagnie, alle quali pare, che molto manchi, mancando la dime$tichez- za, e la libertà. Ma e$$i pur vorrebbono, che, par- lando$i delle loro $cienze, $i parla$$e $empre $tan- do in piedi, e con la berretta in mano, e ma$$i- mamente faccendo$i menzione di quei grandi uo- mini, che e$$i adorano, $i piega$$e il capo per ri- verenza ogni volta, che $i nominano, come fo$$ero tanti Numi; il che $tancherebbe le per$one, che $i introducon nel dialogo, le quali per lo più vo- gliono $tarvi con comodo, e $cherzar tra loro con libertà, e $ollazzar$i. Et è ben co$a da ridere, che quando quelli, che parlano, mo$trano di ave- re gli uomini, di cui parlano, per dabbene e co$- tumati, et oltre a ciò per valoro$i nelle arti lo- ro, non po$$an poi u$are una burla, ne $cherzan- do dire: cote$ta opinione è troppo altiera: tu se’ malizio$o: et altre tali co$e, che, dette manife- $tamente per i$cherzo, contengono più to$to laude che bia$imo; e certamente non mo$trano cattivo animo, ne inimichevole in chi le dice. Ne certo volle il Bembo, che dove{$s}ero inimicar$i tra loro Gi$mondo e Perottino, benchè l’ uno accu$a$$e l’ altro di menzogna, anzi inte$e, che fo$$er tra loro amici$$imi; e la Signora Emilia Pia non eb- be a male, che il Conte Lodovico da Cano$$a le ri$ponde{$s}e, che non potea mancare chi contraddi- ce$$e al vero, ovunque ella fo{$s}e; e di que$ti e- $empi il Ca$tiglione è pieno. Ma oggidì $ono mol- ti, ma$$ime in que$ta no$tra Città, tanto vezzo$i, che ragionando delle lor profe$$ioni non vogliono, che $i rida, e $e il fai, $e ne turbano: i qua- li però $appiano, che io gli ho riguardati tanto, che per ri$petto di loro io avea già qua$i depo$to il pen$iero di dare que$t’ operetta alle $tam- pe; e l’ autore $te{$s}o parea, che me ne di$toglie$- $e. Il quale, avendogli io $ignificato per lettere di volerla fare imprimere, così mi ri$po$e: _vede-_ _te bene, che alcuni non $e ne offendano; per-_ _chè $ebbene in que$to libro $i mo$tra per tutto_ _grandi$$ima $tima degli altri, i più dei letterati_ _non $e ne contentano, e vogliono bandire ogni_ _famigliarità et ogni $cherzo; e que$ta credono_ _e$$ere la maniera, che debba tener$i $empre da_ _chiunque $crive; faccendo come i no$tri Lom-_ _bardi, i quali, e$$endo $tati alle corti, $i cre-_ _dono, che in tutti i tempi, e a tutte le occa-_ _$ioni debba parlar$i con quella $te$$a $erietà, e_ _circo$pezione, con cui hanno veduto, che $i par-_ _la co i gran Signori; e dovunque $ieno, $em-_ _pre $ono nell’ anticamera di qualche Re; e non_ _intendono, che quello, che è for$e laude in un_ _luogo, è molte volte affettazione in un’ altro._ Et aggiugneva poi in altro luogo della $te{$s}a $ua lettera: _io non credo però, che dovrà alcuno_ _accu$armi di mal’ animo, con$iderando, che_ _io ho introdotto me $te$$o nel mio dialogo, ne_ _ho dubitato di far, che altri u$ino ver$o me del-_ _la mede$ima libertà, di cui tutto il dialogo u$a_ _ver$o gli altri; e $cherzando mi chiamino talvolta_ _$ofi$tico, e malizio$o, e mi rimproverino, ch’_ _io dica il contrario di quel, che pen$o; i quali_ _$cherzi $e io gli ave$$i per ingiurie, non avrei_ _voluto, che altri me gli dice$$e._ Così mi $cri$$e l’ autore. E a dir vero l’ ultima ragione per lui ad- dotta, parendomi a$$ai valevole a dimo$trare l’ animo $uo amichevole ver$o tutti, fece sì, che io non depone$$i il pen$iero di imprimere l’ ope- retta. Il che, ajutantemi Iddio, farò ora, non. $enza però $upplicar prima i dilicati, e tutti quel. li, che non vogliono concedere al dialogo niuna di- me$tichezza ne famigliarità, di non leggerla. Ma già di que$ti s’ è detto abba$tanza. Gli amatori poi della lingua fiorentina, percioccbè bi$ogna $vel- ler dal loro animo alcune opinioni dall’ u$o, e dall’ età confermate, meritano più lungo avvi$o. Io dico dunque, che $e lor piace lo $crivere, e il parlar fiorentino, non $olamente io non gli riprendo, ma grandemente gli laudo; pruchè non vogliano a$trin- ger tutti alla mede$ima u$anza, e $offrano, che $i $criva anche talvolta in altra lingua. Perchè $eb- bene fra tutte le lingue, che s’ u$ano in Italia, non può negar$i, che la più leggiadra, e la più colta, e la più nobile non $ia la Fiorentina; ha però un’ altra lingua, che può chiamar$i Italiana, e $i forma e raccoglie da tutte quelle, che parlan. $i nelle provincie dell’ Italia, la qual $ebbene non arriva, $econdo ch’ io giudico, alla leggiadria et alla grazia dei To$cani, è però bella a{$s}ai, e propria, e chiara, e ri$plendente, così che uno, che prenda a $crivere in e{$s}a, mettendovi il debito $tu- dio, non dee di$perar$i di poter $crivere eccellen- temente. Anzi avviene non poche volte, che uno $criva a{$s}ai meglio in que$ta lingua men bella, che non farebbe, $e vole$$e $crivere nella fioren- tina belli$$ima; in tanto che io con$iglierei molti, ma$$imamente di quelli, che non $on nati in To- $cana, a voler piutto$to parer buoni italiani $cri- vendo in italiano, che parer cattivi fiorentini vo- lendo $crivere in fiorentino. Ne di ciò debbono $degnar$i i Fiorentini $te$$i; i quali amando tan- to, e con ragione, quella lor lingua, dovrebbono aver caro, che gli altri, per volere imitarla, non glie la gua$ta{$s}ero. E certamente quelli, che la gua$tano, e volendo $crivere nella fiorentina lin- gua, non ne hanno ne il $apore ne la grazia, tan- to più mi pajon da riprendere, che avendo e$$i per le mani un’ altra lingua, in cui potrebbono for$e, $e vi applica$$er l’ animo, $crivere leggiadramente, la tra$curano, ancorchè non manchino loro grandi$- $imi e nobili$$imi e$empi. Che di vero l’ Ario$to $crivendo, come e’ $cri$$e, non mo$trò gran fatto di voler $ottopor$i alle regole del parlar fiorenti- no; il Ca$tiglione nel $uo belli$$imo Cortegiano cer- to non volle. E qne$ti pur furono nello $crivere eccellenti$$imi. E potrei addurne molt’ altri, i quali $crivendo in italiano, banno $critto tanto bene, che i Fiorentini $e gli banno poi pre$i, et annoverati fra i $uoi autori, credendo, che tutto quello, che è ben $critto, $ia degno di e{$s}ere fio- rentino. Con che banno a$$ai dimo$trato, quanto apprezzino le altre lingue dell’ italia, et ban fat- to animo a chiunque voglia dell’ altre lingue $er- vir$i; potendo oggimai $perare ognuno, che in e$- $e $criva, purchè abbia vagbezza e grazia, di di- ventar fiorentino una volta. Nè mi $i dica, che permettendo io a gl’ Italiani di $crivere in lin- gua italiana $enza $oggettar$i alle regole del par- lar fiorentino, io voglia conceder loro una sfrena- ti$$ima libertà di u$ar tutte le parole, e tutti i modi, che lor vengono a mente, $enza di$tinzio- ne, e $enza regola niuna. Perciocchè in qualun- que lingua l’ uom $criva, $e vuol $criver bene, e con lode, bi$ogna che o{$s}ervi le regole di quella lingua, in cui $crive; et oltre a ciò raccolga le parole e le forme più vaghe, e più proprie di e$- $a, così che induca nell’ orazione un certo, per così dir, $apore, che ne di$tingua il linguaggio, et una certa urbanità, la quale Cicerone $timò nece{$s}arii$$ima in ogni di$cor$o, quantunque con- fe$$a{$s}e di non $aper diffinirla. E certo i grandi$- $imi $crittori l’ banno $empre con ogni $tudio proc- curata, faccendo $celta di quelle forme, che $ti- maron più proprie, e per così dir native di quel. la lingua, in cui $crivevano. E noi veggiamo, che l’ Ario$to volle più to$to dire:

Che furo al tempo che pa$$aro i Mori _che dire:_

_Che fur nel tempo, in cvi pa$$aro i Mori_ et amò meglin di dire: _$opra Re Carlo,_ che: _$opra il Re Carlo._ E il Ca$tiglione nel principio della $ua lettera al Ve$covo di Vi$eo di{$s}e: _pa$sò,_ _di que$ta vita,_ e non: _pa$sò da que$ta vita,_ o: _morì,_ perchè quand’ anche non fo$$e errore il di- re a que$t’ ultimo modo, pure non può negar$i, che quella prima maniera non abbia molto più gra- zia. E certo altra vagbezza ha il dire: _vedi a_ _cui io do mangiare il mio,_ come di$$e il Boccac- cio, che non avrebbe il dire: _vedi a qual per$o-_ _na io do da mangiare la roba mia._ Le quali mi- nuzie $on veramente minuzie, et ognuna da $e è di pochi$$imo momento; ma tutte in$ieme, e$$en- done fpar$a l’ orazione, ma$$imamente $e $i faccia per modo, che non mo$tri$i troppo $tudio, le acqui- $tano quell’ odore di urbanità, che tanto piacque a Cicerone. Ora quelli, che non vogliono $crivere fiorentino, dicendo, che ba$ta loro di $crivere ita- liano, io voglio, che $appiano in primo luogo, che, così $crivendo, non po{$s}on già u$are qualunque vo- ce o forma lor piaccia, ma debbono, $e voglion pur $crivere leggiadramente, raccoglier le più bel- le, e le più proprie di tutte le lingue dell’ Ita- lia; con che $i addo$$ano non guari minor pe- $o, che $e vole$$ero $crivere fiorentino. Ma al- cuni diranno, que$ta fatica e$$er $overchia; percioc- chè i rettori in$egnano, potere introdur$i vocaboli fore$tieri e nuovi; e dover$i arriccbir la lingua; per la qual co$a non hanno poi e$$i difficoltà veru- na di dir tutto quello, che banno udito in qual- $ivoglia luogo o compagnia $enza giudizio, e $en- za $celta niuna. Nel che $i ingannano grandemen- te. Perciocchè l’ introdurre nuove voci non è, ne può e$$er opera d’ un uomo $olo, ne manco d’ al- cuni pochi; ricercandovi$i la con$uetudine, che $i for- ma da molti e in lungo tempo; concio$iaco$ache un’ vocabolo allora $olo può dir$i introdotto in una lingua, quando le orecchie delle per$one, che gu$ta- no quella tal lingua, hanno cominciato a ricever- lo volentieri, e con piacere; il che non può far$i $e non per un lungo u$o. E $e così non fo$$e, po- trebbe ognuno, u$ando qual$i$ia vocabolo una vol- ta $ola, pretendere, che egli fo$$e divenuto della lingua; e addur per ragione, che la lingua non dee rifiutare le voci nuove, anzi dee arricchir $e- ne; ma con tutto que$to però il vocabolo $i rimar- rà fore$tiero e barbaro, fino a tanto che la con- $uetudine lo approvi. Ne io avrò mai per voci italiane ne _immiar$i_, ne _incinquare_, come che le abbia dette una volta il divino Dante; non po- tendomi capir nell’ animo, che debbano aver$i per voci italiane quelle, che gl’ Italiani generalmen- te abborri$cono. ‘Può dunque un uomo $olo propor talvolta alcuna voce nuova o fore$tiera, e commet- terla alla ventura, come fece Dante molte volte, e più felicemente di lui il Petrarca; ma $e le orec- chie la rifiutano, non potrà mai fare che ella $ia della lingua, ne po$$a dirvi$i introdotta. Laonde quelli, che banno pur voglia di introdur nuove voci, e $timano gran lode l’ inventarne alcuna; come non $on $icuri dell’ e$ito, così dovrebbono far- lo rade volte, e non $enza molta di$crezione e giu- dicio; anzi dovrebbono e$aminar prima, $e le vo- ci, che vogliono introdurre, $ieno tali, che po$$a. no piacere a quelle per$one, che hanno già avvez- zate le orecchie alla lingua, e gu$tatone alquanto la bellezza, ma$$imamente leggendo i libri buoni. Perchè di vero la lingua italiana componendo$i del- le vocí e delle forme migliori di tutte le provin- cie, può dir$i, che non $i parla in niuna provin- cia; laonde bi$ogna più to$to apprenderla dai libri: il che non sò, $e non po{$s}a dir$i anche della fiorenti- na. Che $e la vagbezza di introdur voci nuove e fore$tiere, _(_che è oramai tanto $par$a per l’ Ita- lia, che pare una certa pe$tilenza_)_ fo$$e congiun- ta a quella avvertenza, e a quel giudicio, che abbiamo detto, con$erverebbe$i il bel parlare italia- no; ne $i udirebbe cosi frequentemente, come s’ ode in più luoghi d’ Italia, ne _pare$$o$o_ per _pigro_, ne _dife$o_ per _vietato_, ne _giorno_ per _lume_, ne $i avrebbe tutto ’l di in bocca: _mi dò l’ onore,_ e _avanzo la notizia;_ perciocchè que$te ed altre forme venute d’ oltremonte non ancora han potu- to piacere a quelli, che banno gu$to di lingua italia- na; e dovrebbono perciò o u$ar$i con gran cautela, o sfuggir$i del tutto. Ne vale il dire, che il popolo le $offre, e le amano i nobili e i gran Signori; per- ciocchè il popolo è contento di intender la co$a, che $i dice, comunque $i dica; ne cerca, ne sà, che co$a $ia leggiadria ne grazia di bel parlare; laonde è co$a vana cercar di piacergli in ciò. I nobili, la più parte, e ma$$imamente i gran Signori, poco dal popolo $i allontanano; e quelli di loro, che banno gu$to di $crivere _(_$e n’ è alcuno, che l’ abbia_)_ a- borri$cono e$$i pure cote$to u$o così frequente delle forme fore$t<007>ere, e l’ hanno per grandi$$ima affetta- zione; quelli poi, che le u$ano, e le amano tanto, le u$ano non per farle divenir italiane, ma per pa- rere fore$tieri e$$i; che, non sò come, banno pre$o in aborrimento la lor nazione, e niente più $tudiano che di non parere italiani; non $apendo for$e, che la nazione Italiana è così $plendida e nobile, come qualunque altra. Io concederò dunque che parlando o $crivendo a que$ti Signori in particolare, e volen- do per qualche one$to fine piacer loro unicamente, $i debbano u$ar quelle forme, che più loro piacciono; perchè in tal ca$o dovrehbe $criver$i anche in piemon- te$e, o in romagnuolo, $e così vole$$ero. E lo $te$$o vorrebbe far$i anche $crivendo al popolo. Ma non per ciò dovrà dir$i, che quello $ia uno $criver bello ita- liano, non potendo e{$s}ere bello $crivere italiano $e non quello, che piace agli amatori dell’ italiana lin- gua. Ma già m’ avveggo d’ e$$ermi e$te$o $opra ciò troppo più lungamente, che non conveniva. Però tor- nando al propo$ito, quantunque per mio avvi$o debba e$$er lecito a cia$cuno di $crivere in quella lingua, che più gli piace, o italiana, o fiorentina; $e però $ono alcuni, che tanto amino la lingua fiorentina, che non po$$ano amar altro; io gli e$orto di non leggere il pre$ente libretto; perciocchè l’ autore, come un gior- no mi di$$e egli $te$$o, ha $tudiato tanto poco di farlo in buona lingua, che non che in fiorentino, teme di non averlo fatto ne pure in italiano; ma $crivendo il libro tra molte angustie d’ animo, e $olamente per $ollevar $e mede$imo, non ha creduto di dover mettere molto $tudio per $atisfare agli altri. _Ben’ è vero,_ $oggiugneva egli, _che $e il libro_ _venir dove$$e nelle mani delle per$one, bi$ogne-_ _rebbe avvi$arle prima di que$to $te$$o; e far lo-_ _ro intendere, che io $o bene (_ diceva egli_) di_ _non aver’ adempiute le parti di buon $crittore,_ _ne di aver dato al dialogo quegli ornamenti,_ _e quelle grazie, che $i richiedevano; acciocchè_ _$e alcuno mi accu$a$$e, che io abbia $critto_ _rozzamente, non debba anche accu$armi, che_ _io non l’ abbia cono$ciuto. E per non dimi-_ _nuire la gloria de’ valenti uomini, $arebbe_ _anche nece$$ario far $apere a tutti quelli, che_ _fo$$er per leggere l’ operetta ($e alcuno però_ _di tanto la $tima$$e degna) che il dialogo è_ _finto del tutto, e $econdo che è co$tume dei_ _dialoghi fa dire alle per$one quello, che non_ _hanno mai detto. Perchè di vero $e quei $in-_ _golari$$imi et eccellenti uomini, che io ho in-_ _trodotto a ragionare, ave$$ero parlato di quell’_ _argomento $econdo l’ opinione e il $entimento_ _loro, e con quella facondia, che è loro pro-_ _pria, avrebbono detto co$e molto migliori, e_ _molto meglio._ Così mi di$$e l’ autor mede$imo, a cui credo di aver $oddisfatto ba$tantemente, rife- rendo le $ue $te$$e parole. De$idero, dando il libro alle $tampe, di $oddisfare anche ai lettori; e $e $a- ranno tali, quali in que$to mio ragionamento ho mo$trato di voler, che $ieno, non $o perchè non deb- ’ba $perarlo; ma$$imamente $e vorran legger con at- tenzione, e non pa{$s}are avanti prima di aver be- ne inte$e tutte le co$e antecedenti; il che $e è ne- ce{$s}ario in ogni libro, io credo, che in que$to $ia nece{$s}arii$$<007>mo.

Le Figure $i citeranno nel margine, et ognuna $ervirà per tutto quel tratto, che $egue fino ad una nuova cita- zione.

DELLA FORZA DE’ CORPI CHE CHIAMANO VIVA LIBRO I. AL SIGNOR GIAMBATISTA MORGAGNI.

HO dubitato grandemente fra me me- de$imo, Signor Giambati$ta cari$- $imo, $e conveni$$e, che io pren- de$$i a $crivere di una qui$tione per tanto tempo, e da tanti eccel- lenti$$imi uomini trattata, et illu- $trata, quale $i è que$ta, che oggidì $i fa nelle $cuole, $opra quella forza, che alcuni attribui- $cono a corpi, e chiaman viva; e $crivendone pure, dove$$i indrizzarmi a voi, di$togliendovi, o dalle vo$tre occupazioni, o dal vo$tro ozio. Imperocchè avendo di quella $critto prima di ogn’ altro l’ incomparabil Leibnizio, et e$$endo $tata dopo a$$ai lungo intervallo dal chiari$$imo Ber- nulli rinovata la controver$ia; nella qual poi tanti nobili$$imi filo$ofi di Francia, di Germania, d’ In- ghilterra, d’ Italia, d’ Europa tutta $i $ono e$erci- tati, e tratti chi da un’ opinione, e chi da un’ altra, tanti $critti ne han dato fuori; chi è, che DELLA FORZA DE’ CORPI de$ideri, che più oltre $e ne $criva? Che anzi io mi credo e$$er molti, i quali vorrebbono, che non $e ne fo$$e fcritto tanto. Ne io certamente contra$tarei loro $opra ciò; e tanto meno il fa- rei, che io temo, che voi, l’ autorità del quale più vale pre$$o di me, che quella di tutti gli al- tri, $iate pure della mede$ima opinione; e certa- mente avete più, che ogni altro, ragione di e$- $erlo. Perciocchè e$$endo voi in tante e $i diver- $e arti, e $cienze, e in tutti i più nobili, e gen- tili $tudj eccellenti$$imo, par che non dobbiate poter fermarvi lungamente nella $te$$a co$a, ne e$$ere troppo $pe$$o richiamato alla mede$ima qui- ftione. Senza che negar non potete, che in mez- zo a tanti $tudj, ne quali $iete grandi$$imo, e $ommo, abbiate tuttavia $ingolarmente rivolto l’ animo alla notomia, nella quale, aggiungendo i vo$tri belli$$imi ritrovamenti ad una perfetti$$ima, e qua$i infinita cono$cenza degli altrui, tanto in- nanzi proceduto $iete, che par che ad uomo mortale, $apendo tanto in que$to genere, non. $ia lecito $aper’ altro. E certo leggendo io le. vo$tre maraviglio$e opere ( di che non è co$a, ch’ io faccia ne più $pe$$o ne più volentieri) $oglio $empre maravigliarmi grandemente, come voi trattando materie anatomiche, non $ola- mente vi dimo$triate di quello, che voi tratta- te, $opra ogni altro periti$$imo, ma anche do- vunque il luogo, e l’ argomento il richieggano, in infinite altre $cienze dotti$$imo, ne $olo in LIBRO I. quelle, che $on propinque, e per così dir fini- time alla notomia, come $arebbono la medici- na, la chimica, la chirurgia, la naturale i$to- ria, ma anche nella dialettica, nella fi$ica, nella matematica, nella filo$o$ia tutta, nelle quali tan- to $avio vi dimo$trate, che ben $i vede, che po- tre$te trattare ancor que$te ottimamente, $e vole- $te. Et oltre a tanta dottrina avete anche ador- nata la notomia vo$tra di così vaga e leggia- dra forma di $criver latino, che io non $o, qual Mu$a ave$$e potuto ornarla meglio. Alle quali co$e tutte ( $e io vole$$i pure pale$are al Mondo ciò, che pare, che voi abbiate voluto, che $ia. na$co$to ) potrei aggiungere un perfetti$$imo, e fini$$imo di$cernimento in ogni maniera di poe$ia volgare, e latina, et una certa $ingolar grazia di $criver to$cano, nel quale parmi a$$ai volte, che volendo imitare quegli antichi eccellenti$$imi $crittori, gli abbiate anzi $uperati. E for$e an- cora in que$ti $tudj avete cercato alcun’ orna- mento alla vo$tra Notomia. La qual però $e vi ha conceduto di poter tra$correre in e$$i di quan- do in quando, e dar loro qualche parte del vo- $tro ozio, ri$erbando a $e $te$$a tutte le vo$tre fatiche, non $o $e vi permetterà così di leggie- ri, che vi fermiate lungamente $u le mede$ime co$e, e ritorniate più volte con l’ animo alla. $te$$a qui$tione; tanto più che per l’ altezza del grandi$$imo ingegno vo$tro non ne avete in al- cun modo bi$ogno. Il perchè io ho temuto lun- DELLA FORZA DE’ CORPI gamente di commettere error troppo grave, et e$$er mole$to a vo$tri $tudj, $e io vi richiama$$i ad una controver$ia, della quale avete già inte$o da lungo tempo i principj e i pro$eguimenti, e le ragioni tutte e$aminate così che nulla vi re$ta or- mai da e$aminare. Pure ho voluto far prova an- che in que$to dell’ amore ver$o me vo$tro, et e$- ponendovi una materia, che voi molto meglio di me $apete, mettervi innanzi una $crittura, la. quale e$$endovi del tutto inutile, pur vi piace$$e, $e tanto vaglio appre$$o voi, perchè mia. Et ho voluto vedere, $e di$co$tandovi pur talvolta dal- la notomia per amore dell’ altre $cienze, vorre- $te di$co$tarvene alcun poco anche per amor mio. Il che $e io otterrò (che non è cofa, che io non $peri dall’ amor vo$tro) meno mi curerò del giu- dizio degli altri, ne temerò che alcuno mi ripren- da di aver po$to l’ opera mia inutilmente, $cri- vendo un libro, col quale voi abbiate potuto $ol- levar l’ animo, e pa$$ar volentieri una parte del vo$tro ozio; di che anzi tutti gli $tudio$i delle buone arti per quell’ amore grandi$$imo, che han- no et avranno $empre di voi, dovranno, cred’ io, $enza fine ringraziarmi. Ne io voglio però arrogarmi tanto per me $te$$o; anzi ben cono$cen- do di non poter da me $olo trattenere l’ alti$$imo ingegno vo$tro, ho $tabilito di e$porvi alcuni ragionamenti, i quali leggendo dovrete credere, che $ieno $tati, una gran parte, fatti, non da me, ma da alcuni chiari$$imi, e nobili$$imi $pi- LIBRO I. riti, co’ quali io u$ai famigliarmente in Napoli l’ anno pa$$ato; e quand’ anche non gli ave$$ero fatti e$$i, pure vi piacerà di crederlo, e dovrà e$. $ervi cara e gioconda la memoria de i nomi lo- ro. E a dir vero quantunque la Città di Napo- li in quel poco tempo, che io vi dimorai, mi pa- re$$e oltremodo nobile, e magni$ica, e $opra o- gni altra città del mondo vaga, e diletto$a, aven- dola la natura di tanto ornata, che pare non a- ver voluto, che vi $i dove$$e gran fatto de$iderar l’ arte, tuttavia niuna altra co$a maggiormen- te mi piacque, che le belle, e gentili manie- re degli abitanti, de’ quali trovai to$to al- cuni di così raro ingegno, e di tanto alta $cienza, oltre la corte$ia e la gentilezza, for- niti, che mi parvero poter da $e $oli far belli$$ima quella maraviglio$a città, quand’ anche tutti gli al. tri ornamenti le fo$$er mancati. Uno di que$ti $i fù il Signor D. France$co Serao, che tanto vale in filo$o$ia, e in medicina, quanto voi $apete; in eloquenza poi, e in ogni bell’ arte, quanto non può ne $apere ne immaginar$i chiunque non l’ abbia cono$ciuto, e familiarmente trattato; im- perocchè $crive egli nell’ una, e nell’ altra lin- gua tanto eccellentemente, che può con gli an- tichi paragonar$i; e certo io il direi il maggio- re, e il più ornato medico, e filo$o$o de no- $tri dì, $e di voi non mi ricorda$$i. Eravi an- che il Signor D. Nicola di Martino, lume chia- ri$$imo della Italia, a cui niente manca di ciò, DELLA FORZA DE’ CORPI che a grandi$$imo, e $ommo filo$o$o $i richie- de, e$$endo nella geometria, e nelle altre ma- tematiche $cienze tanto valoro$o, che appena che alcuno po$$a e$$ergli in que$ta laude uguale; et io dubitai molto $e alcuno pote$$e e$$ergli $upe riore. A que$ti due aggiungeva$i il Signor D. Felice Sabatelli, che io avea già cono$ciuto in Bologna, quando egli, e$$endo ancor giovane, dava opera all’ a$tronomìa, e fin d’ allora mo- veva di $e una grandi$$ima e$pettazione, la qua- le egli ha poi di gran lunga $uperata. Fra que- $ti ebbi anche il piacer di cono$cere il Signor Marche$e di Campo Hermo$o, giovane grazio- $i$$imo, e di maraviglio$o ingegno, il quale era venuto allor di Palermo per veder la Corte, et aveva $tudiato due anni filo$ofiæ in quella cit- tà, avendone appre$o i principj in Alcalà; et era intenti$$imo alla geometria, et all’ algebra, delle quali $apea $opra l’ età $ua. Nè men dì lui, ne con minor lode e$ercitava$i ne mede$i- mi $tudj il Signor Conte della Cueva, che qui- vi pur conobbi; e tanto era l’ ingegno, che di- mo$travano que$ti due giovani, che pareva niuna co$a e$$ere così grande, che non dove$$e da loro a$pettar$i. Et è grandemente da de$iderare che l’ uno dall’ e$empio del padre, e l’ altro da quel de i fratelli valoro$i$$imi in arme, non ven- gano di$tolti dagli $tudj per vaghezza di una gloria più fatico$a: che certamente dovranno le $cienze trar da e$$i grandi$$imo lume, $e il de- LIBRO I. $iderio della guerra la$cierà loro $offrir l’ ozio delle lettere. Io trala$cio di nominar molti al- tri, che troppo lungo $arebbe. Sol vi dirò, che io vidi quella famo$a, e gentile raccoglitrice di tutti i più nobili, e leggiadri ingegni, voglio dire la Signora Donna Fau$tina Pignatelli Prin- cipe$$a di Colobrano, delle cui lodi io non prenderei a dire, $e non $e quando mi ave$$i propo$to di non parlar più d’ altro; che trop- po duro mi $arebbe dover finir di lodarla, aven- do cominciato, e pa$$ar ad altro argomento; ne temerò d’ e$$er ripre$o di ciò, ch’ io dico, da chiunque l’ abbia cono$ciuta. Che di vero quan- ti ornamenti può aggiungere alla bellezza et al- la grazia un $ublimi$$imo $pirito et una rara intelligenza di tutte le co$e, eziandio più $otti- li, e recondite, accompagnata da $omma chia- rezza, e da un grazio$i$$imo modo di dirle ed e$porle, tutti in lei $ono maraviglio$amente rac- colti, $enza che po$$a di$tinguer$i, qual di lo- ro maggiormente ri$plenda. De quali io non po$$o giammai ricordarmi $enza che mi tornino in$ieme alla memoria la corte$ia, l’ affabilità, la piacevolezza, ed una $ingolare $oavità di ma- niere e di co$tumi, che ella congiunge con tan- to $enno e gravità, che ben $i mo$tra anche nel- le facezie, e nei motti e$$er Signora grandi$$ima; ne è co$a che ella faccia, cui non $eguano, come fedeli compagne, la giocond<007>tà, e la gra- zia. Il percbè io mi e$timo fortunati$$imo di e$- DELLA FORZA DE’ CORPI $ere $tato pre$$o una tal Signora alcun giorno; e mi parrebbono infelici$$imi tutti quelli, che mai non l’ hanno veduta, $e, non avendola mai veduta, pote$$ero immag<007>nar$i tanta virtù. Que- $ta Signora adunque per mia $omma ventura io vidi in Napoli; e quando con uno, e quando con un’ altro di quei Signori, che $opra hò nominati, la vi$itava il più $pe$$o che io pote- va. Quivi erano qua$i $empre Uomini dotti$$i- mi, che di giocondi ragionamenti $i intertene- vano, e bene $pe$$o na$cevano belli$$ime qui$tio- ni d’ ogni maniera, di$putando$i per l’ una, e per l’ altra parte con $omma piacevolezza; alle quali dava per lo più incitamento la Signora Principe$$a ora interrogando, et ora ri$ponden- do; e que$to faceva Ella $empre con $ommo giu- dizio, et accorgimento, avendo ri$petto alle per- $one, e con poche parole; perciocchè ella ama- va meglio di udire, che di e$$ere udita; nella qual co$a $ola noi le eravamo tutti contrarj; perciocchè non era alcun di noi, che non $i fo$$e volentieri tacciuto per udir lei; ma faccen- do del $uo piacere il no$tro, $eguivamo gli ar- gomenti da lei propo$ti, $opra de quali ognuno diceva il parer $uo, e tutti, fuori me $olo, con $omma eloquenza, e $omma grazia; così che mi pareva e$$er beato, e$$endo in quella dol- ce, e cara compagnia; et ora che la fortuna me ne ha di tanto $pazio allontanato, non mi par di vivere, $e non quanto vi torno con la LIBRO I. memoria. E que$to è $tato quello, che princi- palmente mi ha mo$$o a $crivere que$ti ragiona- menti, perchè $crivendogli mi è paruto in cer- to modo di ritornare trà quei valoro$i Uomini, et e$$ere tuttavia con loro; et anche ho voluto, quanto per me $i pote$$e, e$$er con e$$i congiun- to nella memoria di quelli, che leggeranno que- $ta mia operetta, $e alcuno la leggerà. Sappia- te dunque che avendo il Re diliberato un gior- no di andare a Baja in$ieme con la Reina per godere l’ amenità di quei delizio$i$$imi luoghi, la Signora Principe$$a propo$e di voler’ e$$ere il dì davanti ver$o la $era a Pozzuolo, per ritro- var$i poi il giorno appre$$o con la Reina; e do- veva in quel cammino accompagnaria il Signor D. France$co Serao. Il che e$$endo$i per molti inte- $o, avvi$ammo il Signor Marche$e di Campo Her- mo$o ed io, $enza farne motto, di portarci la mattina vegnente di buoni$$ima ora a Pozzuolo, e qu<007>vi a$pettarla; dove pure propo$ero di ve- nire ver$o l’ ora del mezzo giorno il Signor D. Nicola di Martino, e il Signor Conte della Cue- va. La mattina dunque cominciando appena a ro$$eggiare il Cielo per la $orgente aurora, il Signor Marche$e di Campo Hermo$o, ed’ io n’ andammo a Pozzuolo, dove con gran fe$ta rice- vuti fummo dal Governator di quel luogo, uo- mo de più gentili, che io abbia veduto mai; il qual condottici in $ua ca$a ci fece vedere molte elegant<007>$$ime pitture, et una gran quantità di bel- DELLA FORZA DE’ CORPI li$$imi libri, che egli avea raunati, di ogni ge- nere, e $celti$$imi. Dimorati quivi alquanto, et avvi$ando, che il Governatore dove$$e aver $ue faccende, pre$a licenza, u$cimmo fuori a pa$$eg- giar così pian piano lungo la marina; dove pa$- $ando col ragionamento d’ una in altra co$a, che vi par, di$$e il Signor Marche$e, di que$ti luo- ghi? non vi par’ egli, che que$ti colli ameni$$i- mi, e pieni di belli$$imi bo$chetti, riguardanti $opra il mare, $ieno la più bella co$a del mon- do? A me pur così pajono, ri$po$i io allora; tut- tavolta io veggo altro, che più ancora mi piace, e che voi for$e non vedete. Que$to che è? di$$e il Signor Marche$e, et io ri$po$i: la memoria di quegli antichi $apienti$$imi filo$ofi, che abitaro- no un tempo quell’ ultima parte d’ Italia, che chiamava$i magna Grecia; i quali e$$endo non guari di quì lontani, tratti dalla maraviglio$a bel- lezza del luogo, parmi che dove$$ero venir tal- volta anch’ e$$i a Pozzuolo, e pa$$eggiarvi, $icco- me noi ora facciamo. E così mi $ta fi$$a nell’ ani- mo una tal rimembranza, e tanto mi piace, che, non $o come, dovunque io mi volga, par che gli occhi miei cerchino Talete, e Pitagora, e que- gli altri divini mae$tri. Et io credo, di$$e allora $orridendo il Signor Marche$e, che ancor Talete e Pitagora avrebbono volentieri cercato voi, $e come voi, ri$alendo indietro con la memoria ne tempi pa$$ati, potete quei lor pa$$eggi immaginar- vi; così ave$$ero potuto e$$i, di$cendendo con l’ LIBRO I. animo nell’ avvenire, immaginar$i il no$tro; e tanto più avrebbono e$$i di$iderato di veder voi, per intender da voi di quanto $ia$i quella loro fi- lo$ofia per opera de vo$tri moderni accre$ciuta; perchè parmi di avere udito, che cote$ti moderni van pur dicendo, tutta la maniera del filo$ofar loro e$$ere derivata dai puri$$imi fonti di Pitago- ra; non $o $e per far’ onta ad Ari$totele; ma pur così dicono; e non vogliono dover nulla, $e non a quella antica italica $cuola; benchè pretendono di $aperne molto più. Della qual preten$ione, o giu$ta, o ingiu$ta, che credete voi? Io credo, di$$i, Signor Marche$e, che in molte co$e i mo- derni $appian più innanzi, che quegli antichi non $eppero; e credo, che in tutte quegli antichi $a- pe$$ero molto più, che noi non crediamo; ma po$$ono facilmente i moderni producendo le loro opere chiamare a conte$a gli antichi, che non po$$ono produr le loro, avendole il tempo gua$te, e la maggior parte involate. Che $e ci re$ta$$ero tutte ed intere, chi $a di quante nobili$$ime co- gnizioni le troveremmo piene, e quante qui$tio- n<007> $i vedrebbono e$$ere antichi$$ime, che ora $i credon nuove, e per ciò for$e $i credon nuove, perchè $on tanto antiche, che il tempo ha potu- to cancellarne fin la memoria. Potrebbe dunque, di$$e allora il Signor Marche$e, quella così fa- mo$a qui$tione $opra la forza viva de’ corpi, di cui $i fà ora tanto rumore nelle accademie e nel- le $cuole, e$$ere $tata una volta tratta ta da Pita- DELLA FORZA DE’ CORPI gora, et avendola po$cia il tempo $eppellita nell’ oblivione, e$$er ri$orta in Leibnizio. Io non $o, ri$po$i; ben mi piace che voi tocchia- te ora una qui$tion nobili$$ima, e da chiari$- $imi, e $ottili$$imi ingegni per tanto tempo agi- tata; la qual non tocchere$te, $e non l’ ave$te apparata. Anzi non ne $o io nulla, di$$e il Signor Marche$e; e piacerebbemi, che Pitagora non ne ave$$e $aputo nulla egli pure; che così $arei Pi- tagorico almeno in que$to. Ma fuori le burle, io mi ricordo, che e$$endo in Malega, venutovi da Ceuta, dove io avea accompagnato mio padre, che era pa$$ato a quella guerra contro Mori, tro- vai quivi un ingegnere molto dotto, il quale per alquanti me$i mi $piegò geometria e meccani- ca, e mi parlò più volte della qui$tione della for- za viva; e tanto era Leibniziano, che $i maravi- gliava, che pote$$e alcuno non e$$erlo. Ultima- mente ne ho udito di$putar’ a$$ai il Signor D. Lui- gi Capece in Palermo; il quale mi fece anche leg- gere quello, che voi ne avete $piegato ne Comen- tarj della vo$tra accademia, in$ieme con altri $critti, i quali però poterono invogliarmi più to$to della qui$tione, che in$egnarlami; et egli $te$$o $i doleva, che voi non fo$te abba$tanza Car- te$iano, e di$iderava talvolta di intender meglio, qual fo$$e la vo$tra vera opinione. Chi $a, di$$i io allora, $e io ne ho alcuna vera? ma pure che è a lui et a voi di $apere, qual $ia la mia opinio- ne? egli ba$ta bene, che e$aminando le ragioni LIBRO I. propo$te per l’ una e per l’ altra parte, ne rica- viate voi per voi $te$$o quella opinione, che più vi piaccia, e $ia più degna di piacervi. Al che fare non $olamente vi invito e vi e$orto, ma an- che vi prego, e ve ne $tringo; parendomi che la qui$tione $ia tanto $ottile in $e $te$$a ed avvolta, e per la fama di quelli, che la trattarono, tanto illu$tre, e magnifica, che ben meriti, anzi de$i- deri, e chiegga lo $tudio e l’ ingegno vo$tro. Non $o io già, ri$po$e il Signor Marche$e, quello che la qui$tione po$$a richiedere o a$pettare dall’ in- gegno mio; $o bene, che io ho de$iderato $empre grandi$$imamente di $aperla; e $arei for$e in e$$a proceduto più innanzi, $eguendo la $corta de li- bri propo$timi dal Signor D. Luigi Capece, $e non mi $o$$i incontrato troppo $pe$$o in $uppu- tazioni algebraiche fatico$i$$ime, le quali a dir ve- ro mi $paventano; non che io fuggi$$i la fatica del farle; ma per lo poco u$o, che io vi ho, temo $empre di farle inutilmente, e di incorre- re in alcuno di quegli errori, che quantunque in $e $te$$i picciol<007>$$imi, gua$tano ogni co$a, e divengono in tutta la $upputazione grandi$$imi. Se voi, di$$i io allora, temete tanto cotali erro- ri, $arà difficile che vi incorriate, perchè il ti- more in tutte le co$e rende l’ uomo più dili- gente; e $iccome niuno può riprendervi del non aver voi molto u$o di calcolare, perciocchè l’ età vo$tra, e gli altri vo$tri $tudj non vel comportano, così dovrà ognuno $ommamente commendar- DELLA FORZA DE’ CORPI vi, $e vorrete por d<007>ligenza a con$eguirlo. Seb- bene quanto alla qui$tione della forza viva io $on d’ opinione, che voi temiate le $upputaz<007>o- ni algebraiche più for$e che non bi$ogna; per- ciocchè n’ ha molte, le quali $i avvolgono in- torno a certi argomenti, che per poca attenzio- ne, che vi $i ponga, po$$ono facilmente $volger- $i, e così $ciolti, e $viluppati d’ ogni calcolo, mo$trano egualmente, $e non anche meglio, la forza, e bellezza loro; ma gli algebri $ti voglio- no ve$tir d’ algebra ogni co$a. La maggior parte poi delle $upputazioni non ricerca molto e$ame, perciocchè rade volte vengono in con- trover$ia quelle con$eguenze, che $i commettono al calcolo, e per lo più $ol $i dubita di quegli antecedenti, onde il calcolo deriva; i quali $e vi parranno fal$i, potete di$prezzare il calcolo; e $e vi parranno veri, potete fidarvene, e con- tentarvi della diligenza, che altri in calcolare hanno po$ta; come un gran Signore, il qual contento di aver veduto i capi di ciò, che dar dee et avere, quanto al calcolarne le $omme s’ affida al computi$ta. Ne dico io ciò per di$to- gliervi da que$te $upputazioni; che è ben fatto il farle; ma perchè quelle $upputazioni non di- $tolgano voi dalla qui$tione. Se que$to è, che voi dite, di$$e allora il Signor Marche$e, e $e l’ andar dietro a tutti quei lunghi calcoli non è così nece$$ario; perchè non potremmo noi qui ora entrare nella qui$tione, $piegandomi voi, che LIBRO I. co$a $ia quella, che chiamano forza viva de cor- pi, e dichiarandomi l’ opinion vo$tra? Noi $ia- mo in luogo, in cui ci è lecito di e$$ere ozio- $i quanto vogliamo, $enza temere, che alcuno ci di$torni; e voi già la ricordanza di Pitago- ra invita a filo$ofare, il che non potete far me- glio che <007>n que$ta qui$tione, $e ella è così no- bile, come voi dite. Allo $te$$o ragionamento, ri$po$i io allora, mi ha incitato più volte la Si- gnora Principe$$a; con la quale però io non hò, mai voluto entrare in tal materia, temendo $em- pre di non potere $oddisfare ad altri in un’ ar- gomento, in cui po$$o appena $oddisfare a me mede$imo. E tal ragione valendomi pur anche ora, parmi di aver fatto abba$tanza, avendovi eccita@o a veder per voi $te$$o la qui$tione; ne altro abbi$ogna all’ ingegno vo$tro. lo non cre- deva, di$$e allora il Signor Marche$e, che aven- domi voi invitato ad una $i celebre controver$ia, fo$te poi così duro, ehe non vole$te mo$trarmene almen l’ ingre$$o, aprendomi, $e non altro, la d<007>ffinizion della co$a, di cui $i di$puta; che que- $to è per così dire invitarmi in ca$a, e tener tut- tavia l’ u$cio chiu$o Che diremo noi, ri$po$i io allora, alla Signora Principe$$a, che non ha mai potuto trarmi in una tal controver$ia? nella qua- le $e io entra$$i ora, temerei di offenderla, ne $a- prei cui dare la colpa del mio errore. Allora il Signor Marche$e, ne daremo, di$$e, la colpa a Pitagora, che vi ha invitato a filo$ofare; e $o DELLA FORZA DE’ CORPI certo, che ella in grazia di tanto uomo vi per- donerà. Oltre che $piegandomi voi la diffini- zione della forza viva, non $arà già que$to un’ entrare nella qui$tione; e $e trattivi poi dal di- $cor$o pur vientreremo, la colpa $arà della diffini- zione $te$$a, che vi ci avrà condotti, non vo$tra. Allora $orridendo, e non $apete voi, di$$i, che la di$$inizione della forza viva è una qui$tione e$$a pure? perciocchè alcuni la diffini$cono di un modo, et altri di un’ altro, et ha in ciò una $omma varietà et inco$tanza? E tal varietà anco- ra, di$$e il Signor Marche$e, mi ha $empre gran- demente $paventato; parendomi qua$i impo$$ibi- le, che io dove$$i intendere una qui$tione, nella quale quegl’ i$te$$i, che di$putano, $eguendo gli uni una diffinizione, gli altri un’ altra, non po$$ono qua$i intender$i tra loro. Anzi per que- $to, di$$i io allora, m’ è $empre paruto, che la qui$tione dove$$e e$$er più facile; perchè $e noi riceveremo da cia$cuno $enza contra$to la diffinizione, ch’ ei ci propone, e $aremo conten- ti di nominar per allora forza viva quello, che a lui è piacciuto di così nominare, noi trovere- mo bene $pe$$o, che le ragioni dell’ uno non $o- no tanto contrarie alle ragioni dell’ altro, ben- chè da prima pare$$ero contrarii$$ime, e molte vol- te le troveremo concordi in quello, in che pare- vano maggiormente di$cordare; re$tando poi $olo da vedere, qual $ia quello, che abbia meglio dif- finita la forza viva, e inte$o per un tal nome LIBRO I. quello che dovea intender$i, la qual qui$tione è poi più facile. E $eguendo voi un tal ordine, troverete anche alcuni, $econdo la diffin<007>zion de quali tutta la controver$ia della forza viva è tan- to $pedita, e breve, che nulla più. lo vorrei $en- tire, di$$e il Signor Marche$e, que$ta diffinizio- ne così comoda. Eccovi; ri$po$i io allora: $ono alcuni, i quali così defini$cono la forza viva, che per e$$a non altro vogliono, che debba in- tender$i, $e non una potenza o forza, o qualità, o virtù, comunque chiamar $i voglia, la qual pro- duce ne corpi il movimento; e que$ti levano via la qui$tione così pre$to, che qua$i non le la$cia- no tempo di comparire. Come? di$$e il Signor Marche$e. Non è ella, ripigliai io, tutta la qui- $tione intorno alla forza v<007>va po$ta in que$to, che alcuni per mi$urar giu$tamente una tal forza, vo- gliono, che $i moltiplichi la veloc<007>tà del corpo per tutte le parti della materia, che compone e$$o corpo, cui chiamano ma$$a, e pen$ano, che il prodotto di una tal moltiplicazione $ia la giu$ta mi$ura del- la forza viva; ed altri vogliono, che ad aver tal mi$ura non la velocità, ma il quadrato di e$$a, s’ abbia a moltiplicar per la ma$$a? così che $e la ma$$a del corpo, che $i move, $arà 2. la veloci- tà 3, quelli e$timeranno la forza viva e$$er 6, per- ciocchè moltiplicando 3 per 2 $i produce 6, e que$ti altri la $timeranno e$$ere 18, perciocchè fac- cendo il quadrato della velocità 3. ne vien 9, e 9 moltiplicato per 2 fa 18. A que$to parmi, DELLA FORZA DE’ CORPI che $i riduca la qui$tion tutta. Così è, di$$e il Signor Marche$e. Ora, $oggiun$i io, $e la forza viva altro non è, che quella potenza, la qual produce ne corpi il movimento, chi è, che non vegga e$$er lei la cagione del movimento, e il mo- vimento l’ effetto di lei? poichè dunque la cagio- ne è fempre eguale all’ effetto, e perciò po$$ono mifurar$i amendue con una $te$$a mi$ura, ne vie- ne che la forza viva, che è la cagione del movi- mento, debba mi$urar$t moltiplicando la veloci- tà per la ma$$a; poichè chi è, che non mi$uri il movimento per tal modo? Tutto ciò mi par chiaro, di$$e allora il Signor Marche$e, $e non che io trovo una certa nebbia di o$curità in un luo- go; et è, dove dite, che la cagione è $empre e- guale all’ effetto. Il dipintore fa una pittura, et è cagione di e$$a. Diremo noi, che egli $ia egua- le alla pittura, che fa? Io vorrei dunque $apere, di qual modo ciò debba intender$i. Allora $opra- $tett<007> alquanto, poi ripigliai. La cagione non è, ne $i chiama cagione, $e non in quanto agi$ce, et agendo produce l’ effetto; ne altro quì ora nella cagion $i con$idera, $e non tale azione; la quale azione egualmente appartiene e alla cagio- ne da cui procede, e all’ effetto, in cui $i termi- na; $ebbene in quanto appartiene all’ effetto, an- zi pa$$ione, che azione $uol da filo$o$i nomi- nar$i. Ora que$ta azione procedente dalla cau$a, $i dice e$$ere $empre eguale all’ effetto, e$tenden- do$i per tutto là, dove $i e$tende l’ effetto, e non LIBRO I. più. Il che è chiaro, poichè $e fo$$e alcuna par- te dell’ effetto, a cui l’ azion della cau$a non perveni$$e, quella parte non $arebbe effetto, al- meno di una tal cau$a. Che $e l’ azion della cau$a $i e$tende$$e più là dell’ effetto, $arebbe una parte dell’ azione, la quale non produrrebbe nul- la, ciò che è impo$$ibile, po<007>chè tendendo l’ azio- ne di natura $ua a produr l’ effetto, dee pure ne- ce$$ariamente produrlo, $alvo $e egli non fo$$e da altra cau$a per qualche altra azione impedito; il che ora non $upponghiamo. Voi vedete dunque, come l’ azione è $empre eguale all’ effetto; e pe- rò dice$i, che ad’ e$$o è $empre eguale ancor la cagione; perciocchè in que$ta altro non $i confi- dera ora, $e non l’ azione. E $e voi nel dipinto- re altro non con$idererete $e non l’ azion del dipingere, voi troverete que$ta eguali$$ima alla pit- tura, che egli fa; e così in tutte le altre cau$e; le quali talvolta paion maggiori dei loro effetti, perchè noi non con$ideriamo in loro $olamente l’ azione con cui gli producono, ma qualche altra co$a di più. Così dunque, di$$e allora il S<007>gnor Marche$e, $e per forza viva non altro intendia- mo, che una potenza, o virtù, la qual produ- ce il movimento; non cono$cendofi in e$$a ne con$iderando$i $e non l’ azion del produrre, do- vrà e$$a dir$i eguale al movimento, e per con$e- guente proporzionale alla velocità moltiplicata per la ma$$a. Il perchè $arebbe da de$iderar$i gran- demente, che per forza viva non altro dove$$e DELLA FORZA DE’ CORPI intender$i, che una tal virtù; perchè così la qui- $tione $arebbe $ciolta di pre$ente. Ma per qual cagione non $arà egl<007> lecito al fi@o$ofo intendere per qual$ivoglia nome qual$ivoglia co$a? Io non credo già, ri$po$i io allora, che debba c<007>ò e$$er lecito; ma egli è ben certo che chi de$via un no- me dalla $ua prima $ignificazione trasferendolo ad un’ altra, dee bene <007>ntendere, che egli non trat- ta ne $cioglie la controver$ia, che pr<007>ma con tal nome era $tata propo$ta, ma ne propone una nuova; e $i ingannerebbe $e egli crede$$e di aver trattata la qui$tion vecchia per e$$er$i $ervito del vecchio nome; come io temo, che $ia avvenuto, non ha gran tempo in Bologna ad un’ ingegno- $i$$imo matematico; vogl<007>o d<007>re <007>l Padre Ricca- ti, il quale avendo$i finta nell’ animo certa qua- lità nuova, formandola, e d<007>ffinendola a modo $uo, et avendovi compo$to $opra con molto $tu- dio und<007>ci belli$$imi d<007>aloghi, ha creduto diaver fatto un libro $opra la forza viva; e ciò non per altro, $e non perchè gli è piacciuto nominar for- za viva quella $ua qualità. Secondo un tal di$cor- $o, di$$e allora il Signor Marche$e, potrebbono i filo$ofi, che abbiamo detto, non aver $ciolta la qui$tione in niun modo, anzi non averla pu- re toccata; e ciò $arebbe, quando e$$i con quel- la loro d<007>ffinizione ave$$ero di$tolto il nome di forza viva dalla $ua prima $ignificazione, traen- dolo ad un’ altra ad arbitrio loro. E per entrar nella qui$tione $icuramente, bi$ognerebbe vedere, LIBRO I. qual $entimento de$$ero ad un tal nome quel- li, che furono i primi ad u$arlo, o a metter- lo in qualche $plendore, i quali $oli ebbero il diritto di dargli quella fignificazione, che più loro piaceva. Ma que$ti, cominciando da Le<007>bnizio, e di$cendendo agli altri, che dopo lui vennero, ci hanno la$ciato certe diffin<007>zioni del- la forza v<007>va, che io non ho mai potuto inten- der del tutto. Benchè certo, di$$i io allora, per trattar la qui$tione, che quegli antichi propo$e- ro, bi$ogna$$e prendere il vocabolo di forza viva in quel $entimento, che e$$i lo pre$ero; non è però, che debbano tra$curar$i le altre qui$tioni, che poi $on nate prendendo il vocabolo d’ altra maniera; et è anche da veder$i la diffinizione del Padre Riccati; perciocchè que$te qui$tioni $on pur qui$tioni, cioè dubj, che $i vogliono levar dall’ animo $empre che $i po$$a, ne $ono for$e men bel- le di quella, che fecer quei primi. De quali $e voi non avete inte$o le diffinizioni, io non sò, s’ io debba darne più to$to la colpa a voi, che a loro; perciocchè anche a me è paruto, che poco cura$$ero di $piegarle. Gioanni Bernulli in quel belli$$imo ragionamento, che egli e$pre$$amente compo$e per dichiarare, e mettere in un pieni$- $imo lume la vera nozione della forza viva, ri$a- lendo d’una in altra idea, $i $erma in quella final- mente, che la forza viva dir $i debba una cotal forza $o$tanziale. Io credo, che il vo$tro mae$tro di Alca- là, il quale mi avete detto e$$ere un $ottili$$imo, e DELLA FORZA DE’ CORPI valoro$i$$imo Peripatetico, quantunque intenda la forma $o$tanziale di Ari$totele, non così leggiermen- te intenderebbe la forza $o$tanziale di Bernulli. Egli è ben vero però, che molte co$e $ono più facili a intender$i, che a definir$i, di che po$$ono $ervir come d’ e$empio il tempo, lo $pazio, la relazione, la $o$tanza, l’ accidente, e $e volete quella i$te$$a forma $o$tanziale, che avete impa- rata in Alcalà. E per ciò 10 mi guardo a$$ai vol- te d’ e$$er mole$to a quelli, i quali parendomi, che abbiano inte$o ottimamente la co$a, non l’ hanno però ottimamente definita; e in tal ca$o io $ogl<007>o p<007>ù to$to $eguire l’ intendimento loro, che le parole; il quale intendimento $i compren- de il p<007>ù delle volte meglio per lo pro$eguimen- to de i lor di$cor$i, che per alcuna accurata, e giu$ta diffinizione. E certo che quei primi, che <007>ntrodu$$ero il nome di forza v<007>va, e ne fece- ro tanto rumore, come anche quelli, che per lun- go tempo poi li $eguirono, a$$ai mo$trarono in. tutti i ragionamenti loro, che null’ altro per e$- $o intendevano, $e non quella forza, che un cor- po hà, qualora è me$$o in movimento, di pro- durre ora un’ effetto, ora un’ altro; e quindi è, che parendo loro, che que$t<007> effetti $egui$$ero $em- pre la proporzione della ma$$a moltiplicata per lo quadrato della velocità, vollero, che anche la for- za viva $i mi$ura$$e all’ i$te$$o modo. Il perchè tenendo io dietro a i lor di$cor$i, non molto ho curato le loro diffinizioni; le quali, qualunque LIBRO I. $ieno, $e $ono con$entanee ai di$eor$i mede$imi, come e$$er debbono, bi$ogna pure, che $i riduca- no tutte in una, cioè che la $orza viva $ia quel- la forza, che ha un corpo, allorchè è mo$$o, di produrre o un’ effetto, o un’ altro. B<007>$ogna cer- to, di$$e allora il Signor Marche$e, che così in- tende$$ero la forza viva; altramente non l’ av- rebbono mi$urata dagli effetti. E $e ciò è, ben $i vede che $econdo loro, e$$endo la forza viva una forza del corpo me$$o già in movimento, dee $opravvenire al movimento, non produrlo; e quelli che hanno chiamato forza viva la forza producitrice del movimento, hanno abu$ato del nome, e $ervendo$i della $te$$a voce hanno fatto un’ altra qui$tione. Del qual’ errore, $oggiun$i io, non $on for$e del tutto e$enti i no$tri Carte- $iani, i quali dovevano per forza viva intender non quello, che lor piaceva, cioè la potenza pro- ducitrice del movimento, ma sì quello, che vo- levano i Leibniziani. Ma e$$i intendendo quello, che piaceva loro, trovarono la qui$tion più faci- le; e quella facilità gli fece errar volentieri. Ne dovrebbe però, di$$e allora il Signor Marche$e, e$$er gran fatto difficile $ciogliere la qui$tion lo- ro anche a quegli altri, che vogliono la forza vi- va e$$ere una forza, che ha il corpo mo$$o di pro- durre varj effetti; i quali effetti $ono, $e io non m’ inganno, di rompere per e$empio un’ altro corpo, in cui quello, che è mo$$o, vada a per- cuotere, o di piegarlo, o di $chiacciarlo, o di DELLA FORZA DE’ CORPI aprirlo, o di chiuderlo, o di alzarlo, o che $o io; poichè $e trovera$$i per e$perienza, che tali effetti $ieno proporzionali alla velocità del cor- po, bi$ognerà ben d<007>re, che quella forza, che gli produce, $ia proporzionale e$$a pure alla velocità; e $e quelli $i troveranno proporzionali al quadra- to della velocità, dovrà e$$ere proporzionale al- lo $te$$o quadrato ancor la forza. Io la$cio ora da parte la ma$$a, piacendomi, che ella $i pren- da per tutto e in tutti gli e$perimenti $empre egua- le, così che per ri$petto di e$$a non mai debba cangiar$i la proporzione. Par dunque, che tutta la qui$tione voglia commetter$i all’ e$perienza, per cui $i vegga, qual $ia la grandezza di cia$cun’ effetto, e quindi mi$uri$i la grandezza della for- za; in tanto che gli e$perimentatori, che $i han- no oggimai u$urpata qua$i tutta la filo$ofia, $i u$urperanno ancora que$ta controver$ia. Io non credo però, ri$po$i io allora, che i metafi$ici la la$cieran loro godere a$$ai tranquillamente. Co- me c<007>ò? ri$po$e il Signor Marche$e. Perchè, di$$i io, $e noi non avremo dell’ effetto $e non quel- la idea, che l’ e$perimentatore ci mo$tra, non ne avremo che una idea confu$i$$ima, e bene $pe$$o metteremo a luogo di effetto ciò, che non è; e vorranno i metafi$ici $volgere e$$i et illu$trar que$ta idea, e dichiarare, qual $ia vero effetto, e qual nò, mo$trando in che s’ adopri l’ azion della cau$a, e in che non s’ adopri. Ne per mio avvi$o avranno il torto; richiedendo$i a ciò un fi- LIBRO I. ni$$imo intendimento, il qual può mancare all e$primentatore, che poco della ragione, e qua$i $olo $i $erve degli occhi e della n<007>ano. Io non avrei creduto, di$$e allora il Signor Marche$e, che dove$$e e$$ere tanto difficile il cono$cer l’ ef- fetto di una cau$a; potendo$i, $econdo che a me pare, facilmente avvertire, che co$a $ia quello, che $egue po$ta l’ azion della cau$a, e che non $eguirebbe non po$ta quella tale az<007>one. Voi di- re$te vero, ri$po$i io, $e egli ba$ta$$e avvertir ciò; ma a mio giudizio non ba$ta; poichè come l’ ef- fetto $i pon dalla cau$a, così to$to molte proprie- tà, e modi, e qualltà, e relazioni, et affezion<007> lo $e- guono, le quali dai più $emplici $i prendono tal- volta come effetti, ne però debbono dir$i effetti, ne $ono; perciocchè l’ azion della cau$a non ha in e$$e parte alcuna, ma l’ effetto, così come è prodotto, $e le trae dietro egli $te$$o da $e e per natura $ua. Un’ artefice commette in$ieme tre li- nee, ponendole di maniera, che chiudano uno $pazio: qual direte voi, che $ia l’ effetto dell’ a- zione di quell’ artefice? La po$izione, di$$e il Si- gnor Marche$e, di quelle tre l<007>nee. Nulla più? domanda’ io; ri$po$e il Signor Marche$e, null’ altro; certo a me pare che l’ artefice null’ altro faccia. Ma pure, ripiglia’ io, voi vedete, che e$. $endo quelle tre linee po$te in quel tal modo, ne $eguon tre angoli, e que$ti eguali a due angoli retti. Non vi par dunque, che l’ artefice oltre il produrre la po$izion delle linee, debba anche DELLA FORZA DE’ CORPI produrre gli angoli, e quella uguaglianza, che hanno ai due retti, così che impiegando una par- te dell’ azion $ua a produrre la po$izion delle li- nee, un’ altra parte debba impiegarne a produr gli angoli, et un’ altra a produr l’ uguaglianza? A me non par già così, di$$e allora il Signor Mar- che$e; anzi io credo, che tutta l’ azion dell’ ar- tefice $i adopri nel produrre la po$izion delle li- nee, e che que$ta $ola $ia il $uo effetto. Ben è vero, che que$ta po$iz<007>one $i trae poi dietro gli angoli, e l’ uguaglianza, che e$$i hanno a due retti, $iccome anche tutte quelle altre innumera- bili proprietà, che nece$$ariamente ad una tal po- $izione $i convengono. Ma que$te $e le fa ella, per così dire, da fe, $enza a$pettarle dall’ artefi- ce; come l’ albero $i fa egli da $e le $ue frondi e le $ue fogl<007>e $enza a$pettarle dall’ agricoltore, il qual non fa altro, che porre il $eme. E lo $te$- $o parmi, che debba dir$i di tutte quelle relazio- ni e proprietà, che nece$$ariamente accompagna- no la natura e l’ e$$enza dell’ effetto; poichè parte- cipando$i all’ effetto quella tale e$$enza, vi porta $eco ella $te$$a tutte le $ue perfezioni, ne vuol rice- verle da alcuno. E lo $te$$o anche vuol dir$i, $og- g<007>un$i io allora, di certe altre relazion<007>, che i filo$ofi chiamano e$trin$eche, e che $i contengono non nell’ e$$enza di una co$a $ola, ma nell’ in- contro e nell’ accoppiamento di molte; percioc- chè que$to incontro e que$to accoppiamento $e le trae dietro da $e $te$$o, e di natura $ua. Se LIBRO I. uno fa bianco un muro, che altro produce egli, $e non quella bianchezza? e pure oltre al fare quel muro bianco, lo fa anche $imile a tutti gli altri muri che $on bianchi al mondo. Diremo noi dunque, che egli produca ancora quella $omi- glianza, e che avendo una forza, con cui produr- re la bianchezza, debba averne anche un’ altra, con cui produrre la $omiglianza? Non già; ma producendo egli la bianchezza, et incontrando$i que$ta in altre bianchezze di lei compagne, ne ri$ulta la $omiglianza $pontaneamente, per così dire, e da $e $te$$a. E così pur fanno tutte le al- tre relázioni, che allargando$i e $pandendo$i per l’ univer$o abbracciano tutte le co$e, e le tengo- no per certo maraviglio$o modo in comunione e in $ocietà. Voi potete vedere, che per poco, che un corpo $i mova $correndo una linea, non $olamente $corre quella tal linea, ma perde le re- lazioni di di$tanza, che avea ver$o tutti i punti dell’ interminabile $pazio, e ne acqui$ta di nuo- ve; e ciò faccendo da quanti corpi $i allontana, e a quanti $i acco$ta, a qual più e a qual meno, $e- condo la natura del movimento $uo! così che non è parte alcuna dell’ univer$o, che non can- gi di$tanza ri$petto a lui cangiandola egli ri$petto a tutte. Nè è per que$to da dire, che quella cau- $a, la qual move il corpo, altro faccia, che mo- verlo per una certa linea; benchè da un tal mo- vimento ri$ultin tutte quelle mutazioni di di$tan- za, che abbiamo detto. Dunque, di$$e allora il DELLA FORZA DE’ CORPI Signor Marche$e, que$te mutazioni, che van $e- guendo nel movimento di un corpo, diremo noi, che non $ieno prodotte da cau$a niuna? Se noi vogliamo parlare $econdo l u$o del popolo, ri- $po$i io, noi diremo, che $on prodotte da quella cau$a, la qual produce il movimento, perciocchè producendo il movimento, che le trae $eco, fa in qualche modo, che e$$e $ieno; ma non per que$to però diremo, che l’ azion della cau$a in altro $i termini che nel movimento $olo. Laonde que$te relazioni di di$tanza, che van na$cendo per lo movimento de corpi, e $uccedendo$i le une alle altre, come ancora tutti gli altri ri$petti di $omiglianza, di di$$omiglianza, di egualità, di inegualità, e che $o io, che van ri$ultando ne cor- pi, non $ono propriamente effetti, ma aggiunti e proprietà degli eff@tti. E lo $te$$o è da dire ge- neralmente di tutti gli attributi e$senziali, e nece$- $arj, che l’ effetto riceve non da quella partico- lar cau$a, che lo produce, ma da quella e$$enza eterna et immutabile, che a lui $i partecipa, e che gli ha da $e. Voi dite vero, di$$e allora il Signor Marche$e, che gli e$perimentatori non avranno tanta $ottigliezza; ma io temo, che i metafi$ici, che l’ hanno, non $aranno gran $atto a$coltati; i quali però io vorrei ben $apere, con tanta $ottigliez. za come mi$urino la forza viva. I più di loro e a mio giudizio i più $ottili, non la mi$urano punto, ri$po$i io; più to$to la levano via del tutto, e la rigettan da corpi come co$a inutile; la qual’ LIBRO I. opinione io $eguirei volentieri, $e vole$$i $eguir- ne alcuna. Que$to è, di$$e il Signor Marche$e, levar via la qui$tione $accendo na$cerne un’ altra; e ciò è, $e $ia pure ne corpi, o non $ia veruna forza viva. Intorno a che $e voi volete fuggit tut- te le opinioni, mo$tra peròche quella, che avete ora e$po$ta, vi abbia invaghito, e qua$i pre$o, avendo detto, che la $eguire$te volentieri. Io vi prego dirmi, perchè $eguire$te quella opinione, benchè non vogliate $eguirla. Voi volete pure, ri$po$i io allora, trarmi in una materia, ove io entro $em- pre con di$piacere; avendone oramai udito di$pu- tar tante volte, che ne $ono $tanco; pure niente è, che po$$a tanto di$piacermi, quanto il negarvi co$a, che a voi piaccia. Ri$ponderò dunque bre- vemente alla vo$tra dimanda, e come potrò. Ciò detto $opra$tetti alquanto, indi $eguitai. Voi $ape- te, Signor Marche$e, che la$ciando da parte i Pe- ripatetici, che compo$ero il mondo, e l’ ador- narono di tante qualità, e forme, furono antica- mente due illu$tri filo$o$i Democrito et Epicu- ro, i quali avvifarono, tutto l’ univer$o non- altro e$$ere, che un numero grandi$$imo di parti- celle, le quali $econdo le varie figure loro, e i varj movimenti compone$$ero tutte le co$e. E in quell’ opinione tanto innanzi procedevano, che non che le qualità, che appari$con ne’ corpi, co- me la luce, i colori, il $uono; ma anche i pen- fieri dell’ animo componevano di quelle lor par- @icelle, et anche l’ animo i$te$$o; il che veramen- DELLA FORZA DE’ CORPI te era da ridere; ne è da maravigliar$i, che quel- la loro filo$ofia $ia $tata per molti $ecoli di$prez- zata. Ultimamente Carte$io adoprandovi maggio- re $tudio e maggiore ingegno, l’ ha giudicata più to$to degna di emendazione; $ebbene di tan- to l’ ha mutata, e corretta, che ha fatto più to- fto una filo$ofia nuova, che emendato un’ anti- ca; imperocchè la$ciando all’ animo la bellezza, e dignità dell’ e$$er $uo incorporeo, ha inoltre levato a corpi $te$$i tutte quelle qualità, che non po$$on con$i$tere in movimento o di$po$izione di particelle, $o$tituendo in vece loro altrettante appa- renze, che la natura $econdo il tempo, el’ occa$io- ne va formando negli animi no$tri o per u$o, o per $ollazzo. E $econdo l’ opinione di que$t’ uomo grandi$$imo non altro re$ta ne corpi, $e non movi- mento, e di$po$izione di particelle, le quali aven- do certe $igure, e cangiando le lor di$tanze in va- rie gui$e, e talor ritenendole, compongono le tanto vaghe, e diletto$e forme dell’ univer$o; il qual però $e noi $poglia$$imo di tutte quelle appa- renze, che l’animo no$tro gli aggiunge, troverem- mo non altro e$$ere, che una regolati$$ima di$po- $izione, e agitazione di particelle. Neuton, che ha conturbato la filo$ofia di Carte$io, non $i è però allontanato da que$ta opinione; e $olamen- te a quelle cau$e, che producono il movimento nella materia, e che Democrito et Epicuro, e Carte$io avean notate, ne ha aggiunto un’ altra, che è la forza attrattiva, per cui le parti della ma- LIBRO I. teria, benchè di$giunte tra loro, e per qualunque $pazio lontane, pur $i $entono, per così dire, l’ une l’ altre, e $i invitano, e vengon$i incontro, $enza che alcun’ altro corpo ve le urti o le $pinga. I Peripatetici non avrebbono abborrito que$ta forza invitatrice dei corpi al movimento. Ma troppe altre qualità immaginavano, che i Neuto- niani rigettano, volendo, che non $ia nella natu- ra $e non quell’ una $ola, che e$$i han ritrova- ta. Io non ardi$co di acco$tarmi a veruno di que- $ti filo$ofi, perchè a qualunque io mi acco$ta$$i, troppi $arebbon quelli, co’ quali mi bi$ognereb- be contendere. Ma $e io crederò per ora, che il mondo con$i$ta tutto in particelle; ne altro faccia la natura $e non che moverle et agitarle, e col- locarle, e di$porle in varie gui$e, io $eguirò un’ opinione, della quale non potranno doler$i gli amatori della forza viva, poichè, come veggo, la $eguono e$$i pure. Io dunque mi $ono a$$ai volte meco $te$$o maravigliato, come riducendo e$$i tutti glieffetti della natura a certi movimenti, e di$po$i- zioni di particelle, non abbiano avvertito, che a qualunque effetto trè co$e ba$tar debbono $enza più; e que$te $ono prima le potenze, che fanno il movimento, poi quelle, che lo di$truggono, e in terzo luogo l’ inerzia, per la quale il corpo, quanto è in lui, $i mantien $empre in quello $ta- to o di quiete, o di movimento, in cui le po- tenze lo hanno la$ciato. Le quali tre co$e e$$en- do per comune con$entimento di tutti i filo$ofi DELLA FORZA DE’ CORPI concedu@e a corpi, $e ba$tar po$$ono a qualunque effetto, io non sò per qual ragione voglia$i loro aggiungere quella non $o qual forza, che $oprav- viene al movimento, e chiama$i forza viva. E co- me le tre co$e dette non ba$terebbono? Che al- tro $i $a egli mai nella natura, $e non movere cer- te particelle, e di$tribuirle, e fermarle, così che tengan tra loro certe di$tanze, e certi intervalli? e a tutto que$to che altro ricerca$i $e non che alcuna potenza ecciti in loro il movimento, et alcun’ altra lo e$tingua, e $appiano e$$e con$ervar$i poi da lor mede$ime in quello $tato, in cui furono po$te? Nel che parmi, che alcuni proponendo tal volta certi efferti, a mi$urar la forza, che gli ha prodotti, $i abu$ino degli errori volgari, e dimen- ticati$i dei principj di quella $te$$a filo$ofia, che pro$e$lano, non pongan mente, che ogni effetto, anche $econdo loro, $i riduce a un movimento, e ad una di$tribuzione di particelle. Eccovi che una palla, cadendo sù qualche materia molle, vi forma un cavo; prendono que$to cavo, come l’ effetto prodotto da quella palla, e con e$$o ne mi$uran la forza. Ma che è mai que$to cavo, $e non uno $pazio, in cui nulla è di quella materia molle, che prima v’ era? or chi dirà, che quel- la palla abbia prodotto que$to $pazio o que$to nulla? Qui e$$endomi fermato un poco, come $e ave$$i a$pettato ri$po$ta; io non direi già, di$$e $ubito il Signor Marche$e, che quella palla ab- bia prodotto un tale $pazio; direi più to$to, che LIBRO I. ella ha rimo$$o quella materia molle, che lo em- pieva, onde ne è ri$ultata quella vacuità; ne quel- la vacuità è però effetto di modo alcuno. E la materia, ri$po$i io allora, che la palla ha rimo$- $o, è ella l’ effetto della palla? Non già, ri$po- $e il Signor Marche$e; poichè la palla non pro- duce quella materia, ma la rimove. Tutto quel- lo, che fa la palla, ripigliai io, non è altro dunque $e non movere le particelle di quella materia; le quali avendo ricevuto quel movimento, lo av- rebbono per l’ inerzia loro con$ervato $empre, $e non ave$$ero per via incontrato alcune potenze, che glel’ hanno tolto e di$trutto; perchè ferman- do$i e ritenendo poi quelle mede$ime di$tanze, che avevano ultimamente acqui$tate, ne è ri$ul- tata la vacuità. Nel che vedete, che la palla al- tro non fa che eccitare un movimento; il quale potrebbe e$$ere quanto $i voglia grande, e tutta- via ri$ultarne quel cavo, che ne ri$ulta, $olo che le potenze, che debbono un tal movimento di- $truggere, fo$$ero cosi pronte, e di tal maniera di$po$te, che ferma$$ero le particelle in quei $iti mede$imi. E come di que$to, così, cred’ io, po- trete dire di qualunque altro effetto, avendo $em- pre in mente, che e$$o niente più $ia, che un mo- vimento, e una di$tribuzione di particelle, $econ- do l’ opinion di Carte$io non di$approvata dagli altri moderni. Ma come? di$$e allora il Signor Marche$e; cadendo una palla in materia molle, vi $i forma un cavo, il qual prima non era. E DELLA FORZA DE’ CORPI perchè non mi $arà egli lecito di prendere que- $to cavo, come un’ effetto prodotto dalla palla, e attribuire per ciò alla palla una forza propor- zionale alla grandezza di e$$o? Se voi volete, ri- $po$i io allora, fingervi nell’ animo effetti e for- ze ad arbitrio vo$tro, io non vel contendo. Vedete pure, $e i Leibniziani, che amano la forza viva, vorranno concedervi $imil licenza. Egli certo, ri- $po$e il Signor Marche$e, me la concedeva quel dotto ingegnero, che io conobbi in Malega, il qual di$putava a$$ai $pe$$o della forza viva, e non $apeva in ne$$un luogo a$tener$ene. E mi ricorda di averlo udito parlar molte volte di quel cavo, di cui parliamo ora; et egli certo il prendeva, co- me un’ effetto della palla; e $oleva anche dire di un $a$$o, il qual, gittato all’ in sù, $ale per un certo $pazio e non più oltre; e chi negherà, di- ceva egli, che tal $alita non $ia un’ effetto di qual- che forza al $a$$o comunicata, la qual per ciò deb- ba mi$urar$i da quello $pazio, mi$urando$i cer- tamente da quello $pazio la $alita? E avrebbe an- che potuto dire, ri$po$i io allora, che il $a$$o git- tato $corre per un certo tempo, e non più; e prendendo lo $correre per quel tal tempo e non più, come un’ effetto, attribuire al $a$$o una for- za, che dove$$e mi$urar$i dal tempo. E per tal modo avrebbe immaginate nel $a$$o due forze molto tra loro diver$e, l’ una p<007>oporzionale al- lo $pazio, e l’ altra al tempo. Ne io nego, che po$$a ognuno prendere, come effetto, tutto LIBRO I. che a lui piaccia, fingendo$i nell’ animo una qual- che forza, che l’ abbia prodotto, la qual cer- to dovrà $empre e$$ere proporzionale ad e$$o. E voi potete, $e vi aggrada, prendere come un’ ef- $etto anche la vacuità, che la palla, cadendo nel- la materia molle, vi ha la$ciato, e però fingervi nella palla una forza a quella vacuità proporzio- nale. Ma come l’ effetto, che voi vi proponete nella vo$tra immaginazione, non è veramente ef- fetto nella natura, così la forza, che lo produce, non veramente nella natura, ma $arà $olo nella vo$tra immaginazione. Il che non $o, $e quel vo- $tro ingegnere vi ave$$e conceduto. Vedete, quan- ti effetti potete mai immaginarvi nella caduta di quella palla, di cui parliamo! perciocchè ella in- duce un cavo nella materia molle, et anche vi genera una $uper$icie concava, e comprimendo la materia $te$$a, la rende più den$a; e $e voi pren- derete ognuna di que$te co$e come un’ effetto, vi bi$ognerà immaginar nella palla altrettante for- ze, e tutte tra loro diver$e; perciocchè la forza, con cui la palla produce il cavo, dovrà e$$ere pro- porzionale alla grandezza del cavo; e la forza, con cui produce la $uper$icie, dovrà e$$er propor- zionale alla $uper$icie; e quella, con cui produ- ce la den$ità, dovrà e$$ere alla den$ità proporzio- nale; e voi $apete quanto que$te proporzioni, e mi$ure $ieno lontane tra loro e diver$e. Laonde a$$ai chiaramente $i vede, che prendendo l’ effet- to ad arbitrio, e chiamando$i forza viva quella. DELLA FORZA DE’ CORPI forza, che lo produce, potrà que$ta e$$ere di qual- $ivoglia mi$ura, ne $arà più da cercare qual pro- porzione determinata ella $egua, potendo $eguir- le tutte. Il che certamente i Leibniziani non vi concederanno. Volendo dunque $tabilire la pro- porzione, e la mi$ura della forza viva, non bi$o- gna prender l’ effetto ad’ arbitrio. del popolo, ne degli e$perimentatori, che poco dal popolo $i al- lontanano; ma vedere qual $ia l’ effetto vero, che veramente produce$i nella natura, e mi$urarla da e$$o; il quale $econdo l’ opinione dei moderni tut- ti $i riduce $empre a movimento, e di$po$izione di particelle. A molto poco, ri$po$e quivi il Si- gnor Marche$e, riducon$i gli effetti della natura $econdo voi. Pure anehe in ciò $i cono$ce l’ in- finita $agacità di e$$a, che $appia con così poco formar tanti, e tanto vaghi, e maraviglio$i a$pet- ti, che tutto ’l dì ci $i pre$entano nell’ univer$o- Ma giacchè voi avete detto, che il carico, per co- sì dire, e la procurazion d’ogni co$a è $tata da- ta a due potenze, l’ una delle quali produce il movimento, e l’ altra lo di$trugge; io vorrei, pri- ma di pa$$ar più avanti, cono$cere que$te due procuratrici della natura, e $aper quali $ieno, e come operino; et egli $i appartiene alla corte$ia vo$tra, avendomele nominate più volte, il farme- le ancor vedere. Se voi vole$te, ri$po$i io allo- ra, vederle $coperte, e quali in $e $ono, io temo di non poter $oddisfarvi; perchè e$$e non voglio- no e$$er vedute, e $i $tanno continuamente na- LIBRO I. $co$te. Di vero chi è itato mai, che intender po$- $a, qual co$a $ieno in lor mede$ime la gravità, l’ ela$ticità, ed altre tali cagioni dì movimento, e cono$cer l’ intrin$eca forma loro? Ari$totele, che impiegò qua$i tutta la $ua fi$ica a voler $co- prire, qual fo$$e la prima cagion del moto, poco altro $eppe dirne, $e non che ella dove$$e e$$er χκίνητον τὶ κχὶ ὰὶδιον, un non $o che immobile e $empite@@o; il che non ba$tando a $piegar la na- tura della co$a, ba$tò a mo$trare fin dove giun- ger pote$$e uno de’ maggiori ingegni di Grecia. Non bi$ogna dunque pretendere di cono$cere con chiarezza, e di$tinzione que$te potenze, che pro- ducono il movimento, o lo di$truggono; ma con- tentar$i di averne un’ idea confu$a, e di$tinguer- le $ol per gli effetti. Io vi dirò bene un co$tume, che ell’ hanno qua$i tutte, o più to$to tutte, da cui, per quanto $i dice, mai non partono; ed è, che mai non produccno un movimento grandi$- $imo tutto ad un tempo; ma dando al corpo pri- ma un piccoli$$imo impul$o, gli danno, ove pe- rò impedito non $ia, un moto piccoli$$imo; cui po$cia accre$cono con un’ altro impul$o, e poi con un’ altro, e poi con un’ altro, finchè lo ri- ducono ad una in$igne grandezza; e la potenza è molte volte così $ollecita, e pronta in dar tali impul$i, che in poco di tempo riduce il moto ad una grandezza maraviglio$a. Il che però non $a- rebbe vero, $e il corpo non con$erva$$e tutti i movimenti, che di mano in mano ha ricevuti. DELLA FORZA DE’ CORPI Bi$ogna dunque, che anche dopo l’ impul$o re- $ti, e duri nel corpo il movimento, che e$$o ha prodotto. E qui potete cono$cere l’ utilità dell’ inerzia. E potete anche comprendere, che ogni movimento è proporzionale alla $omma di tutti gl’ impul$i, che l’ han prodotto, e$$endo che ogni impul$o produce un movimento a lui $te$$o pro- porzionale. Voi avete detto, ripigliò quívi il Si- gnor Marche$e, che la potenza col piccoli$$imo $uo impul$o produce nel corpo un movimento piccoli$$imo, ove egli non fia impedito. Come potrebbe egli e$lere impedito? e che ne avverreb- be, $e fo$$e? Potrebbe e$$ere impedito, ri$po$i io, per qualche re$i$tenza, cioè a dire per qualche potenza, che lo di$trugge$$e, così che nel tempo $te$$o che l’ una potenza con l’ impul$o $uo de- termina il corpo a mover$i, un’ altra potenza lo determina$$e con egual determinazione a non mo- ver$i; e allora il corpo ricevendo continvamente gl’ impul$i di quella prima potenza, premerebbe continuamente, tenendo$i $empre pronto a mover$i $olo che la potenza contraria $i leva$$e. Siccome noi veggiamo in un $a$$o, il quale, e$$endo po- $to $opra una tavola, è $timolato continuamen- te dalla $ua gravità a mover$i all’ in giù, ne pe- rò $i move, perchè l’ immobilità, e l’ impenetra- bilità della tavola non gliel con$entono. Nè ce$$a per ciò la gravità di $timolarlo co’ $uoi impul$i; onde egli preme continvamente la tavola, et è prc$to di cadere $ol che la tavola $i levi via. La- LIBRO I. onde $i vede, che la gravità, quanto a $e, così agi$ce nel $a$$o, qualor’ $ta fermo, come agireb- be $e egli cade$$e, $timolandolo $empre con gli $te$$i impul$i; $e non che, $tando egli fermo, ogni impul$o della gravità pa$$a in i$tante, ne la$cia dopo $e movimento alcuno, laddove cadendo, pa$$a bensi ogni impul$o, ma la$c<007>a dopo d<007> $e quel movimento, che ha prodotto; il qual mo- vimento, re$tando$i nel corpo, $i uni$ce poi con gli altri, che vanno per gli altri impul$i $oprav- venendo. Eper ciò la pre$$ione, che o$$erviamo nel $a$$o, qualor $ta fermo, è $empre l’ effetto d’ un’ impul$o $olo, la dove il movimento, che egli acqui$ta cadendo, è l’ effetto di molti. E $appiate, che $ono $tati molti filo$ofi, a quali è piacc<007>uto quando la potenza $i adopra $olo nel premere $enza produrre movimento niuno, chia- marla forza morta. Se così è, di$$e $ubito il Si- gnor Marche$e, parea ben conveniente chiamar forza viva la potenza, qualor produce il movi- mento. Que$to hanno voluto fare i Carte$iani, ri$po$i io allora; e perciò non $ono $tati a$$ai be- ne inte$i dai Le<007>bniziani, i quali $i avevano già u$urpato il nome di forza viva, e datogli altra $ignificazione. Ma la$ciando que$to da parte, e tornando al propo$ito, io dico e$$ere co$tume del- le potenze, qualor producono il movimento, pro- durlo a poco a poco per mezzo di varj piccol<007>$- $imi impul$i. E così m’ immagino, di$$e il Signor Marche$e, che anche le potenze, che lo di$trug- DELLA FORZA DE’ CORPI gono, lo di$truggano a poco a poco; ne mai e- $tinguano un movimento grandi$$imo tutto ad un tratto. Tanto più, ri$po$i io, che tra le potenze, che d<007>$truggono il movimento, vogl<007>ono nume- rar$i ancor quelle, che lo producono; e que$te lo di$truggono con quei mede$imi impul$i, con cui lo produrrebbono, $e non trova$$er nel cor- po un movimento contrario, cui debbon di$trug- gere. Un $a$$o avendo ricevuto un movimento, che lo porta all’ in sù, lo perde a poco a poco; ne ciò gl’ interviene per altro, $e non perchè gl’ impul$i continvi, che egli riceve dalla gravità, e che lo $pingono all’ ingiù, vanno e$tinguendo prima una parte del movimento, che egli hà, e poi un’ altra, e poi un’ altra, finchè l’ hanno e$tin- to tutto; e intanto il $a$$o $egue tuttavia di mo- ver$i all’ in sù con quella parte di movimento, che gli re$ta, e che l’ inerzia gli va pur con$er- vando fin che può perciocchè l’ inerzia accom- pagna il corpo per tutto, o vada egli acqui$tan- do il movimento o perdendolo. Que$ta inerzia, di$$e allora il Signor Marche$e, che mo$tra aver tanta parte nel movimento de corpi, a me par tuttavia (non $o s’ io m’ inganni) che abbia pur poca azione; imperocchè niuno accidente ne di movimento ne d<007> quiete produce nel corpo, ma $olo gli la$cia aver quello, che le potenze vi hanno prodotto. Anzi niuna azione, ri$po$i, $e le $uole attribuire: e quindi è, che io non l’ ho po$ta tra le potenze. E $appiate, che Gioanni LIBRO I. Bernulli uomo nelle matematiche $cienze, quant’ altri mai fo$$e, $ottile, e profondo, vuol $imil- mente, che nel moto equabile niuna azione $i adopri, per que$to appunto, che movendo$i un corpo equabilmente, niuno accidente nuovo in lui produce$i. Pure quantunque non $ia azion niuna nell’ inerzia, e’ c<007> bi$ogna però intender ne corpi una proprietà, per cui $i con$ervino in quel- lo $tato, in cui dalle potenze furono po$ti; il che $e non fo$$e, niuno effetto ci rimarrebbe delle potenze. Avendo io fin qui detto, $tette un po- co pen$o$o il Signor Marche$e, poi ripigliò. Il con$ervare mi par pure, che $ia un’ agire; or $e dunque l’ inerzia con$erva il movimento e la quiete ne corpi, come può dir$i, che ella non ab- bia azion niuna, e non agi$ca? Io credo, ri$po- $i, che il con$ervar le co$e $ia un’ agire non men che il produrle; ma credo ancora, che il con$er- varle altro non $ia, che l’ azion di Dio, il quale $iccome nel produr le forme dei corpi vuol $er- vir$i delle potenze create, e agir con loro, così nel con$ervarle vuole agir da $e $olo. E quindi è, che a quella tal’ inerz<007>a, che noi vogliamo pur concepire, come una qualità de corpi, non re$ta da far nulla; e $i riman $enza azione. Ma che giova entrare ora in tante $ottigliezze, e così po- co nece$$arie al propo$ito no$tro? per cui ba$ta $apere, che tutti gli effetti della natura $i opera- no per alcune potenze, che producon ne corpi la velocità, la qual poi $i con$erva in e$$i, che che DELLA FORZA DE’ CORPI ne $ia la cagione, finchè venga per l’ azione di altre potenze a d<007>$trugger$i; e per ciò non avervi parte alcuna quella forza viva, che vorrebbe oggi introdur$i nel mondo e $ignoreggiare tutte le co$e. Et io potrei facili$$imamente d<007>mo$trarvi una tal verità, $correndo ad uno ad uno tutti gli effetti sì della gravità, come degli ela$tri; da cui $o- gliono principalmente trar$i gli argomenti a di- mo$trare la forza viva. Ma voi potete far que- $to cammino facilmente per voi $te$$o, ne vorre. te darmi fatica $enza bi$ogno - Voi giudicate di me, d<007>$$e allora il Signor Marche$e, troppo gen- <015>ilmente; ma $appiate però, che $e volete ch’ io $corra gli effetti o della gravità, o degl<007> ela$tri, io de$idero in que$to cammino non andar $olo; e voglio che almeno per qualche tratto di $trada voi mi accompagniate. Che s’ egli mi è facile, come dite, trovar la via per me mede$imo, mol- to più mi dovrà e$$er facile, e$$endomi da voi mo- $trata. Ma prima di entrare in cammino, vi pre- go levarmi un dubbio, il qual m<007> è nato per le ultime vo$tre parole. Quale? di$$i io. Voi avete detto, ri$po$e il S<007>gnor Marche$e, che le potenze producono la veloc<007>tà, la qual poi $i con$erva, fin- chè $ia d<007>$trutta da altre potenze. Or non s’ era egli $empre detto, che le potenze producono il movimento? e come dite ora, che producono la velocità? E che altro è il movimento, ri$po$i io, $e non la velocità? Come? di$$e il Signor Mar- <015>he$e; non ho io $empre udito dire, che il mo- LIBRO I. vimento è la ma$$a del corpo moltiplicata per la velocità? Si certo; ri$po$i; cioè la velocità mol- tiplicata per la ma$$a. Veri$$imo, di$$e il Signor Marche$e. Cioè, ripiglia<007> io, la velocità pre$a tante volte, quante $ono le parti, ovvero gli elementi della ma$$a, così che $e le parti della ma$- $a $on due, il movimento $arà la velocità pre$a due volte; $e le parti della ma$$a $on cinque, o dieci, o venti, il movimento $arà la velocità pre$a cin- que, o dieci, o venti volte. Non è egli così? Co- sì par, che $ia, ri$po$e il Signor Marche$e. Dun- que il movimento, $oggiun$i io, non è altro che la velocità, la qual $i prende più volte o meno; ma quantunque volte $i prenda, non è mai altro, che velocità. Ma non $i dice egli talvolta, ripi- gliò allora il Signor Marche$e, che avendo due corpi lo $te$$o movimento non hanno però la ve- locità $te$$a? Et io dico, ri$po$i, che avendo lo $te$$o movimento, avranno anche $empre la $te$- $a velocità. Che è que$to che voi dite? ri$po$e il Signor Marche$e. Se un corpo avrà ma$$a 1, ve- locità 2, et un’ altro ma$$a 2, velocità 1; avran- no pure amendue lo $te$$o movimento; e però il primo avrà due gradi di veloeità, il $econdo ne avrà uno. Egli è il vero, ri$po$i io, che il lecon- do avrà un grado di velocità, ma e$$endo la ma$- $a compo$ta di due parti (che per que$to l’ave- te detta 2] $arà ripetuto in ognuna di e$$e par- ti, e così $arà non un grado $olo di velocità, ma due. E la cau$a, che avrà mo$$o i due corpi, do- DELLA FORZA DE’ CORPI rà aver prodotto due gradi di velocità così nel primo, come nel $econdo; $e non che nel $econ- do que$ti due gradi di velocità $i di$tr<007>buiranno alle due parti della ma$$a, toccandone uno a cia- $cuna; nel primo $taranno raccolti amendue nel- la $te$$a ma$$a 1. Intendo, di$$e allora il Signor Marche$e, che nel $econdo corpo $ono due gra- di di velocità; ma $i dice e$$ervene un folo, non pen$ando$i al numero delle parti, onde la ma$$a è compo$ta. Ne è nece$$ario $empre il pen$arvi, ri$po$i io. Vedete, d<007>$$e il Signor Marche$e, quanto piccola co$a mi avea conturbato. E vorrete voi la$ciarmi entrar $olo, e $enza accompagnarmi, nella con$iderazione di quegli effetti, che la gravità e l’ ela$ticità producono? i quali quanto dovranno e$$ere di ciò, che fino ad ora abbiamo detto, più difficili! Voi, di$$i, gli fate difficili col temerli; ma molto $acili comincieranno ad e$$ervi, $e credere- te, che lo $ieno. E così interviene di tutte le co$e. Di fatti qual co$a più facile, che intendere, per quanto appartiene al ca$o no$tro, la gravità? la quaIe avrete compre$o abba$tanza, qualora in- tendiate una potenza, la qual ri$egga nel corpo e non ce$$i mai di $timolarlo con altri ed altri impul- $i; così veramente, che que$ti impul$i $ieno tutti tra loro eguali, e di$tanti $empre l’ uno dall’ altro dello $te$$o intervallo di tempo; il qual interval- lo voi potete fingervelo di qualunque picciolezza a piacer vo$tro; anche infinita, $e vi aggrada. In- te$a per tal modo la gravità, comprenderete leg- LIBRO I. germente, che tanto maggiore $arà il numero de- gl’ impul$i, quanto il tempo $arà più lungo; e perciocchè la velocità, che il corpo acqu<007>$ta in cadendo, è anch’ e$$a tanto magg<007>ore quanto mag- giore è il numero degl’ impul$i, che nel tempo della caduta l’ hanno prodotta, vedete $ub<007>to, la velocità dovere e$$ere tanto maggiore, quanto più lungo è $tato il tempo della caduta, cioè dover’ e$$ere proporz<007>onale al tempo. Ed eccovi quella legge di gravità tanto illu$tre e famo$a, che chia- mano legge del tempo. E con poch<007>$$ima fatica, $e ave$$i penna, e calamajo, potrei dimo$trarvi anche l’ altra, che chiamano legge dello $pazio. E que$te $ono le leggi principal<007>$$ime, onde i meccanici hanno poi raccolte tutte le altre, e fat- tone i volumi. Dicendo io que$te ultime parole, il Signor Marche$e ebbe to$to tratto fuori una pen- na, e un picciolo calamajo, che $empre avea $e- co, con un foglio di carta; ed ecco, di$$e, chc altro più non vi manca, $e non che vogliate $o- $tenere quella pochi$$ima fatica, che avete det- to; la quale $e è tanto poca, non dovrete negar di prenderla per amor mio; perchè $ebbene io ho ud<007>to d<007>re di que$te leggi altre volte, mi piace però di udirne anche ora da voi, ma$$imamente per vedere, $e e$$e la$cino alcun luogo alla for- za viva. Ma perchè non ci $ederemo noi $otto quell’ albero, il qual pare, che ci inviti con l’ ombra? E qui mo$trommi con la mano un belli$- $imo, e frondo$o albero, che poco lungi era; DELLA FORZA DE’ CORPI al qual mirando, ri$po$i: come v. piace; e co- minciai acco$tarmivi. Et egli $eguendomi, que$t’ albero, di$$e, mi torna alla memoria il plata- no famo$o di Socrate, il qual parve a Cicerone, che più che per l’ acqua, che lo irrigava, fo$$e cre$ciuto per l’ orazion di Platone. Ben dovrete, ri$po$i io allora, dimenticarvi di quel platano, udendo me. Così dicendo, giunti a piè dell’ al- bero, mi po$i io prima a $edere $u l’ erba, indi il Signor Marche$e vicin di me. Et io pre$a la penna in mano, di$egnai to$to $opra il foglio, che egli mi recò, una figura, la quale chiamai prima, avvi$ando, che alcun’ altra dove$$e aggiun- gerle$i. Indi guardando tutti e due nella mede$i- ma, io cominciai. Fate ragione che il tempo, in F. I. cui cade un corpo, movendo dalla quiete, e ve- nendo giù liberamente, $ia la linea AB, la qual divi$a nelle parti A_b_, _bd_, _df_&c. tutte tra loro egua- li, e di quella maggior piccolezza, che a voi pia- cerà, $aranno que$te i piccioli$$imi interválli, ov- vero tempe@ti, di cui tutto il tempo AB $i com- pone. Riceva ora il corpo $ul principio del tem- petto A_b_ un’ impul$o dalla grav<007>tà; et e$$endo libero e $pedito a mover$i, ne acqui$ti una pic- coli$$ima velocità, e $ia que$ta e$pre$$a per la li- nea A_r_. Egli è certo, che ritenendo il corpo, e con$ervando per tutto il tempetto A_b_ la velocità acqui$tata A_r_; $e noi faremo il rettangolo _br_, po- tremo far ragione, che que$to rettangolo _br_ $ia lo $pazietto, che il corpo verrà $correndo nel tem- LIBRO I. po A_b_; che ben $apete, lo $pazio, che un corpo $corre, e$sere la velocità moltiplicata per lo tem- po. Così è, di$se il Signor Marche$e, poichè e$- $endo _s_ lo $pazio, il tempo _t_, la veloc<007>tà $arà {_s/t_} che moltiplicata per _t_ rende _s_. E per ciò, ripigliai io, il rettangoletto _br_, che pur $i fa moltiplican- do la velocità A_r_ per lo tempetto A_b_, e$prime- rà lo $paz<007>o $cor$o in e$so tempetto A_b_- Vedete dunque, che come il corpo $arà caduto per lo piccoli$simo tempo A_b_, la velocità, che egli av- rà, $arà _bc_ eguale ad A_r_, e lo $pazio fcor$o $arà il rettangoletto _br_. Ma, $cor$o lo $pazio _br_, ri- ceverà il corpo $ul principio del tempetto _bd_ un’ altro impul$o dalla gravità eguale a quel primo, laonde ritenendo la velocità _bc_, che già avea, ne acqui$terà un’ altra _ct_ ad e$sa eguale; e verrà nell’ intervallo _bd_ a $correre con la velocità _bt_ un’ al- tro $pazietto, che $arà il rettangolo _dt_. E qui pur vedete, che e$sendo il corpo caduto per lo piccioli$$imo tempo A_d_, la velocità, che egli avrà, $arà _de_ eguale a _bt_; e lo $pazio $cor$o $arà la $omma de due rettangoli _br_, _dt_. E $e all’ i$te$so modo pro$eguirete, faccendo a cia- $cun tempetto il $uo rettangolo corri$pondente, facilmente ritroverete, che e$sendo il corpo caduto per qual$i$ia a$$egnabil tempo A_m_, et e$$endo _mo_ il rettangolo corri$pondente all’ ul- timo tempetto, la velocità del corpo $arà _mn_ lato del rettangolo _mo_, e lo $pazio $cor$o $arà DELLA FORZA DE’ CORPI la $omma ditutti i rettangoli ad _mn_ $ovrappo$ti. Ne men facilmente troverete, che tutte le linee _bc, de_, e le altre fino ad _mn_, e$primenti le velocità, an- dranno a terminar$i <007>n una linea retta _An_, la qua- le chiuderà il triangolo _Anm_, e che que$to trian- golo non $arà differente dalla $omma dei de$critti rettangoli, $e non per li $pazietti _urc, cte_ &c., i quali e$$endo tutti in$ieme d’ un’ e$trema, et infi- nita piccolezza ri$petto a tutto il triangolo, e po- tendo per ciò tra$curar$i et aver$i per nulla; potrà anche d<007>r$i il triangolo _Anm_ e$$ere eguale alla $om- ma dei de$critti rettangoli, et e$primere lo $pazio $cor$o ne più ne meno. E per l’ i$te$$a ragione $e voi condurrete una linea BC parallela ad _mn_, la qual tagli la linea A_n_ prodotta fino in C, voi tro- verete, che come il corpo $arà caduto per tutto il tempo AB, la velocità, che egli avrà, $arà BC, e lo $pazio $cor$o $arà il tr<007>angolo ACB. Sono io $tato fin qui a$$ai chiaro, o de$iderate, che io mi sforzi di e$$erlo anche più? Niente più; ri$po$e il Signor Marche$e; e già veggo che e$lendo le due linee A_m_, AB proporzionali alle due _mn_, BC, et e$$endo quelle i tempi, e que- $te le velocità, ne $egue, che i tempi $ieno propor- zionali alle velocità, che è la legge, che avete det- ta, del tempo. Or quale è quella, che dicevate del- lo $pazio? Que$ta; ri$po$i, che gli $pazj $cor$i $ono proporzionali ai quadrati delle velocità. Oh que$to ancora, di$$e il Signor Marche$e, veggo a$$ai bene; perciocchè gli $pazj $cor$i $ono i triangoli LIBRO I. A_nm_, ACB; e que$ti appunto $ono proporziona- li ai quadrati delle linee _mn_, BC. Voi, di$$i io al- lora, avete inte$o le due precipue leggi della gra- vità, da cui $i derivano tutte le altre. Or vi par’ egli, che v’ abbia alcuna parte la forza viva? A me par, di$$e il Signor Marche$e, che la potenza producitrice del movimento, e l’ inerzia vi faccia- no ogni co$a; poichè $e la gravità nel principio d’ ogni tempetto produce un picciolo movimento, e l’ inerzia poi lo con$erva, $eguir ne dee tutto quel- lo, che abbiamo detto; ne potrebbe introdurvi$i veruna altra forza $e non per corte$ia. Sebbene io ho $entito dire, che i Leibniziani, introduttori della forza viva, non tanto $i fermano a con$ide- rare il corpo, allorchè cade, ma molto più, quan- do $ale, dicendo che $e egli venga $pinto all’ insù con quella velocità, che avea, cadendo, acqui$- tata, r<007>conduce$i alla $te$$a altezza nello $te$$o tem- po. Ma prima che noi entriamo a dir di ciò, pia- cemi intender da voi alcune co$e intorno la ca- duta, non perchè io non ne abbia inte$o quanto era d’ uopo al propo$ito no$tro, ma perchè de$i- dero intenderne anche più. E $e noi ci allonta- niamo alcun poco dalla qui$tione della forza vi- va, ciò che è a noi? potremo ritornarvi, come vorremo. Ne è nece$$ario, ri$po$i io, che il vo gliamo; perchè già ne abbiamo detto, quanto a voi può ba$tare, e dee. Di que$to anche, ri$po. $e il Signor Marche$e, diremo poi. Intanto io vi prego levarmi un dubio. Voi avete detto, che DELLA FORZA DE’ CORPI la gravità $ul principio di cia$cun tempetto da. al corpo un certo impul$o, faccendo poi ragione, che in tutto quel tempetto non glie ne dia verun’ altro; con che venite a rendere l’ az<007>one della gravità non già perpetua, e continvata, come ve- ramente è, ma di$continvata ed interrotta per va- rj intervalli. Io non dubito, che que$ta non $ia. una di quelle $uppo$izioni fal$e, che ben u$ando- le ne conducono al vero; e così voi ne avete comodi$$imamente dedotte le leggi della gravità. Ma perchè non potremmo noi dedurre le i$te$$e leggi dall’ azione o vero dall’ impul$o perpetuo e continvato, e non aver tanto obbligo alla fal- $ità? E come vorre$te voi, ri$po$i io, dalla con- tinvazione non mai interrotta dell’ impul$o de- durre, che le velocità dove$$ero e$$ere proporzio- nali a i tempi? Perchè parmi, ri$po$e il Signor Marche$e, che e$$endo l’ impul$o $empre eguale, come è, $e farà anche continvato per tutto il tem- po, dovrà la $omma degl’ impul$i e$$ere tanto maggiore, quanto maggiore $arà il tempo; e poi- chè la velocità è proporzionale alla $omma degl’ impul$i, dovrà e$$ere $imilmente proporzionale al tempo. Dimo$trata così la legge del tempo, non $arà for$e difficile dimo$trare poi anche l’ al- tra dello $pazio. Io vorrei, di$$i allora, che voi mi $piega$te diligentemente quello, che vogliate intendere, qualor dite: la $omma degl’ impul$i; o più to$to quali intendiate che $ieno que$ti im- pul$i ad uno ad uno, di cui raccogliete la $om- LIBRO I. ma. Ma quali intendete voi che $ieno, ri$po$e allora il Signor Marche$e, voi che gli di$giunge- te l’ un dall’ altro con quegl’ intervalli così $tra- namente piccoli? Io intendo, ri$po$i, che $ieno i- $tantanei. Or bene, di$$e il Signor Marche$e, fa- te dunque ragione, che io intenda quello $te$$o; $e non che voi tra l’ uno, e l’ altro impul$o frap- ponete alcun tempetto, io non ne frappongo niu- no; e voglio, che ad ogni punto di tempo cor- ri$ponda un impul$o, così che tanti $ieno gl’ im- pul$i, quanti $ono i punti del tempo; il che po- $to bi$ognerà pur dire, che quanto è maggiore il tempo, tanto debba e$$er maggiore la $omma degl’ impul$i, e tanto anche maggiore la veloci- tà- Ma non vi accorgete voi, Signor Marche$e, ri$po$i io allora, che in cote$to di$cor$o voi pre- $upponete, che il tempo $ia compo$to di tanti punti, il che è impo$$ibile; e che l’ impul$o con- tinvato della gravità $ia compo$to e$$o pure di tanti impul$i i$tantanei, il che è impo$$ibile egual- mente, perciocchè il continvo non può compor- $i di co$e non continve? Il che veggiamo anche nelle Jinee, le quali, $e vogliamo comporle di punti, in quanti errori non ci inducono! Chi è, che non po$$a in un quadrato trovar tanti pun- ti nell’ lato, quanti ne trova nella diagonale, $o- lo che per ogni punto della diagonale conduca una linea perpendicolare al lato? di che $e uno raccoglie$$e, che la diagonale et il lato dove$$ero e$$ere tra loro eguali, come quelli, che $i compon- Della forza de’ corpi gono d’ un’ egual numero di punti, incorrereb- be in un’ errore grandi$$imo. Ne è meno peri- colo$o il vo$tro argomento, in cui ri$olven- do il tempo in tanti punti, e l’ impul$o della gravità, che pur volete e$$er continvo, in tanti impul$i i$tantanei, volete quello e$$ere eguale ov- vero proporzionale a que$to, poichè quanti pun- ti trovate in quello, tanti impul$i i$tantanei tro- vate in que$to. Ma la$ciando da parte ogni $otti- lità, io vi domando: qualora un corpo cade per qualche tempo, e cadendo $corre un qualche $pazio, l’ azione della gravità, cioè l’ impul$o, $iccome è continvata per tutto quel tempo, non è ella altresì continvata per tutto quello $pazio? ne però dirà alcuno, che $ia ella proporzionale allo $pazio, ne che produca velocità allo $pazio proporzionale. Come dunque l’ impul$o, e$$en- do continvato per lo $pazio, non produce però una velocità proporzionale allo $pazio; perchè non potrebbe e$$ere continvato per lo tempo, e non produrre per ciò una velocità proporzionale al tempo? onde $i vede, quanto poco vaglia la. continvazione a dimo$trare una tal legge. La qual però $i raccoglierebbe beni$$imo, $upponendo, che l’ azione della gravità fo$$e non già continva, ma interrotta per alcuni piccoli$$imi, et in$en$i- bili intervalli, come $opra ho detto. Noi dunque, di$$e allora il Signor Marche$e, dovremo la co- no$cenza delle leggi della gravità ad una $uppo- $izion fal$a. Anzi la dovremo, ri$po$i io, all’ e- Libro I. $perienza, la quale ha poi fatto luogo alla $uppo$i- zione; perciocchè l’ e$perienza ci ha in$egnato, che i corpi cadendo per alcun tempo $en$ibile ac- qui$tano $empre una velocità proporzionale ad e$$o tempo; è poi venuta la $uppo$izione a ren- der ragione di ciò, che l’ e$perienza ci aveva in- $egnato $enza ragione. La qual $uppo$izione $e nulla ha in $e di a$$urdo, $e è comodi$$ima, $e con$entanea all’ e$perienza $te$$a, io non $o già, perchè voi vi abbiate fitto nell’ animo, che debba a tutti i modi e$$er fal$a. Oh diremo noi, ri$po- $e allora il Signor Marche$e, che l’ azione della gravità $ia realmente interrotta per alcuni inter- valli di tempo; onde bi$ognerebbe anche dire, che i corpi per alcuni intervalli di tempo non fo$$ero attualmente gravi? Io non veggo, ri$po- $i allora, qual noja dove$$e recarne il dir ciò, qua- lunque volta fo$$ero quegl’ intervalli piccioli$$i- mi et in$en$ibili. Perciocchè, e$$endo tali, la$cie- rebbono parer continva l’ azione della gravità, quantunque non fo$$e; e dove paja continva, che fa per gli uomini, che lo $ia? i quali veggono il mondo non già tale, quale egli è, ma quale ap- pari$ce, e $e ne contentano. Credete voi ciò, ri- $po$e allora il Signor Marche$e, o fate vi$ta? per- chè io ho pur $empre udito dire, che l’azione del- la gravità ne corpi $ia continva. Et io pure, ri- $po$i $orridendo, il dirò perchè continve $oglion dir$i tutte le co$e, che $ono tali, o pajono; ma il filo$ofo non dee la$ciar$i portare dall’ u$o del Della forza de’ corpi parlar comune, ne aver per continve tutte le co- $e, che il volgo dice e$$er tali. Vedete, quante n’ ha in natura, le quali per la piccolezza, e in- $en$ibilità de frappo$ti intervalli mo$tran’ e$$er con- tinve, e non $ono. L oro, l’ argento, il ferro, il marmo, il vetro, il legno pajon continvi; e pure da quanti fori, da quanti canali non $ono interrotti, e quanti na$condigli non contengono? il che potete $imilmente credere di tutti gli altri corpi. E $e dalle $o$tanze voi pa$$erete alle azio- ni, quante ne troverete, a cui la natura ha frap- po$to infinite brevi$$ime ce$$azioni, e ripo$i, che $ono per così dire i loro pori? ma e$$endo quel- le ce$$azioni tanto brevi, et in$en$ibili, la$ciano parer continve le azioni. Credete voi, che $ia continvo il ri$plender del $ole? il quale $e cac- cia da $e la luce vibrando$i, come alcuni voglio- no, così che nel fine di cia$cuna vibrazione get- ti un raggio; bi$ogna ben dire, che que$to gitta- re non $ia continvo, ma fatta una vibrazione ce$- $i, finchè un’ altra ne $ucceda; pure e$$endo que gl’ intervalli brevi$$imi, ci par che la luce $i par- ta dal $ole continvamente. Già il $uono, che $i produce da corpi, i quali $cuotendo$i nelle loro parti e vibrando$i, vanno $cuotendo l’ aria, e vibrandola $imilmente, non potrebbe produr$i ne continvar$i $enza molte interruzioni. E lo $te$$o può dir$i di tutte le azioni, che $i fanno per via di molte perco$$e $uccedenti$i l’ una all’ altra, co- me il ri$caldare, che sì fa per le $pe$$i$$ime per- Libro I. co$$e, che riceve il corpo dalle particelle del fuo- co. Io non finirei mai, $e vole$$i recarvi tutti gl’ e$empj di quelle azioni, che, parendo continve, non $ono, e intanto ci pajono, perchè la natura $opra$sedendo di tanto in tanto dall’ agire, e qua- $i ripo$ando$i, vuole che noi $entiamo la $ua azio- ne, e non ci accorgiamo del $uo ozio. E $appia- te, che io hò cono$ciuto, non ha gran tempo, in Roma un’ valoro$o uomo, e dotato di acu- ti$$imo ingegno, e di profonda $cienza, il quale levava via ogni continvazione del corpo, volen- do, che la materia, ond’ egli è compo$to, con- $i$te$$e in una moltitudine innumerabile di punti matematici, i quali, e$$endo tutti l’ un dall’ al- tro di$giunti, et ora traendo$i l’ un l’ altro, et ora cacciando$i in varie gui$e, produce$$ero tutti gli a$petti dell’ univer$o. E con que$ta $uppo$i- zione $piegava tante co$e, e tanto felicemente, che la facea parer qua$i vera. Che $e a un così gran filo$ofo è piaciuto, che la materia, la qual pure $i tien da tutti per continva, altro non $ia, che molti punti matematici di$giunti tra loro, e $eparati, perchè non potrà egli piacere a noi, che l’ azione d’ alcuna potenza, quantunque paja continva, altro però non $ia, che molte azioni i$tantanee, di$giunte altresì, e $eparate tra loro? e $olamente $ia nella natura perfettamente contin- vo il tempo e lo $pazio, i quali $e non fo$$er con- tinvi, non potrebbono le altre co$e e$$ere inter- rotte? Avendo io fin qui detto, e $opra$tando al- DELLA FORZA DE’ CORPI quanto, voi dunque volete, di$$e il Signor Mar- che$e, che l’ azione della gravità $ia veramente interrotta per alcuni piccioli intervalli. Io non voglio già que$to io, ri$po$i allora. Dico $ola- mente, che non ha alcuna ragione di crederla più to$to continvata, che interrotta; e dico, che $e la crediamo interrotta, come l’ ho pre$uppo$ta io, potremo render ragione delle leggi della gra- vità; $e la crediamo continvata, non potremo; perciocchè dalla continuazione non può racco- glier$i nulla. Ma quelli, che l’ hanno per con- tinvata, di$$e allora il Signor Marche$e, come am- metteranno quelle leggi? Le ammetteranno, ri$- po$i allora, indottivi dall’ e$perienza, non dalla ragione; ne le potranno far valere $e non in quel- le potenze, in cui l’ e$perienza le abbia manife- $tate. Ma voi avevate, $e non m’ inganno, altre co$e da domandarmi. Niente da domandarvi; ri$- po$e il Signor Marche$e; ho bene alcune co$e, che de$idero dirvi, le quali mi pa$$avan te$tè per l’ animo, mentre voi mi $piegavate le leggi del- la gravità; e benchè io non mi con$idi di dover dirle con chiarezza, e con ordine, pur vi pre- go di a$coltarle. Per qualunque modo, ri$po$i io, voi le diciate, non potranno $e non piacer- mi. Et egli allora, non dubito, di$$e, che aven- do ogni corpo tanto maggior gravità, e riceven- do perciò tanto maggiore impul$o, e tanto mag- gior movimento, quanto ha più di ma$$a, ne vie- ne, che ogni corpo ricever debba dalla gravità LIBRO I. $ua la $te$$a velocità, dovendo così intervenire, ovunque il movimento $ia proporzionale alla ma$- $a. Io $on dunque per$ua$o, che ogni corpo ri- ceverà dal primo impul$o della $ua gravità la ve- locità $te$$a A_r_, e così d<007> mano in mano riceve- rà dagli altri impul$i gli $te$$i accre$cimenti di ve- locità _ct, ex_ &c. e così tutti i corpi cadranno con la velocità mede$ima; onde io veggo, che rappre$entando il triangolo ACB la caduta di un grave, rappre$enta quella di tutti. Pure perchè non potrebbe e$$ere o finger$i un’ altro ordine di corpi, i quali ave$$ero maggiore, o minor gra- vità, che que$ti no$tri non hanno, quantunque ave$$ero le i$te$$e ma$$e? Tali, ripigliai io, $i cre- de che $ieno i corpi nellà luna, dove vuol$i, che la gravità $ia minore, che qui in terra; in tanto che il mede$imo corpo, che qui in terra riceve dalla gravità un certo impul$o, et una certa ve- locità, nella luna riceverebbe un impul$o, et una velocità minore. Di que$ti corpi dunque, di$$e il Signor Marche$e, che noi chiameremo lunari, parmi, che la caduta po$$a $imilmente rappre$en- tar$i con un triangolo, come quella dei terre$tri. Io non ne ho, di$$i, dubio alcuno. E parmi an- che, ripigliò il Signor Marche$e, che $e io vo- le$$i comparare la caduta di un corpo terre$tre con quella di uno lunare, mi converrebbe fare due triangoli, ne credo, che mal m’ appone$$i, fac- cendoli di que$to modo. Stia la velocità prima, che riceve il corpo terre$tre dalla $ua gravità, alla DELLA FORZA DE’ CORPI velocità prima, che riceve il corpo lunare dalla $ua, come A_r_ ad A_u_, ovvero come _bc a bs_. Io con- durrei la linea A_s_, e prolungandola fino a tagliar BC in H, crederei, che il triangolo AHB rap- pre$enterebbe la caduta del corpo lunare, così come il triangolo ACB rappre$enta quella del ter- re$tre; e così $tarebbe lo $pazio $cor$o dal corpo terre$tre nel tempo AB allo $pazio $cor$o dal cor- po lunare nello $te$$o tempo, come il triangolo ACB al triangolo AHB; e le velocità acqui$tate $arebbono tra loro come BC, BH. Io non cre- do, di$$i io allora, che voi vi di$co$tiate punto dal vero. E piacemi, che per mezzo della lu- na vi abbiate aperta la $trada a tutti gli altri pia- neti; perciocchè $e voi $aprete, quanta $ia la gra- vità de corpi in cia$cun di loro, di che dicon$i i Neutoniani avere avuto qualche notizia; voi potrete, come i corpi, che cadono nella luna, così chiamare ad e$ame ancor quelli, che cado- no in giove, o in $aturno, o in qual$i$ia altro pianeta, e ricono$cere per mezzo di più trian- goli le varie maniere delle lor cadute. Così $e due corpi partano dalla quiete con le velocità A_r_, A_u_, e $ia per e$empio A_r_ quattro volte maggio- re di A_u_; voi potrete facilmente intendere, che cadendo amendue per lo $te$$o tempo AB, l’ uno dovrà $correre uno $pazio quattro volte maggio- re, che l’ altro, et acqui$tare altresì una veloci- tà quattro volte maggiore; e$$endo manife$to, che il triangolo ACB $arà quattro volte maggiore del LIBRO I. triangolo AHB, e la linea BC altresì quattro vol- te maggiore della BH. Parmi ancora, di$$e il Si- gnor Marche$e, che $e io prolunga$$i la linea AB fino in D, e conduce$$i DE parallela a BC, fin- chè taglia$$e la AH in E; e face$$i tutto que$to per modo, che fo$$e AD ad AB, come BC a DE. e$$endo allora eguali i triangoli ACB, AED, po- trei dire, che il corpo lunare nel tempo AD $cor- re quello $pazio mede$imo, che il corpo terre- $tre $corre nel tempo AB; e acqui$ta tuttavia ve- locità minore, e$$endo DE minore di BC. Non $o, $e il mio ragionare vi paja a$$ai giu$to. Io non credo, ri$po$i, che la dialettica $te$$a formar lo pote$$e più giu$tamente. Ora, ripigliò il Signot Marche$e, s’ egl<007> è pur vero, che il corpo terre- $tre, cacciato all’ insù da qual$i$ia potenza con la velocità BC, dee $alire per tutto lo $pazio ACB, io non $o, perchè il corpo lunare, cac- ciato all’ insù con la velocità DE, non dove$$e $alire per lo $pazio AED, cioè per eguale $pazio; onde io traggo argomento, che la forza del $ali- re non debba mi$urar$i dallo $pazio ( la$cio ora la ma$$a, che po$$iamo fingere eguale in amendue i corpi ) perciocchè $e così fo$$e, bi$ognerebbe nel no$tro ca$o, che il corpo terre$tre, et il lu- nare $correndo lo $te$$o $pazio, ave$$ero la $te$$a forza; il che però non può e$$ere, $econdo la $entenza di niun filo$o$o, e$$endo le ma$$e egua- li, di$eguali le velocità. Ma veggo bene di non poter ciò intendere ba$tantemente, $e voi prima DELLA FORZA DE’ CORPI non mi $piegate, come il corpo terre$tre, e$$en- do cacciato all’ in sù con la velocità BC, che egli avrebbe acqui$tata cadendo perlo $pazio ABC, debba $alire per lo $te$$o $pazio, e non più. Et io veggo, r<007>$po$i, che voi mi tentate; perchè la co$a è pur facile, e per poca attenzione, ch’ altri vi ponga, non può non intender$i to$tamente. Impe- rocchè e$$endo il corpo cacciato all’ insù con la velocità BC, quale $pazio $correrà egli nel tempet- to B_k?_ Lo $pazio B_z_, di$$e il Signor Marche$e. Che è quello $te$$o, $oggiun$i io, che egli avrebbe $cor- $o nel fine della $ua caduta in un tempetto eguale a B_k_. Ora finito il tempetto B_k_, non riceverà il corpo dalla $ua gravità un’ impul$o, che $pin- gendolo all’ ingiù di$truggerà in e$$o una parti- cella di quella velocità, che egli ha? E que$ta particella non $arà ella proporzionale all’ impul$o $te$so? Certo che $i; ri$po$e il Signor Marche$e, e $arà _lz_, onde re$terà al corpo la velocità _kl_, con la quale dovrà $correre nel tempetto $eguen- te _kb_ lo $pazio _ky_, che è quello $te$so, che caden- do avrebbe $cor$o nel penultimo tempetto eguale a _kb_. E così pro$eguendo, $oggiun$i io, voi tro- verete, che il corpo ri$alendo all’ insù dee $cor- rere tutti gli $pazj, che già $cor$e cadendo, e ne- gl’ i$te$$i tempetti, fino in A; dove poichè $arà giunto, avrà perduta tutta la velocità BC; e $i fermerebbe quivi, $e la gravità, che egli ritien $empre, non lo $timola$se di nuovo a di$cendere. Et io non dubito, che per la $te$sa ragione an- LIBRO I. che i corpi nella luna, caduti e$sendo per qual- che $pazio, $e ri$aliranno con quella velocità, che acqui$taron cadendo, ri$aliranno per lo $te$- $o $pazio, e non più. E $imilmente troverete av- venire in tutti gli altri pianeti, $e vi piacerà di andar vagando per cia$cuno. E per venir là, don- de i no$tri ragionamenti s’ incominciarono, po- tete anche facilmente cono$cere, che a far $ali- re un corpo, come abbiamo detto, non altro ri- cerca$i $e non tre co$e $ole: una potenza, che da principio produca in e$$o un movimento all’ in- sù; un’ altra potenza, che di$trugga quel movi- mento a poco a poco; el’ inerzia, che ne con$ervi gli avanzi, finchè può. Di che pare, che niun luogo v’ abbia quella forza viva, che i Leibni- ziani hanno voluto aggiungervi, e che mi$uran- dola dallo $pazio, voglion’ e$$ere proporzionale al quadrato della velocità. Così è, di$$e il Si- gnor Marche$e; e certo parmi, che quelle poten- ze, che avete detto, e l’ inerzia, ba$tino a tut- to. Pure che ri$ponderò io ad uno, il quale ar- gomenti di que$ta maniera? Se un corpo $ale ad’ una certa altezza, bi$ogna pur dire, che abbia la forza di $alirvi; la qual forza dovrà pur mi$urar- $i dalla $alita $te$sa; e mi$urando$i que$ta dallo $pazio, et e$sendo lo $pazio proporzionale al qua- drato della velocità, par bene che dovrà e$sere proporzionale allo $te$so quadrato anche la for- za. La$cio $empre $tare la ma$sa, che certo do- vrà entrare in tal mi$ura, poichè, $alendo un DELLA FORZA DE’ CORPI corpo, $agliono egualmente tutte le parti di e$so, e quella forza, che lo fa $alire, dee produrre tante $alite, quante $ono e$se parti. Ma tutto ciò non fa nulla al ca$o no$tro, in cui vogliamo e$se- re $empre eguale la ma$sa. E ciò po$to, come non dovrà aggiunger$i alle potenze, che avete det- to, et all’ inerzia un’ altra forza, che $ia pro- porzionale allo $pazio, cioè al quadrato del- la velocità? Voi dite beni$$imo, ri$po$i; per- chè ora a voi piace di prendere la $alita come un’ effetto; e perciò dovete immaginar nel corpo una forza, che $ia ad e$$a porporzionale. Ne io nego, che voi po$$iate prendere, come effetto, tutto che volete; e così fingervi quante forze volete. Nego bene, che la $alita del corpo $ia veramente un’ effetto, e che debba e$$ere al mondo una parti- colar forza de$tinata dalla natura a produr le $a- lite. E dico, che nel $alire non ha altro effetto, $e non che il movimento prodotto già da una qualche potenza, il quale e$$endo rivolto all’ in- sù, chiama$i per noi $alita; e $i con$erva per l’ inerzia, finchè $ia da una potenza contraria to- talmente di$trutto; ne altra forza vi $i ricerca. E quando bene vi $i ricerca$$e una particolar for- za, che produce$$e la $alita, io non $o anche, perchè $e la vole$$ero i Leibniziani mi$urare col quadrato della velocità. Oh diranno, ri$po$e il Si- gnor Marche$e: perchè quella forza $i mi$urerebbe dalla $alita, e la $alita $i mi$ura dallo $pazio, e lo $pa- zio è proporzionale al quadrato della velocità. LIBRO I. Si; ri$po$i, lo $pazio è proporzionale al quadra- to della velocità, $e i corpi, che noi paragonia- mo, $ieno gravi dello $te$so genere di gravità, come $e $ieno due corpi terre$tri, che $agliano all’ insù; i quali veramente $correranno $pazj pro- porzionali ai quadrati di quelle velocità, con cui cominciarono a $alire. Non così, $e fo$ser diver$i i generi delle gravità; come $e l’ un cor- po fo$se terre$tre, e $ali$se all’ insù qui in terra, l’ altro fo$$e lunare, e $ali$se all’ in sù nella lu- na; perchè voi troverete, che il corpo, che $ale in sù nella luna, avendo ricevuto da principio una certa velocità, $corre uno $pazio a$sai mag- giore, che non $correrebbe qui in terra, aven- do ricevuto la velocità mede$ima; laonde para- gonando la falita del corpo terre$tre con la $ali- ta del lunare, $i troverà altra e$sere la proporzio- ne degli $pazj, altra quella dei quadrati delle ve- locità. Egli è male, di$se allora il Signor Marche- $e, che per trovar que$to paragone, bi$ogni andar nella luna. Potrebbe ritrovar$i lo $te$so, ri$po$i io, anche quì in terra, chi vole$se $eguir piutto$to la verità, che le ipote$i. Perchè voi dovete $ape- re, che $econdo le e$perienze di molti gravi$$i- mi, e diligenti$$imi fi$ici, gl’ i$te$$i corpi non hanno già la $te$sa gravità per tutta la terra, ove che $ieno; ma più $i $co$tano dall’ equatore, e più l’ hanno grande; per la qual co$a $e due cor- pi $agliono all’ insù, l’ uno più lontano all’ e- quatore, e l’ altro meno, non $arà già vero, che DELLA FORZA DE’ CORPI gli $pazj $ieno per e$sere proporzionali ai qua- drati delle velocità; benchè $arebbe vero, $e la gravità, come $uol $uppor$i, fo$se la $te$sa per tutto. Di che par certamente, che volendo mi- $urar la forza dalla $alita, e dallo $pazio, non debba per ciò $empre mi$urar$i dal quadrato del- la velocità. Che è un’ argomento, che io $entj una volta dire a un mio nipote, che argomenta- va contra l’ opinione di Leibnizio. E’ egli quel- lo, di$se il Signor Marche$e, che voi avete e$po- $to ne vo$tri comentarj, e che io le$$i in Paler- mo, e mi $degnai meco $te$so, parendomi allo- ra, che non mi $odisface$se? Non vi $degnate per que$to, ri$po$i io, con voi $te$$o; perchè è $tato anche un valoro$o matematico, voglio dire il Padre Riccati, a cui quell’ argomento non è potuto piacere. Se vi è caro, io vi racconterò la li- te, come è $tata; e tanto più volentieri il farò, che e$ponendolavi verrò in$ieme ad e$porvi, qua- li fo$sero i principj ultimi, e qual l’ origine di tutta la qui$tione della forza viva; che e$sendo già nata dall’ incomparabil Leibnizio parve poi, che $i tace$se per lungo tempo, finchè eccitata, e commo$sa dall’ egregio Bernulli $ur$e di nuo- vo con più rumore. Io avrò caro di udirne, di$- $e il Signor Marche$e. Sappiate dunque, ripi- gliai io, che Leibnizio a$sumeva, come un prin- cipio di meccanica da non dover dubitar$ene, che eguali forze debbano avere due corpi, $e l’ un di loro, avendo ma$sa 4, po$sa $alire all’ altezza LIBRO I. 1; e l’ altro, avendo ma$sa 1, po$sa $alire all’ altezza 4; mi$urando così le forze dalla ma$sa mol- tiplicata per lo $pazio. E quindi argomentava $ot- tilmente a que$to modo. Se un corpo, la cui ma$- $a $ia 4, cada dall’ altezza 1, acqui$ta forza di ri$alire $pazio 1; e $e un’ altro corpo, la cui ma$- $a $ia 1, cada dall’ altezza 4, acqui$ta forza di ri$alire $pazio 4. Avranno dunque que$ti due corpi acqui$tate forze eguali nel lor cadere; le quali forze però non $arebbono eguali, $e non $i mi$ura$sero moltiplicando le ma$se per li qua- drati delle velocità; bi$ogna dunque così mi$u- rarle. Per tal modo argomentava il Filo$ofo acu- ti$$imo, e riprendeva con molta alterigia i Car- te$iani, che fino a quell’ ora avevano mi$urato la forza d’ aìtra maniera; ma e$$i per forza altro a. vevano inte$o da quello, che intendeva egli. Di quì nacque la famo$a qui$tione; della quale ra- gionando meco un giorno Eu$tachio mio nipote dicea, che $econdo quel principio di meccanica, che a$$umeva Leibnizio, la conclu$ione procede- va beni$$imo nella $uppo$izione della no$tra comu- ne gravità; ma cangiando$i la gravità, avrebbe dovuto cangiar$i ancora la conclu$ione. Di fatti ponghiamo, che il corpo, che ha ma$$a 4, e $a- le all’ altezza 1, $ia dotato della gravità terre$tre; l’ altro, che ha ma$$a 1, e $ale all’ altezza 4, $ia dotato della lunare: $econdo il principio, che Leibnizio a$$umeva, dovranno amendue i corpi avere forze eguali; ne però $i troveranno eguali, DELLA FORZA DE’ CORPI mi$urandole dalle ma$$e moltiplicate per li qua- drati delle loro velocità; acciocchè dunque $ieno eguali le forze, come e$$er debbono $econdo il principio di Leibnizio, dovranno mi$urar$i d’ al- tra maniera. E che oppone egli, di$$e allora il Si- gnor Marche$e, a que$to argomento il Padre Ric- cati? Niente altro, ripigliai io; $e non che, qua- lunque velocità $i acqui$ti il corpo cadendo per qualunque genere di gravità, potrà pur $empre dir$i, che la forza, che egli ha, $ia proporziona- le alla ma$$a moltiplicata per lo quadrato della acqui$tata velocità. Si, ri$po$e allora il Signor Marche$e; ma non potrà poi mi$urar$i la forza dalla ma$$a moltiplicata per lo $pazio, come ri- cerca il principio, che Leibnizio a$$umeva. For$e che il Padre Riccati non vorrà a$$umerlo egli. Se non vuole a$$umerlo egli, ri$po$i io allora, dovea però $offrire, che lo a$$ume$$e mio nipote argo- mentando contra Leibnizio, il qual lo a$$ume. E $e quel principio non gli piaceva, dovea piutto$to $gridarne Leibnizio $te$$o; ma egli ha voluto ave- re un’ avver$ario più debole, e s’ è rivolto contra il mio Eu$tachio. Vorrà for$e il Padre Riccati, di$$e allora il Signor Marche$e, che la forza $i mi- $uri non veramente dallo $pazio, ma dalla $omma di quelle re$i$tenze, ovvero di quegl’ impul$i, che il corpo incontrâ $alendo per lo $pazio; il che pare ancora e più ragionevole, e più vero. Io non $o; di$$i. Ma certo $e Leibnizio ave$$e così volu- to, avrebbe dovuto mi$urar la forza più to$to LIBRO I. dal tempo, che dallo $pazio; e$$endo la $omma degl’ impul$i, che il corpo riceve dalla gravità, e che incontra $alendo in sù, non allo $pazio proporzionale, come ben $apeva Leibnizio, ma al tempo. Ma parmi oramai, che della gravità, in quanto appartiene alla forza viva, $ia$i pernoi detto abba$tanza; $e non for$e anche troppo. A me, di$$e il Signor Marche$e, non può parer trop- po; $e già voi non vole$te entrare a dir degli e- la$tri, $opra la forza de quali de$idero grandemen- te $apere l’ opinion vo$tra; la quale $e voi vorre- te e$pormi, vi concederò volentieri, che della gravità $ia$i detto abba$tanza; ne credo però, che degli ela$tri dobbiate avere difficoltà niuna a dir- mi, avendone detto tanto ne vo$tri Comentarj. Appunto, ri$po$i io allora, perchè ne ho detto tanto ne Comentarj, non accade, che io ve ne dica ora. Potete facilmente leggerli; e sì ne in- tenderete l’ opinion mia. Ma voi potre$te, di$$e allora il Signor Marche$e, aver cangiato di opi- nione. Et io $orridendo ri$po$i: voi volete rim- proverarmi quello, di che molti mi hanno già più volte accu$ato; e ciò è, che in filo$ofia io cangi $pe$$o di opinione; il che non è vero; ma faccio vi$ta alcuna volta di cangiare, e per contradire agli altri, non accorgendo$ene e$$i, contradico a me mede$imo; e sì il fo per intender meglio gli argomenti, e le dimo$trazioni loro, le quali e$$i non direbbono mai ne con tanta copia, ne co- sì chiaramente, $enza lo $timolo della contradizio- DELLA FORZA DE’ CORPI ne; e po$$o affermarvi, che così u$ando ho appa- rato qualche co$a. Ma venendo al propo$ito, quand’ anche io ave$$i cangiato di opinione intorno agli ela$tri, che fa a voi di $apere più to$to l’ opi- nion mia d’ oggi, che quella, che ebbi due anni $ono? qua$i che io fo$$i oggi di maggio- re autorità, che allora. A me piacerà, di$$e il Si- gnor Marche$e, di $aperle tutte e due. Quella d’ oggi mi direte voi ora; quella, che ave$te due an- ni $ono, la cercherò ne Comentarj. Voi volete, ri$po$i io allora ridendo, s$orzarmi a tutti i mo- di, e ricondurmi $opra un’ argomento, che, a dirvi il vero, avea cominciato a nojarmi, già è gran tempo; ne per altro può ora piacermi, $e non perchè piace a voi. lo dirò dunque brevemen- te degli ela$tri, acciocchè intendiate niun luogo la$ciar$i per e$$i alla forza viva, e tutti i loro ef- fetti non d’ altro procedere, che dalle potenze, e dall’ inerzia. E dirò quello, che me ne verrà in mente ora; voi vedrete poi, $e io di$cordi da quel- lo, che già ne pen$ai, $crivendo i Comentarj; di che appena ora mi $ovviene. Dette que$te parole pre$i il foglio, che avea tra le mani il Signor Mar- che$e, e di$egnatovi $opra con la penna la $econ- da figura di$$i: avrete già inte$o, che ela$tro chia- F. II. mano un’ angolo, come ABC, il quale natural- mente richiede una certa larghezza, di modo che $e per alcuna $traniera potenza $i a$tringa a dover tenerne una o maggiore o minore, faccia forza, e $pinga in contrario. Fingiamo dunque che la LIBRO I. larghezza naturale dell’ ela$tro ABC $ia AD; e che dall’ una parte appoggiando$i al muro immo- bile XY, $ia dall’ altra premuto per una qualche potenza applicata al globo C, che lo tenga fer- mo, e ri$tretto nello $pazio AC. Stando le co$e così, voi vedete, che l’ ela$tro non ce$$erà mai di premere il globo C, e $ollecitarlo con altri, ed’ altri impul$i ver$o D; i quali impul$i $eguiranno ad e$$ere $empre eguali, non e$$endovi alcuna ra- gione, perchè debbano far$i o maggiori o mino- ri. Così come quelli della gravità, di$$e allora il Signor Marche$e. Così appunto, ri$po$i. E come quelli della gravità, ripigliò egli, $ono $econdo voi i$tantanei, e di$g unti tra loro per certi piccoli$$imi intervalli di tempo, così $aranno ancor que$ti. Io non ho detto, ri$po$i, che gl’ impul$i della gravità $ieno i$tantanei, e di$giunti tra loro; ho detto, che potrebbon’ e$$ere $enza incomodo del- la natura; e lo $te$$o pen$o anche degl’ impul$i dell’ ela$tro; i quali però abbiatevegli come vi pare, o continvi $enza interruzion niuna, o con infinite interruzioni in$initamente piccole; che a me è lo $te$$o; benchè la $uppo$izione delle in- terruzioni $arebbe più comoda, et è for$e ancor la più vera. Come che ciò $ia, egli è ben d’ av- vertire, che qualora l’ ela$tro è più largo, gl’ im- pul$i $ono più deboli. Così $e egli $arà tenuto fer- mo in _m_, avendo la larghezza A_m_, gl’ impul$i $aranno più deboli, che non erano, quando egli era tenuto fermo in C, avendo la larghezza AC; DELLA FORZA DE’ CORPI e più deboli ancor $aranno, $e $arà tenuto fermo in _n_, e più ancora, $e in @; in tanto che allarga- to$i l’ ela$tro fino in D, nulla $arà degl’ impul- $i. Dove voi potete facilmente intendere, che quando l’ intervallo C_m_ fo$$e e$tremamente pic- colo, e$tremamente piccola $arebbe anche la dif- ferenza, che pa$$erebbe tra gl’ impul$i in C, e gl’ impul$i in _m_, e in tal ca$o, tra$curando$i que- $ta differenza, $i direbbe, che la pre$$ion dell’ ela- $tro fo$$e per tutto l’ intervallo C_m_ $empre egua- le a $e mede$ima. E lo $te$$o $imilmente può dir- $i ri$petto all’ intervallo _mn_, all’ intervallo _no_, e a tutti gli altri, che $eguono fino in D. Inten- do, di$$e quivi il Signor Marche$e; e $e mal non m’ appongo; parmi, che quello, che voi avete detto d’ un’ ela$tro $olo, potrebbe $imilmente dir- $i d’ una $erie di molti; però non vi $ia grave, che io qui alcuna ne $egni. Come vi piace, ri$po$i; et egli pre$o il foglio, e $egnatovi $opra quattro ela$tri, così incominciò: $e noi ave$$imo una $e- rie continvata, come que$ta è, di quattro ela$tri EFG, GHI, IKL, LMN, la cui natural larghez- za fo$$e EO; et e$$endo dall’ una parte appoggia- ta al muro immobile XY, fo$$e dall’ altra pre- muta da qualche potenza applicata al globo N, che la tene$$e ferma, e ri$tretta nello $pazio EN, m’è avvi$o, che lo $te$$o avverrebbe a que$ta $erie, che all’ ela$tro ABC; poichè e$$a pure premerebbe continvamente il globo N con altri ed altri im- pul$i, i quali $arebbono tutti tra loro eguali; e LIBRO I. $arebbono però più deboli, $e la $erie, allargata$i alquanto più, fo$$e tenuta ferma in _r_; e più an- cora, $e fo$$e tenuta ferma in _s_; e più, $e in _t_; così che allargata$i la $erie fino in O, diverreb- be la pre$$ion nulla. E qui $imilmente $e l’ inter- vallo N_r_ fo$se in$initamente piccolo, infinita- mente piccola $arebbe anche la differenza, che pa$$erebbe tra gl’ impul$i in N e gl’ impul$i in _r_; e però, tra$curando$i tal differenza, $i direbbe, la pre$$ion della $erie e$$ere $empre eguale a $e $te$$a per tutto l’ intervallo N_r_; il che pure po- trebbe trasferir$i anche all’ intervallo _rs_, et al _st_, e a tutti gli altri, che $eguono fino in O. Io non credo, che niente po$$a e$$er più chiaro. Ma voi intanto dell’ ela$tro AC, et io della $erie EN, non altrimenti abbiam ragionato, che con$ideran- dogli come ri$tretti, e tenuti fermi dai globi C et N. A$petto, che mi diciate dei movimenti lo- ro, o comparandoli in$ieme, o $piegandoli $epa- ratamente. Difficile impre$a, ri$po$i io, e da non u$cirne felicemente, $arebbe quella di voler $pie- gare $eparatamente il movimento, e la ragione, e i modi di cia$cuna $erie, o $ia EN, o $ia AC; che già con$idero AC come una $erie di un’ ela- $tro $olo. Perciocchè la natura della ela$ticità è o$curi$$ima; et oltre a ciò $econdo la varietà de corpi, e degli allargamenti loro è tanto varia, che par, che s$ugga ogni legge. E per l’ i$te$$a ragio- ne $arebbe anche difficili$$imo il comparare i mo- vimenti dell’ una $erie coi movimenti dell’ altra, DELLA FORZA DE’ CORPI $e non $i riduce$$ero prima molte co$e all’ egua- lità, onde fo$$e poi meno impedita la compara- zione. Per acco$tarmi dunque alla vo$tra diman- da, io voglio, che noi fingiamo che i quattro ela$tri della $erie EN, e l’ altro della $erie AC, $ieno tutti tra loro eguali di grandezza, e di ela- $ticità, e $ieno in oltre egualmente ri$tretti, così che eguali pur $ieno le ba$i EG, GI, IL, LN, AC. In que$ta egualità di co$e $i crede da i più, che le due $erie EN, AC, $tando chiu$e e ferme, debbano premere egualmente i due globi N, e C; quantunque l’ una $ia compo$ta di quattro ela. $tri, l’ altra di uno $olo. Il che non dee farvi meraviglia, poichè $ebben pare, che il globo C $ia premuto da un’ ela$tro $olo, il globo N da quattro, e per ciò debbano le pre$$ioni e$$ere di$eguali; non è però così. Po$ciachè il globo N non è veramente premuto, che da un’ ela$tro $olo LMN, o più to$to dall’ e$tremità $ola N dell’ ela$tro LMN, $iccome il globo C è premu- to dalla e$tremità $ola C dell’ ela$tro ABC; con- cio$iachè le altre due e$tremità L et A premano al contrario, e$$endo $o$tenute immobilmente, quella dal $eguente ela$tro IKL, e que$ta dal mu- ro XY. Mi ricordo, di$$e allora il Signor Mar- che$e, di aver’ udito dir ciò altre volte, e par- mi veramente, che e$$endo gli ela$tri tutti della $erie EN in un perfetto equil<007>brio, e però $o$te- nendo$i l’ un l’ altro, ciò faccia, che non po$- $a pervenire al globo N, $e non la pre$$ione del LIBRO I. primo ela$tro LMN. Le pre$$ioni de’ $eguenti e- la$tri $ono a lui, come $e non fo$$ero. Io $ono dunque per$ua$o, che non potendo $pander$i le due $erie EN, AC, premeranno egualmente i due globi N e C. Ma $e $i leva$$ero le potenze, che tengono immobili i due globi, e le $erie $ubita- mente $i $pande$$ero, cacciando i globi $te$$i, che $arebbe dei lor movimenti? Io $o, per quanto mi ricorda aver letto ne vo$tri Comentarj, che voi a- vete $opra ciò alcune opinioni, che non da tutti vi $ono concedute. Anzi mi $on concedute da. pochi, ri$po$i; ne io me ne maraviglio; poichè con$iderando, che elle $ono contrarie al famo$o Bernulli, ardi$co appena di concederle io a me mede$imo; di che potete comprendere, che non lieve ragione, almeno a giudizio mio, debba $o- $tenerle, potendomi parer vere contra un’ autori- tà così grande. Ma per procedere con chiarezza, e mandare innanzi, come $uol far$i, le co$e, che $ono fuori di controver$ia; dovete avvertire, che $e $i levi la potenza, che tiene immobile il globo C, l’ ela$tro ABC, $pandendo$i incontinente, cac- cierà il globo C, e $eguitandolo poi $empre con l’ e$tremità C, lo verrà $empre $ollecitando con altri ed altri impul$i, e producendo in e$$o altre ed altre velocità, finchè giunga$i in D; dove l’ ela$tro con- $eguita avendo la $ua natural larghezza, ce$$eran no tutti gl’ impul$i; e allora il globo $i $epare- rà dall’ e$tremità C dell’ ela$tro, et andrà via ri- tenendo quella velocità, che $i troverà avere per DELLA FORZA DE’ CORPI tutto lo $pazio CD acqui$tata. Donde potete fa- cilmente comprendere, come il globo C $correndo da C fino in D, dovrà continuamente affrettar$i a cagione degl’ impul$i continuamente ripetuti dall’ ela$tro; giunto in D $i fuggirà via con moto equabile. E lo $teffo vuol dir$i anche della $erie EN, la quale $pandendo$i caccerà il globo N, et in$eguendolo tuttavia con l’ e$tremità N, lo andrà con altri, ed altri impul$i affrettando fino in O. Ne finquì credo debba poter na$cere controver- $ia; ma quante ne na$ceranno, $e noi ci mettere- mo a voler comparare in$ieme gl<007> $pandimenti del- le due $erie Avendo io dette que$te parole, e già di$ponendomi di pa$$ar più avanti, eccoti un $ervo del Signor Governatore, il qual viene $igni- ficandoei, e$$ere giunta allora la Signora Princi- pe$$a, e che avendo inte$o dal Signor Governato- re, che noi quivi eravamo, de$iderava grandemen- te di vederci. Perchè levandoci in piè $ubito tut- ti e due, e domandando al $ervo, con cui ella fo$$e, ri$po$e ch’ ell’ era con due $ignori, e parea di$po$ta di venir quivi ella $te$$a a ritrovarci. II perchè pen$ammo di andarle to$to incontro; e fatti pochi pa$$i la vedemmo, che veniva tutta lieta ver$o noi col Signor D. Niccola di Martino, e col Signor D. France$co Serao; la quale come to$to ci vide: bene $ta, di$$e $orridendo, voi volevate oggi $orprender me, e noi abbiamo, non volendo, $orpre$o voi. Et io dopo averla riveren- temente $alutata, non $o, di$$i, qual delle due co- LIBRO I. $e ci dove$$e e$$ere (acciocchè io vi ri$ponda an- che per que$to giovane) più cara, o il $orpren- der voi, o l’ e$$ere da voi $orpre$i; che nell’ una dovea piacerne la diligenza no$tra, nell’altra ne piace la fortuna. Ma che è que$to, che voi $iete venuta tanto più pre$to di quello avvi$a$te jeri? Io non ho $aputo, ri$po$e ella, re$i$tere alla bel- lezza del cielo, così $ereno, come vedete, e alla $oavità dell’ aria, che mi invitavano; et anche la prontezza del Signor D. Serao mi ha mo$$a, che già era pre$to di accompagnarmi; con l’ ajuto del quale ho potuto urar meco il no$tro Signor D. Ni- cola, che pareva aver’ altro in pen$iero. Ma io non vorrei, qua giugnendo, e$$ere $tata importu- na, e aver turbati i vo$tri ragionamenti. Anziop- portuni$$imamente, ri$po$i io, $iete giunta, per- chè $arete cagione, ch’ io ce$$i da un ragionamen- to, in cui era entrato mal volentieri. Piutto$to, di$$e allora il Signor Marche$e, $iete voi oppor tuni$$ima, perchè vorrete e$$er cagione, che egli lo pro$egui$ca. Spiacemi, di$$e allora la Signora Principe$$a, di e$$ere opportuna per due ragioni tanto contrarie. Ma potre’ io intendere qual $ia cote$to ragionamento? Signora, di$$i io allora, que$to giovane qua$i a viva forza mi ha tratto a dover dirgli il mio $entimento intorno a tutta la qui$tione della forza viva; dal qual di$cor$o voi $apete, che io $ono tanto alieno, che ne voi, ne que$ti due $ignori, avete mai potuto indurmivi; di che mi pare di aver fatto gran peccato entrando- DELLA FORZA DE’ CORPI vi ora; però pen$o di farne la penitenza, e il ragionamento incominciato la$ciar del tutto. Il peccato, ri$po$e la Signora Principe$$a, non ave- te voi fatto ora, entrando in tal di$cor$o col Si- gnor Marche$e; il face$te allora, che non vole$te entrarvi con noi; di che farete la penitenza; e que$ta $arà di pro$eguire il ragionamento, cui non volevate incominciare. E $enza più commi$e ad un $uo familiare, che face$$e quivi portar le $edie; le quali mentre che $i attendevano, io di$$i: Signo- ra, voi farete fare la penitenza a que$ti due Signo- ri, che dovranno a$coltarmi. Anzi, ri$po$e ella, la faranno fare a voi più lunga, perchè io voglio, che e$$i vi interroghino, quando lor piaccia, e vi contradicano, qualunque volta non direte la verità. S<007>gnora, ri$po$i, que$ti $ono uomini, che per $ervirvi meglio mi contradiranno anche quan- do io la dirò; di che e$$i e la Signora Principe$sa ri$ero. Fatte que$te ed’ altre parole, et e$lendo le $edie recate, tutti ci mettemmo a $edere, e la Si- gnora Principe$$a a me rivolta, pro$eguite, di$$e, il ragionamento che avevate col Signor Marche$e; il quale $e non potrete $imre que$ta mattina pri- ma dell’ ora del de$inare, a cui io voglio, che voi $iate meco, potrete $inirlo oggi, o que$ta $e- ra; perchè la Reina non viene a Baja, che doma- ne a$$ai tardi, et io oggi $ono ozio$a. Signora ri$po$i, $appiate pure, che pro$eguendo il ragio- namento incominciato, poco mi re$ta a dire; e $e que$ti $ignori non vorranno contradirmi in ogni LIBRO I. co$a, con poche parole avrò finita la qui$tione. Imperocchè avendomi domandato il Signor Mar- che$e, come $i mi$uri la forza viva de corpi, io gli ho ri$po$to, vana e$$ere la $ua domanda, con- cio$iachè niuna forza viva abbiano i corpi: avere in e$$i $olamente alcune potenze, che produco- no la velocità, et altre, che la di$truggono; al- le quali $e $i aggiunga l’ inerzia, che è la con- $ervazione del movimento e della quiete, niu- na altra forza $i ricerchi a qual$ivoglia effetto della natura. E già agli effetti della gravi- tà abbiamo veduto niente altro ricercar$i; re- $ta, che $i vegga lo $te$$o negli ela$tri. Se que$to re$ta, di$$e allora il Signor D. Serao, non re$ta così poco, come voi dite; anzi parmi, che re$ti ogni co$a; $apendo noi, che Bernulli ridu$$e tut- ta la qui$tione a gli ela$tri $oli. E per que$to, ri$- po$i io, la ridu$$e a poco. Perciocchè di qualun- que maniera $i apra una $erie di ela$tri, e $pinga un corpo, che altro fa ella, $e non produrre in e$$o altre ed altre velocità, onde egli vie più s’ affretta, e corre via? il che tutto può beni$$imo intender$i, intendendo $olamente alcuna potenza, che produca nel corpo le velocità $opraddette, e l’ inerzia, che le con$ervi. E con ciò $olo, $e la Signora Principe$$a me ne de$$e licenza, io po- trei aver finito il mio ragionare. Io la prego be- ne, di$$e allora il Signor D. Niccola, di non dar- vela; parendomi, che voi vogliate con cote$to vo- $tro argomento più to$to na$conderci attificio$a- DELLA FORZA DE’ CORPI mente la forza viva, che levarla via. Perciocchè quando bene vi $i concede$$e, che il movimento e l’ inerzia ba$ta$$ero a tutti gli effetti della na- tura; chi dice a voi, che ad avere que$t’ i$te$$o movimento non $ia nece$$aria la forza viva? e pe- rò che il movimento non la na$conda per così di- re $otto di $e? Et io $o bene, che i più dei Leibniziani, i quali $ono $tati i primi a introdur- re una tal forza, hanno creduto, che ella $oprag- giunga al movimento, e alla velocità; immagi- nando, che la potenza produca nel corpo la ve- locità, a cui venga dietro la forza viva. Ma voi $apete ancora, quanto $on varj in que$to argo- mento, e come contra$tano più tra loro, che con Carte$io. Perchè non potrebbe egli adunque u$ci- re al mondo un Leibniziano, il quale dice$$e, che la potenza produce prima nel corpo la forza vi- va, e a que$ta poi vien dietro la velocità? e ciò po$to ben vedete, che negando quella forza viva, che $egue la velocità, potrebbe re$tar luogo a quell’ altra, che la precede. Io credo, ri$po$i al- lora $orridendo, che il Le<007>bniziano, che voi di- te, $ia già u$cito; parendomi, che il Padre Ric- cati, matematico illu$tre, e famo$o di quella $cuo- la, appunto in$egni, che la potenza produce nel corpo la forza viva, e da que$ta poi na$ce la ve- locità; almeno così ne parla per tutto, che pare, che lo $upponga. Egli vorrà dunque, di$$e quivi la Signora Principe$$a, che la forza viva $ia proporz o- nale alla velocità, dovendo $empre la cau$a e$$e- LIBRO I. re proporzionale all’ effetto, che da lei na$ce. E $e così è, mal $o$terrà le parti della $ua $cuola Nò, Signora, ri$po$i; perciocchè egli volge le co$e, e le piega a piacer $uo. Vuole, che la po- tenza produca la forza viva, e così anche vuole, che debba e$$erle proporzionale, dovendo $empre la cau$a, come voi dicevate, e$$ere proporziona- le all’ effetto, ch’ ella produce; ma non vuol già, che la forza viva produca la velocità; $e la trae dietro bensì, ma come un con$eguente, non co- me un’ effetto. Per que$to modo trova via di non farla proporzionale alla velocità. Se la forza vi- va, di$$e allora la Signora Principe$$a, non pro- duce la velocità, che dovrà ella poter produrre? E $e non può produr nulla, per qual ragione la chiameremo noi forza? Vorrete voi, di$$e quivi il Signor D. Nicola, contender del nome? Non del nome, ri$po$e ella, ma della co$a; poichè quello, che non può produr nulla, non ha ne il nome di forza, ne la natura. Sebbene a intender meglio l’ opinione di così celebre matematico, io voglio, che mi dichiariate un’ altro dubio. Se la potenza, per e$empio, la gravità, produce nel corpo la forza viva, dovrà certamente la for- za viva e$$ere proporzionale all’ azione della gra- vità $te$$a; ora l’ azione della gravità, continvan- do$i nel tempo, et e$$endo in ogni punto di tem- po la mede$ima, dee proporzionar$i al tempo; dun- que dovrà anche proporzionar$i al tempo la for- za viva; la quale, $e è proporzionale al tempo, DELLA FORZA DE’ CORPI come potrebbe non e$$erlo al<007>che alla velocità, che pur $egue l’ i$te$$a proporzione? La ragione, di$$e il Signor D. Nicola, è a$$ai $ottile; ma voi non vincerete per ciò di $ottigliezza il Padre Ric- cati, il qual vedete, con che ingegno $e ne $pe- di$ce. L’ azione della gravità non è meno con- tinvata nello $pazio, che nel tempo; e non è me- no la mede$ima in ogni punto dello $pazio, di quello, che $ia in ogni punto del tempo; $arà dunque libero a cia$cuno il $arla proporzionale o allo $pazio od al tempo. Ora egli valendo$i di que$ta libertà, per $ervire all’ opinion $ua, fa l’ azione della gravità proporzionale allo $pazio, e così anche la forza viva. Dico proporzionale allo $pazio, la$ciando $tare la potenza, che $up- pongo ora e$$ere $empre la $te$$a. Per altro $e ella varia$$e, dovrebbe dir$i l’ azione, e $imilmen- te la forza viva, proporzionale non $olo allo $pa- zio, ma anche alla potenza, e vorrebbe mi$urar$i moltiplicando l’ uno per l’ altra. Ma tornando al- la $uppo$izione, che la potenza non varj; la for- za viva, e$$endo proporzionale all’ azione, $arà proporzionale allo $pazio, e per con$eguente al quadrato della velocità. Così tutto $i accomo- da molto bene, dicendo che la potenza produce non la velocità, ma una forza viva, a cui po- $cia tien dietro la velocità. Piacemi, di$$e la Si- gnora Principe$$a, di aver inte$o un’ opinione, quanto a me, del tutto nuova; e come due for- ze vive ci $i pre$entino da’ Leibniziani, l’ una, LIBRO I. che $egue la velocità, l’ altra, che la previene; indi ver$o me $orridendo, a voi $ta, di$$e, di liberarvi dall’ una e dall’ altra. Io credeva, ri- $po$i, di dover combattere contro quella forza viva, che da principio introdu$$ero i Leibniziani, non contro tutte le forze, che po$$ono venire in mente a chi che $ia, e che cia$cuno può ad’ ar- bitrio $uo chiamar forze vive; perciocchè que$to è cangiar la qui$tione, ritenendo lo $te$$o nome. Per altro io po$$o ben dirvi, che il Signor Mar- che$e di Campo Hermo$o, et io, abbiamo fin’ o- ra $piegato tutti gli effetti della gravità, e per quan- to è paruto a noi, a$$ai comodamente; ne mai ci $iamo avveduti d’ aver bi$ogno d’ alcuna di co- te$te due forze, ne della $u$$eguente, ne della preveniente. Se la co$a v’ è andata bene, di$$e il Signor D. Nicola, nella gravità, non vi an- drà for$e così bene negli ela$tri. Perciocchè $pan- dendo$i una $erie di ela$tri, e urtando alcun cor- po, $e voi mi dite, che produce in e$$o una cer- ta velocità, e non altro; a voi $tarà di dimo$tra- re, che que$ta velocità $ia proporzionale alla $e- rie $te$$a, com’ e$$er dee ogni effetto alla $ua cau- $a; il che non potendo per voi dimo$trar$i, vi fa- rà d’ uopo confe$$are, che la $erie non produce la velocità, ma altro; e dovrete finalmente ri- correre a quella forza viva, che dite preveniente. Io non $o, ri$po$i, s’ io $ia così obbligato, co- me a voi pare, di dimo$trarvi, che la velocità, e$$endo prodotta daila $erie, debba per ciò e$$ere DELLA FORZA DE’ CORPI proporzionale alla $erie; perciocchè $ebben dice- $i l’ effetto dover’ e$$ere proporzionale alla cau$a, che lo produce, vuol però intender$i, che $ia proporzionale non alla cau$a, ma all’ azione di e$$a. Tuttavia acciocchè non diciate, ch’ io fugga la difficoltà, voglio e$porvi brevemente una ipo- te$i a mio giudizio comodi$$ima, per cui vedrete, la $erie degli ela$tri produrre una velocità a lei $te$$a proporzionale; ne dico io già, che l’ ipo- te$i $ia vera; che $o bene poter far$ene infinite, tutte comodi$$ime, e tutte fal$e; a$petterò $olo, che altri mi dimo$tri, che $ia a$$urda, e da non potere ammetter$i in niun modo. Avendo fin quì detto, pregai il Signor Marche$e di Campo Hermo$o, che trae$$e fuori la carta, in cui era- no di$egnate le figure, $opra le quali s’ era tra noi ragionato. La qual carta volle to$to vedere la Signora Principe$$a, e guardando attentamen- te alla $econda figura, ben ricono$co, di$$e, gli ela$tri, di cui ragionavate, divi$i in due $erie EN, AC, quella di quattro, e que$ta d’ un ela$tro $o- lo; appoggiate amendue ad un piano immobile. XY; et e$sendo eguali tutti gli ela$tri tra loro, et egualmente chiu$i, m’ immagino, di$se a me rivolta, che voi vogliate, che le due $erie, apren- do$i ad un tratto, caccino i globi N, C; et a. voi $ta di mo$trarci, come le velocità, che $i pro- ducono in que$ti globi, po$sano e$sere propor- zionali alle due $erie, per cui $i producono. Si bene, ri$po$i io; così veramente però, che i due LIBRO I. globi $ieno eguali; il che giova $upporre, accioc- chè la proporzione, che trovera$$i avere la velo- cità dell’ uno alla velocità dell’ altro, non debba afcriver$i $e non alla proporzione, che tra loro hanno le $erie $te$se. Quel poi, che $ieno gl’in- tervalli $egnati con le lettere _r_, _s_, _t_, e con quel- le altre _m_, _n_, _o_, intenderetelo $enza fatica niuna per le co$e $te$se, che $e ne diranno. Allora la. Signora Principe$sa $enza a$pettar’ altro ordinò, che più copie $i face$sero di quella figura, così che ognuno pote$se averla $otto de gli occhi, le quali mentre che $i facevano, il Signor Marche$e di Campo Hermo$o di$se: Signora, io non $o, $e voi abbiate dato anche a me licenza di interroga- re il Signor Zanotti, e di contradirgli; $o bene, che non mi negherete quella di pregarlo. Anzi di far tutto, che a voi piaccia; ri$po$e allora la Si- gnora Principe$sa. E il Signor Marche$e a me. volgendo$i, vi prego dunque, di$se, a non la$ciar- vi cadere della memoria una diffinizione della for- za viva, che ancora non mi avete $piegata, ben- chè mi abbiate detto, che è molto degna d’ e$se- re inte$a. Qual? di$$i. Quella, ri$po$e il Signor Marche$e, del Padre Riccati; di cui mi $ono ol- tremodo invogliato, udendo poc’ anzi quella $ot- tili$$ima opinion $ua. Io temo, ri$po$i, che voi mi farete u$cir di qui$tione, $e vorrete, ch’ io va- da dietro a quella diffinizione; e già egli la $piega ampiamente in quel $uo lungo volume, che $areb- be $tato men lungo, $e $eguendo la diffinizione. DELLA FORZA DE’ CORPI degli altri ave$se voluto piutto$to trattar la qui- $tione antica, che farne una nuova. E’pare, di$- $e quivi la Signora Principe$sa ridendo, che voi abbiate non $o quale $degnuzzo contra quel libro. No, Signora, ri$po$i; che anzi io lo $timo gran- di$$imamente, e lo pongo tra i più belli, che $ie- no u$citi $opra tale argomento; quantunque e’ non mi $ia gran fatto amico in alcuni luoghi Ma voi, di$se la Signora Principe$sa, avrete ben ri$po$to a quei luoghi. No, Signora; di$s’ io, poichè il libro è $ommamente lungo: et è poi tanto $ottile, e tanto profondo, e pieno di tanti e così artificio$i calcoli, che ho $empre $perato, che pochi$$imi il leggerebbono. Il Signor D. Nicola, udendo que- $to, mettete pur me, di$se, tra i pochi$$imi; per- chè io l’ ho letto in gran parte, e $e ho da dir- vi il vero, a$sai m’ è piaciuto anche in quei luo- ghi, ne quali, come voi dite, non vi è amico; perchè la$ciando $tare, $e $ia vero o no, è cer- tamente ingegno$o fuor di modo, e $ottile tutto ciò, ch’ egli in$egna. Io voglio, di$se allora la Signora Principe$sa, ad ogni modo veder’ un tal libro; a cui ri$po$e il Signor D. Nicola: l’ ha ora il Signor D. Felice Sabatelli, e il va, cred’ io, leggendo col Signor Conte della Cueva. Men- tre $i dicevano que$te co$e, erano già $tate. fatte più copie della figura, che era $econda nel foglio, et avendo ognuno nelle mani la $ua; udremo poi, di$$e la Signora Principe$$a, qual $ia la diffinizione della forza viva del Padre Ricca- LIBRO I. ti. Afcoltiamo ora degli ela$tri. Et io inconta- nente cominciai. Giacchè mi avete obbligato di entrare contra mia voglia in una materia cotan- to o$cura, e fino ad ora da così pochi trattata, quale $i è quella degli ela$tri, io vi proporrò una opinione, che non dico e$$er vera, ma a$petterò di $entir da voi altri, perchè $i debba dir fal$a. Io dunque, comparando in$ieme le due $erie, che vedete de$critte nella figura $econda, AC, EN, ragiono di que$to modo. L’ ela$tro ABC nell’ aprir$i eccita con un certo impul$o il globo C, producendo in e$$o una certa velocità; onde que- $to in un tempetto di qual$i$ia picciolezza $corre uno $pazietto C_m_, picciolo e$$o pure di qual pic- ciolezza vi aggrada; e intanto che il globo C vie- ne in _m_, l’ ela$tro, che lo $egue, s’ allarga egli pure da C fino in _m_. Così avviene alla $erie AC nel primo aprir$i, che ella fà. Vegniamo ora al- la EN. Non è alcun dubio, che que$ta ancor nell’ aprir$i ecciti con un certo impul$o il globo N. E que$to impul$o par bene, che debba e$$er qua- druplo di quello, onde è eccitato il globo C; concio$iaco$achè il globo C $ia $pinto da un $olo ela$tro, il globo N da quattro, i quali quattro ela$tri $i aprono tutti ad un tempo, et aprendo$i $pingono tutti il globo. Produce$i dunque nel globo N velocità quadrupla di quella, che $i pro- duce nel globo C, per cui dee $correre lo $pa- zietto N_r_ quadruplo dello $pazietto C_m_ nello $te$- $o tempo; e intanto che il globo N viene in _r_, DELLA FORZA DE’ CORPI la $erie, che lo $egue, $i allarga da N fino in _r_. E qui è co$a facile a intender$i, eziandio $enza di- mo$trazion niuna, che e$$endo l’ ela$tro ABC di- latato fino in _m_, e la $erie EN fino in _r_, $i tro- veranno tutti gli ela$tri allargati egualmente; e però $opravvenendo al globo C, che già è in _m_, un’ altro impul$o dall’ ela$tro ABC; e un’ altro pure $opravvenendone al globo N, che già è in. _r_, dalla $erie EN, $arà que$to $imilmente quadru- plo di quello, e produrrà un’ altra velocità altresì quadrupla. Dovrà dunque il globo N con le due velocità, che avrà acqui$tate in N et _r_, $corre- re lo $pazietto _rs_ quadruplo e$$o pure dello $pa- zietto _mn_, che $arà $cor$o nello $te$$o tempo dal globo C con le due velocità, che avrà egli acqui- $tate in C et _m_. E $e voi $eguirete lo $te$$o di- $cor$o, fin tanto che l’ ela$tro AC $ia$i di$te$o fino in D, la $erie EN fino in O, ( e$$endo AD, EO le larghezze loro naturali, que$ta quadrupla di quella ) voi troverete leggermente, che qua- lunque volta al globo C $i aggiunge una certa velocità, un’ altra $e ne aggiunge quadrupla al globo N. Io non dico, che la co$a vada così; vorrei ben $apere come $i dimo$tri il contrario. E $e ella va pur così, bi$ogna ben dire, che il globo N, come $aià giunto in O, avrà una ve- loc<007>tà quadrupla di quella, che avrà il globo C giunto in D. Ne a tutto que$to ricerca$i altro, $e non la potenza, cioè l’ ela$ticità degli ela$tri, la qual produca certe velocità ne globi N, e C, LIBRO I. e l’ inerzia de globi $te$$i, che le con$ervi. Et anche $ono gli effetti proporzionali alle cau$e lo- ro, e$$endo da quattro ela$tri prodotta nel globo N una velocità quadrupla di quella, che è pro- dotta nel globo C da un’ ela$tro $olo. Qual’ i- pote$i può e$$er più comoda? Ne v’ è bi$ogno d’ alcuna forza viva, ne di quella, che $egue la velocità, ne di quella, che la previene; la qual forza non dico che $ia a$$urda, che io non sò la natura di e$$a; ma l’ ho per inutile, e, fe voglia- mo $eguire quella $emplicità, che rifiuta tutte le co$e $uperflue, da non ammetter$i; et è certa- mente una tal $emplicità da feguir$i, quantun- que i filo$ofi $e l’ abbian, cred’ io, introdotta più to$to per comodo loro, che per onore della na- tura. Appena dette que$te parole, la Signora. Principe$$a m’ interrogò dicendo: vi $arà egli poi conceduto da tutti, che nell’ aprir$i della $e- rie EN $i aprano ad un tempo tutti gli ela$tri, che la compongono, e però tutti urtino il glo- bo N? perchè parmi di avere udito dire da alcu- ni, che prima $i apra il primo ela$tro LMN, e poi gli altri di mano in mano. Signora, ri$po$i, il Padre Riccati, del cui libro già $iete voglio$a, e con ragione, il mi concede; e credo, che lo $te$$o faranno tutti toltone a$$ai pochi; ma per non $ervirmi dell’ autorità $ola, voglio, che av- vertiate, che ogni ela$tro nell’ aprir$i perde $em- pre della $ua forza: poichè dunque, e$$endo la $erie EN chiu$a et immobile, tutti gli ela$tri di DELLA FORZA DE’ CORPI e$$a $i impedi$con l’ un l’ altro con forze egua- li, $e avvenga, che ella $i apra, e per ciò apra$i il primo ela$tro LMN, dovrà que$to $cemar to$to della forza $ua, e dovrà nello $te$$o tempo l’ ela- $tro IKL, $minuendogli$i l’ impedimento, allar- gar$i. E per l’ i$te$$a ragione, aprendo$i il $econ- do ela$tro IKL, dovrà aprir$i anche il terzo, e gli altri tutti. E mi ricorda aver letto in quella famo$a $crittura, che diede fuori Giovanni Ber- nulli $opra le leggi della comunicazione del mo- to, che avendo quel grand’ uomo propo$to due $erie, una, $e non m’ inganno, di dodici ela$tri, et un’ altra di trè, le quali aprendo$i $pingono due corpi eguali; e domandando, perchè quella $pinga il corpo $uo più forte, che que$ta; ri$- ponde che quella $pinge il corpo non $olamente co’ trè primi ela$tri (con che lo $pingerebbe egual- mente, che l’ altra $erie) ma anche con quegli altri ela$tri, che $eguono i trè primi. Onde mo- $tra, che qualora una $erie di ela$tri va $pingen- do un corpo, lo va $pingendo, non con un $o- lo ela$tro, ma con tutti; il che $e fa nel pro$e- guimento di tutta la dilatazione, perchè non an- che nel principio? Senza che, $e gli ela$tri della $erie dove$$ero aprir$i l’ uno appre$$o l’ altro, po- trebbe dar$i una $erie tanto lunga, che aprendo$i il primo ela$tro dove$$e a$pettar$i un’ ora prima che $i apri$$e l’ ultimo, e intanto l’ ultimo non $pingerebbe ne urterebbe il corpo in niuna ma- niera. Avendo io detto $inquì, mi tacqui; e ta LIBRO I. cendo$i $imilmente gli altri, il Signor Marche$e di Campo Hermo$o così pre$e a dire. Mo$trerei di far poco conto della licenza datami dalla Si- gnora Principe$$a, $e non me ne vale$$i, propo- nendovi un picciol dubio, il qual vi prego, che mi leviate dall’ animo, et è que$to. Voi avete detto, che gli ela$tri della $erie EN, allargando- $i tutti ad un tempo, danno al globo N un’ im. pul$o quadruplo di quello, che il globo C rice- ve dall’ ela$tro ABC; il che $arebbe veri$$imo, $e tutti gli ela$tri della $erie EN de$$ero al globo N un’ impul$o eguale; ma que$to a me non par vero; perciocchè l’ impul$o del primo ela$tro LMN non dovendo far’ altro che cacciar oltre il globo N, $i adopra tutto in e$$o globo; la dove l’ im- pul$o del $econdo ela$tro IKL, dovendo cacciar’ oltre non $olo il globo, ma anche l’ ela$tro in- terpo$to LMN, dee di$tribuir$i all’ uno et all’ al- tro, così che $olo una parte ne tocchi al globo N. E minor parte ancora gli toccherà dell’ impul$o, che viene dal terzo ela$tro GHI, il quale oltre il globo dee cacciar avanti anche due ela$tri di più; onde pare, che tanto minor impul$o rice- ver debba il globo N da cia$cun ela$tro della $e- rie, quanto cia$cun ela$tro gli è più lontano. Voi che $iete tanto felice nello $piegarvi, voglio, che mi dichiariate que$to dubio. Vedete, ri$po$i, la felicità mia nello $piegarmi; che $e voi non mi facevate ora que$ta domanda, io mi dimentica- va di dirvi ciò, che è per altro principali$$imo; DELLA FORZA DE’ CORPI ed’ è, che quegli ela$tri, di cui trattiamo, $i voglio- no immateriali, et incorporei, e privi di ogni ma$$a. E tali già gli propo$e l’ incomparabil Ber- nulli, dopo cui niuno s’ è ardito di mutarli; il che $e vo<007> ave$te $aputo, non vi $arebbe venuto in mente di dubitare, che l’ impul$o del $econdo ela$tro IKL dove$$e comunicar$i $olo in parte al globo N, impiegando$i l’ altra parte a $o$pinge- re, e portar oltre l’ ela$tro interpo$to LMN; per- ciocchè e$$endo que$to privo di ogni ma$$a, e non e$$endo corpo, niuna parte dee toccargli dell’ im- pul$o; $iccome urtando un’ uomo, e $o$pingen- dolo, niuna parte dell’ urto tocca all’ animo; ben- chè, andando oltre il corpo urtato, l’ animo l’ accompagni; e così urtando$i un corpo, niuna parte dell’ urto tocca agli accidenti di e$$o, per e$empio alla rotondità, al colore, et agli altri, benchè poi $eguano il corpo urtato; e la ragio- ne $i è, perchè tali accidenti non hanno ma$$a niuna. Oh, di$$e allora il Signor Marche$e, dun- que que$ti ela$tri non $ono corpi? E che $on. eglino? perchè levatami l’ idea del corpo, a me niente rimane dell’ idea dell’ ela$tro. Egli vi rimane, ri$po$i allora, l’ idea della puri$$ima, e $emplici$$ima ela$ticità, la qual non è corpo, benchè ri$egga ne corpi, $iccome la gravità, che ri$iede nel corpo, il quale n’ è il $oggetto; e non è però corpo e$$a; è una qualità. Qui la Si- gnora Principe$$a $orridendo, voi $are$te, di$$e, un valente mae$tro di filo$ofia anche in Alcalà. LIBRO I. Perchè, Signora? ri$po$i. Et ella, perchè quivi, di$$e, $ariano volentieri ricevute cote$te vo$tre qualità, le quali qui tra noi male $i $offriranno. Ma in quel pae$e, $econdo che io odo dire, tut- ti $eguono Ari$totele. Io credo, ri$po$i, che e$$i abbiano più ragion di $eguirlo, che noi non ab- biamo di di$prezzarlo. Ma voi ben vedete, che $e io richiamo quelle qualità, non io, ma la co- $a i$te$sa le richiama; e come intendere altramen- te gli ela$tri di Bernulli? Di che $oglio $degnar- mi alcune volte co’ no$tri moderni, che avendo in tanto abborrimento le di$pute degli antichi, movono bene $pe$$o qui$tioni, che a quelle ne- ce$sariamente ci riconducono. Ma tornando al propo$ito, voi dovete, Signor Marche$e, tener bene a mente, che nominando$i per e$empio l’ ela$tro ABC, non altro $i vuol intendere, $e non una ela$ticità, ovvero una potenza, la qual premendo da una parte il muro XY (benchè que- $ta pre$$ione al no$tro ca$o poco appartiene, co- me quella, che nulla appartiene al globo C) da un’ altra parte $i applica immediatamente al glo- bo, e lo $o$pinge, in$eguendolo, e $timolandolo con altri, ed altri impul$i $empre minori, come un’ ela$tro farebbe; e direi ($e la Signora Prin- cipe$sa mel comporta$se) che egli è come una. qualità inerente al globo $te$so. Intendo io tut. to ciò beni$$imo, di$se allora il Signor Marche- $e; e così parmi, che i quattro ela$tri, di cui $i compone la $erie EN, altro non dovranno e$sere DELLA FORZA DE’ CORPI $e non quattro potenze, che applicando$i imme- diatamente al globo N, lo $cuotono, e lo per$e- guono con impul$i $empre minori. E que$te po- tenze, come anche quella, che $pinge il globo C, $i voglion $upporre tutte tra loro perfettamente eguali, come $i $on $uppo$ti gli ela$tri. Di che $i rende anche più mani$e$to, che il primo impul$o, che riceve il globo N, ricevendolo da quattro po- tenze, debba e$$ere quattro volte maggiore di quel- lo, che riceve il globo C da una $ola. Et io già ne $to quieto, $e pure il Signor D. Niccola, che mo- $tra di voler dire alcuna co$a in contrario, non mi conturba$$e. Tolga Iddio, di$$e il Signor D. Niccola, che io voglia mai conturbarvi; voglio bene, che voi vi guardiate dagli artificj di que$t’ uomo, che col $uo $illogizzare farà ritornarvi il bianco in nero. Intanto $e io opporrò alcuna co$a contro cote$ta leggiadra $piegazione, che egli ha propo$ta del modo, con cui $i apron le $erie; non vorrei, che egli dice$se, che io il $ace$$i più to$to per $ervire la Signora Principe$sa, che per dire la verità; perciocchè io intendo egualmente far l’ u- no e l’ altro. Così dicendo, ripigliai io, voi vole- te mo$trare di $ervirla meglio; ma vedete, che cote$to vo$tro proemio non paja un artificio maggiore di quanti ne abbia u$ati io. Però quale è la co$a, che voi avete da opporre? Sorridendo allora il Signor D. Niccola, più d’ una ne hò, di$$e; et anche pare, che mol- te ne abbia il Signor D. Serao; perchè fia bene, LIBRO I. $iccome io credo, proporle prima tutte, per dar loro, $e $i potrà, qualche ordine, e poi di$pu- tarvi $opra. Come vi piace, ri$po$i. Et egli al- lora, niuno certamente, di$$e, vi concederà quel- lo, che fino ad ora ci avete con tanto $tudio vo- luto per$uadere, cioè che l’ impul$o, per cui co- mincia a mover$i il globo N, $ia quattro volte maggiore di quello, per cui comincia a mover$i il globo C. Che anzi que$ti due impul$i $oglio- no da i più prender$i come eguali; e come egua- li gli a$$ume Bernulli, e dopo lui anche Camus, come $apete, negli atti dell’ Accademia Parigina. Camus, e gli altri, ri$po$i io, hanno avuto qual- che ragione di a$$umere que$ti impul$i come egua- li, avendogli Bernulli così pre$i. L’ autorità di Bernulli è ba$tata loro, ne io $aprei di ciò ripren- derli. Ma Bernulli poteva bene in vece di a$$u- mere tale uguaglianza, dimo$trarla; e $e non lo ha fatto, ben mo$tra, che non potea far$i. Anzi mo$tra, di$$e ii Signor D. Nicola, che non era nece$$ario di farlo; tanto la co$a è per $e $te$$a chiara e manife$ta. Ma io ho anche un’ altra dif- ficoltà in cote$ta vo$tra $piegazione; perchè pa- re, che voi vogliate, che il globo C, ricevuto un’ impul$o, $corra poi equabilmente, $enza ricever- ne più, fino in _m_; e $imilmente, che il globo N, ricevuto un’ impul$o, $corra equabilmente, $en- za riceverne più ne$$un’ altro, fino in _r_; e lo $te$- $o volete, che $egua in tutti gli altri $pazietti di mano in mano. Con che venite a frapporre degl’ DELLA FORZA DE’ CORPI intervalli tra un’ impul$o et un altro, e non la- $ciate e$$er continva l’ azion degli ela$tri, come e$$er dee, e come vogliono tutti, che $ia; e ve- nite anche a comporre il moto accelerato dei glo- bi di molti moti equabili. Que$to i$te$$o, di$$e allora il Signor D. Serao, pen$ava anch’ io di domandare; ma il Signor D. Niccola mi ha pre- venuto. Et io allora, come v’ è egli venuto in mente, ri$po$i, che io voglia levar via la conti- nuità dell’ azion degli ela$tri? Non potete voi quegl’ intervalli, che io frappongo tra gl’ impul$i, fingervegli piccioli a modo vo$tro; anche infinita- mente, $e vi piace? E $e così farete, di niente $i turberà la continuazion degl’ impul$i, i quali $i e$timeranno abba$tanza continvati, $olo che gl’ in- tervalli, per cui $ono interrotti, $ieno infinita- mente piccoli. E chi e$timerà non continva l’ ac- celerazione d’ un grave, che cada, o anche di que$ti due globi N, e C, di cui trattiamo, per que$to che le $i frappongano dei movimenti equa- bili infinitamente piccioli, come $ono il movi- mento del globo N fino _r_, e quello del globo C fino in _m_? Anzi ogni movimento accelerato $i vuol $upporre compo$to di movimenti equabili infinitamente brevi, così appunto, come ogni li- nea curva di linee rette infinitamente piccole. E que$ta licenza $i hanno pre$a i geometri nelle li- nee, et hanno dato e$empio ai meccanici di far lo $te$$o anche nei movimenti. Non così però ne u$ano i gecmetri, di$$e allora il Signor D. Serao, LIBRO I. che non debbano e voglian talvolta con$iderar co- me curve quelle $te$$e linee infinitamente piccole, che già pre$ero come rette, e di cui compo$er la curva; e all’ i$te$$o modo dovranno talvolta i meccanici con$iderar come accelerati quegli $te$$i movimenti infinitamente piccoli, che già pre$ero per equabili. E chi $a, che quei movimenti infi- nitamente brevi, che voi avete propo$to come equabili, da N fino in _r_, e da C fino in _m_, e così gli altri, non $ieno ora da con$iderar$i come accelerati? Il che $e fo$$e, non sò, come vi riu$ci- rebbe di dimo$trare, che la velocità del globo N giunto in _r_ $ia quadrupla di quella del globo C giunto in _m_. Ma io mi accorgo, che $ono entra- to in una provincia già occupata dal Signor D. Nicola; però intendo di u$cirne, e la$ciarla a lui. Solo dico, che trattando$i degli ela$tri, voi avete trala$ciato un’ argomento principali$$imo; ed è quello, di cui $i $ervì già Bernulli, come di una ragione invitti$$ima, negli atti di Lip$ia, traendo- lo da una $erie $ola di ela$tri, che aprendo$i urta due globi, di$eguali tra loro, ver$o due contra- rie parti. Ne io certo crederò, che abbiate detto abba$tanza, ne $oddisfatto al dover vo$tro, ne al de$iderio della Signora Principe$$a, $e non avrete detto anche di que$to; et io de$idero grandemente di udirne. Quando s’ abbia a dar luogo anche ai de$iderj, di$$e allora il Signor D. Nicola, et io de$idero che ci mo$triate, come generalmen- te l’ opinione, che voi avete intorno alla forza DELLA FORZA DE’ CORPI viva, $i accomodi alle leggi univer$ali del moto; non perchè io abbia difficoltà niuna in ciò; ma a voi $ta di mo$trare, che niuna po$$a aver$ene. Allora io rivolto alla Signora Principe$$a, $e voi, di$$i, non ponete modo alle contradizioni, e alle domande, que$ti Signori hanno tanta voglia di $ervirvi, che mai non la finiranno. Anche una co$a, ripigliò il Signor D. Serao, non ho io be- ne inte$o nel fine della $piegazione, che avete fat- ta dell’ aprimento degli ela$tri: avendo voi det- to, e$$ere da $eguir$i la $emplicità in tutti gli ef- fetti della natura, donde avete tratto argomento, che la forza viva $ia da rigettar$i. E che? di$$i io; Non pare a voi, che la natura $ia $emplici$$ima in tutti i $uoi effetti? A me par sì, di$$e il Signor D. Serao; ma io ho creduto, che a voi non paja lo $te$$o, almen tanto, quanto parer dovrebbe; avendo voi detto, $e non m’ inganno, che una tale $emplicità l’ hanno i filo$ofi introdotta più per comodo loro, che per onore della natura; con che parmi, che abbiate offe$o e i $ilo$ofi, e la natura $te$$a. Io non $apea, ri$po$i, d’ aver fat- to così gran male; ne che i filo$ofi dove$$er me- co $degnar$i, $e io ave$$i creduto, che e$$i pen- $a$$ero anche al loro comodo; il che $e face$$e- ro, chi potrebbe giu$tamente riprendergli? e cre- do, che la natura $te$$a gli e$cu$erebbe. Voi ri- volgete in gioco, di$$e allora il Signor D. Serao, la mia domanda. Ma certo a me pare, che cer- cando i filo$ofi la $emplicità per tutto, cerchino LIBRO I. non il comodo loro, ma una certa belli$$ima per- fezione della natura, che mal potrebbe da e$$a $eparar$i. E parmi, che abbiano fatto bene a $ta- bilirne come un principio, per cui proponendo$i più $i$temi, che tendano a un mede$imo $ine, quel- lo $empre $timino e$$er vero, et abbraccino, che è più $pedito, e più facile, e più $empl<007>ce. E il far que$to, di$s’ io, come vedete, è molto como- do ai filo$ofi. Anzi è, di$$e il Signor D. Serao, convenienti$$imo alla $apienza della natura. Io non nego, di$$i allora, che que$ta $emplicità, che voi dite, $ia molto bella, e degna della natura; e con- fe$$o che gli argomenti, che da e$$a $i traggono, hanno qualche poco di probabilità; dico bene, che non sforzano l’ intelletto, ma lo lu$ingano $olo, e l’ invitano, e $ono da abbracciar$i, come tutte le altre ragioni probabili, con a$$ai timore. E $e a quelle ragioni, che $i traggono dalla $emplicità della natura, noi leva$$imo tutta la forza, che lor viene dal pregiudizio, e dall’ errore, credo che molto poca gliene re$terebbe. Qual è que$to pre- giudizio? di$$e il Signor D. Serao. Il pregiudizio è, ri$po$i, che e$$endo noi avvezzi a lodar $em- pre i no$tri artefici, e tutte le loro opere, tanto più, quanto più $ono $emplici, vogliamo trasferi- re in Dio la $te$$a lode; ne ci accorgiamo, che quello, che è lode ne no$tri artefici, potrebbe non e$$er lode in Dio. Come? di$$e il Signor D. Se- rao; $e è lode dell’ orologiero compor l’orologio più to$to di tre ruote, che di venti, potendo far- DELLA FORZA DE’ CORPI lo nell’ una, e nell’ altra maniera; non $atà egli lode anche di Dio, potendo fare que$to maravi- glio$o univer$o in più maniere, il farlo nella più $emplice? E $e $avio, accorto, e prudente $i $tima da ognuno quell’ artefice, che fa l’ orologio più to$to di tre ruote, che di venti; perchè non $a- vii$$imo, non accorti$$imo, non prudenti$$imo $ti- mera$$i egli il $ovrano artefice di tutte le co$e, fac- cendole provenire più to$to da due principj, che da mille? Voi dite vero, ri$po$i; e non è alcun dubio, che l’ orologiero farà gran $enno a com- por l’ orologio con tre ruote più to$to, che con venti; e ciò for$e all’ accortezza, e $av<007>ezza $ua $i conviene. Ma vedete, che tutto que$to $i appog. gia, ad una ragione, che voi for$e non avvert<007>te, et è a mio giudicio, tanto forte, che par qua$r, che e$- $a $ola voglia e$$ere con$iderata; e que$ta è, che all’ orologiero più tempo, e più fatica $i ricerca a fare, e comporre in$ieme le venti ruote, che le, tre; et oltre a ciò vi ha più $pe$a, et anche più pericolo, e$$endo più facile errare in venti, che in tre; e quindi è, che e$$endo egli in tutte le $ue facoltà finito, e ri$tretto, dee u$arne in cia$cuna delle $ue opere il men che può, per ri$erbarne il più che può per le altre. Che $e $i de$$e un oro- logiero, a cui lo $te$$o fo$$e far venti ruote, che tre, ne più $pe$a vi ave$$e, ne più fatica, ne p<007>ù tempo dove$$e porvi, ne più $tudio, e fo$se egual- mente $icuro di $aperle congegnar bene; io non $o, per qual ragione dove$se egli e$ser ripre$o, $e LIBRO I. più to$to di venti ruote, che di tre, face$se il $uo orologio. Che anzi parmi, che maggiore indu$tria, e più $cienza apparirebbe nel $aper accordare in- $ieme i rivolgimenti di venti ruote, che quelli di tre $ole. Se dunque loda$i l’ orologiero d’ aver $atto l’ orologio $uo più to$to di tre ruote, che di venti, loda$i non perchè que$to $i conveni$se alla perizia, e all’ arte $ua; ma perchè conveniva- $i alla $ua $car$ezza, ct alla $ua povertà. Il perchè mi maraviglio, che, lodando$i i no$tri artefici del- la $emplicità dei lor lavori, voglia$i lodar Dio all’ i$te$$o modo; qua$i non fo$se a Dio la mede- $ima co$a il crear mille principj, che il crearne due; e più fatica dove$se porre e più $tudio nei mille, che nei due; o teme$se, che quanto più ne adopra$se in un’ effetto, tanto meno dove$se re- $targliene per gli altri. Io credo, di$se il Signor D. Serao, che voi vi prendiate gioco di noi altri; e che di$putiate ora contra il $entimento vo$tro. E bene; ri$po$i, fate conto, che non io abbia dette que$te co$e, ma le abbia dette un’ altro; il qual $e fo$se di un $entimento contrario al mio, non per que$to però credere$te, che egli dove$se aver detto il fal$o; et io $te$so $e altra opinione ave$$i nell’ animo, et altra ne dice$$i, non $o pe- rò, perchè voi dobb<007>ate più to$to attender l’ una che l’ altra, potendo così l’ una e$ser vera come l’ altra. Con$iderate dunque le ragioni, ch’ io vi propongo, e non cercate con troppa curio$ità, $e io $te$so le creda. Ma voi, di$se quivi la Si- DELLA FORZA DE’ CORPI gnora Principe$$a, con cote$te vo$tre ragioni leva- te ai filo$ofi tutti i lor $i$temi; perciocchè qual n’ ha, che non $ia principali$$imamente fondato $ul principio della $emplicità? Eccovi che i Co- pernicani amano tanto quella loro ipote$i, che più non l’ hanno per ipote$i; ne po$$on $offrire, che altri ne dubiti; tanto ne $ono orgoglio$i. E per- chè ciò? perchè par loro, che $ia più $emplice di qualunque altra fingere $e ne po$$a. Già i Carte- $iani rigettarono tutte le forme, e tutte le qualità d’ Ari$totele, credendo che il mondo $arebbe più $emplice $enza e$$e; benchè anche ne accu$arono l’ o$curità; dalla quale accu$azione pare, che i Neutoniani le abbiano a$$olute, avendo aggiunto ai principj di Carte$io non $o qual forza attrat- tiva così o$cura, come le qualità erano di Ari- $totele. I quali però vedete quanto amano la $em- plicità; che oltrechè quella lor forza attrattiva non l’ hanno introdotta che per bi$ogno, avrete an- che o$$ervato, che e$sendo tante e tanto varie tra loro le forze attrattive de’ corpi, et e$sendone ancor molte non attrattive, ma repul$ive, pur s’ ingegnano gli uomini acuti$$imi, e $i sforzano, quanto po$sono, di per$uadere, che tutte $ono una forza $ola; et amano meglio di e$sere o$curi, che di non parer $emplici. E lo $te$so Ari$totile, ben- chè moltiplica$se a di$mi$ura le forme, le quali- tà, gli accidenti, non però ne introdu$se, $e non quante gli parvero e$ser nece$sarie; e niuna ne po$e mai, che egli crede$se inutile; donde $i ve- LIBRO I. de, che egli ancora volle $eguire la $emplicità, come i moderni; benchè $e ne vanta$se meno. Si- gnora, ri$po$i, io non ho detto, che non $ia da de- $iderar$i la $emplicità ne’ $i$temi; la quale quando altro non ave$se, che l’ e$ser comoda, e dar me- no fatica a quei, che $tudiano, pur $arebbe per que$to $olo da commendar$i; ma ella trae $eco anche una non $o quale probabilità; e $e i fi- lo$ofi fondando le loro opinioni $u la $empli- cità della natura, le propone$sero poi mode- $tamente, e $i contenta$sero, che altri le riceve$se con qualche timore, e $olamente come probabili, io non ripugnerei loro; ma $pacciandole e$$i il più delle volte qua$i come evidenti, ne potendo $offerire, che pur $e n’ ab- bia un minimo dubio, mi accendono in ira. Vedete dunque, che io non levo via i lor $i$temi, levo via la loro arroganza. Troppo avrete a fare, di$$e qui il Signor D. Niccola, $e vorrete levare a i filo$ofi l’ arroganza; pure ora trattando$i della $emplici tà, parmi che voi vi affanniate contra ragione. E che dire$te voi, $e uno vi forma$$e un Dio, il qual creando l’ univer$o, crea$$e in e$$o molte co$e non nece$$arie; molte ancora inutili affatto e $uperflue? Non vi parrebbe egli que$to un Dio poco accorto? Et al contrario, $e vi forma$$e un Dio, che $tudia$$e $empre le vie più facili, e più brevi; e quelle attentamente $egui$$e; ne mai per- veni$$e ad un fine, fe non adoprandovi i meno mezzi, che adoprar $i pote$$ero; non vi par’ egli, DELLA FORZA DE’ CORPI che forma$$e un Dio $apienti$$imo? A me par, di$$i, che formerebbe un Dio molto pigro; per- ciocchè e$$endo a que$to Dio, $e egli è veramen- te Dio, egualmente facili e brevi tutte le vie, ne potendogli venir meno ne la po$$anza ne i mezzi, io non sò, perchè egli vole$$e $tudiar tanto il ri$parmio, e $eguir $empre quelle vie, che non a lui $on le più facili, e brevi, ma a noi. Qual ragione, di$$e allora il Signor D. Ni- cola, avrebbe egli di $eguir le più lunghe, e le più torte? Quella $te$$a, ri$po$i io, che avrebbe di $eguir le più brevi, e le più facili; che io non $o, qual ragione $egua un Dio, creando le co$e; dico bene, che la ragione, che egli $egue, non può e$$ere ne la brevità, ne la facilità, ne la $em- plicità, e$$endo a lui brevi$$imo, e facili$$imo, e $emplici$$imo ogni co$a. La bellezza dell’ opera, di$$e quivi il Signor D. Serao, potrebbe for$e e$- $ere una tal ragione; poichè e$$endo certamente piû bella quell’ opera, che è più $emplice, ne vie- ne, che $e Dio vuol crear la più bella, vorrà an- cora crear la più $emplice. Che $e egli in tutto $tudia, e vuole l’ onor $uo (giacchè mi traete a viva forza in Teologia) quale onore farebbe a lui un’ opera intralciata in mille modi et av- volta, in cui $i perveni$$e per cento mezzi ad un fine, al quale potea pervenir$i per uno $olo? $en- za che, quando egli per giungere a un certo fine $i $ervi$$e di mezzi inutili, mo$trerebbe di non cono$cerli. Voi, di$$i, Signor D. Serao, mi $o$- LIBRO I. pingete in un gran pelago, chiamandomi a ra- gionare dei fini, e dei mezzi della natura, e del- la ragion di crearli; e parmi che molto giudizio- $amente Carte$io vieta$$e a $uoi d’ impacciar$i de fini della natura, avendogli per troppo occulti; e veramente $e $on tali, quali quel gravi$$imo uo- mo gli credette, e quali $ono in fatti da crede- re, io non sò, a qual’ u$o $erbi$i il principio della $emplicità volendo $tabilire piu to$to un $i- $tema, che un’ altro; perchè $e quel $i$tema è più $emplice, che più $peditamente, e con mag- gior facilità conduce ai fini della natura; non $a- pendo noi que$ti fini, e dovendo pur $empre du- bitare, $e oltre quelli, che ci par di $apere, altri ne abbia la natura, che non $appiamo, come po- tremo noi di$tinguere tra due $i$temi, qual $ia più $emplice, e qual meno? E certo io vi concedo, che $e Dio vole$$e una co$a come mezzo, il qual conduce$$e a un certo fine, e quella veramente non vi conduce$$e, mo$trerebbe di non averla ab- ba$tanza cono$ciuta; perciocchè l’ avrebbe pre- $a come un mezzo, non e$$endolo e$$a; ma non per que$to vorrebbe dir$i, che Dio non ave$se creata quella tal co$a; perciocchè $e egli non l’ ave$se voluta, come un mezzo, potrebbe averla voluta, come un’ altro fine; e molto meno è da pretendere, che potendo Dio a$sumere molti mez- zi, i quali componendo$i tutti in$ieme, e maravi- glio$amente accordando$i traggano a un certo fi- ne, e potendo anche a$sumerne pochi, debba egli DELLA FORZA DE’ CORPI e$sere a$tretto ad a$sumere più to$to i pochi, che i molti; perciocchè potrebbono que$ti molti e$ser voluti, e per quel fine, a cui traggono, et an- che per loro $te$$i. E così potrebbe Dio tra le in- finite co$e po$$ibili, che egli $ta contemplando in $e mede$imo fino ab eterno, aver veduto un cer- to effetto prodotto da mille cagioni in$ieme, e lo $te$$o effetto prodotto da due $ole, et averlo vo- luto più to$to prodotto dalle mille, che dalle due; perciocchè non $olo l’ effetto, ma potrebbono e$- $ergli piaciute ancor le cagioni. Potea for$e la terra e$$ere illuminata d’ una maniera più $empli- ce; ma Dio ha creato un $ole, che è tanto più grande di lei, il qual rivolgendo$i con una ma- raviglio$a celerità per gli $pazj immen$i del Cielo ver$i in lei del continvo una impercettibil copia di luce. E perchè? perchè egli for$e ha voluto non già una terra illuminata, ma una terra illu- minata, et un $ol, che la illumini. Senza che vuo- le Iddio co’ mede$imi mezzi $ervir $pe$$e volte a molti$$imi fini; e noi, cono$cendone un $olo, giu- dichiamo quei mezzi e$$ere $ovrabbondanti; e $on veramente, $e a quel fine $olo, che cono$ciamo, $i riferi$cano. Ma nol $arebbono, $e gli riferi$- $imo a tutti; come fa Iddio, il qual, provedendo ad un fine, vuol provedere. anche agli altri, e creando l’ albero non pen$a $olo all’ albero, ma anche agli uccelli, che hanno da porvi il nido, e al pa$$eggiero, che dee $edervi$i all’ ombra. Voi avete fatto, di$$e quivi il Signor D. Serao, LIBRO I. una bella prova di eloquenza. Ma io vorrei $enza eloquenza, che ri$ponde$te a quello, che ho det- to, cioè che l’ opera, che è più $emplice, è an- cor più bella, e fa più onore all’ autor $uo; don- de ne viene, che volendo Dio il $uo onore, e creando per que$to le co$e e non per altro, cree- rà le più $emplici. Che le opere, ri$po$i io allo- ra, le quali $ono più $emplici, $ieno ancora per noi più comode, non ne ho dubio alcuno; più pre$to e meglio le intendiamo. Et e$$endo più co- mode, non è alcun dubio, che ancor più piac- ciano; e più piacendo debbano parere anche più belle. Ma $e voi vorrete metter da parte <007>l vo- $tro amor proprio, che vi fa parer belle tutte le co$e, che a voi $on comode; e vorrete giudicar di loro non per quello, che $ono a voi, ma per quello, che $ono in lor mede$ime; io non veggo già, come non debba più piacere, e dir$i più bel- la un’ opera, in cui ri$plenda grandi$$imo $tudio, e molti$$imo artifizio, che un’ altra, in cui nien- te $ia di ciò; benchè abbiano tutte e due lo $te$- $o fine. Un danzatore va da un luogo ad un’ al- tro con molti, e varj giri e movimenti artificio$i$- $imi; i quali $e $on grazio$i, più p<007>ace, che $e vi anda$$e $peditamente e $enza arte; perchè non piace l’ andarvi; piace la maniera, con cui vi va. Ma acciocchè non dobbiate dire, che io mi $erva dell’ eloquenza, la qual non $o, come a voi pa- ja, che oggi $ia nata in me, io la$cio $tare, che le opere più $emplici $ieno ancor le più belle, e DELLA FORZA DE’ CORPI vi domando $olo, $e voi crediate, che Dio nel produr le co$e, e trarle dal nulla, abbia dovu- to $empre $ceglier le forme più belle, o po$$a an- che talvolta aver degnato le men belle, faccendo- le poi più belle col crearle. Io non ardirei, di$- $e il Signor D. Serao, decidere una qui$tione tan- to agitata, e tanto o$cura; e $o che non la de- ciderete così facilmente ne voi pure. Ma $e egli non può decider$i, ri$po$i io, che Dio, pro- ducendo le co$e, abbia $celto $empre le forme più belle, come potremo noi decidere, che egli abbia $celto le più $emplici, per que$ta ragione, perchè le reputiam le più belle? Et e$$endo una qui$tione o$curi$$ima, $e le co$e da Dio create $ieno le più belle di quante crear $e ne pote$$ero; come non $arà anche una qui$tione o$curi$$ima, $e $ieno le più $emplici? La qual o$curità ci $i fa- rà tuttavia maggiore, $e noi con$idereremo, che i fini, che noi andiamo immaginando nella natu- ra, non $ono ne e$$er po$$ono i fini ultimi di Dio, il quale non può averne che un $olo, et è quel- lo dell’ infinito, et ine$plicabile onor $uo. E ben- chè io non abbia delle co$e divine $cienza niuna, non crederei però d’ ingannarmi, $e io dice$$@, che l’ onore, che Dio $ommamente, e più che altro $tudia, e cerca, e vuole, non è già quello, che a lui fanno con la bellezza loro le co$e e$- $endo create, ma quello, che fa egli a $e $te$$o creandole; perciocchè le crea egli, non perchè me- ritino d’ e$$er create, ma perchè gode di crearle, LIBRO I. ancorchè non lo meritino. Nel che $i compiace dell’ infinita liberalità, e magnificenza $ua, ne $ta, cred’ io, a fare i calcoli, ne a prender mi- $ure per timor di non creare una $tella di più, o far qualche pianeta oltre il bi$ogno: come un ec- cellenti$$imo mu$ico, il qual compiacendo$i della $ua voce, canta a diletto; ne $i rimane, perchè bi$ogno non ne $ia. E $e Dio fa le co$e non mo$- $o dalla bellezza loro, ma dal piacere di farle, chi $a fin dove que$to piacere lo porti, e fino a qual $egno egli abbia voglia di $ollazzar$i? che non può già a lui dir$i, come al fanciullo: ce$$a omai, tu hai giocato abba$tanza. Voi tornate di$se allora il Signor D. Serao, a i vo$tri luoghi oratorj; e mo$trando egli di voler pur pro$egui- re, la Signora Principe$$a l’ interruppe, e di$se: cote$ta vo$tra di$puta è ormai troppo lunga, e fuor di propo$ito; che $e voi vi fermate tanto in cote$te $ottigliezze, non $arà mai, che per noi $i torni agli ela$tri. Pur permettetemi, vi prego, di$- $e allora il Signor D. Serao, che io aggiunga una co$a $ola; ed è, che Maupertuis, filo$o$o tra quan- ti oggidì ne $ono in tutta Europa chiari$$imo, ha creduto di potere argomentare, che l’ autore del- la natura debba e$sere e prudenti$$imo, e $apien- ti$$imo, e finalmente Dio, dimo$trando non al- tro, $e non che tra le infinite leggi del moto, ch e$ser potevano, abbia egli $aputo cono$cer le più $emplici, cioè quelle, nelle quali ha men di fatica e men d’ azione; e quelle $i abbia propo- DELLA FORZA DE’ CORPI $to di voler $eguire; e tale argomento è paruto all’ illu$tre filo$o$o tanto grave, che l’ ha di gran lun- ga antepo$to a tutti gli altri, che $oglion produr- $i a dimo$trare l’ e$i$tenza di Dio; tanto ha egli dato di autorità alla femplicità. Se così è, a$sai picciola co$a, ri$po$i io allora, ba$ta a Mauper- tuis per $arne un Dio. Come picciola co$a? di$se allora la Signora Principe$sa; pare a voi piccio- la co$a a $aper cono$cere tra le infinite leggi po$- $ibili, quali $ieno quelle, in cui ha men d’azione? Piccioli$$ima; ri$po$i. Perchè? di$se la Signora Principe$sa. Perchè, di$$i, le ha $apute cono$cere an- che Maupertuis; che non è un Dio: io credo che $ia il pre$idente dell’ accademia di Berlino. E certo $e l’ autore della natura non altro ave$se $aper dovu- to, $e non quali fo$sero le leggi del moto, a cui meno azione, che a tutte l’ altre, $i richiede$se, non avea per ciò me$tieri d’ una $apienza in$inita; ba$tava bene, che egli $ape$se un poco il calcolo differenziale. Seguir poi quelle leggi, in cui ha meno azione, e men fatica, che in tutte l’ altre, è un con$iglio, che avrebbe pre$o non $olo ogni prudente, ma anche ogni pigro. Vedete dunque, che il grandi$$imo filo$ofo d’ a$sai picciola co$a ha fatto un Dio. Di$se allora la Signora Principe$- $a ridendo, voi torcete ogni co$a a $enno vo$tro; ma certo la $celta di quclle poche leggi leva via la $u$picione del ca$o; perciocchè il ca$o non le avrebbe potuto $cegliere tra infinite altre; al che richiedeva$i una mente dotata di $cienza, e LIBRO I. di con$iglio. Sì; ri$po$i io; ma que$ta mente avea bi$ogno di così poca $cienza, e di così poco con$iglio, che $e io non $ape$$i altro di lei, per que$to $olo non la farei un Dio; e più la $timo di aver potuto creare i corpi, e trarli dal nulla, et impor loro certe leggi, qua- li che e$$e $ieno, onde dove$$e u$cirne il vago e maraviglio$o a$petto dell’ univer$o; che di aver cono$ciuto fra le tante leggi del moto, quali fo$- $ero le più $emplici. Finchè noi, di$$e allora il Signor D. Serao, andremo dietro agli argomenti dei meta$i$ici, a voi non mancheranno le $otti- gliezze. Intanto però tutte le opere della natura, che noi intendiamo, noi le troviamo molto $em- plici; e da quelle, che intendiamo, po$$iamo $a- re argomento dell’ altre. Tutte le opere, ri$po$i io, che intendiamo, della natura, le troviamo $emplici, perchè noi non intendiamo, $e non le $emplici; alle più compo$te non po$$iamo aggiun- gere; e quelle i$te$$e, che chiamiamo $emplici, non le diremmo for$e tali, $e le intende$$imo per- fettamente; che $copriremmo anche in e$$e un’ in- finita varietà di azioni, e di qualità, e di modi, che la picciolezza del no$tro intendere non ci per- mette di di$coprire; e$$endo co$a vana il crede- re, che gli artificj della natura non $i e$tendan più là delle no$tre cognizioni. Vedete, di$$e il Signor D. Serao, la varietà dei colori, che pare- va e$$ere compo$ti$$ima, come s’ è ridotta a $em- plicità, riducendo$i tutti quanti i colori a $oli $et- DELLA FORZA DE’ CORPI to. E vedete, di$$i, la luce, che $i tenea per $em- plici$$ima, e poi s’ è trovata compo$ta di $ette $pe- cie di raggi tra lor diver$i$$ime; le quali $pecie $arebbono anche più, $e la debolezza de’ no$tri $en$i ci la$cia$$e maggiormente di$tinguere tutte le differenze, che $ono in cia$cuna di loro; le quali differenze noi le chiamiamo piccole, non perchè piccole $ieno, ma perchè piccole pajono agli occhi no$tri; e noi non ponendo lor mente confondiamo in$ieme molte $pecie, e for$e di in- finite ne facciamo una $ola. Voi non la finirete mai, di$$e qui la Signora Principe$$a. E il Signor D. Serao, vedete, di$$e, anche i corpi cele$ti, che parean’ e$$ere tanto varj tra loro, e di più $pe- cie, altri pianeti, altri comete; et ora $i $on tro- vati e$$ere pianeti tutti, d’ un mede$imo ordine, con le mede$ime leggi, e per così dire d’ una $te$$a famiglia. E que$ta famiglia, ri$po$i io, in quanta varietà $i è po$ta, e quanto $i è $convolta e turbata, da che le comete vi $i $ono introdot- te! Che già i pianeti $i di$tinguevan tra loro $o- lamente d’ onore, per così dire, e di grado, aven- do altri l’ accompagnamento dei $atelliti, ed al- tti nò, et e$$endone uno $ingolarmente ornato d’ un mirabile anello; ora quanto maggior varie- tà et inco$tanza appari$ce in loro! Che già altri pianeti hanno la coda lunghi$$ima, altri non ne hanno punto; altri $i avvolgono d’ una folti$$ima nebbia, et altri non hanno pur l’ atmosfera; e dove gli antichi pianeti $i rivolgevano tutti, qua- LIBRO I. $i di comune con$entimento, ver$o una $te$$a par- te, $enza che l’ uno rompe$$e o traver$a$$e il gi- ro dell’ altro; ora che le comete $i $on fatte pia- neti, bi$ogna dire, che l’ un pianeta $i volga ver- $o oriente, l’ altro ver$o occidente, et alcuni $corrano $tranamente da $ettentrione a mezzodì, et altri al contrario, e molti ancora $enza ri$pet- to vengano impetuo$amente a cacciar$i entro gli $pazj de’ lor compagni, acco$tando$i al $ole più, che non pareva a pianeta convenir$i, non $enza pericolo di urtarlo una volta, e di romperlo. Sicchè avendo noi fatto delle comete, e dei pia- neti, come voi dite, una famiglia $ola, vedete in quanto $convolgimento abbiamo po$to tutta la ca$a. La$ciate una volta, di$$e quivi la Signora Principe$$a a me rivolta, que$te vo$tre poetiche immagini, che a nulla $ervono; e più to$to met- tetevi a $piegarci la diffinizione della forza viva del Padre Riccati; il che fie più al propo$ito. Per- chè quanto agli ela$tri, parendomi oramai l’ o- ra e$$er tarda, credo che ben $arà rimetterne il di$cor$o ad’ oggi; tanto più che le difficoltà pro- po$te da que$ti Signori $on molte, e ricercheran- no lunga di$puta; ne voi farete poco, $e le av- rete tutte a memoria. Signora, di$$i, $e io non avrò a memoria le difficoltà, che que$ti Signori hanno propo$te, for$e non le avranno ne e$$i pu- re. Così la di$puta dovrà e$ser brevi$$ima. Ma io, di$se il Signor D. Niccola, le ho bene a me- moria io. Voi intanto e$ponete la diffinizione, DELLA FORZA DE’ CORPI che la Signora Principe$sa de$idera, e vedete di e$porla fedelmente; perchè $e la e$porrete a mo- do vo$tro, io, che ho letto l’ autore, ve ne ac- cu$erò. Anzi, ri$po$i io, avendo voi letto l’au- tore, dovre$te darmi ajuto per e$porla meglio, e non a$pettare ch’ io merita$$i di e$sere accu$ato. E$sendo$i qui alquanto ri$o, dopo un breve $ilen- zio incominciai: La forza viva, che il Padre Ric- cati ha introdotta, non è da poter$i intendere così facilmente, $e prima non $i intendano due potenze, tra le quali ella, per così dire, $i $ta na$co$ta. Imperocchè cangiando$i continuamente i corpi, e acqui$tando nuove forme, e perden- dole, bi$ogna, che $ieno in e$$i due potenze, l’ una delle quali produca il cangiamento; l’ altra lo di$trugga. La gravità per e$empio fa cadete un corpo: eccovi una potenza, che produce nel corpo un cangiamento, faccendolo pa$sare dalla quiete al moto. La re$i$tenza poi, che egli trova, lo ritorna alla quiete; ed eccovi una potenza, che di$trugge il cangiamento, che la gravità avea pro- dotto. Ora tra que$te due potenze ha una for- za, che il Padre Riccati chiama forza media, la qual ne produce il cangiamento, ne lo di$trugge; ma poichè è prodotto dalla potenza, lo con$er- va, e lo con$erva fino a tanto, che $ia di$trutto dalla potenza contraria. E que$ta, $econdo lui, è la forza viva. Voi potevate dir $ubito, di$$e al- lora la Signora Principe$$a, che la forza viva del Padre Riccati $i è l’ inerzia, $enza fare così lar- LIBRO I. go giro. Che volete? ri$po$i io allora; il Padre Riccati lo fa egli pure; e $e io nol faceva ancor’ io, il Signor D. Niccola mi avrebbe accu$ato. Per altro il Padre Riccati alla perfine viene anch’ egli in que$to, che la forza viva altro non $ia, che l’ inerzia, inquanto con$erva il cangiamento prodotto da una potenza contro un’ altra poten- za, che lo va di$truggendo; che è quanto dire: la- $cia, che la potenza contraria lo di$trugga a po- co a poco, et e$$a intanto va con$ervando gli a- vanzi, finchè alcuno ne re$ta. Ma crede egli, di$- $e allora la Signora Principe$$a, che l’ inerzia $ia una vera forza, e che con$ervando quegli avanzi agi$ca veramente ne corpi, come le altre forze fanno? No, ri$po$i; anzi egli vuole il contrario; e come vedrete nel primo de $uoi dialoghi, egli $piega l’ inerzia eccellentemente, dicendo, che el- la non ha alcuna azion vera, e non avendone al- cuna, la$cia $tar le co$e così, come $ono, e per- ciò le $i attribui$ce il con$ervarle; et è una virtù, che $i concepi$ce da noi ne corpi, e for$e non vi è. Se così è, di$$e la Signora Principe$$a, la forza viva del Padre Riccati non $arà for$e ne corpi, ma $olo nella mente $ua; e quando fo$$e ne corpi, non avrà molto da fare; perchè non avendo azion niuna, e la$ciando $tar le co$e, come $ono, può $tar$i in ozio, et anche an- dar$ene, $e a Dio piace. Ma quale è de Leibni- ziani, o de Bernulliani, che per forza viva in- tenda una virtù così ozio$a? la quale non che DELLA FORZA DE’ CORPI forza viva, non veggo pure perchè debba chia- mar$i forza. Bi$ogna, di$$i, che egli ave$$e, di che illu$trare l’ inerzia de corpi, e volendo farvi $o- pra un libro, abbia anche voluto nobilitarla con un nome $plendido, e chiamarla forza viva. Nel che ha u$ato di quella libertà, che u$an talvolta i filo$ofi, e i matematici, imponendo i nomi a modo loro. Almeno, di$$e allora la Signora Prin- cipe$$a, $i $arà egli a$tenuto da quelle forme, che i Leibniziani, e i Bernulliani $ogliono tutto dì avere in bocca, quando dicono, che le potenze producon ne corpi, generano, trasfondano la for- za viva; perciocchè chi direbbe, che le potenze producan ne corpi, generino, trasfondan l’ iner- zia? la quale è una virtù, che, $e l’ hanno i cor- pi, l’ hanno per lor mede$imi; non la ricevono in dono da alcuna potenza $opravvegnente. U$a beni$$imo, di$s’ io, tali forme, e voi ne vedrete il libro pieno. Ma $e la forza viva è, $econdo lui, cote$ta inerzia, di$$e allora la Signora Prin- cipe$$a, come può egli poi $o$tenere, che $ia pro- porzionale al quadrato della velocità? l’inerzia è for$e tale? Non $o, ri$po$i; e certo anche a me è paruta $trana l’ opinione. Non parrebbe tanto $trana, di$$e allora il Signor D. Nicola, $e voi a- ve$te $piegato bene ogni co$a; perchè dicendo$i, la forza viva e$$er l’ inerzia, cioè quella virtù, che con$erva il cangiamento prodotto nel corpo dalla potenza, bi$ogna intender bene, che co$a $ia un tal cangiamento; e que$to voi non avete LLIBRO I. ancora $piegato. Chi non $a, ri$po$i io allora, ogni cangiamento e$$ere il pa$$aggio, che fa un corpo o dalla quiete al movimento, o dal movi- mento alla quiete, o da un movimento ad un’ al- tro? E que$to $te$$o dice il Padre Riccati nel libro $uo alla pagina 234. Oh! di$$e la Signora Princi- pe$$a, voi $iete così felice di memoria, che vi ri- cordate fin le pagine? Io $ono tornato, di$$i, tan- te volte $u i mede$imi luoghi, che po$$o ricordar- mi ancor le pagine $enza quella tanta felicità, che voi mi attribuite. Ma per venire al propo$ito; $e ogni cangiamento, che la potenza genera nel cor- po, $i riduce a movimento; e $e la forza viva è una virtù con$ervatrice del cangiamento; bi$ogne- rà ben dire, che ella $ia una virtù con$ervatrice del movimento. E s’ è così, $arà anche propor- zionale al movimento, ch’ ella con$erva; come dunque al quadrato della velocità? Io non mi ri- cordo così appunto i luoghi, di$$e allora il Signor D. Niccola; $o bene, che il Padre Riccati vuole, che la potenza produca nel corpo non il movimen- to, ne la velocità, ma altra co$a. Come dite voi dunque, che il cangiamento, che ella produce, $ia la velocità, o il movimento? Voi volete dire, ri$po$i io allora, che la potenza $econdo il P. Ric- cati produce immediatamente la forza viva, la qual poi $i trae dietro la velocità, come un $uo con$eguente; il libro del Padre è tanto pieno di ciò, che non occorre mo$trarne i luoghi. Ma ciò po$to, la forza viva $arà dunque una virtù, che $i DELLA FORZA DE’ CORPI trae dietro la velocità; come $arà ella dunque l’ inerzia? Diremo noi, che l’ inerzia, che è una virtù indifferente a qual$ivoglia modo di e$$ere, $i tragga dietro la velocità? e quando bene la $i trae$$e dietro, e la con$erva$$e, pur $arebbe per que$to $te$$o proporzionale alla velocità. Percioc- chè che altro dovrebbe con$iderar$i in e$$a, $e non l’ atto del trar$i dietro la velocità, e del con$er- varla? il quale atto tanto è certamente maggio- re, quanto maggiore è la velocità, che $i con- $erva, e $i trae. Cote$ta ragione, di$$e qui- vi il Signor D. Nicola, è un poco $ottile, et a molti parrà o$cura. E per que$to, ri$po- $i io, $arà ella fal$a? Io non voglio, di$$e al- lora il Signor D. Niccola, di$putar di ciò; ma tornando al propo$ito del cangiamento, per veder pure in che co$a egli con$i$ta, io dico, che $e la potenza, $econdo il P. Riccati, produce nel cor- po la forza viva, onde poi $egue il movimento, e la velocità; potrebbe for$e il cangiamento con- $i$tere in quella forza viva, che il corpo acqui- $ta; potrebbe anche con$i$tere in quella velocità, che ne $egue; e perchè non anche in quel $empli- ce pa$$ar, che fa il corpo, da un luogo ad un’ altro? E $e voi non ci dichiarate, in che veramente il cangiamento debba con$i$tere, non ci avrete mai dichiarata la forza viva del P. Riccati, che è la con$ervatrice del cangiamento. E quand’ egli fo$- $e o$curo in que$ta parte, non per ciò dovre$te voi dire, che fo$$e fal$o. O$curo, ri$po$i io allo- LIBRO I. ra, quanto a me, egli è certo; e come intendete voi quello, ch’ e’ dice, che la forza viva $i vuole ammettere, acciocchè l’ effetto $ia eguale alla ca- gione; mo$trando poi in tanti luoghi, particolar- mentealle pagine 175. 176. di averla non per una qualità reale de corpi, ma per una $emplice idea de i matematici; qua$i gli effetti dove$$ero uguagliar$i alle lor cagioni nella mente dei matematlci, e non ne i corpi. Ma vegniamo al cangiamento, di cui dicevate: intorno al quale io argomenterò per modo, che non avrò bi$ogno di $tabilire, in che egli con$i$ta; perchè in qualunque con$i$ta delle tre co$e, che avete detto, io vi farò chiaro che $empre confu$ione ne na$ce, e di$ordine. E pri- mamente $e il cangiamento prodotto dalla poten- za fo$$e la forza viva, che il corpo acqui$ta; di- cendo$i poi, che la forza viva è una virtù con- $ervatrice del cangiamento, verrebbe a dir$i che la forza viva fo$$e una virtù con$ervatrice della forza viva; che $arebbe brutta definizione. Se il cangiamento poi fo$$e la velocità; ne $eguirebbe, che la forza viva, che ne è la con$ervatrice, $a- rebbe la con$ervatrice della velocità, e non e$- $endo altro, $arebbe proporzionale alla velocità, cui con$erva$$e. Che $e il cangiamento prodotto dalla potenza fo$$e quel pa$$ar, che fa il corpo, da un luogo ad un’ altro; io dimando prima, come po$$a la potenza determinare il corpo a $correre un certo $pazio, e non determinarlo in$ieme a $correrlo in certo tempo; perchè in verità fino a DELLA FORZA DE’ CORPI tanto, che il corpo $arà indifferente a $correrlo in un tempo, o in un’ altro, non lo $correrà mai, ne mai potrà dir$i determinato a $correrlo. Ora $e la potenza determina il corpo a $correr un certo $pazio in certo tempo; e que$to è il cangia- mento; chi non vede, che il cangiamento $i ri- duce alla velocità, e ci richiama all’ argomento poc’ anzi detto? Ne mi $i dica che l’ effetto della potenza $ia il pa$$aggio del corpo da un luogo ad un’ altro, a$tratto, e $eparato da ogni tempo, per- chè io dirò che que$ta è co$a troppo $ottile, e parrà o$cura. Sorri$e quivi la Signora Principe$- $a; e la$ciando, di$$e, una tal controver$ia da par- te, io vorrei bene, che mi $piega$$e il P. Ric- cati, che co$a intenda egli dicendo che la velo- cità non è un’ effetto della forza viva, ma un con$eguente. Allora il Signor D. Niccola riden- do, que$ti, di$$e, che $i ricorda le pagine, il vi dirà egli. Ne parla, di$$i io, $e altro non volete, alla pagina 22, ma non lo $piega gran fatto; ri- mettendo$ene a Carte$iani, i quali $e vogliono, dice egli, che la velocità $ia un con$eguente del- la quantità del moto, non già un’ effetto; per- chè non potrò io $imilmente dire, che $ia non già un’ effetto, ma un con$eguente della forza viva? così egli; ma io temo, che i Carte$iani diranno, la velocità e$$ere la quantità $te$$a del moto, e non un con$eguente di e$$a; e rifiuteranno di $piegare un con$eguente, che non ammettono, a$pettando intanto, che il Padre Riccati $pie- LIBRO I. ghi quel con$eguente, che ammette egli. A vendo io detto fin qui, il Signor Marche$e di Campo Hermo$o, che s’ era lungo tempo ta- ciuto; a me par, di$$e, che $e la forza viva $i trae dietro la velocità, eziandio come un con- $eguente, convenevol co$a $ia, che gradi eguali di forza viva debbano trar$i dietro eguali velo- cità; e ciò pre$uppo$to, come potrebbe la for- za viva non e$$ere alla velocità $te$$a proporzio- nale? Imperocchè $e un corpo acqui$ta più gra- di di forza viva l’ un dopo l’ altro, e tutti e- guali tra loro; venendo dietro a cia$cun d’ e$- $i un’ eguale velocità, dovrà bene la $omma de i gradi della forza viva e$$ere proporzionale al- la $omma delle velocità. Così $arebbe veramen- te, ri$po$e allora il Signor D. Niccola, $e il $e- condo grado di forza viva trae$$e $eco una veloci- tà eguale a quella, che $eco tra$$e il primo; e co- sì face$$ero gli altri. E perchè non la trarrà, di$$e il Signor Marche$e, e$$endo il $econdo del tutto egua- le al primo? Perchè, ri$po$e il Sig. D. Nicola, quant- unque il $econdo $ia in tutto eguale al primo, vien però dopo lui, e $uccedendogli, gli ha que$to ri$petto di $minuire la $ua velocità per modo che e$$endo 2 la $omma de i gradi della forza, $ia la $omma dei gradi della velocità non 2, ma √ 2; e così tutti gli altri gradi di forza viva, che dopoi $opravvengono, $minui$cono, e temperano ognuno la $ua velocità con lo $te$- DELLA FORZA DE’ CORPI $o riguardo. Qui rima$e$i il Signor Marche$e, qua$i $oprapre$o; poi di$$e: quale ingegno han- no i gradi della forza viva $opravvenendo l’ uno all’ altro, di temperare in tal modo le loro ve- locità? e chi ha dato loro un tal con$iglio? Voi vorre$te $aper troppo, di$$e allora il Signor D. Niccola ridendo; ba$ta bene, che la co$a e$$er po$$a, perchè voi non dobbiate con tanta an$ie- tà cercar del come. Pur, di$$e il Signor Mar- che$e, non intendendo io il come, non può piacermi la co$a; et amerei meglio una $enten- za, che non mi la$cia$$e inquieto del come. Ma che dire$te voi, ripigliò allora il Signor D. Ni- cola, $e il Padre Riccati vi dimo$tra$$e la for- za viva, che che ella $ia$i, e$$ere nece$$aria nella na- tura? Mi di$piacerebbe, di$$e il Signor Marche- $e, che fo$$e nece$$aria una co$a, ch’ io non intendo; pure, e$$endo nece$$aria, la ammette- rei. Or que$to egli dimo$tra, di$$e il Signor D. Niccola, nel $ettimo de $uoi dialoghi, il qual contiene, per così dire, la $omma di tutta quell’ opera; faccendo vedere con un $uo $ottili$$imo argomento, che, $e la potenza produce$$e nel corpo, non una forza viva proporzionale al quadrato della velocità, ma la velocità $te$$a, interverrebbe talvolta nella natura, che l’ effet- to non $arebbe proporzionale alla cagione. L’ argomento, di$$e quivi la Signora Principe$$a, par, che debba e$$er degno di con$iderazione; indi guardando ver$o di me, a voi toccherà, LIBRO I. di$$e, di $cioglierlo, $e pur volete $o$tenere quella vo$tra opinione, che niente $i faccia nella natu- ra $e non per via di potenze, che producano, o di$truggano la velocità. Così che, di$$i, a me tocca di fare ogni co$a. Allora la Signo- ra Principe$$a $orridendo di$$e: il Signor D. Ni- cola e$porrà l’ argomento, e voi lo $ciogliere- te. Et io, $e l’ argomento, ri$po$i, $arà e- vidente, non avrò nulla da $ciogliere. Egli è ben vero, che, $e non mi $i mo$trerà chiara- mente, che la forza viva $ia nece$$aria, come ora diceva il Signor D. Niccola, mi dovrà e$- $er lecito di ritenere l’ opinion mia, e ridurre ogni co$a alle potenze, et all’ inerzia; la qual’ opinione non è tanto mia, che non $ia anche d’ altri; et oltre a ciò è più facile, e più $ped<007>ta, e più $emplice. Ne$$uno, di$$e la Signora Prin- cipe$$a, potrà contendervelo. Vedete però, di$- $e allora il Signor D. Serao, che ritenendovi la vo$tra opinione per quella ragione, che dite, non paja, che voi $eguitiate quel principio di $emplicità, che poco innanzi avete prete$o, e$$e- re $tato introdotto dai filo$ofi più per comodo loro, che per la verità. Quando io lo $egui- ta$$i, ri$po$i, cercherei iI mio comodo; il che hanno fatto tutti i filo$ofi; ma io credo in ve- rità, che quantunque il $ap<007>enti$$imo facitor del- le co$e po$$a far tutto, che a lui piace; a noi però $ta di non ammettere $e non quello, che $appiamo aver lui fatto; ne po$$iamo $apere ciò DELLA FORZA DE’ CORPI ch’ egli s’ abbia fatto, $e non in due manie- re, o veggendolo con gli occhi no$tri già fat- to, o argomentandolo dalla nece$$ità, che v’e- ra di farlo. Voi dite beni$$imo, ri$po$e il Si- gnor D. Serao, ne a noi conviene di aggiunge- re a piacer no$tro alcuna co$a a quelle, che tro- viamo aver fatte il $apienti$$imo autore della na- tura. Ma a me però non potrà mai capir nell’ animo, che quel $apienti$$imo ne faccia pur una oltre il bi$ogno. Sì, ri$po$i io, $e le face$se per bi$ogno. Qui volendo ri$pondere il Signor D. Serao, la Signora Principe$$a lo interruppe, e di$$e: voi tornere$te per poco all’ i$te$sa lite; della quale s’ è oramai detto più che me$tieri non era; pure $e vi re$ta ancor da dirne, po- tremo rimetterla ad altro tempo. Or parmi, che il $ole $i avanzi di gran pa$so ver$o il meriggio, così che que$t’ albero po$sa oramai mal difen- derci. Il perchè fie bene che noi ci acco$tia- mo a ca$a il Signor Governatore. Avendo così detto, et e$sendo$i in piè levata, ci levam- mo tutti; indi pian piano ci acco$tammo alla ca- $a, nella quale già eran me$se le tavole; e dopo alcuni piacevoli ragionamenti avuti col Gover- natore, e con altri Signori, che pre$so lui erano, e$sendo l’ ora del de$inar venuta fummo con. grandi$$ima magnificenza, e tanto onorevolmen- te $erviti, che più non potea de$iderar$i. Fini- to il mangiare, la Signora Principe$sa $i fece. venire innanzi una giovinetta oltremodo bella. LIBRO I. e vezzo$a, $iglia del Signor Governatore, la. quale, avendo lei prima, e poi tutta la com- pagnia riverentemente $alutata, recando$i al pet- to un $uo liuto, e mae$trevolmente toccandolo; cantò con la maggior grazia del mondo alquan- te leggiadri$$ime canzonette in lingua Siciliana.; forn<007>te le quali, avendo tutti il canto e la bellez- za della vaga fanciulla $ommamente commenda- to, la Signora Principe$sa s’ andò a ripo$are nelle $tanze apparecchiatele; il Signor D. Serao et io andammo nel giardino; il Signor D. Ni- cola, e il Signor Marche$e di Campo Hermo- $o nella libreria.

Fine del Primo Libre.

DELLA FORZA DE CORPI CHE CHIAMANO VIVA _LIBRO II._ AL SIGNOR GIAMBATISTA MORGAGNI.

IO mi $ono a$$ai volte meco $te$$o maravigliato, Signor Giambati$ta cari$$imo, per qual cagione, aven- do tanti eccellenti$$imi $crittori de- $critta, chi in un genere, e chi in un’ altro, la forma dell’ ottimo, in cui gli uomini riguardando cono$cer meglio pote$$ero le lor mancanze, e correggendo$i a nor- ma di quella far$i più perfetti, e migliori; a niu- no, ch’ io $appia, $ia venuto in animo di de$cri- ver la forma del filo$ofo perfetti$$imo. Perchè co- minciando dai tempi antichi$$imi, e ri$alendo al- le memorie ultime delle lettere, noi troveremo, che i poeti, i quali pare, che $ieno $tati i primi a $vegliar gli uomini, et incitargli alla virtù, hanno $empre avuto una certa maniera di poe$ia, da e$$i chiamata epopeia, nella quale $otto la $pe- cie di un qualche eroe hanno inte$o di mo$trare agli uomini la forma di un perfetti$$imo princi- DELLA FORZA DE’ CORPI pe, e condottiere. E pare che Senofonte, fingen- d o di $criver l’ i$toria del Re Ciro, abbia voluto imitarli; e$$endo opinione di molti, che egli, e$- ponendo le azioni, e le virtù di quel Re glorio- $i$$imo, non tali le e$pone$$e, quali furono, ma quali a lui pareva, che e$$er dove$$ero. Platone propo$e la forma d’ una perfetta repubblica, e fu $eguito nello $te$$o argomento da Cicerone, il qua- le vi aggiun$e anche quella dell’ ottimo oratore. Ne potè Quintiliano a$tener$i dal de$crivere la me- de$ima, quantunque l’ ave$$e de$critta Cicerone. E per la$ciare gli antichi, venendo ai tempi ulti- mi, et a no$tri, voi $apete, che il Conte Balda$- $ar Ca$tiglione e$po$e in quattro libri la perfetta cortegiania per così fatto modo, che parve niuna co$a potere immaginar$i ne più bella, ne più no- bile, ne più magnifica di quel $uo cortegiano; il qual però avrebbe, cred’ io, ceduto al vo$tro a- natomico, $e come voi lo adombra$te una volta in una vo$tra belli$$ima orazione, così ave$te poi pre$o cura di ve$tirlo et ornarlo, e farlo vedere agli occhi degli uomini ricco e fornito di tutte quelle doti, e qualità, che ad un $ommo anato- mico $i conveni$$ero. Ma voi, di$tratto dalle vo- $tre molti$$ime, e gravi$$ime occupazioni, avete voluto più to$to e$sere quell’ eccellenti$$imo a- natomico, che formavate nell’ animo, che de$cri- verlo. Se dunque la forma, e la natura dell’ ottimo ha tirato a $e lo $tudio, e l’ attenzione di tanti valenti$$imi $crittori nelle arti nobili, e LIBRO II. liberali; e $e alcuni l’ hanno $eguita eziandio nel- le più vili e plebee, e$$endo $tato un France$e, che ha de$critto con $omma accuratezza la forma del perfetti$$imo cuoco; parea ben ragionevole, che alcuno prende$$e a de$crivere, e formar l’ im- magine di un $apienti$$imo $ilo$ofo, a cui nulla manca$$e, e in cui nulla de$iderar $i pote$$e. Ma io credo, due ragioni principalmente aver di$tol- to gli uomini da ciò fare; delle quali la prima pen$o, che $ia la grandi$$ima, e $omma difficoltà di in$tituire que$to filo$ofo così perfetto. Percioc- chè $e nelle altre di$cipline, che $on più angu$te e ri$trette, pur è difficile $corger quell’ ultimo grado di perfezione, a cui po$$on giungere; quan- to più lo $arà nella filo$ofia., la qual vagando per tutte le co$e, che in mente umana cader po$- $ono, non ha confine ne limite alcuno? Che $e ognuna di quelle, per e$$er perfetta, ha bi$ogno delle altre di$cipline a lei propinque, da cui pe- rò $ol tanto prende, quanto le ba$ta per e$$er più bella, et ornar$ene; che diremo della filo$o$ia, che vuol profe$$arle, et e$$er mae$tra, e direttrice di tutte? onde $i vede a lei richieder$i molto mag- gior dovizia di cognizioni, e di lumi, che a qual- $ivoglia altra. E certo non potrà alcuno, non che filo$ofo perfetti$$imo, ma, a mio giudicio, ne pur filo$ofo chiamar$i, $e egli non avrà una mol- to acuta, e profonda dialettica, per cui po$$a, e definir le co$e pre$tamente, e di$tinguerle, e di- $tribuirle, e trovar gli argomenti, cono$cendone DELLA FORZA DE’ CORPI il valore, e la forza; e $apendo mi$urare la loro probabilità, e contentar$ene, qualora non po$$a giunger$i all’ evidenza; ricercando poi l’ eviden- za in quei luoghi, ove qualche $peranza ci $e ne mo$tri: e non far, come quelli, i quali a$$ueti all’ evidenza dei matematici $offrir non po$$ono le ragioni probabili dei giuri$ti, ovvero avvezzi al- la probabilità dei giuri$ti $i nojano delle ragioni evidenti dei matematici; nel che errano cosi gli uni, come gli altri. Et anche dovrebbe per e$$er degno del nome di filo$o$o $apere perfettamente tutte le fallacie; perchè $ebbene è vergogna tal- volta l’ u$arle, è però molto maggior vergogna, e$$endo u$ate da altri, il non $aper $volgerle, e di$coprirle. Ne con tutta que$ta $cienza però $a- rà gran fatto il filo$ofo da apprezzar$i, $e egli non $e ne $ervirà a con$eguire le altre; e non avrà in primo luogo compre$a nell’ animo la varietà, e l’ ordine, e la bellezza di tutte le co$e intellet- tuali, che chiaman$i metafi$iche: le quali alcuni di$prezzano, avendole per in$u$$i$tenti, e vane; ma $e pen$a$$ero, niuna co$a pre$entar$i giammai all’ animo, ne più manife$ta, ne più ferma, et immutabile delle forme univer$ali ed a$tratte, e niente e$$er prù certo che quei principj, e quelle verità, che da e$$e a tutte le $cienze derivano, io non sò, perchè molto più $timar non dove$$ero quelle co$e, che e$$i chiamano in$u$$i$tenti e va- ne, che non quelle, che e$$i chiamano vere e rea- li. E certo che la metafi$ica ci aprì ella $ola da LIBRÓ II. principio, e di$coprì quella belli$$ima e importan- ti$$ima di$ciplina, che può dir$i il maggior dono, che la natura abbia fatto agli uomini, voglio dir la morale; la qual $e il filo$ofo non $aprà, ne a- vrà cognizione delle virtù ne dei vizj, ne $aprà ragionare del fine dell’ uomo, ne della felicità, io non $o, che voglia egli far$i della $ua filo$ofia. E quantunque la perfetta cono$cenza della morale po$$a da $e $ola inalzare il filo$ofo $opra gli altri uomini, e farlo, per così dir, più che uomo, egli non dovrà però e$$er privo ne della $cienza eco- nomica, ne della politica, e dovrà $aper giudica- re rettamente dei co$tumi, e delle u$anze tanto dome$tiche, quanto pubbliche; perchè dovrà e$$e- re periti$$imo eziandio della giuri$prudenza. E quanto a me, $e io dove$$i formarlo a mio modo, io vorrei che fo$$e anche eloquente; e ciò per due ragioni, delle quali la prima $i è, per poter ador- nare le altre parti della filo$ofia, et e$porle con bel modo; perchè $ebbene $ono $tati molti filo$o- fi, che hanno tra$curato ogni ornamento del dire; io non credo però, che ne $ia $tato alcuno mai tan- to rozzo, che pote$$e la $ua rozzezza piacergli. L’ altra ragione $i è, che io tengo, che l’ eloquenza $ia una parte della filo$ofia e$$a pure; poichè $e crede$i comunemente, che alla filo$ofia $i appar- tenga il $apere, come $i educhino le piante, e $i lavorino i metalli, per qual ragione non dovrà el- la anche $apere, come, e per quai mezzi $i lu$in- ghino gli animi umani, e $i eccitino, e $i movano? DELLA FORZA DE’ CORPI e per que$t’ i$te$$a ragione niente mi maraviglierei, $e quel perfetti$$imo filo$o$o, che noi andiamo o- ra immaginando, vole$$e e$$ere anche poeta. E certo avendo egli quella tanta cognizione, che noi vogliamo, che abbia, di dialettica, di metafi$i- ca, di morale, avrebbe un grande ajuto ad e$$e- re un dotti$$imo poeta, e un’ oratore eloquenti$- $imo. E noi $appiamo, che Cicerone, prezzando poco i documenti della rettorica, uiuna co$a $timò e$$ergli $tata tanto giovevole a divenire quel gran- di$$imo oratore, che era, quanto lo $tudio del- le $opraddette $cienze; et e$aminando una volta, qual filo$ofia fo$$e a que$to fine più accomodata dell’ altre, antepo$e a tutte quella dei Peripate- tici, e degli Accademici; et affermò, lui e$$e- re u$cito così grande, com’ era, non già dal- le officine dei rettori, ma dagli $pazj dell’ accademia. La qual co$a con$iderando io tal- volta meco $te$so, e pen$ando, che quella antica filo$ofia partorì pure al mondo un così ec- cellente, e così divino oratore, non sò compren- dere, come molti $e l’ abbiano per una filo$ofia inutile, e da $prezzar$i. La$cio $tare, che tanti al- tri oratori, e poeti valoro$i$$imi, e $ommi u$ci- rono da quelle mede$ime $cuole. Ma ritornando al no$tro filo$ofo, molto ancora gli mancherebbe, $e egli non po$$ede$$e perfettamente tutte le par- ri della fi$ica; nella quale entrando, io vorrei, che egli non $olamente anda$$e dietro a quelle co$e, che per li $en$i ci $i manife$tano; ma proce- LIBRO II. de$$e oltre con l’ intelletto, e cerca$$e anche i principj, e le cau$e, che ci $i manife$tano per la ragione; $odisfaccendo$i di quella probabilità, che hanno, giacchè all’ evidenza non po$$ono giungere, ne ritraendo$i da que$to $tudio per pau- ra, che quella opinione, che oggi par probabile, pote$$e una volta trovar$i fal$a. Perciocchè il pre- tendere, che ciò, che $i dice, non debba potere, e$$er fal$o, è una preten$ione $uperba, e conve- niente piutto$to a un Dio, che a un filo$ofo; e quegl’ i$te$$i, che tra$portati da una tal vanità, per e$$ere $icuri$$imi di ciò, che affermano, pro- fe$$ano di non volere attener$i $e non alle e$pe- rienze, e alle o$$ervazioni; volendo poi ridurre i ritrovamenti loro a leggi univer$ali e co$tanti, che debban valere in tutte le co$e, eziandio in quelle, che non hanno mai o$$ervate, cadono anch’ e$$i nel pericolo della probabilità; la qual probabilità $e non vole$$e $eguir$i per paura di errare, non po- trebbono più ne i medici curar gl’ infermi, ne i giudici diffinire le cau$e; e $i leverebbe del mon- do ogni regola di buon governo. Io vorrei dun- que, che il filo$ofo $ape$$e tutti i $i$temi, alme- no i più illu$tri, per $eguir quelli, che fo$$er pro- babili, $e alcun tale ne ritrova$$e, e rigettar quel- li, che non fo$$ero; i quali però $aper $i debbo- no, benchè $i vogliano rigettare; anzi rigettar non $i dovrebbono $enza $aperli; che è co$a da uom leggero rigettar quello, che non $i $a. E già la fi$ica $te$$a, mo$trandogli i $uoi $i$temi et DELLA FORZA DE’ CORPI in$truendolo delle $ue e$perienze et o$$ervazioni, e manife$tandogli le $ue leggi, non è da dubita- re, che non gli apri$$e anche la chimica, la me- dicina, la notomia, e nol conduce$$e ne va$ti cam- pi di tutta l’ i$toria naturale. La qual fi$ica vor- rebbe però $empre aver $eco la geometria, e l’ algebra, con le quali $pe$$i$$ime volte viene a de- liberazione, e $i con$iglia; e $ono e$$e tuttavia per $e mede$ime belli$$ime $cienze, e nobili$$ime, et oltre a ciò amici$$ime della metafi$ica, da cui cre- dono e$$er nate; così che io e$orterei il filo$o$o ad a$$umerle anche per lor mede$ime; perchè a$- $umendole $olo in grazia della fi$ica potrebbono, e giu$tamente, aver$elo a male. E que$te poi lo introdurrebbono alla meccanica, all’ optica, all’ a$tronomia, delle quali di$cipline dovrebbe il fi- lo$ofo e$sere periti$$imo. Parrà for$e ad alcuni, che io $ia fa$tidio$o, e poco di$creto, volendo imporre al filo$ofo tanto pe$o di $tudj, e di co- gnizioni, che non è per$ona al mondo, che por- tar lo pote$se. Ma $e eglino pen$eranno, che io non lo impongo a loro, ne a veruno di quelli, che e$$i cono$cono, ma ad un filo$ofo, che vor- remmo immaginarci, e fingere, e che dovendo $uperar tutti gli altri nella virtù, e nel $apere, vogliamo ancora, che gli $uperi nella memoria e nell’ ingegno, credo, che facilmente mi perdone- ranno; et anche mi $cu$eranno, $e io vorrò, che $apendo eglitutte le $cienze, che abbiamo dette, e molte altre, $appia ancora l’ i$toria loro, e co- LIBRO II. me nacquero tra gli uomini, e crebbero, e pa$- $arono in varj tempi a varie nazioni, e con qua- li ajuti, e per quai mezzi a tanta autorità, e glo- ria s’ innalzarono; che oltrechè è conveniente a qualunque profe$$ore il $apere gli avvenimenti dell’ arte $ua; que$to $ingolarmente è proprio del- la filo$ofia; perciocchè l’ i$toria dell’ altre $cien- ze non è una parte di e$$e, ne è parte della retto- rica l’ i$toria della rettorica, ne della dialettica l’ i$toria della dialettica; ma l’ i$toria della filo$ofia, che tutte le altre comprende, $embra e$$ere una parte della filo$ofia $te$$a. Imperocchè $e i filo$o- fi con$iderano con tanta attenzione gli altri ani- mali, e notano diligentemente e raccolgono le loro azioni, e tutte le loro indu$trie, e que$ta i$toria pongono tra le parti della loro $cienza; io non sò, perchè non debbano porvi anche l’ i$toria degli $cienziati, e di lor mede$imi; tanto più, che $o no e$$i più nobili degli altri animali, e$$endo do- tati di ragione, et avendola più anche degli al- tri uomini coltivata. Ma la$ciamo ormai di rac- cogliere tutte le infinite qualità, e doti, che a quel filo$ofo, che noi vorremmo veder de$critto, eccellenti$$imo, e $ommo $i richiedercbbono; ac ciocchè non paja ch’io voglia formarlo io, e pre- $uma far quello, che ho detto non e$$ere fino ad ora $tato fatto da niuno a cagione della grandi$$i- ma difficoltà. Sebbene io credo, che anche un’ al- tra ragione abbia di$tolto gli uomini dal farlo, e que$ta è, perchè ne potrebbe farlo chi non fo$$e fi- DELLA FORZA DE’ CORPI lo$ofo, ne chi fo$$e, facilmente vorrebbe; e$sendo la forma del filo$ofo perfetti$$imo una co$a tanto grande, e magnifica, e divina, che non è alcuno così dotto in filo$ofia, il qual mirando in quella im- magine non $i dove$$e vergognare di $e mede$imo. E $e Cicerone non isfuggì di proporre agli uomi- ni il perfetto oratore; ciò for$e fece, perchè potea credere di non e$$ere a quello molto inferiore; e noi $appiamo, che al Ca$tiglione poco o nulla mancò ad e$$ere quel perfetti$$imo cortegiano, che egli avea de$critto. Ma chi è, che veduta una volta la forma di un filo$ofo eccellenti$$imo e $ommo, non s’ avvede$$e di e$$erne infinitamente lontano? Quindi è, che molti ricu$ano di vederla, ne voglion cercarla per non trovare le lor man- canze; e volendo pur lu$ingar$i di e$$ere compi- tamente filo$ofi, re$tringono la filo$ofia dentro a quei limiti, dentro cui $entono e$$er ri$tretta la cognizion loro. E quindi è, che troveremo mol- ti, <007> quali, non avendo toccato mai ne la dialetti- ca, ne la metafi$ica, ne la morale, pur perchè hanno apparato alcuni luoghi della fi$ica, credono aver veduta la filo$ofia, tenendo per nulla tutto il re$tante; e molti e$perimentatori, che $arebbono per altro degni di $ingolar laude, $ono oggimai venuti in tanto orgoglio, che vogliono tutto e$- $er po$to nelle e$perienze; e gridano, la filo$ofia dover trattar$i con le mani; indarno volervi$i u- $ar la ragione; e non volendo u$arla, ben mo- $trano di non averla. Gli antichi in que$ta parte LIBRO II. inte$ero a mio giudizio più che i no$tri; percioc- chè abbracciarono tutte le parti della filo$ofia, e le $timarono tutte grandemente; e $e in alcune non $eppero molto innanzi, cercaron però di $a- perne quanto a quei tempi potea$i, e in alcune altre furono tanto eccellenti, che levarono a i po- $teri la $peranza di uguagliarli: come Platone et Ari$totile, che furono maraviglio$i non $olamen- te nella metafi$ica, e nella morale, ma anche nella dialettica, la quale ebbe tanto accre$cimento da Ari$totele, che parve e$$ere da lui nata; et ol- tre a ciò po$ero molto $tudio nella fi$ica, e molto $eppero, $econdo quei tempi, della naturale i$to- ria; ne mancò loro la geometria, ne l’ aritmeti- ca, e furono intendenti$$imi di mu$ica, e di poe- $ia, della quale Ari$totile fu gran mae$tro; e parvero eloquenti$$imi a Cicerone. E veramente io credo, che quegli antichi ave$$ero un gran vantaggio $opra dinoi; perchè e$$endo qua$i o- gnuna di quelle $cienze, che la filo$ofia abbrac- cia e contiene, tanro più breve e più angu- $ta a loro tempi, che a i no$tri, fu ad e$$i più comodo l’ appararne molte, che a noi non $arebbe $tudiarne una $ola. Ne io mi $degno già contra coloro, i quali rapiti da una parte $ola del- la filo$ofia, $i allontanano dalle altre; vorrei be- ne, che apprezza$$ero ancor quelle, da cui $i al- lontanano, e $tima$$ero appartenere alla filo$ofia anche ciò, che e$$i non $anno. Il che non volen- do e$$i fare, mi levano la $peranza di veder de- DELLA FORZA DE’ CORPI $critta mai da alcun di loro e formata quella bel- la immagine del filo$ofo perfetti$$imo, che io tan- to de$idero. La quale chi pur vole$se oggi vede- re in qualche modo adombrata, non veggo qual altra via tener pote$se, $e non farla$i egli da $e nell’ animo, riguardando molti e varj eccellenti filo$ofi, e raccogliendo in uno le qualità e co- gnizioni di tutti, con che verrebbe in qualche modo formando quel perfetti$$imo che de$ideria- mo: come $i legge di Zeu$i, che raccogliendo in- $ieme tutte le grazie di molte fanciulle Calabre$i, formò quella rara, e $ingolar bellezza, che $timò poi e$ser degna di Elena. E certo chi mette$se in$ie- me tutte le eccellenze e tutte le perfezioni di Car te- $io e di Leibnizio, aggiungendo loro le rare, e maraviglio$e cognizioni di Neuton, dopo cui pare, che il mondo non a$petti più altro; con que- $ti tre $oli uomini formar $i potrebbe un filo- $ofo, a cui non molto manca$se. E per la$ciare i trapa$sati, quando io pen$o a quella one$ta e nobile compagnia, nella quale io fui accolto in Napoli, $iccome parmi, che quella $orpa$sa$se tutte le altre compagnie del mondo in giocon- dità, in corte$ia, in valore, così tengo per fer- mi$$imo, che, $e i pregi e le perfezioni di tutti quelli, che la componeano, $i fo$sero raccolti in uno, $i $arebbe fatto un filo$ofo da potere para- gonar$i al perfetti$$imo. Perciocchè ne al Signor D. Serao mancava una $omma perizia di medici- na, ne di anatomìa, ne d’ i$toria naturale, ne di LIBRO II. qual$i$ia altra parte della fifica, a cui aggiungeva la geometria e la meccanica, et una incredibile eloquenza. Il Signor D. Niccola di Martino non la$ciava de$iderar nulla di tutto ciò, che alle ma- tematiche $cienze appartiene; nelle quali e$$endo così eccellente, non è da domandare, $e egli $o$- $e mae$tro grandi$$imo in $i$ica; era anche puro, e $emplice, e chiaro nel dire, e tanto egli, quanto il Signor D. Serao erano nella meta$i$ica e nella dialettica non mediocremente ver$ati. La Signora Principe$$a condiva tutte que$te $cienze, che ot- timamente intendeva, di tanta $oavità e grazia, e così fattamente le abbelliva, che non parean qua$i belle $e non per lei $ola. Il Signor Marche$e di Campo Hermo$o, $uperando già l’ età $ua, fa- cea $perar di $e $te$$o ogni co$a. Et io vi direi an- che più, e maggiori lodi di quella onorati$$ima, e nobili$$ima compagnia, $e voi, Signor Giambati- $ta cari$$imo, vi fo$te $tato pre$ente, e l’ ave$te veduta con gli occhi vo$tri; che così non temerei, che vi pote$$er parere più grandi del vero ne $o- verchiamente e$agerate. Sebbene, e$$endovi voi $tato pre$ente, troppo più avrei da dirne, doven- do dire anche di voi. Ma vegniamo oramai al pro- po$ito no$tro, dal quale io temo di e$$ermi per troppo lungo $pazio allontanato. Venuta l’ ora del ve$pro, et avendo la Signora Principe$$a fatto $ignificare, che ella era di$po$ta di u$cire, io e il Signor D. France$co Serao fummo to$to alle $ue $tanze, dove poco appre$$o vennero anche il Signor DELLA FORZA DE’ CORPI Marche$e di Campo Hermo$o, e il Signor D. Ni- cola di Martino, il quale avendo, come tutti gli altri fecero, $alutata con molta riverenza la Si- gnora Principe$$a, cavò fuori un libro, dicendo: ecco, Signora, il libro, che voi de$iderate, che io ho tratto dalla biblioteca del Signor Governatore, dove era con alcuni altri di matematica. Qual li- bro? di$$e la Signora Principe$$a. Quello, ri$po$e il Signor D. Niccola, del Padre Riccati, che io $timo a$$ai, benchè al no$tro Signor Zanotti for- $e non piaccia. Perchè, di$s’ io, non dovrebbe piacermi? che io lo $timo for$e più ancora, che voi non fate; perchè voi lo $timate molti$$imo, cre- dendo vere le opinioni, ch’ egli propone, et io, lo $timo ancor non credendole. Io non ho ancor detto, ri$po$e il Signor D. Niccola, che le opinio- ni del Padre Riccati Rieno vere; e $ono anche in tempo di $timarlo così come lo $timate voi. Ma a voi $ta intanto di $ciogliere le obbiezio- ni, che que$ta mattina vi $ono $tate propo$te. Men- tre così tra noi $i ragionava, la Signora Principe$- $a, che avea già pre$o il libro in mano, e $cor$o- ne in fretta alcuni capi, rivolta al Signor D. Ni- cola gliel rendè, e di$$e: recheretelo vo$co in bar- ca; perchè io voglio, $e a voi altri piace, che noi oggi facciamo un piccol giro in mare, avendo per- ciò il Signor Governatore, come egli $te$$o mi ha detto, fatto apparecchiare un naviglio, nel quale noi potremo comodi$$imamente $eguire il ragiona. mento incominciato $opra gli ela$tri, e dir quel- LIBRO II. lo, che re$ta intorno alla qui$tione della forza vi- va. Tutti condi$ce$ero volentieri al de$iderio del- la Signora Principe$$a, et io più che gli altri, a- vendo già cominciato a piacermi il mare. Perchè u$cimmo tutti allegramente, e giunti a riva, tro- vammo quivi un picciol legno, il più leggero, e il più vago del mondo; che oltre l’ e$$ere forni- to d’ albero e di vela e di remi, era anche di pit- ture e di rilievi al di fuori leggiadramente orna- to, e dentro d’ ori e di $ete e di drappi guarnito, che non potea veder$i più bella co$a. Non era qua$i mare, traendo allora un venticello $oavi$$i- mo; perchè entrati $ubito in nave, e fatto vela, ci allargammo alquanto nel $eno, la$ciando ad- dietro Napoli, e $coprendo dall’ altra parte l’ im- men$a va<007>tità del mare, che era belli$$imo a ve- dere per la gran frequenza delle barche, le quali parte andavano a Baja e venivano per $ervigi del- la Corte, che vi $i a$pettava il dì vegnente; e parte correvano a lor $ollazzo, avendo $opra bel- liffime compagnie d’ uomini e di donne, che fa- cevano di tanto in tanto ri$onar l’ aria d’ una gra- ta armonia colle trombe, e gli oboè. Il $ole, che era a$$ai alto, le percoteva co’ lucidi$$imi $uoi raggi, e le rendeva ancor più vaghe. Le quali co- $e mirando io più attentamente degli altri, come quello, che men degli altri era avvezzo di vederle, e’ mi par, di$$i, che que$te barche, e que$te rive e que$ta ampiezza del mare $ieno tanto belle, che $i faccia lor torto volendo rivolgere il pen$iero ad DELLA FORZA DE’ CORPI altro; e, non $o come, parmi, che le i$te$$e Nereidi $e ne offenderebbono. Credetemi però, di$$e allo- ra la Signora Principe$$a, che non $i avranno a male, $e noi ritorneremo col pen$iero agli ela$tri; de’ quali, come avrete $aziato la vi$ta di que$ti al- tri oggetti, di$ponetevi pure di ragionare: io mi vi fo mallevadrice per le Nereidi. Signora, ri$po- fi, io ve ne ho detto que$ta mattina tutto quello, che io ne $o. Si, di$$e la Signora Principe$$a; ma egli vi re$ta ancora di $ciogliere tutte le di$$icoltà, che que$ti Signori vi hanno propo$te. Ma e$$i, ri- $po$i io allora, non hanno fatto altro, che propor- le; niente hanno provato; di che io po$$o $pedir- mi da tutte brevi$$imamente $ol col negarle; e co- sì ri$pondendo, me ne viene anche un altro como- do, ed’ è, che non accade, ch’ io faccia la fatica di ricordarmele. Oh que$ta fatica la faremo ben noi, di$se allora la Signora Principe$sa; e $e que$ti Si- gnori vorranno, come debbono, $o$tenere le pro- po$izioni loro, e provarle; non $o poi, $e vi $pe- direte con tanta brevità. E qui tratto fuori il fo- glio, in cui erano le figure, che avevamo la mat- tina de$critte (il che $imilmente fecero tutti gli al- tri) parmi, di$se, guardando alla figura $econda, che il Signor D. Nicola abbia in primo luogo op- po$to, che le due $erie EN, AC nel loro primo aprir$i dieno ai due globi N, e C lo $te$so impul- $o, e la $te$sa velocità. Non è egli così? Così è ve- ramente, di$se allora il Signor D. Niccola; la do- ve egli voleva, che l’ uno impul$o fo$se quadruplo LIBRO II. dell’ altro, e produce$se velocità quadrupla. Et ho anche aggiunto, non piacermi quella $uppo$i- zione, ch’ egli facea; cioè che gl’ impul$i delle $erie $ieno i$tantanei, e di$giunti l’ uno dall’ altro per certi piccoli$$imi intervalli; levata la qual $up- po$izione come potrà egli $o$tenere, che la velcci- tà del globo N giunto in _r_ debba e$ser quadrupla della velocità del globo C giunto in _m_? che an- zi io dimo$trerò e$$er doppia. E ciò vuol dimo- $trar$i, ripigliai io, in maniera, che $i intenda e$- $ere nece$$aria agli ela$tri la forza viva di Leibnizio. Chi non $a, di$$e quivi il Signor D. Serao, tutti i no$tri ragionamenti e$$er rivolti a que$to? E a que- $to pure è rivolta quell’ altra difficoltà, che io ho mo$$o, tratta da quella $erie, che propo$e Ber- nulli negli atti di Lip$ia, la quale allargando$i da amendue le parti $pinge e caccia due globi di- $eguali. Per proceder dunque con qualche or- dine, di$$e allora la Signora Prnicipe$$a, io voglio, che il Signor D. Niccola e$ponga prima, e provi la $ua difficoltà; poi verremo a quella del Signor D. Serao; diremo appre$$o qualche co$a delle leggi del moto; giacchè anche di que$te è $tato propo$to di dover dire. E’ $tato anche pro- po$to, ripigliai io, non $o che intorno al prin- cipio della $emplicità. Oh di que$to, di$$e la Si- gnora Principe$$a, non voglio io, che più $i ra- gioni; perchè voi vi $iete o$tinato in quella vo- $tra opinione; e mai non $e ne verrebbe a capo. Certo che nò, ri$po$i; perchè anche il Signor D. Della forza de’ corpi Serao s’ è o$tinato nella $ua. Di che ri$e la Si- gnora Principe$$a, ind<007> volgendo$i al Signor D. N<007>ccola, or cominciate voi, di$se. Allora il Si- gnor D. N<007>ccola e$sendo $opra$tato alquanto, a me rivolto così cominciò. Io non hò da propor- vi co$a, che voi già non $appiate; ne altro dirò po$e Giovanni Bernulli in quella belli$$ima $crit- tura, che ci la$ciò $opra le leggi della comuni- cazione del moto; e cercherò di $volgerlo da quel- le curve, e da quei calcoli, di cui volle l’ uo- mo ingegno$i$$i@o coprirlo et adornarlo, accioc- chè, $e non la vaghezza, e la leggiadria della di- mo$traz<007>one, ne $ent<007>ate però la forza. E per co- minciar d’ alto, e non la$ciar’ a dietro co$a al- cuna di ciò, che è nece$sario alla dimo$trazione; dico in pr<007>mo luogo, che e$sendo lo $pazietto N_r_, come voi $te$so avete pre$uppo$to, infinita- mente piccolo, la pre$$ione della $erie EN $arà in tutto que$to $pazietto $empre la mede$ima: il che è pur ch<007>aro, perciocchè la pre$$ione tanto viene a fminuir$i, quanto la $erie viene ad allargar$i; allargando$i dunque la $erie infinitamente poco con lo $tender$i da N fino in _r_, ne $egue, che la pre$$ione venga infinitamente poco a $minuir$i, e però po$sa aver$i come $e per tutto quello $paziet- to fo$se $empre la mede$ima. Ben’ è vero, che pa$- $ando dallo $pazietto N_r_ all’ _rs_, e dallo _rs_ allo _st_, e così agli altr<007> infiniti fino in O, bi$ognerà te- ner conto di quello $minuimento infinitamente Libro II. piccolo, che $i fa in ognuno, acciocchè tra$curan- dogli tutti non veni$se a tra$curar$i una $omma a$segnabile, e troppo più grande, che non con- viene. Seguendo dunque una licenza conceduta da i matematici, e non abborrita da i fi$ici, noi pen$eremo, che la pre$$ione della $erie EN $ia $em- pre quella $te$sa per tutto lo $pazietto N_r_; in _r_ poi $i diminui$ca alcun poco, e dopo tale dimi- nuzione duri la $te$sa fino in _s_, e così di mano in mano. E lo $te$so vuol dir$i della $erie AC, che e$sendo gli $pazietti C_m_, _mn_, _no_ infin<007>tamente pic- coli, dovrà creder$i, che la pre$$ione $egua ad e$- $ere la mede$ima per tutto C_m_; in _m_ poi $offra una diminuzione infinitamente piccola, dopo la quale $i con$ervi $empre la mede$ima fino in _n_; e così le intervenga in tutti gli altri infiniti $paziet- ti fino in D. Po$te que$te co$e, le quali dovrete concedermi, $e già non volete far guerra a tutto il mondo, egli mi $arà facile di dimo$trarvi, che la veloc<007>tà, che avrà il globo N giunto in _r_, $a- rà doppia di quella, che avrà il globo C giunto in _m;_ così veramente, che gli $pazietti N_r_, C_m_ $i $uppongano tali, quali gli avete $uppo$ti voi pu- re, cioè l’ uno quadruplo dell’ altro. Senza par- tir così d’ alto, di$$i io allora, voi potevate co- minciar di qui; perchè le altre co$e, che avete innanzi dette, qual<007> che e$se $ieno, io era già di$- po$to di concedervele, ne voleva far guerra a tut- to il mondo. Ma $enza fare così gran guerra io nego bene, che po$$a dimo$trar$i, la velocità del Della forza de’ corpi globo N in _r_ dovere e$$er doppia della velocità del globo C in _m_. P<007>acemi, d<007>$$e allora il Signor D. N<007>cola, che voi mi concediate le co$e innanzi dette; e per que$to appunto le ho dette, accioc- chè voi me le concede$te. Or come io dimo$tri quello, che voi dite non poter dimo$trar$i, vel vedrete. Egli è certo, che e$$endo la pre$$ion del- la $erie EN per tutto lo $pazietto N_r_ $empre e con- tinuamente la $te$$a, et e$$endo altresì la pre$$ione della $erie AC $empre, e continuamente la $te$$a per tutto lo $pazietto C_m_, i due globi N e C così dovranno $correre gli $paziett<007> N_r_, C_m_, come due corp<007> gravi $correrebbono due $pazj altrettan- to lungh<007>, cadendo per e$$i a cagione della lor gravità. Perciocchè che altro fa la gravità in due corpi, che cadono, $e non quello $te$$o, che fan- no le due $erie nei globi N e C, cioè $pingerli con una pre$$ione, la quale è $empre, e continua- mente la $te$$a? La gravità $pinge tutti e due i corpi all’ in giù; le $erie $pingono i globi con altra direz<007>one. Ma la direzione che leva, quando i globi $ieno $pinti all’ i$te$$o modo? A intender dunque, come i due globi $corrano gli $pazietti N_r_, C_m_, niente altro $i ricerca, $e non che con- $iderarli così appunto, come $e tratti dalla gravi- tà cade$$ero l’ uno da N in _r_, l’ altro da C in _m_, applicando loro quelle leggi, che $appiamo alla gravità convenire. Or $econdo que$te leggi non è egli $ubito manife$to, che e$$endo lo $pazio N_r_ quadruplo dello $pazio C_m_, $e il globo C caden- Libro II. do in _m_, vi mette un certo tempo, e acqui$ta una certa velocità, il globo N cadendo in _r_, do- vrà mettervi tempo doppio, et acqui$tare doppia velocità, così che gl<007> $pazj $cor$i $ieno propor- zionali ai quadrati sì delle velocità, come dei tem- pi? Ed eccovi dimo$trato non $olamente quello, che $i cercava, cioè la proporzione delle velocità, che hanno i globi, giunti e$$endo in _r_ et _m;_ ma anche quello, che non $i cercava, cioè la propor- zione de i tempi, in cui vi giungono. Qui mo- $trò il Signor D. Niccola di fermar$i; laonde la Signora Principe$$a, io avvi$o, di$$e, che e$$endo lo $pazietto N_r_ quadruplo dello $pazietto C_m_, quan- do le due $erie degli ela$tri, $eguendo i glob<007>, $i $aranno allargate l’ una fino in _r_, l’ altra fino in _m_, dovranno gli elaftri tutti sì dell’ una come dell’ altra e$$er di nuovo egualmente dilatati; e così potrà per la $te$$a ragione dimo$trar$i, che e$- $endo lo $pazietto _rs_ quadruplo dello $pazietto _mn_, dovrà il globo N $correndo da _r_ in _s_ acqui$tare un’ altra velocità, che $arà doppia di quella, che acqui$terà il globo C $correndo da _m_ in _n_, e do- vrà mede$imamente mettervi tempo doppio. Il che potendo pur dir$i di tutti gli altri fpazietti, che re$tano fino in O et D, par veramente che il glo- bo N giunto in O dovrà avere acqu<007>$tata una ve- locità doppia di quella, che avrà acqui$tata il glo- bo C giunto in D, e dovrà e$$ervi giunto in tempo doppio. La qual dimo$trazione fino ad ora mi par tanto chiara, che non $o, come potrà il noftro Della forza de’ corpi Signor Zanotti farlami parere o$cura. Aggiungete, di$$e allora il Signor D. Serao, che in que$ta dimo- $trazione noi non abbiamo bi$ogno di que’ $uoi in- tervalli, co’ quali egli interrompe l’ azione della ela$ticità; la quale noi facciamo continva, come e$$er dee, volendo che la $erie EN $pinga il globo con altri ed altri impul$i anche per tutto quel tem- po, che egli $corre da N fino in _r_, v<007>e più affret- tandolo; ne mai lo la$ci $correre di moto equa- bile: e lo $te$$o $imilmente diciamo della $erie A C. Perchè a dire la verità il volere, che gli ela$tri d<007>e- no un’ impul$o, e poi $i rimangano per alcun tempetto, pa$$ato il quale dieno un’ altro impul$o, e $i rimangan di nuovo; parmi un’ immaginazio- ne $trana, e tutta capriccio$a, e degna p<007>ù to$to dell’ ingegno di un poeta, che della $erietà di un filo$o$o. Io non ho detto, ripre$i io allora, che le potenze, come la gravità, l’ela$ticità, e le altre agi$cano veramente con quegl’ intervalli, ne che $i frappongano all’ azion loro infinite ce$$azioni e dimore. Ho ben detto, che potrebbono le poten- ze agire di que$to modo, e $to anche attendendo, che mi $i mo$tri, quale incomodo veni$$e alla na- tura per quegl’ <007>nfiniti ripo$i. Che bi$ogno ha la natura, di$$e allora il Signor D. Serao, di ripo$ar$i di tanto in tanto? Che bi$ogno ha, ri$po$i io, di affaticar$i continvamente $enza prendere ripo$o mai? Che $e noi vorremo $eguire l’ op<007>nione di quel filo$ofo, che dicevate que$ta mattina, il qual $i $tudia di dare alla natura il men d<007> azione che può, LIBRO II. io non $o, come po$$an negar$i alle potenze quel- le brevi$$ime ce$$azioni, ch’ io vorrei loro conce- dere. E voi vedete, che il Signor D. Niccola, $e- guendo l’ingegno$i$$imo Bernulli, $e non ha frap- po$to alcun intervallo alla pre$$ion degli ela$tri, che egli ha con$iderata come perfettamente contin- va, ne ha però frappo$to alla diminuzione; vo- lendo, che la pre$$ione da N fino in _r_ $i abbia $em- pre per eguale, e $olo $i $minui$ca un poco in _r_, e così $minuita torni di nuovo ad e$$ere $empre eguale fino in _s_: il che è frapporre degl’ intervalli, $e non alla pre$$ione, certo allo $minuimento. Sì, ri$po$e il Signor D. Serao; ma que$ti intervalli non $on già veri e reali, come i vo$tri_;_ volendo il Signor D. Niccola, che la pre$$ione non $ia già perfettamente eguale in tutto lo $pazietto N_r_, ma bensì che po$$a prender$i come eguale_;_ percioc- chè lo $minuimento, che $i fa di e$$a in tutto quello $pazio, è tanto picciolo, che può nelle comuni mi- $ure e con la mente tra$curar$i. Che mal $arebbe, ri$po$i io, $e la natura ave$se tra$curato ciò, che egli tra$cura con la mente? e che a$$urdo ne ver- rebbe, $e fo$$er veri e reali quegl’ intervalli, che noi po$$iam fingere $enza a$$urdo? Ma che giova a noi fermarci in co$a lieve, e che poco $erve a in- tender la forza del ragionamento del Signor D. Ni- cola; il qual ragionamento io $to avidamente a$- pettando, come egli $el voglia finire. Il ragiona- mento è già finito, di$$e il Signor D. Niccola; ne io veggo, che co$a voi vi a$pettiate. 10 a$petto, DELLA FORZA DE’ CORPI di$$i, che voi mi dimo$triate, come per le co$e, che avete dette, non debba ba$tar negli ela$tri la potenza producitrice del movimento, e nei globi l’ inerzia; ma debba aggiungervi$i la forza viva di Leibnizio. Perchè $e voi non dimo$trate que$to, io potrò, concedendovi tutto quello, che avete detto, aver vinta la cau$a. 10 non credeva, ri$po- $e il Signor D. Nicola, che voi a$petta$te da me una dimo$trazion così facile; ma poichè pur vo- lete, et io vedrò di $atisfarvi. Quattro $ono le potenze, o vero gli ela$tri, che compongono, co- me vedete, la $er<007>e EN; la $erie AC è compo$ta di uno $olo; $e dunque gli effetti debbono e$$ere proporzionali alle cagion loro, bi$ognerà ben dire, che la $erie EN debba produrre un’ effetto quadru- plo di quello, che produce la $erie AC. Ora la velocità del globo N non è quadrupla della velo- cità del globo C, avendo io dimo$trato, che ella è doppia_;_ ne $egue dunque, che le velocità dei glo- bi non po$$ano e$$er gli effetti delle due $erie. Qua- li dunque $aran gli effetti, $e non due forze pro- dotte ne’ globi N e C, la prima delle quali $ia quadrupla dell’ altra; cioè la prima $ia 4, l’ altra 1? Che $e la forza del globo N è 4, e$$endo la velocità 2, e la forza del globo C è 1, e$$endo la velocità $imilmente 1, ben vedete che tali for- ze $aranno appunto proporzionali ai quadrati del- le velocità, e $aran per con$eguente quelle $te$$e, che già propo$e con tanta pompa Leibnizio, $o- $tenute poi dal $ottili$$imo Bernulli con pompa LIBRO II. non minore. Ecco finito, ciò che tanto de$idera- vate, il mio ragionamento; nel quale io non ho voluto altro, che e$porvi una famo$a dimo$trazio- ne, la qual tanto piacque a Bernulli, che non du- bitò di anteporla qua$i a tutte l’ altre; et a voi for$e $arebbe maggiormente piaciuta, $e io ave$- $i potuto abbellirla di quel leggiadro calcolo, di cui egli la ornò; ma vi ba$ti averne inte$a la forza. A me $arebbe piaciuto il calcolo, di$$e allora la Signora Principe$$a; ma più m’ è piaciuto il non averne bi$ogno. Indi a me rivolta, a voi $ta, di$$e, di combattere ora la dimo$trazione del Signor D. Niccola_;_ il che voglio, che facciate con tutto lo sforzo, perchè a dirvi la verità, io comincio già ad e$$erne qua$i pre$a. Signora, ri$- po$i, voi mi invitate a combattere, e nello $te$- $o tempo mi levate il coraggio. E non ba$tava, che io ave$$i da vincere l’autorità d’un così grand’ uomo, come Bernulli è che voi volete aggiun- gervi ancor la vo$tra? Mi $paventerebbe anche l’ autorità del no$tro Signor D. Nicola, $e io cre- de$$i, che egli fo$$e così per$ua$o della $ua dimo- $trazione, come ha voluto farci creder, ch’ e’ $ia. Ma io credo, che egli ne $ia per$ua$o a$$ai poco_;_ ne po$$o immaginarmi, che egli voglia conten- dere con un $uo fratello tanto caro, il quale $tampò già quel belli$$imo libro $opra la forza vi- va, e $o$tenne quella opinione, che $o$tengo io, benchè $otto altri termini, e d’ altra maniera. Non rinoviamo, di$$e allora il Signor D. Nicco- DELLA FORZA DE’ CORPI la, la memoria fune$ta di una morte, che troppo mi fù amara. E fù amara anche a me, ri$po$i io allora; e credo, che fo$se a tutta Italia_;_ perchè io veramente perdetti un grande amico, e l’ Ita- lia una gran $peranza. Allora la Signora Princi- pe$sa, a me pur, di$se, fù doloro$a oltremodo la morte di quel giovane_;_ ma non vorrei, che voi con $i pieto$e rimembranze, o di$torna$te il di- $cor$o, o procura$te di guadagnar l’ animo del Signor D. Niccola, e lo rende$te più lento a re- $i$tervi. Signora, di$se il Signor D. Niccola, io ho poco da re$i$tere, perchè la dimo$trazione, di cui $i tratta, non è mia, ma di Bernulli; pure do- ve mi parrà di poter $o$tenerla, io non ricu$o di farlo. Allora io incominciai: Due co$e princi- palmente vogliono dimo$trar$i in cote$to argomen- to di Bernulli. L’ una $i è, che la velocità del globo N, giunto in _r_, $ia doppia della velocità del globo C, giunto in _m_. L’ altra, che, e$sen- do doppia, debba per ciò introdurvi$i la forza vi- va. Non $on que$te quelle due co$e, intorno a cui volge$i tutto l’ argomento? Così è, di$se il Signor D. Niccola. Or que$te, $oggiun$i io, $on quelle appunto, che io dico, non e$sere ancora abba$tanza dimo$trate. E qui rivoltomi alla Si- gnora Principe$sa, vedete, di$$i, che io non fo lungo giro. E$porrò in primo luogo quello, che io de$idero nella dimo$trazione della prima del- le due $opraddette co$e; poi verrò all’ altra, $e vi piacerà. Mi piacerà grandemente, di$se allora LIBRO II. la Signora Principe$$a, di udire e dell’ una, e dell’ altra. Et io $ubito ripigliai a que$to modo: Se io ho bene inte$o, non per altra ragione ci di- mo$tra il Signor D. Niccola, che la velocità del globo N giunto in _r_ $ia doppia della velocità del- globo C giunto in _m_, $e non perchè egli vuole con$iderar que$ti globi, come due corpi gravi ca- denti, l’ uno da N in _r_, l’ altro da C in _m_, et applicar loro le leggi noti$$ime della comune gra- vità, la$ciateci da Galileo. Ma chi non $a, che que$te leggi voglion $upporre, et hanno per lor precipuo fondamento, che i corpi, le cui cadu- te vogliono paragonar$i, partano tutti dalla quie- te con la mede$ima velocità? la qual $uppo$izio- ne $e noi leveremo via, $aran levate ancor quel- le leggi; ne più $i troveranno gli $pazj proporzio- nali ai quadrati ne delle velocità ne dei tempi. A far dunque valere le leggi della gravità ne’ due globi N, e C, par, che dove$$e dimo$trar$i in pri- mo luogo, che e$$i globi parti$$ero dalla quiete, cioè dai punti N e C con la $te$$a velocità amen- due. La qual co$a non avendo il Signor D. Ni- cola dimo$trata, ne quello pure ha dimo$trato che $i volea; e quanto a me io ne dubiterò, finchè egli la dimo$tri. 10 non l’ ho dimo$trata, di$$e il Signor D. Niccola, perchè non la dimo$tra ne Bernulli pure, la ragion del quale ho io voluto e$- porvi, e non altro. 10 dunque, ri$po$i, ne dubiterò, finchè me la dimo$tri Bernulli. Ri$po$e allora $or- ridendo il Signor D. Niccola: Bernulli non l’ ha DELLA FORZA DE’ CORPI dimo$trata, perchè non ha creduto, che ne fo$- $e bi$ogno. Di fatti come potrebbono non e$$e- re eguali le velocità, con cui $i partono i globi dai punti N e C, e$$endo eguali gl’ impul$i, che quivi ricevono l’ uno dalla $erie EN, l’ altro dal- la $erie AC? E que$to è quello, ri$po$i io, che pur bi$ognerebbe dimo$trare, cioè, che quel pri- mo impul$o, con cui la $erie EN aprendo$i cac- cia il globo dal punto N, $ia eguale a quel pri- mo impul$o, con cui l’ altra $erie AC, pure a- prendo$i, caccia l’ altro globo dal punto C. Oh, di$$e allora il Signor D. Niccola, non è egli chia- ro, che le due $erie prima di aprir$i, quando $ta- vano ferme, e chiu$e, premeano i globi egual- mente, $pingendoli cia$cuna di loro con eguali impul$i? levata dunque quella potenza, che le te- nea chiu$e, e ferme, fuggiranno via i globi cac- ciati da impul$i eguali, e così comincieranno a correre con eguali velocità. A dir vero, ri$po$i io allora, que$ta dimo$trazione io non a$pettava, e parmi, che a$$ai ben facciano quelli, che la pa$- $ano in $ilenzio, troppo e$$endo facile il ri$pon- derle. Perchè io veramente concedo, che le due $erie prima di aprir$i, e$$endo chiu$e, e ferme, $pingono i globi con eguali impul$i; ma vorrei, che mi $i dimo$tra$$e, che gli $pingano con egua- li impul$i eziandio nell’ aprir$i_;_ perciocchè i glo- bi fuggon via, e metton$i in cammino, non per quegl’ impul$i, che ebbero prima, che le $erie $i apri$$ero, ma per quelli, che hanno, mentre $i a- LIBRO II. prono. Per qual ragione, di$$e allora il Signor D. Niccola, dovranno gl’impul$i, che, e$$endo chiu- $e le $erie, erano eguali, divenir di$eguali, mentre $i aprono? Pareva in que$ta conte$a, che il Signor Marche$e di Campo Hermo$o $i inclina$$e alla mia opinione, e udita la domanda ultima del Signor D. Nicola ave$$e pur voglia di ri$pondergli. Perchè io a lui rivolto il pregai di voler dire; et egli mo- de$tamente, $econdo il co$tume $uo, a me par, di$- $e, che e$$endo chiu$e le $erie, e tenute ferme da quelle potenze, che tengono fermi i globi, gli ela- $tri di cia$cuna $i $o$tengan l’ un l’ altro, ne agi$ca contra il globo $e non un’ ela$tro $olo, che è quel primo, che tocca il globo $te$$o. E quindi è, che qualunque $ia il numero degli ela$tri, onde l’una, o l’ altra $erie $i compone, finchè e$$e $i $tanno chiu$e, $pingono amendue i globi egualmente. Ma $e $i aprono, allora gli ela$tri più non $i $o$tengon l’ un l’ altro, ma $corrono tutti dalla parte del globo, e tutti lo $pingono; e quindi è, che nell’ aprir$i più $pingerà quella $erie, che $arà compo$ta di più ela$tri; e $e una $arà compo$ta di un ela$tro $olo, et un’ altra di quattro, dovrà que$ta nell’ a- prir$i dare al globo un’ impul$o quattro volte mag- giore di quella, quantunque prima di aprir$i $pin- ge$$ero amendue egualmente. E poichè v’ è pia- ciuto di chiamarmi in una controver$ia così $otti- le, benchè le mie ragioni non po$$ano aggiunger niun pe$o alle vo$tre, pur ne dirò una, che mi va ora per l’ animo, ed è que$ta. Secondo che voi DELLA FORZA DE’ CORPI mi avete que$ta mattina in$egnato, gli ela$tri, di cui ragioniamo, e che il grandi$$imo Bernulli pro- po$e, non $ono ne materiali, ne corporei; in $om- ma non $ono ela$tri; ma $ono pre$$ioni, le quali noi chiamiamo ela$tri; e que$te pre$$ioni non aven- do alcun altro $oggetto, in cui $u$$i$tano, dee in- tender$i, che $ieno immediatamente applicate al glo- bo $te$$o. Or dunque dicendo$i, che nell’ aprir$i la $erie EN, $i $cagliano quattro ela$tri ver$o il globo N, dovremo intendere, che quattro pre$- $ioni immediatamente a$$ali$cano il gobo N, e$$en- do il globo C a$salito da una $ola; onde pur $egue, che quadruplo debba e$$er l’ impul$o del globo N; e quadrupla altresì la velocità. Ma la$ciamo $tar que$to; che poco monta. Ben mi pare, che $e i due globi partono dalla quiete con due velocità di$e- guali, l’ una quadrupla dell’ altra; a voler con$ide- rargli, come mo$$i da alcun genere di gravità, bi- $ogni dire, che abbiano due gravità diver$e, l’ una quadrupla dell’ altra. Onde $egue ($econdo che di- cevamo que$ta mattina ) che e$sendo lo $pazio N_r_ quadruplo dello $pazio C_m_, debba il globo N, avere in _r_, velocità quadrupla di quella, che avrà il globo C in _m_; non dunque doppia, come vogliono i Ber- nulliani; i quali molto mi meraviglio, che non abbian curato di dimo$trare co$a tanto nece$$aria, cioè che i globi N, e C partano dalla quiete con la mede$ima velocità. Vedete, di$$i io allora, $e era co$a nece$$aria. Il valoro$i$$imo Eraclito Man- fredi, del quale avrete udito dire a$$ai volte, me- LIBRO II. dico, fra quanti ne ha Italia, chiaro et illu$tre, e@ oltre a ciò geometra molto de$tro, e degno de i due famo$i fratelli Eu$tachio, e Gabriello, pre$e, alquan- ti anni $ono, nell’ Accademia di Bologna a con$i- derare quella dimo$trazione, che $otto un’ elegan- te calcolo e$po$e Bernulli, e poco fa ci ha e$po$ta il Signor D. Niccola $enza calcolo. Aveva Bernul- li in quella $ua artificio$a $upputazione chiamato _p_ quella pre$$ione, con la quale aprendo$i una $erie urta un globo; e chiamando altresì _p_ la pre$$ione, con cui $piegando$i un’ altra $erie urta un’ altro globo, aveva dimo$trato con ciò, che egli avea per egualiamendue quelle pre$$ioni, quan- tunque le $erie da lui propo$te fo$$ero di$eguali. E di qui cominciando, avea poi te$$uto certo calco- lo, che $econdo l’intendimento $uo, non $enza offe$a de Carte$iani, lo conduceva all’ opinion di Leibnizio. Il Manfredi $eguendo le i$te$$e orme, non mutò altro, $e non che l’ una delle dette pre$$ioni chiamò _p_, l’ altra _np_, mo$trando con ciò di non a- verle per eguali, ma bensì per proporzionali alle $erie $te$$e; e con que$to $olo fra$tornò tutto quel calcolo di maniera, che di$togliendolo dall’ opinion di Leibnizio gli acqui$tò l’ amicizia e la grazia de Carte$iani. Il che pur fece qua$i allo $te$$o tempo il Padre Negri Barnabita matematico a$$ai illu$tre in Milano. Tanto era nece$sario a Bernulliani il dimo$trar l’ uguaglianza di que’ due primi impul- $i, con cui le $erie cacciano i globi nel loro aprir- $i. E di vero tolta una tale uguaglianza, io sfido DELLA FORZA DE’ CORPI qual$i$ia uomo del mondo a dimo$trarmi, che la velocità del globo N giunto in _r_ debba e$ser dop- pia della velocità del globo C giunto in _m_. Voi fate, di$se il Signor D. Niccola, come quello, che involò le arme al compagno, e poi sfidollo a combattimento_;_ così voi avete involata a Bernul- liani l’ uguaglianza dei due primi impul$i, e poi gli chiamate a dimo$trar ciò, che $enza quella di- mo$trare non $i potrebbe. Se tale uguaglianza, ri$- po$i, era loro così nece$saria, perchè dunque non affidarla a qualche dimo$trazione, onde non pote$- $e e$sere involata $i facilmente? Ma ( vedete $e io $on litigio$o ) voglio concedere, e concedo l’ ugua- glianza de’ primi impul$i: mi $i dimo$trerà egli per ciò, che la velocità del globo N, giunto in _r_, debba e$$er doppia della velocità del globo C, giunto in _m_? io nol credo già. Voi mi parete, di$$e allora il Signor D. Niccola, egualmente li- tigio$o, e concedendo, e negando. Ma ditemi_;_ non è egli vero, che le pre$$ioni delle due $erie $e- guon $empre ad’ e$$er le mede$ime, l’ una da N fino in _r_, l’ altra da C fino in _m_? Così è veramente, ri$- po$i, e$$endo li $pazietti N_r_, C_m_ infinite$imi. E $e è così, ripigliò il Signor D. Nicola, dovranno i globi $correre li $pazietti N_r_, C_m_, come $e fo$$ero tratti amendue dalla comune gravità giacchè voi ora pur concedete, le prime velocità, con cui $i partono dalla quiete, e$$ere eguali tra loro; e$- $endo eguali i primi impul$i. Dunque o$$erveran- no le leggi della comune gravità. Dunque la ve- LIBRO II. locità del globo N giunto in _r_, dovrà e$$er dop- pia della velocità del globo C giunto in _m_, e$$en- do N_r_ quadruplo di C_m_. E que$to è quello, ri$- po$i, che bi$ognerebbe dimo$trare. E non vi par egli dimo$trato? di$$e il Signor D. Niccola. Et io ri$po$i: io concedo, che la gravità in$egui$ce i cor- pi, allorchè cadono, con una pre$$ione continva, e $empre eguale; e concedo altresì, che l’ ela$ti- cità delle due $erie in$egui$ce i globi per li $pa- zietti N_r_, C_m_ con una pre$$ione, continua e$$æ pure, e $empre eguale. Ma da ciò che ne viene@ Ne vien, di$$e il Signor D. Niccola, che la ela$ti- cità delle $erie, $pingendo i globi, o$$erverà quelle $te$$e leggi, che o$$erva la gravità; e così i glo- bi, $correndo gli $pazj N_r_, C_m_, avranno le velocità proporz<007>onali ai tempi, e $correranno $pa- zj proporzionali ai quadrati delle velocità, e $a- rà la velocità dell’ uno, giunto in _r_, doppia del- la velocità dell’ altro giunto in _m_. Ne di ciò po- tete voi dubitare, $e già non volete prender lite con tutti i filo$ofi. Non temerei, ri$po$i, di pren- der lite con tutti, avendola pre$a con voi; ma $en- za lite, io dimando folamente, fe la gravità o$$er- vi quelle leggi, che avete detto, per que$ta ragio- ne, perchè adopra ne corpi una pre$$ione contin- va $empre et eguale, o per altra ragione, qual che ella $ia$i. Che monta a voi, di$se il Signor D. Niccola, di $apere, per qual ragione la gravità o$servi quelle tali leggi? $e pur le o$serva, non è da cercare altro. 10 cerco, di$$i, la ragion di o$- DELLA FORZA DE’ CORPI $ervarle, ne credo di aver torto; perchè $e la gra- vità o$serva quelle $ue leggi per que$ta ragione, che adopra ne corpi una pre$$ione continva $em- pre, et eguale, ne viene, che ogni altra potenza, la quale $imilmente adopti una pre$$ione contin- va $empre et eguale, dovrà o$servare le i$te$se leggi; ma $e la gravità le o$serva, non per quel- la ragione, ma per qualche altra, che noi for$e non $appiamo, potrà certamente dubitar$i, che al- cun’ altra potenza, quantunque adopri una pre$- $ion continva, et eguale, non però o$$ervi quelle mede$ime leggi. Benchè dunque l’ ela$ticità delle $erie $pinga i globi per li $pazietti N_r_, C_m_ con una pre$$ion continva et eguale, il che io vicon- cedo, non è perciò dimo$trato, che ella debba $e- guire le leggi della gravità; perchè la gravità i$te$- $a le $egue non for$e per la continvazione, et u- guaglianza della pre$$ion $ua, ma per altro. Qui il Signor D. Serao, che fino ad ora s’ era taciuto, voi, di$se, $iete il più eccellente uomo del mondo a dubitare; ne credo, che Socrate, il qual dice$i e$sere $tato tanto valoro$o in que$t’ arte, vi avan- za$se. Ma per qual’ altra ragione volete voi, che la gravità $egua quelle $ue leggi, $e non per e$ser continva et eguale la $ua pre$$ione? A me par cer- to, di$se quivi la Signora Principe$sa, che $e nel corpo, che cade, la velocità è $empre proporzio- nale al tempo (la qual può dir$i la prima e prin- cipal legge della gravità) ciò debba $eguire, per- chè e$sendo la pre$$ione $empre eguale, tanto più LIBRO II. di velocità dee produrre, quanto più tempo ella du- ra; onde egli $i par bene, che que$ta legge na$ca non d’ altro che dalla continvazione della $te$$a pre$- $ione nel tempo. Non vi d<007>$piacerà, o Signora, d<007>$$i io quivi, che io vi contradica; perchè io cre- do, che voi per que$to appunto abbiate propo$ta una tal ragione. Qui $orridendo la Signora Prin- cipe$$a, pur, di$se, che r<007>$pondete? 10, di$$i, non ri$pondo altro; $e non che domando, $e la pre$- $ione della gravità, $iccome è continva e $empre e- guale per tutto il tempo della caduta, così pari- mente $ia continva et eguale per tutto lo $pazio. Perchè domandate voi que$to? di$$e la Signora Principe$$a. Perchè, ri$po$i, $e l’ azione ovvero pre$$ione della gravità è continva e $empre egua- le per tutto lo $pazio, e però non produce una velocità proporzionale allo $pazio; perchè non po- trebbe ella e$$er $imilmente continva et eguale per tutto il tempo, e non produr tuttavia una velo- cità proporzionale al tempo? E $e la produce pro- porzionale al tempo, bi$ogna ben dite, che il fac- cia non per quella continvazion $empre eguale, ma per altra ragione, che non $appiamo. Voi dunque, di$$e allora la Signora Principe$$a, volete rigettare una ragione, che tutti ab- bracciano, per $eguirne un’ altra, che voi $te$$o dite di non $apere! Ma come è que$to, che l’ azion della gravità, e$sendo $empre eguale in $e $te$sa, non debba $timar$i tanto maggiore, quanto più lungo è il tempo, per cui dura? I più veramente, DELLA FORZA DE’ CORPI ri$po$i io, così la $timano; ma $e io vole$$i ora la- $ciarmi vincere dall’ autorità, mi la$cierei vineere dalla vo$tra; e così $arebbe trà noi finita ogni di$- puta. Sappiate però, che il Padre Riccati, che voi avete già cominciato a $timar tanto, e più ancora lo $timerete, come avrete letto il $uo libro, mi- $ura l’ azione della gravità non dal tempo ma dal- lo $pazio; benchè poi voglia, che non la veloci- tà $i produca da quella azione, ma una certa $ua forza viva. Tanto è vero, che quantunque l’ azio- ne della gravità $ia continva et eguale nel tempo, non per que$to però $i dimo$tra, che debba ne el- la ne l’ effetto $uo m<007>$urar$i dal témpo $te$so. Voi dunque, di$se allora la Signora Principe$sa, $e al- cuno vi prega$se di dimo$trargli, che la velocità ne i gravi debba e$sere proporzionale al tempo, non $apre$te, come farlo. 10 il $aprei sì, ri$po$i, $e voi non ave$te dato ordine a que$ti Signori di contradirmi; perchè io direi, che la pre$$ione del- la gravità $i compone di in$inite pre$$ioni i$tanta- nee, tutte tra loro eguali, e tutte trà loro di$giun- te per intervalli e tempett<007> eguali; e $piegata così la gravità, $i vedrebbe chiaro, che tanto maggio- re debba e$$ere l’ azion $ua, e per con$eguente an- che la velocità, che per lei $i produce, quanto è maggiore il numero delle pre$$ioni i$tantanee, cioè quanto è maggiore il numero degl’ intervalli, che è lo $te$$o che dire, quanto è più lungo il tempo. Ma que$ti Signori non vogliono ne le pre$$ioni i$tantanee, ne gl’ intervalli. Ed ecco il frutto dell’ LIBRO II. aver voi voluto, che mi contradicano; che e$$i per $ervirvi $i hanno po$to nell’ animo di contra- dirmi in ogni co$a. Allora la Signora Principe$- $a ridendo, $e io, di$$e, ho voluto, che e$$i vi contradicano, ho anche voluto, che voi vi difen- diate; ma $e voi non volete valervi di quei vo$tri intervalli, voi la$ciate $enza dimo$trazione le leggi della gravità, delle quali per ciò dovrà ognuno po- ter dubitare. No Signora, ri$po$i; perchè $enza i miei intervalli, e $enza niuna altra dimo$trazione, le ha dimo$trate abba$tanza l’ e$perienza; la quale $e come le ha dimo$trate nella gravità, così le ave$se dimo$trate anche nella ela$ticità, io non dubiterei di ammetterle e nell’ una e nell’ altra; ma avendole l’ e$perienza dimo$trate in quella, e non in que$ta, io credo di potere ammetterle in quella, $enza e$sere per ciò obbl<007>gato di ammetter- le anche in que$ta. Voi dunque, di$$e allora il Si- gnor D. Serao, non confidate niente alla analo- gia. Che dite voi di analogia? ri$po$i io. Ed egli, parmi, di$$e, che $e l’ ela$ticità delle due $erie EN, AC è pur $imile alla gravità in que$to, che $pin- gendo i globi per gli $pazj N_r_, C_m_, adopra in e$$i una pre$$ione eguale e continva, le debba an- che per una certa analogia e$$er $imile in tutto il re$tante, e così o$$ervare le i$te$$e leggi. 10 $to a vedere, che voi vorrete mettere in dubio anche il princip<007>o della analogia, di cui oggi tutti $i $er- vono, e l’ hanno qua$i per lo primo e principal fondamento della fi$ica; così che ormai $arebbe DELLA FORZA DE’ CORPI vergogna il dubitarne. Io m’ accorgo, ri$po$i, che voi avete paura, che io ne dubiti; e con ciò di- mo$trate di dubitarne un poco anche voi; ma a dirvi il vero io credo, che que$ta analogia ( che così la chiamano con nome greco, ne $o quanto bene ) $ia un luogo pericolo$i$$imo, da cui $i trag- gono argomenti talvolta di qualche pe$o, $pe$$i$$i- mo di niuno. Perciocchè ella è po$ta non in altro, che in una certa $imilitudine, che alcuni voglion $upporre, che $ia in tutte le co$e tanto grande, quanto mai e$$er può. E così cono$ciutone due, che $ieno $imili alcun poco, facilmente $i induco- no a credere, che debbano e$$er $imili in tutto; e tutte le proprietà, che trovano in una, non han- no di$$icoltà di attribuirle anche all’ altra. Il che oggimai è tanto innanzi proceduto, che molti han- no creduto dover e$$er degli uomini nella luna, $o- lo perchè e$sendo la luna $imile alla terra, inquanto ha delle montagne, pen$ano, che debba e$serle $imile in ogni altra co$a. Al quale argomento $e noi vo- le$$imo tener dietro, bi$ognerebbe mettere nella luna ancor le ma$chere e i teatri. Sapete, quante novelle, valendo$i della analogia, per$ua$e già il leg- giadro france$e a quella $ua giovinetta. Per quel ch’ io veggo, di$se allora il Signor D. Serao, voi $iete un gran nemico della analogia. Ma pur par- mi, che la $imilitudine, in cui e$sa è fondata, mol- to $i convenga alla natura. E perchè, ri$po$i, non le converrebbe altrettanto la varietà? Perchè, di$- $e il Signor D. Serao, le co$e $ono più belle ridu- LIBRO II. cendo$i a una certa $imilitudine, e qua$i a una for- ma $ola. Et a me, di$$i, pajon più belle per quel- le tante, e così varie forme, che hanno. Ma ben m’ accorgo, che voi volete farmi di$ubbidire alla Signora Principe$sa, traendomi così a poco a po- co nel di$cor$o della $emplicità, della quale l’ ana- logia è come una con$eguenza. Io dunque per non commettere così grave colpa, dirò della analogia brevemente, $enza toccare il principio della $em- plicità, e $ol quanto ba$ta per ri$pondere all’ ar- gomento da voi propo$to. Io dico dunque, che argomentando dall’ analogia, $i argomenta a$sai bene e con qualcheprobabilità, $econo$cendo noi, due co$e e$$er $imili in molti$$ime proprietà, così che pajano d’ un’ i$te$sa $pezie, concludiamo, do- vere e$ser $imili anche in una proprietà, che $ap- piamo convenire all’ una, et è qui$tione, $e conven- ga anche all’ altra; e così da molte proprietà argo- mentiamo di una. L’ argomento però $arebbe a$sai debole, $e da una vole$$imo argomentar di molte. E per venire al propo$ito io non $o in verità, con quanta $icurezza conchiuder $i po$sa, che due po- tenze e$sendo $imili in que$ta $ola proprietà di e- $ercitar amendue una pre$$ione continva et eguale, debban per ciò e$ser $imili in tutte; e perchè l’una produce le velocità proporzionate ai tempi, così debba far’ anche l’ altra. Senza che dalla analo- gia può na$cere probabilità alcuna, non può mai na$cere alcuna evidenza. Voi $iete, di$se allora il Signor D. Serao, un logico troppo fa$tidiofo; DELLA FORZA DE’ CORPI e certo che dalla analogia non na$con mai dimo- $trazioni così evidenti, come quelle dei geome- tri $ono; ma ben $e ne cavano argomenti tanto probabili, che di pochi$$imo cedono all’ eviden- za. E que$ti argomenti, ri$po$i io, $ono quelli, che $i deducono da un numero qua$i immen$o di pro- prietà, non quelli, che $i deducono da una proprietà $ola, come è il vo$tro; nel quale perchè la gravità e l’ela$ticità $i credono avere una proprietà comune, volete argomentare per analogia, che le abbiano tutte. Ma come potrebbe argomentar$i altrimen- ti, di$$e il Signor D. Serao, $e l’ o$$ervazione non ci ha fatto cono$cere in loro $e non una $ola pro- prietà comune ad amendue, che è quella di e$er- citare una pre$$ione eguale e continva? Non sò, ri$- po$i, $e l’ o$$ervazione ci abbia fatto cono$cere ne pur que$ta. Ma quando bene ciò fo$$e, non do- vrebbe però da una $ola proprietà argomentar$i di tutte l’ altre; e dovrebbe in tal ca$o il filofofo a- $tener$i più to$to da ogni argomentazione, che far- ne una con tanto pericolo. Pure non $arebbe egli meglio, di$$e allora il Signor D. Serao, avendo noi o$$ervate le leggi della gravità, comporre $e- condo le i$te$$e leggi ancor le altre potenze; e co- sì indurre nella natura quella bella conformità, che rende tutte le co$e più chiare, e più comode, e più $emplici? Di que$to, di$$i, abbiam parlato abba$tanza que$ta mattina. Ma voi fare$te meglio ad e$porci quel vo$tro argomento, che avete detto voler dedurre da una $erie $ola di ela$tri; che an- LIBRO II. darmi tentando a di$ubbidire alla Signora Princi- pe$$a; la qual dovrebbe doppiamente ca$tigarvi, e per quella di$ubbidienza, che avete fatta voi, en- trando nel di$cor$o della $emplicità, e per quella, che volevate, che io face$$i. Allora la Signora Principe$$a, egli, di$$e, vi ha tentato non per farvi di$ubbidire, ma perchè, re$i$tendo voi alla tenta- zione, dimo$tra$te meglio la vo$tra obbedienza; il che avendo voi fatto, io debbo lodar voi, e rin- graziar lui. Vegga però il Signor D. Serao, diffi io allora, di non tentarmi più fpe$$o. E $e egli il farà, di$$e la Signora Principe$$a, voi mo$trerete la virtù vo$tra più $pe$$o. Ne io voglio però libe- rarvi da un pe$o, che voi $te$$o vi avete impo$to, e a cui pare, che vogliate ora $ottrarvi. Qual’ è? di$$i. Voi, di$$e la Signora Principe$$a, avete pro- po$to due co$e; l’ una è, che la velocità del globo N giunto in _r_ non $i dimo$tri e$$er doppia della velocità del globo C giunto in _m_; l’ altra è, che quand’ anche fo$$e doppia, pur non $i dimo$trereb- be, che oltre la potenza producitrice del movi- mento dove$$e intervenirvi la forza viva di Lei- bnizio; delle quali due co$e voi avete dichiarato la prima, re$ta che dichiariate la $econda. Come a- vrete ciò fatto, il Signor D. Serao e$porrà l’ ar- gomento, che voi domandate. Vedete, di$$i io al- lora, $e io $ono bel parlatore, che di due $ole co- $e, che io aveva propo$te, una già m’ era caduta di mente. Faccendo$i cotali ragionamenti, erano già, $enza che noi ce ne accorge$$imo, alquanto DELLA FORZA DE’ CORPI cre$ciuti il vento, e il mare; perchè il governator della nave fece chiedere alla Signora Principe$$a $e vole$se andar più avanti; et ella a me rivolta mi domandò, $e quel cammino mi de$se mole$tia; et avendo io rilpo$to, che anzi grandi$$imamente mi dilettava, diede ordine al governatore, che andaf $e oltre $eguendo il vento, e così di$pen$a$se tutto quel giro, che la $era pote$$imo e$sere a Pozzuo- lo. E già na$co$toci$i qua$i del tutto il vago a$petto di Napoli, cominciavano a coprir$i le umili, e di- letto$e rive di Baja, ne più vedevan$i $e non da lungi le verdeggianti cime del $empre lieto Pau$i- lipo, e della ridente Mergillina. Quando io, a- vendo un poco vagheggiato con gliocchi l’ immen- $o $pazio del mare, che ormai da tutte le parti vieppiù allargava$i, rivolto a compagni, eccomi, di$$i, di$po$to a pagar quel debito, che m’ era u$ci- to della mente; di che mi $pedirò $ubito, come buon pagatore, e con poche parole. Io voglio dunque concedere ciò, che fino ad ora ho negato, che le $erie nel loro aprir$i premano i globiegual- mente; che $eguano a premerli egualmenteper tut- ti li $pazietti N_r_, C_m_; che gli facciano correre $econdo le leggi della gravità; e che $correndo l’ un d’ e$$i lo $pazio N_r_ qnadruplo, e mettendovi tem- po doppio, vi acqui$ti doppia velocità. Non può egli far$i tutto ciò per una pre$$ione producitrice della velocità $enza più? Imperocchè $e amendue le $erie premono i globi egualmente, quanto è fa- cile, che $eguitando l’ una a premere per tempo LIBRO II. doppio produca con la $ua pre$$ione doppia velo- cità? Che nece$$ità ha egli qui di quella forza viva di Leibnizio? La qual $e pote$$e dimo$trar$i dal mo- vimento dei due globi per li $pazietti N_r_, C_m_, po- teva all’ i$te$$o modo, anzi più comodamente, di- mo$trar$i dalla caduta di due gravi, l’ un de qua- li cade$$e per uno $pazio quadruplo dell’ altro; ne accadea far violenza all’ immaginativa, $tringen- dola a concepire ela$tri immateriali, et incorpo- rei, ne ricorrere a linee curve, ne metter mano a calcoli, ne a integrazioni. E poco vale il dire, che l’ effetto dee e$$ere proporzionale alla cau$a; e però e$$endo l’ una $erie quadrupla dell’ altra, dover u$cirne effetto non doppio ma quadruplo, e que$to e$$ere la forza viva. Imperocchè chi non $n, che qualor $i dice, l’effetto dover e$$ere pro- porzionale alla cau$a, non altro vuol$i intendere, $e non che dee e$$ere proporzionale all’ azione? che $e due cau$e e$erciteranno azioni eguali, do- vranno u$cirne eguali effetti, come che le cau$e $ieno di$eguali. Ora quantunque la $erie EN $ia quadrupla della AC, non dicono però i Bernulliani, che pre- mono amendue egualmente? Perchè dunque non do- vranno dalle eguali pre$$ioni u$cire eguali velocità? $e non che $eguendo la $erie EN a premere per dop- pio tempo, dovrà u$cirne velocirà doppia. Ma dirà alcuno: le $erie oltre il premere, che è veramen- te eguale in amendue, hanno anche un’ altra azio- ne, che è quadrupla nella $erie quadrupla. Et io ri$pondo, e dimando, che nece$$ità v’ abbia di ag- DELLA FORZA DE’ CORPI giungere que$ta nuova azione alla pre$$ione; e che mal $arebbe, $e noi dice$$imo, le due $erie non far’ altro che premere? Certo che e$$endo gli ela$tri, d<007> cui parliamo, incorporei e immateriali, non altra forma hanno, che di pure, e $emplici pre$$ioni, in cui niente altro può intender$i, $e non l’ atto i$te$$o del premere. Sebbene par, che talvolta dimenticando$i i Bernulliani di aver pro- po$to ela$tri immateriali, e’ tornino, $enza avve- der$ene, alla materia, dicendo, che debbon pure gli ela$tri comunicare, e trasfonder nei globi, e tra$mettere quella forza viva, che hanno; impe- rocchè quale aver ne po$$ono, $e ella mi$ura$i an- cor dalla ma$$a, ed e$$i, e$$endo immateriali, non han ma$$a niuna? E poi, che nece$$ità v’ ha egli di volere, che negl<007> ela$tri, oltre l’ atto del pre- mere, $ia ancora una cotal forza viva, che a nul- la $erve? Ma mettiamo ancora, che e$$endo quat- tro gli ela$tri, oltre il premer che fanno, debba- no avere un’ altra azion quadrupla, da cui na- $cer debba un effetto quadruplo, di$tinto dalla velocità. Chi però mi dimo$tra, che tale effetto e$$er debba una forza? Oh che altro $arebbe egli? di$$e allora il Signor D. Serao. Et io, perchè, di$$i, non potrebbe e$$ere qual$i$ia altra forma, o accidente, o qualità, la qual non produce$$e nul- la, e non producendo nulla, non mer<007>ta$$e pure il nome di forza? Eccovi, di$$e il Signor D. Se- rao, un’ effetto, che produr potrebbe. Egli è certo, che come il globo N è $tato $pinto per l’ LIBRO II. urto della $erie da N fino in O, $e egli con quel- la $te$$a velocità, che ha in O, torna$$e indietro, re$pignerebbe la $erie da O fino in N; e in que- $to perderebbe tutto il $uo movimento. Vedete dunque, che egl<007> e$$endo $pinto dalla $erie per lo $pazio NO, acqui$ta una virtù di re$pignerla per lo $te$$o $pazio, e chiuderla altrettanto, quanto $i aprì. E que$ta virtù è la forza viva, della qua- le $e mi chiedete gli effetti, uno può e$$erne il chiuder la $erie, e ridurla a quella $trettezza, in cui era prima. Voi dite vero, ri$po$i; ne io ne- go, che $e il globo, tornando indietro, compri- me la $erie da O fino in N, que$ta compre$$io- ne po$$a prender$i, $e voi volete, come un’ ef- fetto, immaginando nel globo una forza ad e$$o ri$pondente; in quell’ i$te$$a maniera, che e$sen- do un corpo caduto da una certa altezza, e po- tendo con quella velocità, che ha acqui$tata, $a- lir di nuovo alla altezza mede$ima, niente impe- di$ce, che tal $alita $i prenda, come un effetto, e $i immagini nel corpo una forza, che ad e$so ri$- ponda. E di tali forze, quante po$$iamo immagi- narcene a piacer no$tro! Noi però non quelle for- ze cerchiamo, che e$ser po$sono nella no$tra im- maginazione, ma quelle, che $ono nella natura; e con$iderando que$te $olamente, $iccome il corpo ri$ale a quella altezza, da cui cadde, non per una particolar forza, che produca il $alire, ma per un movimento, che egli ha, e che la gravità va in lui di$truggendo a poco a poco; così il no$tro globo, DELLA FORZA DE’ CORPI tornando da O in N, chiude la $erie, non per una particolar forza, che produca il chiudere, ma per quel movimento, che egl<007> ha, e che l’ela$ticità del- la $erie va in lui di$truggendo a poco a poco, ne ha finito di di$truggerlo, $e non come egli è giun- to in N. Onde $i vede, che $correndo il globo da N fino in O, l’ela$ticità della $erie produce in lui quel movimento, cui po$cia di$trugge, tornando egli da O fino in N; il che tutto può compier$i per una $ola potenza ora producitrice del movi- mento, et ora di$truggitrice. Per la qual co$a, quand’ anche per la $pinta degli ela$tri na$cer do- ve$$e nel globo N una qualità nuova, la qual fo$$e quattro volte maggiore di quella, che na$ce nel globo C, io non $aprei, quale effetto dove$$e at- tribuir$ele; e $e niuno effetto dee attribuir$ele, e s’ ella è pur nata per non far nulla, perchè la chia- meremo noi forza? L’ inerzia, di$$e quivi la Si- gnora Principe$$a, potrebbe e$$ere una forza viva di que$ta natura; tantochè pare che il Padre Ric- cati non abbia fatto male a con$tituire la forza vi- va nell’ inerz<007>a. Non $o però, ri$po$i io, $e il Pa- dre Riccati fo$$e per dire, che quattro ela$tri, pro- ducendo nel globo N velocità doppia, dove$$er produrvi inerzia quadrupla. Ma voi vi prendete gioco di me. Et io credo, che meglio $arebbe di udire quell’ altra difficoltà, che il Signor D. Serao ha prome$$o di e$porci, deducendola da una $erie $ola di ela$tri; e che io de$idero grandemente di intendere. Se voi dice$te, ripigliò allora il Signor LIBRO II. D. Serao, che quella non fo$$e e molto ingegno$a, e molto bella, e molto forte, fare$te ingiuria al chiari$$imo, e incomparabil Bernulli, che già la propo$e negli atti di Li$pia dell’ anno 1735; ne dubitò di anteporla, come argomento invitti$$imo, a tutte le ragioni, che addur $i pote$$ero per di- mo$trare la forza viva di Leibnizio. E’for$e quel- la, di$$i io, che egli addu$$e in un $uo $ottili$$imo ra- gionamento, nel qual pre$e a $piegare la vera no- zione della forza viva, e conchiu$e dover lei e$$e- re una cotal forza $o$tanziale? Quella appunto, di$- $e allora il Signor D. Serao; e pare, che voi l’ ab- biate preveduta; tante co$e avete ultimamente det- te, che pajono dette a po$ta per o$curarne la chiarezza e lo $plendore; il che però faccendo, e qua$i premunendovi, avete mo$trato di aver- ne qualche paura; ne io mi rimarrò di dirla, benchè voi abbiate così mal di$po$to gli animi di que$ti Signori ad a$coltarla. Avendo così detto il Signor D. Serao, et e$$endo$i ri$o alquanto, $og- giun$e: egli mi converrà, s’ io voglio e$$er chia- ro, aggiungere una terza figura a quelle due, che avete g<007>à per le mani; e tratto fuori calamajo, e penna di$egnò una figura, di cui to$to furono fatte più copie, acciocchè pote$$e cia$cuno aver- ne una dinanzi agli occhi. Il che come fù fatto, incominciò il Signor D. Serao, riguardando nel- la figura $te$$a, a dire: $ia AL una $erie compo- F. III. $ta di cinque ela$tri, i quali, per non perder tem- po a de$criverli, voglio, che $ieno quei mede$i- DELLA FORZA DE’ CORPI mi, onde $i compo$ero le due $erie, di cui s’ è fin ora parlato. Que$ta $erie AL $i appoggi dall’ una parte al globo A, dall’ altra al globo L, e $ia la ma$$a del globo A 4, la ma$$a del globo L 1; e $ieno amendue i globi da principio trattenuti per due potenze e$trin$eche così che $tando fermi et immobili, $tringan la $erie, e l’ obblighino a $tar- $i ferma et immobile e$$a pure AL. Stando le co- $e in que$ti termini, egli è chiaro, che la $erie premerà egualmente l’ uno, e l’ altro globo, non e$$endo ragion niuna, perchè più l’ uno premer debba che l’ altro. Che $e ad un tratto $i levino via le potenze, che abbiamo detto, aprendo$i ad un tempo et egualmente gli ela$tri tutti, $i allarghe- rà to$to la $erie dall’ una, e dall’ altra parte, $pin- gendo amendue i globi egualmente; ne ce$$erà di ciò fare infino a tanto, che $ia giunta alla $ua natu- ral larghezza. Donde facilmente può intender$i, che ricevendo $empre 1 due globi, durante la dila- tazion della $erie, eguali impul$i, avranno $empre egual movimento. Non andrò dietro alle altre proprietà tutte di que$ta $erie, che $ono v@ramen- te vaghe, e leggiadre; una $olo ne noterò, che cre- do e$$er nece$$aria al mio intendimento, ed è: La ma$$a del globo A, come abbiam detto di $opra, è quadrupla della ma$$a del globo L; e$- $endo dunque da pr<007>ncipio i globi di$tanti tra lo- ro per la linea AL, $e noi divideremo e$$a linea AL in alcun punto C per modo, che la parte CL $ia quadrupla della parte CA; verrà il centro co- LIBRO II. mune della gravità dei globi a cadere in e$$o pun- to C. E $i rimarrà poi $empre quivi, per quanto, allargando$i la $erie, $corrano via i globi, e la. di$tanza loro AL vada$i vieppiù accre$cendo; e$- $endo co$a noti$$ima tra i meccanici, che $e due corpi, $i fuggon l’ un altro per la $te$$a linea, a- vendo $empre l’un di loro tanta quantità di moto, quanta ne ha l’ altro, il centro comune della lor gravità $i riman $empre la dove era. E’dunque chia- ro che fuggendo$i i due globi A et L, e rimanen- do$i $empre il centro della gravità loro in C, do- vrà anche $empre la di$tanza CL rimaner quadru- pla della di$tanza CA. 10 non sò, $e io abbia detto con a$$ai chiarezza; pure il vorrei. Però $e alcun di voi ave$$e de$iderio di maggior lume, io il prego a dirlomi; dico de$iderio, perchè $o, che bi$ogno non ne avete. E$$endo$i qui taciuto il Signor D. Serao, e tacendo$i $imilmente gli altri, que$to $ilenzio, di$$e la Signora Principe$$a, a$- $ai vi dimo$tra, che non ne abbiamo ne bi$ogno ne de$iderio; così avete voi pienamente $oddisfat- to all’ uno et all’ altro. Però potete pro$eguire. Allora il Signor D. Serao ricominciò in tal gui$a: e$$endo per le co$e dette la di$tanza CL $empre quadrupla della di$tanza CA, egli è manife$to, che de i cinque ela$tri, che forman la $erie, ne dovranno $empre e$$er quattro $opra CL, $opra CA uno $olo; perciocchè non potrebbono di$- por$i altramente, dovendo e$$er tutti $empre e- gualmente aperti, e dilatati. Onde appari$ce chia- DELLA FORZA DE’ CORPI ramente dovere un certo punto della $erie rima- ner$i immobile, e que$to e$$ere il punto C, in cui è il centro $te$$o della gravità dei globi; e rima- nendo$i e$$o immobile, verrà la $erie tutta ad e$- $er $empre divi$a in due parti, l’ una delle qua- li $i $caglierà da C ver$o L, l’ altra da C ver$o A, quella quadrupla di que$ta. Le quali co$e $o- no chiari$$ime, $e io già, dicendole troppo $tret- tamente, non le ave$$i fatte o$cure. Qui parve, che il Signor D. Serao $i ferma$$e di nuovo. Al- lora il Signor Marche$e di Campo Hermo$o, mi par, di$se, che tutto abbiate e$po$to chiari$$ima- mente; $olo vorrei, che mi e$pone$te una co$a, che non avete detta. Qual è? di$se il Signor D. Serao. Voi, ri$po$e allora il Signor Marche$e, avete $uppo$ta una proporzion molto comoda, $upponendo il globo A quadruplo del globo L; perchè così il centro di gravità C $i trova e$$ere un punto, per cui pa$$a la $erie $te$$a, appoggian- dovi$i con due lat<007> BC, DC. Ora io vorrei $a- pere, $e le co$e dette da voi dove$$ero pur rima- nere, o in qualche parte cangia$$ero, ca$o che il globo A non fo$$e più quadruplo del globo L; ma gli ave$$e altra proporzione; fo$$e per e$em- pio triplo; onde il centro comune della gravi- tà dei globi cade$$e non più in C, ma in _t_, per dove la $erie non pa$$a. Se il globo A, di$$e al- lora il Signor D. Serao, fo$$e, come vi piace or di $upporre, triplo del globo L; e il centro co- mune della gravità fo$se in _t_, per dove la $erie LIBRO II. non pa$$a; e voi dovre$te allora condurre la linea _tu_ perpendicolare ad AL; poichè que$ta linea taglierebbe la $erie in un punto _u_, il qual punto _u_, allargando$i poi quanto $i voglia la $erie, rimarrebbe $empre immobile; non che nell’ aprir$i, e dilatar$i viepiù gli ela$tri, non dove$$e egli andar di$cendendo ver$o _t_, ma $empre $i rimarrebbe nella $te$$a linea _ut_, ne mai piegherebbe ne ver$o A, ne ver$o L; ilche $e voi vorrete dimo$trare (e potrete farlo facili$- $imamente) vi accorgerete ancora, che dividendo- $i tutta la $erie dal punto _u_ in due parti, l’ una, cioè _u_EFGHIKL, $i $caglierà contra il globo L, l’ altra, cioè _u_DCBA, $i $caglierà contro il glo- bo A; e avrà la prima alla $econda quella $te$$a proporzione, che ha _t_L a _t_A, cioè $arà tripla di e$$a; e ne $eguiranno tutte le co$e dette di $opra. Ma a me piace $upporre il globo A quadruplo del globo L, onde il centro d<007> gravità $ia in C; e$- $endo que$ta $uppo$izion comoda, quantunque non nece$$aria. Avendo il Signor Marche$e mo- $trato di contentar$i a que$te parole, il Signor D. Serao $eguitò: e$ercitando la $erie, come è detto, nell’ uno e nell’ altro globo egual pre$$ione, do- vrà $enza dubio eccitar$i nell’ uno, e nell’ altro egual quantità di movimento. D’ altra parte e$- $endo la cagione, che agi$ce nel globo L, qua- drupla di quella, che agi$ce nel globo A; percioc- chè nel globo L agi$ce tutta quella parte di $erie, che $i $caglia da C ver$o L, e nel globo A quel- DELLA FORZA DE’ CORPI la parte, che $i $caglia da C ver$o A; quindi è, che l’ effetto, che $i produce nel globo L, dee e$$er quadruplo di quello, che $i produce nel glo- bo A. Non può dunque tale effetto e$$ere il mo- vimento; il quale abbiam veduto, che è eguale in tutti e due i globi. Sarà ben comodi$$imo il dire, che e$$o $ia una cotal forza, la qual $i mi$uri mol- tiplicando la ma$$a perlo quadrato della velocità, Come? di$$e il Signor Marche$e. Perchè, ri$po$e il Signor D. Serao, $e vo<007> immaginerete una tal forza nell’ uno e nell’ altro globo, la troverete appunto e$$er quadrupla nel globo L. Non ab- biamo noi detto, la ma$$a del globo A e$$er 4; la velocità 1? Una forza dunque, che in lui fo$- $e, proporzionale alla ma$$a moltiplicata per lo quadrato della velocità, $arebbe 4. Abbiamo anche detto, la ma$$a del globo L e$ser 1, la velocità 4, una forza dunque, che in lui fo$se proporzionale alla ma$$a moltiplicata per lo quadrato della ve- locità, $arebbe 16, e però quadrupla dell’ altra. Sarà dunque comodi$$imo il dire, che l’ effetto, prodotto nel globo L, $ia, non già il mov<007>mento, ma quella forza, che ho detto; dovendo appunto l’ effetto e$ser quadruplo. Ed ecco l’ argomento famo$o di Bernulli, che io vi ho e$po$to, così co- me ho potuto, $enza calcolo, e dirò così in mia lingua. Bernulli l’ e$po$e in maniera diver$a, $pie- gando$i col calcolo $enza bi$ogno; ma l’ algebra s’ era fatta tanto famigliare a quel grand’ uomo, che era, per così dir, divenuta il $uo linguag- LIBRO II. gio. Qui $i tacque il Signor D. Serao; e ta- cendomi io pure contra l’ e$pettazion di ognu- no, la Signora Principe$$a dopo alquanto, a me volgendo$i, di$$e: che dite voi? Io dico, ri- $po$i, che il Signor D. Serao fece a$$ai bene a dire, che io era premunito; il che dicendo, abba$tan- za ha mo$trato di cono$cere quello, che io potrei ri$pondere; ne credo, che $ia alcun di voi, che, nol cono$ca. Oh voi direte, ripigliò allora il Si- gnor D. Serao, che la $erie degli ela$tri altro non fa, che premere i globi, e premendogli eccitare in loro il movimento; ogni altra azione, che in e$$a $i finga, e$$er vana et inutile. Certo che, di$$i io allora, $e la $erie preme i globi, e premendo- gli $a, che $i movano, come veggiamo, che mo- ver $i debbono, io non $o, che farmi di quell’ al- tra azione, che i Bernulliani vi fingono; ne cre- do, che ve la $ingano, $e non per farne u$cire quella tal forza viva, di cui $on vaghi. A que- $to modo, di$$e il Signor D. Serao, e$sendo i due globi premuti dalla $erie egualmente, et avendo per ciò movimenti eguali, bi$ognerà dire, che quattro ela$tri, di cui $i compone la parte CL, e che $i adoprano contro il globo L, agi$cano quel- lo $te$so, che agi$ce un’ ela$tro $olo, di cui $i com- pone la parte CA, e che $i adopra contro il glo- bo A; il che pare inconveniente. Per sfuggir dun- que tale inconveniente, $arà bene il dire, che que$ti ela$tri hanno un’ altra azione, che non è il pre- mere; dalla qual poi na$ce la forza viva. E trove- DELLA FORZA DE’ CORPI rete anche di quelli, i quali vi $o$terranno che il premere non è in alcun modo agire. Piacemi, ri$po$i io allora, che voi diate in que$te $ottigliez- ze, perchè così non dovrete più dolervi delle mie. Io intanto argomento di que$to modo. Che i quat- tro ela$tri, onde $i compone la parte CL, faccia- no nel globo L una pre$$ione eguale a quella, che fa un’ ela$tro $olo nel globo A, certo non dee parervi inconveniente; e l’ in$egnate voi $te$so, dicendo che l’ un de’ globi è premuto da quattro ela$tri, l’ altro da uno, e $on tuttavia premuti e- gualmente amendue. Or $e l’ uguaglianza di que- $te due pre$$ioni non ha in $e inconven<007>ente niu- no; e ba$ta, $econdo voi, a $piegar l’ uguaglian- za de i movimenti; che cerchiam’ altro? La$cia- mo, che gli ela$tri premano, e niente agi$cano. Volete voi, d<007>$se il Signor D. Serao, che un’ ela- $tro dall’ una parte, e quattro dall’ altra, moven- do$i, e $cagliando$i, non agi$can nulla? Io dico, ri$po$i, che premono; e $e il premere, $econdo voi, è agire, agi$cono; $e non è agire, non agi- $cono; ma $olo premono. Che nece$$ità ha, che oltre il premere, anche agi$cano? Anzi e$$endo e$$i immateriali et incorporei, ne altra $orma a- vendo $e non di $emplici pre$$ioni, io non $o, che altro far po$$ano $e non premere. E $e volete in ultimo, che io vi dica liberamente; io non $o quel- lo, che voi vi diciate di quadruplo, perchè non veggo qui niente, che $ia quadruplo, Come? di$- $e quivi la Signora Principe$sa; non vedete voi, LIBRO II. che il globo L è $pinto da quattro ela$tri, il glo- bo A da uno $olo? Io dico, ri$po$i, che que$ti quattro ela$tri io non li veggo; ne credo, che al- cun di voi po$sa vederli. A provar ciò, di$se al- lora la Signora Principe$sa, non $o, $e ba$ta$se l’ eloquenza del no$tro Padre Cavalcanti, che è pur tanto grande. Molto minore eloquenza, ri$po$i, vi ba$terà. Ma ritorniamo di grazia a rite$sere bre- vemente quella $uppo$izione, che con tanta chia- rezza ci ha e$po$ta il no$tro Signor D. Serao; e veggiamo $e mai vi appari$ca ela$tro niuno, dico: ela$tro niuno: intendendo la natura dell’ ela$tro, non il nome. Prima $i voglion $upporre cinque ela$tri, onde $i componga una $erie; e quidichia- rando$i, che e$$i non $ono ne materiali, ne cor- porei, e non hanno ma$$a niuna, ben $i vede, che hanno il nome di ela$tri, non la natura, ne altro $ono che cinque pre$$ioni, che $i accozzano ed uni$cono in$ieme. Poi $i vuole, che tutta que$ta pre$$ione $i di$tribui$ca egualmente, e $i applichi a i due globi: qui pure io non veggo alcun’ ela- $tro; ne $o quello, che $i vogliano intendere, qua- lor dicono che l’ un globo è a$$alito da quattro ela$tri, l’ altro da uno; perchè io non veggo $e non due globi a$$aliti da due pre$$ioni eguali. Mi $i dice poi, che l’ un globo, fuggendo con più velocità, $i la$cia addietro uno $pazio CL quadru- plo dello $pazio CA, cui la$cia$i addietro l’ altro globo, che fugge con velocità minore. Et è ve- ri$$imo; dovendo appunto ciò na$cere dall’ ugua- DELLA FORZA DE’ CORPI glianza delle pre$$ioni. Ma qui io veggo due $pa- zj CL, CA, che potrebbono veramente capir de gli ela$tri; gli ela$tri $te$$i non veggo: $e già non vi na- $ce$$ero all’ improvvi$o, e $enza perchè. E na$cen- dovi pure, per qual ragione dovrebbe dir$i qua- drupla la $omma di quegli ela$tri, che occupa$$e- ro la parte CL? Quadrupla in che? Nel premere? ma dicono, che preme egualmente. Nell’ e$ten$io- ne, e nella grandezza? ma dicono, che gli ela$tri non hanno ne materia, ne corpo, ne ma$$a niu- na, il che $e è quale grandezza, e quale e$ten- $ione aver po$$ono? E poi, che fa qui la grandez- za, e l’ e$ten$ione? La quale, qualunque $ia$i, pur- chè re$ti la $te$sa pre$$ione, re$terà $empre ne’ glo- bi lo $te$so movimento. E$sendomi io qui ferma- to alquanto; è però co$a $trana, di$se la Signo- ra Principe$sa, che, $upponendo$i una $erie di cin- que ela$tri, non entri nella $uppo$izione verun’ ela- $tro. Et io, $e voi, di$$i, con$idererete bene la. $uppo$izione, ne vi la$cerete ingannar dal nome, troverete, che ella altro non è, che $upporre cin- que pre$$ioni, le quali così $i accozzano in$ieme, e di$tribui$cono, che vengono a premer due globi egualmente ver$o due contrarie parti. Ne qui al- tro ha di ela$tro, $e non il nome. Et io credo che co- te$ta $erie cosi incorporea, come la vogliono, $ia da concepir$i non altrimenti, che come una forza re- pul$iva di quelle, che piacciono tanto a Neutonia- ni, frappo$ta a i due globi; della quale chi vorrebbe dire, che quattro parti $i $tende$sero per lo $pa- LIBRO II. zio CL, una $ola per lo $pazio CA? Ben m’ a- $pettava, di$se allora la Signora Principe$sa, che voi mo$trere$te il vo$tro ingegno. Signora, ri$po. $i, io credo di aver più to$to mo$trata la veri- tà. E poichè il credete, di$se $ubito la Signora. Principe$$a, noi vi la$cieremo nell’ opinion vo- $tra, contenti di aver cono$ciuto in que$to luo- go quanto po$$a o l’ ingegno o la verità. Intan- to fie bene, che finendo una volta di dir degli ela$tri, cominciate a dirci delle leggi del moto. Signora, ri$po$i, io ho pochi$$imo da dirne, e il cominciare e il finire $arà tutto uno. Pur, di$$e la Signora Principe$$a, diteci quel pochi$$imo; che $e que$ti Signori vorranno fare anch’ e$$i il debito loro, interrogandovi, ove la co$a il ricer- chi, e, quando faccia me$tieri, contradicendovi, non finirete for$e così pre$to. Io credo, ri$po$i, che come io ho poco da dire, così avranno e$$i poco da contradire. Ma certo a me pare, che e$- $endo le leggi del moto non altro, che certe re- gole, $econdo cui per cagione dell’ urto $i di$tri- bui$ce la velocità a corpi, e $i fa quando mag- giore e quando minore, niente altro $i richiegga a porle in effetto, $e non l’ azione delle potenze, che producono o di$truggono la velocità, $enza, più. E $e io vole$$i entrare ora in $ottigliezze, direi facilmente, che fo$$e nella natura una po- tenza $ola, la qual, non movendo$i e$$a, move tutte le co$e; e mi piacerebbe l’ _ἀκίυητου_ di Ari- $totile. Sebbene e$$endo i movimenti varj tra lo- DELLA FORZA DE’ CORPI ro, et avendogli noi notati con varj nomi (che un movimento diciamo per e$empio $alire, et un’ altro di$cendere, et un’ altro aprir$i, et altro chiu- der$i, e così molti, che abbiamo con diver$e voci di$tinti) per ciò quella potenza, che gli produ- ce tutti, noi la di$tinguiamo in molte. Ma ella è for$e una in $e $te$$a, e variando l’ effetto, e$$a non varia; il perchè non ho mai creduto, che debba negar$i a Neutoniani, che quella forza, per cui $i ri$pingono i corpi, $ia la mede$ima, che quella, per cui $i attraggono; ma gli uomini $o- no troppo avvezzi a con$iderarle come due. Che che $ia di ciò; che non fa ora d’ uopo di tanta metafi$ica; egli è certo, che a far na$cer ne’ cor- pi quelle velocità, che le leggi del moto richieg- gono, ba$tar debbono le potenze, che produco- no le velocità $te$$e: $arebbe inutile l’ aggiunger- vi la forza viva. Ne per ciò dico, che le leggi del moto la e$cludano; che $o bene, ancor quelli, che la tengono, e prendono principio da e$$a, aver pure trovato via di condur$i alle mede$ime leggi, a cui $i conducono gli altri; e partendo da princi- pj diver$i, arrivano alle i$te$$e con$eguenze. Gli uni però, di$$e allora la Signora Principe$$a, vi $i condurranno per vie più facili e più $emplici; gli altri per vie più compo$te e più fatico$e. Oh, ri$- po$i, non è alcun dubio, che i $o$tenitori della forza viva vi $i conducono per vie più lunghe e difficili; pur te$$ono, e legano in$ieme tante di- mo$trazioni, e tanti calcoli, e così gli torcono e LIBRO II. piegano, che alfin vi giungono. E qui, di$$e al- lora la Signora Principe$$a, voi potrete riprender- li, che per vie tanto più lunghe e compo$te vo- glian condur$i a quelle leggi, a cui altri giungo- no per vie più brevi, e più $emplici. Tolga Id- dio, ri$po$i io allora, ch’ io mai face$$i motto di ciò; perchè, come $i viene a un tal luogo, non credere$te dell’ eloquenza, ch’ egli hanno. E $an- no ben dire, che la natura non è poi così $em- pl<007>ce, come alcuni $i credono; e che quello, che è compo$to a noi, non è $empre compo$to alla natura; e che alla natura egualmente è facile la $trada lunga, e la breve; ed altre molte di quel- le co$e, che il Signor D. Serao que$ta mattina non potea $offrire. Pur potre$te, di$$e allora la Signo- ra Principe$$a, pregarli a voler liberar$i dal tor- mento di quei calcoli, $e non altro, almeno per loro comodo. Ne que$to pur valerebbe; ri$po$i, perchè $i pregiano di $o$tenere per la verità quel martirio. Ma tanta co$tanza, di$$e allora riden- do la Signora Principe$$a, bi$ogna bene, che $ia fondata in qualche ragione; e que$ta io vorrei intender da voi. Veggo bene, ri$po$i, che voi, Signora, mi tentate, interrogandomi di quelle co$e, che $apete meglio di me; io però non avrò minor merito obbedendovi. La ragione dunque, che voi chiedete, $i è, che quelli, i quali nega- no la forza viva, $i conducono alle leggi del mo- to per una certa $uppo$izione, che i Leibniziani hanno in odio, ne voglion farla. La $uppo$izio- DELLA FORZA DE’ CORPI ne è, che fingon prima de’ corpi perfettamente duri, i quali per niun’ urto po$$ano romper$i ne $chiacciar$i; imperocchè, $tabilite le leggi del moto in tali corpi, pa$$ano poi facilmente a $ta- bilirle negli altri. Que$ta $uppo$izione, che finge una perfetta durezza, non po$$ono $offrire i Lei- bniziani; e per isfuggirla fanno quel gran giro di calcoli. Che male ha fatto loro, di$$e la Signo- ra Principe$$a, una $uppo$izione, che fù già tan- to amica di Epicuro, e lo provide di tanti ato- mi, che pensò poter comporne infiniti mondi? Que$ta $uppo$izione, ri$po$i io, che fu tanto cor- te$e ad Epicuro, è un poco fa$tidio$a a Leibni- ziani, e dirovvene la ragione, non perchè voi non la $appiate (che i libri ne $on pieni) ma perchè, $apendola, par tuttavia, che amiate udir- la da me. I Carte$iani, che $ono $tati i primi cer- catori delle leggi del moto, tennero una $trada a$$ai comoda, che fu di cercarle prima ne’ corpi per$ettamente duri, per poter poi cono$cerle più facilmente nei men duri. Ne parea la loro inten- zion da riprender$i; non dicendo già e$$i, che $ie- no nella natura corpi duri$$imi, ma cercando, quali leggi dove$$ero o$$ervar, $e vi fo$$ero. Chi è, che cercando le leggi della fluidità, non le cerchi prima nella fluid<007>tà perfetti$$ima? e lo $te$- $o $i fa pure in tutti i luoghi della fi$ica. I Car- te$iani adunque e$ponendo le leggi del moto ne’ corpi perfettamente duri, $tabili$cono, che $e due d’ e$$i, avendo quantità eguali di movimento, $i LIBRO II. incontra$$ero, dovrebbon to$to fermar$i, perden- do ogni forza loro. E certo non può intender$i, che due movimenti eguali tra loro, e contrarii, non $i di$truggano. E di$truggendo$i i movimenti debbono i corpi fermar$i; i quali fermando$i non è alcun dubio, che perdono ogni forza. Ora di qui è nato un argomenro a$$ai mole$to a Leibni- ziani, del quale i Carte$iani $pe$$e volte $i vaglio- no; imperocchè $e la forza dove$$e mi$urar$i dal quadrato della velocità, potrebbono i due cor- pi duri$$imi incontrar$i con eguali quantità di mo- to, avendo però forze di$eguali; e in que$to ca- $o fermando$i amendue, e perdendo ogni forza, bi$ognerebbe dire, che due forze di$eguali incon- trando$i $i di$trugge$$ero l’ una e l’ altra egualmen- te, il che pare e$$ere impo$$ibile. E quindi raccol- gono i Carte$iani, che la forza non debba dunque mi$urar$i dal quadrato della velocità. I Leibniziani non ardi$con negare, che due corpi duri$$imi, avendo eguali quantità di moto, e incontrando$i dove$$er fermar$i. Non $apendo dunque, che ri- $pondere, e non potendo levar via la difficoltà, le- vano la $uppo$izione; e ricu$ano a$pramente di mai $upporre alcun corpo duri$$imo. Ne val pre- garli, ne dir loro, che la perfetta durezza non vuol già introdur$i nella natura, ma vuol $olo aver$i per po$$ibile; e che noi abbiam ben $uppo$to, per amor loro, ela$tri perfetti$$imi, et oltre a ciò im- materiali et incorporei; che tutto è nulla. Così $i han fitto nell’ animo di non voler fermar$i un DELLA FORZA DE’ CORPI momento $olo nel pen$iero della perfetta durezza. La quale o$tinazione, per dir vero, non mi è mai piaciuta. Vedete, di$$e quivi il Signor D. Nic- cola, che il Padre Riccatinon $appia, che voi ab- biate dato degli o$tinati a Leibniziani; perchè pa- re, che egli abbia di$approvato a$$ai quel vo$tro _ru$ticum_; che non $o come vi u$cì della penna, parlando de’ Bernulliani. E $appiate, di$$i io al- lora, che io inte$i di $cherzare. Chi non $a, che i Bernulli, e tutti quegli altri, che hanno illu$tra- ta la loro $cuola, $ono $tati, e $ono, geometrie meccanici, tra quanti ne fiorirono al mondo mai, eccellenti$$imi e $ommi? ma io non credeva poi, che fo$$er cotanto teneri, che non $i pote$$e a qualche volta $cherzar con loro. Non $apevate voi, di$$e quivi il Signor D. Niccola, che con cote$ti gran letterati non vuol $cherzar$i? Che è ciò? di$- $e allora la Signora Principe$$a, che io voglio ad’ ogni modo $aperlo. Allora il Signor D. Nicola, $appiate, di$$e, che que$to Signorino ne comen- tarj, che diede fuori, della $ua Accademia, e$po- $e in certo luogo l’ argomento de Carte$iani, che ora avete udito; poi venendo a far menzione del- la ri$po$ta de’ Bernulliani, che negano di voler $upporre corpi duri$$imi, tra$cor$e in un certo: _ru$ticum e$t re$pondere_. Io mi ricordo bene di a- ver letto quel luogo, di$$e quivi la Signora Prin- cipe$$a; ma non po$i gran fatto mente al _ru$ticum_. Or dunque che n’ è avvenuto? Signora, ri$po$i io allora, n’ è avvenuto, che il Padre Riccati mo- LIBRO II. $tra aver pre$o quel _ru$ticum_ con $erietà; e tanto vi torna $opra, e per tal modo, che par qua$i vo- glia rivolgerlo $opra di me; quantunque io cer- to l’ave$$i detto $cherzevolmente. Ben vi $ta, di$- $e allora $orridendo la Signora Principe$$a; così imparerete di non $cherzar con gli Dii. Ma che avrà detto il Padre Riccati, di$$e quivi il Signor D. Serao, leggendo negli atti di Lip$ia quel $ot- tili$$imo ragionamento di Bernulli, da me poc’an- zi rammemorato, la dove e’dice, che voi altri, che $iete contrarj alla forza viva, $o$tenete quel- la vo$tra $entenza per mal talento, e $iete bugiar- di e mentitori? Il Padre di ciò non fa parola, di$$i io allora; e crede for$e, che a Bernulliani $tia bene ogni co$a; ver$o me, che $ono un’ uom mortale, è più $evero. Ri$e quivi di nuovo la Signora Principe$sa; poi di$$e: torniamo al propo$ito; per- chè io vorrei pur $apere da voi, come diciate, che i Leibniziani non hanno ri$po$ta niuna all’ argo- mento de Carte$iani, poc’ anzi detto. Non glie ne avete mo$trato una voi $te$so ne vo$tri comen- tarj? la quale, $e mi ricordo, è pur que$ta: che qualora due corpi duri$$imi s’incontrano, agi$cono l’ un contro l’altro, e contra$tano, non già con le forze vive, non potendo e$$i ne $chiacciar$i ne rom- per$i, in che la forza viva $i adopra; ma coi mo- vimenti $oli. E quindi è, che $e i movimenti $o- no contrarj et eguali, debbono i corpi fermar$i, quantunque le forze vive non $ieno eguali; le qua- li poi $i e$tinguono e$tinguendo$i i movimenti. DELLA FORZA DE’ CORPI Così di$truggon$i le forze vive, benchè di$eguali, nell’ incontro de’ corpi duri$$imi, perciocchè in quell’ incontro non $i adoprano, e nulla agi$co- no; e $olo mancano, perchè mancano i movimen- ti. Non è egli que$to, che voi dite poter ri$pon- der$i da’ Leibniziani? or come dunque non hanno e- glino ri$po$ta niuna, $e voi avete loro offerto que$ta? Signora, ri$po$i, non voglion riceverla, eil Padre Riccati, come vedrete, me la re$titui$ce a nome di tutti. Non $o, $e il facciano per non avermi niun obbligo, o $e rifiutino il dono, come $uol far$i, per gentilezza; certo che il Padre Riccati ne ap- porta due ragioni, che a me pajono piu to$to cerimonie, che ragioni. Voi ve le vedrete, leg- gendo il dotti$$imo libro $uo. Pur mi $arà caro, di$$e allora la Signora Principe$$a $orridendo, di intender’ ora que$te due cerimonie del Padre Ric- cati; e come voi gli r<007>$pondiate. A me giova, di$- $i io allora, non r<007>$ponder nulla; perchè $e i Lei- bniziani rifiutano quella ri$po$ta, che io ho of- ferta loro per difendere la forza viva contro l’ argomento de’ Carte$iani, meglio $ta. Non a- vran, che ri$pondere. Si, ri$po$e la Signora Prin- cipe$$a; ma $e voi non mo$trate, che quella vo- $tra ri$po$ta pote$$e e dove$$e ricever$i da Leibni- ziani, dileguando le ragioni del P. Riccati, egli parrà, che voi gliel’ abbiate offerta di mala fede, e $arete accu$ato di frode. Voi mi $tringete trop- po, ri$po$i; acciocchè dunque io non vi paja di mala fede, ne dobbiate accu$armi di frode, fa- LIBRO II. rovvi chiaramente vedere, che quella mia ri$po- $ta poteva e doveva u$ar$i a $o$tenere la forza vi- va contro a Carte$iani; dileguando per ciò le ob- biezioni del Padre Riccati, le quali, $e ben mi ricordo, $on due; e la prima è que$ta: $e due corpi duri$$imi, dice egli, incontrando$i, niente adopra$$ero le loro forze vive, e tuttavia col fer- mar$i $ubito le perde$$ero, bi$ognerebbe dire, che tali forze $i e$tingue$$ero $enza avere operato nul- la; e ciò è, $econdo lui, un grandi$$imo a$$ur- do, perciocchè le $orze non vogliono e$$er nate al mondo inutilmente, ne perire $enza aver pro- dotto il loro effetto. Que$ta ragione non mi par già una cerimonia, di$$e allora la Signora Prin- cipe$$a. Et io, $e voi, di$$i, la e$aminerete bene, e con$idererete, da qual principio ella parta, la troverete così vana, che comincierà for$e a parer- vi una cerimonia. Ella parte, di$$e allora la Si- gnora Ptincipe$$a, e $i trae da quel principio, che una forza non po$$a e$tinguer$i in natura, e pe- rire, $e non operando, e faccendo il $uo effetto. Ma parvi egli, di$$i io allora, che tal propo$izio- ne $ia da metter$i così $enza dubio alcuno tra i principj? Parvi egli, che $ia una propo$izion tan- to chiara, e tanto evidente, che dove$$e per amor d’ e$$a rifiutar$i una ri$po$ta, che io offeriva con tanto affetto a Leibniziani, e che era loro cotan- to utile? Allora il Signor D. Niccola, voi $iete di$$e, troppo rigoro$o; perchè mettiamo pure, che non $ia quella propo$izione, come un principio DELLA FORZA DE’ CORPI di Euclide; è però vera, ne vuol negar$i; percioc- chè egl<007> è pure $econdo la con$uetud<007>ne della natu- ra, che niuna forza $i e$tingua e peri$ca mai $e non operando, e faccendo alcun’ effetto; la qual con- $uetudine io potrei dimo$trarvi con innumerabili e$empli, $e $i pote$$er qui ora $correre tutte le parti sì della fi$ica come della meccanica. E voi $apete, che alle con$uetudini della natura vuol$i aver riguardo. Si veramente, ri$po$i; e per que- $to riguardo io non voglio già, che i Leibnizia- ni dicano e$sere alcun corpo nel mondo, in cui peri$ca la forza viva $enza operar nulla; io gli pregava $olamente a voler dire, che la forza vi- va potrebbe perire $enza operar nulla, $e fo$se- ro al mondo de’ corpi duri$$imi, i quali però non vi $ono. Nel che niente $i offende la con$uetudine della natura, la qual vuol e$sere o$servata ne cor- pi, che $ono, e non in quei, che non $ono. Sicco- me la con$uetudine, che hanno tutti i corpi, come $on po$ti in libertà, di cadere, niente $i offenderebbe $upponendo un corpo non grave, il qual per ciò non cade$$e; perciocchè quella con$uetudine è ne corpi per que$to appunto perchè $on gravi; così quella con$uetudine, che ogni forza $i e$tin- gua faccendo alcun effetto, è for$e nella natura, perchè non $ono nella natura corpi duri$$imi, i quali $e vi fo$$ero, quella con$uetudine non $a- rebbe. Voi dite beni$$imo, di$$e allora il Signor D. N<007>cola, che le con$uetudini della natura deb- bono o$$ervar$i nè corpi, che $ono, non in quei, LIBRO II. che non $ono; pure $e voi volete $upporre due corpi $ommamente duri, nell’ incontro de’ quali peri$cano le forze vive, bi$ogna bene, che nella vo$tra $uppo$izione $ia qualche ragione, perchè perir debbano. Or qual $arà que$ta ragione? perchè $e non agi$cono, ne pur potranno di$trug- ger$i l’ una l’ altra; poichè que$to $arebbe agire; anzi quand’ anche agifsero, pur non potrebbon d<007>$trugger$i amendue, e$sendo tra loro di$egual<007>. Vedete dunque in cote$ta $uppo$izione, di cui vorre$te, che i Leibniziani $i $ervi$sero, non. debbano e$tinguer$i due forze vive $enza che vi $ia ragione alcuna, perchè $i e$tinguano. A me pare, di$$i io allora, che $e nella mia $uppo$izio- ne le forze vive $i e$tinguono, abbiano una bel- li$$ima e grandi$$ima ragione di e$tinguer$i. Qua- le? di$se il Signor D. Niccola. Et io ri$po$i: perchè manca loro <007>l $oggetto. E quale è il $og- getto della forza viva? non è egli il corpo mo$so? certo che il corpo non l’ha, $e non quando $i mo- ve, e inquanto $i move; mancando dunque il cor- po mo$so (il qual manca nella $uppo$izion mia, $econdo cui incontrando$i i due corpi to$to $i fer- mano) manca alla forza il $oggetto; e ciò po- $to qual più bella ragione potrebbe ella avere di perire e di e$tinguer$i? che $on pur così tutti i modi, et accidenti, e forme, e qualità, che levando via i $oggetti loro, $i partono e$se pure e $i d<007>leguano, ne a$pettano altra ragione per an- dar$ene. Ne vale il dire, che que$ta non è la con- DELLA FORZA DE’ CORPI $uetudine della natura; perchè $ebbene per lo più le forze non mancano $e non producendo il lo- ro effetto; non è però, che non ave$sero ogni ragion di mancare, qualunque volta $i toglie$se il $oggetto loro, benchè nulla produce$sero. Sic- come con$uetudine è della natura, che il colore nel corpo non manchi, $enza che un’ altro ve ne $ucceda; e tuttavia avrebbe egli ogni ragion di mancare, quantunque niun’ altro colore gli $uccede$se; $olo che il corpo, che n’ è il $og- getto, $i leva$se. E$sendomi io qui taciuto, la vo$tra $peculazione, di$se il Signor D. Serao, mi piace; ma temo, che alcuni l’ avranno per trop- po cercata, ne vorranno con$entirvi, avendo pau- ra di tanta $ottilità. Qua$i che un’ argomento, ri$po$i io, dove$se aver$i per fal$o, perchè è $ta- to cercato. Ma io non veggo, che gran $ottigliez- za $ia in que$to. E’ egli for$e così gran $ottigliez- za il dire, che il $oggetto della forza viva è il corpo, in quanto è mo$so? O è gran $ottigliezza il dire, che, mancando il $oggetto, non altro $i ricerchi, perchè mancar debba la qualità? E $e que$te due co$e $on vere, la con$eguenza non viene ella da $e, $enza a$pettar pure d’ e$ser cer- cata? Sono alcuni però così tardi, di$se il Signor D. Serao, che non intenderanno que$to $te$so. Non però i Leibniziani, ri$po$i io, che $ono fi- lo$ofi acuti$$imi, $e mai al mondo ne furono, e non hanno in tal laude chi gli $uperi. E’ vero, di$se allora il Signor D. Nicola; et io credo, che LIBRO II. e$$i non vorranno valer$i di quella vo$tra ri$po- $ta contra Carte$iani piutto$to per un’ altra ragio- ne, la qual’ è, che incontrando$i due corpi du- ri$$imi, e niente e$ercitando$i in quell’ incontro le forze vive, verrebbe con ciò ad offender$i una certa legge di natura, della quale, avendola tro- vata e$$i, $ono oltremodo gelo$i. Voi volete di- re, ri$po$i io, quella legge, che chiamar po$$ia- mo di continuità, per cui vogliono, che niun, corpo trasferir $i po$$a da uno $tato ad’ un’ altro, $e non a poco a poco, e pa$$ando per tutti li $tati intermedij; intanto che ne e$$endo in quie- te po$$a acqui$tar $ubito qual$i$ia velocità, ne a- vendo qual$i$ia velocità po$$a ritornar $ubito al- la quiete, ma debba aver prima ricevuti l’ un, dopo l’ altro tutti i gradi delle velocità interme- die; e così vogliono, che intervenga in tutte quan- te le qualità. Cosi è, di$$e il Signor D. Nicola; e per non offendere una tal legge $i a$terranno i Leibniziani di dire, che nell’ incontro dei corpi duri$$imi niente $i e$erciti la forza viva. Voi vo- lete, ri$po$i io allora $orridendo, tirarmi alla $e- conda di quelle due ragioni, che adduce il Padre Riccati, e che io ho detto poco $opra, parermi due cerimonie. Ma $e ho da dirvi la verità, que- $ta ragione non l’ bo gran fatto e$aminata; non che io non l’ abbia creduta molto inge- gno$a; ma mi è paruta inutile e fuor di propo- $ito; e così parendomi, $ono $tato men diligente nel leggerla. Però quì è meglio, che la e$pon- DELLA FORZA DE’ CORPI ghiate voi, il qual pare, che l’ abbiate letta e con$iderata meglio. Io l’ ho letta, di$$e il Signor D. Niccola, e con$iderata anche oggi col Signor Marche$e di Campo Hermo$o, e$$endo nella li- breria del Signor Governatore. Ma non $o già, perchè ella abbia dovuto parervi fuor di propo$i- to. Perchè, di$$i, $e noi ponghiamo, che due corpi duri$$imi, incontrando$i, $ubito $i fermino; già abbiamo per que$to $te$$o di$prezzata la legge della continuità, faccendo, che due corpi da quel- la velocità, che hanno, pa$$ino to$to alla quiete. Ne accade il cercar poi, $e ce$$ando in quell’ in- contro di e$ercitar$i la forza viva, venga di nuo- vo a di$prezzar$i la legge della continuità; alla quale chi ha contravvenuto la prima volta non te- merà di contravvenir la $econda. Il perchè parmi, che il Padre Riccati o $o$tenendo la continuità ne- gar dove$$e, che i corpi $i fermino, o la$ciando, che $i fermino, non dove$$e cercar più la continui- tà. E perciò mi parve quella $ua ragione fuor di propo$ito. A me però piacerebbe, di$$e quivi la Signora Principe$$a, di intenderla; perchè io av- vi$o, che debba e$$ere una ragion molto forte. Come? ri$po$i io. Perchè, di$$e ella, parmi che voi $tudiate di declinarla, dicendo, che è fuor di propo$ito; et io ho udito dire a molti $avj uomi- ni, e$$er’ u$o degli oratori, ove incontri$i alcuna obiezion molto forte, mettere ogni $tudio per if- fuggirla. Qui tutti ri$ero, et io di$$i: giacchè voi, Signora, avendomi per oratore, poco di me vi fi- LIBRO II. date, anche per que$to fie meglio, che la ragione del Padre Riccati vi $ia e$po$ta dal no$tro Signor D. Nicola, il quale benchè $ia più eloquente di me, a voi però pare, che abbia meno artificio; e que$to $or$e è l’ effetto d’ un’ artificio maggiore. Allora la Signora Principe$$a tuttavia ridendo di$- $e: come vi piace. E il Signor D. Nicola $ubito pre$e a dire. Io e$porrò la ragione del Padre Ric- cati, e farollo per modo, che non avrete a temer d’ artificio; e $e d’ alcuna co$a non mi $ovveni$- $e, potrà avvi$armene il Signor Marche$e di Cam- po Hermo$o, con cui oggi l’ ho letta; $enza che io ho qui il libro $te$$o. Egli dunque non è qui- $tion d’ altro; $e non $e di vedere, $e, incontran- do$i i corpi duri$$imi, e niente e$ercitando$i in quell’ incontro le forze vive, $ia ciò contrario al- la legge della continuità. Il Padre Riccati dice e$$er contrario, e lo dimo$tra molto ingegno$amen. te, introducendo una $erie infinita di contu$ioni $empre più piccole a que$to modo. Sienoi due corpi, che con eguali quantità di moto, come or $upponghiamo, $i incontrano, prima alquanto du- ri; e nell’ incontrar$i producano in loro una qual- $i$ia contu$ione. Egli è certo, che in quella con- tu$ione, qualunque $ia$i, agi$ce e $i e$ercita tutta la forza viva, che hanno. Sieno i corpi alquan- to più duri; $arà la contu$ione minore; e non per tanto $i e$erciterà in e$$a tutta la forza viva; e divenendo i corpi $empre più duri, diverrà la con- tu$ione $empre minore, e tutta la forza viva de DELLA FORZA DE’ CORPI corpi ne più ne meno $i e$erciterà $empre in e$$a. Per que$ta $uppo$izione, come ognun vede, noi avremo una $erie di infinite contu$ioni $empre più piccole corri$pondente ad una $erie di infiniti cor- pi $empre più duri; e la $erie delle contu$ioni ver- rà finalmente a terminar$i nella contu$ion nulla, che $i farà ne corpi duri$$imi. Or dunque $e e$er- citando$i tutta la forza viva in ogni contu$ion del- la $erie, quando s’ incontrano corpi più e più du- ri, la$cia$$e poi di e$ercitar$i $olo nell’ ultima, quan- do s’ incontrano i corpi duri$$imi; voi vedete, che l’ e$ercizio di e$$a e$$endo $tato $empre il mede$i- mo in tutti gli altri termini della $erie, manche- rebbe ad’ un’ tratto nell’ ultimo; il che cerro è contrario alla legge della continuità, alla quale non dee contravvenir$i. E $e il Padre Riccati vi ha perdonato il primo peccato, la$ciando, che i due corpi duri$$imi, che voi $upponete, nell’ incontro loro to$to $i fermino, il che pure era contrario alla legge della continuità, non s’ è egli obbliga- to per ciò di perdonarvi il $econdo; et ha for$e voluto darvi tempo di ravvedervi da voi $te$$o. Avendo così detto il Signor D. Niccola, $orri$e alquanto. Et io, non $o, ri$pofi, che gran pec- cato $ia contravvenire in una qualche $uppo$izione a cote$ta legge della continuità, la qual non è for$e nella natura; e quando anche vi fo$$e, $a- rebbe tuttavia lecito $uppor dei corpi, che la tra- $gredi$$ero; come talora $e ne $uppongono alcuni, che tra$gredi$con le leggi della gravità. Se $ia nella LIBRO II. natura la continuità, di$$e quivi il Signor D. Nico- la, e $e, e$$endovi, po$$a tuttavia il filo$ofo nelle $ue $uppo$izioni non curarla, $on due qui$tioni, che potremo far poi. Ma prima è da vedere, $e venga a tra$gredir$i la legge della continuità, qua- lunque volta nell’ incontro de’ corpi duri$$imi manchi l’ e$ercizio della forza viva; perciocchè di qui comincia la ragione del Padre Riccati, al- la quale $e voi non verrete $ubito, parrà alla Si- gnora Principe$$a, che voi mettiate $tudio per de- clinarla. Ecco, ri$po$i, che io vi vengo $ubito, e dico, che $e cote$ta ragione mi parve una vol- ta, non avendola ben inte$a, fuor di propo$ito; ora che voi me l’ avete fatta intender meglio, mi par fal$a. Come fal$a? di$$e il Signor D. Nicco- la. Non è egli dunque vero, che $e nella $erie delle contu$ioni l’ e$ercizio della forza viva $i tro- va e$$ere in tutti gli altri termini, non può per ri$petto della continuità mancare tutto ad un trat- to nell’ ultimo? Que$to, ri$po$i, è lo $te$$o, che dire: $e la forza viva $i e$ercita per tutto, ove $i fa contu$ione, dovrà e$ercitar$i anche, dove non $e ne fa. Che è ciò? di$$e il Signor D. Nic- cola; et io, non dite voi, ripigliai, che in tutti gli altri termini della $erie ha qualche contu$io- ne, fuor che nell’ ultimo, in cui non ne ha niu- na? e argomentate, che debba nell’ ultimo e$er- citar$i la forza viva, perciocchè $i e$ercita in tut- ti gli altri? voi dunque argomentate, che la for- za viva debba e$ercitar$i, dove non è contu$ione, DELLA FORZA DE’ CORPI perciocchè $i e$ercita dove ne è. A cote$to modo potre$te anche argomentare, che $e la penna $i ri- chiede a $crivere $ette ver$i, e la $te$$a anche a $criverne $ei, e la $te$$a a cinque, e così di mano in mano, dovrà la $te$$a richieder$i anche a non $criverne niuno. Il quale argomento vedete, co- me i dialettici $ieno per comportarvelo; che anzi ar- gomentando dal contrario direbbono: la penna $i richiede a $criver dei ver$i, dunque a non $criver- ne non $i richiederà; e $imilmente: a fare qual$i$ia contu$ione adopra$i la forza viva, dunque a non farne niuna, non $i adoprerà. Qui il Signor D. Niccola ridendo, que$ta i$te$$a $ottigliezza, di$$e, mi aveva oggi propo$ta il Sig. Marche$e di Cam- po Hermo$o, a cui $ubito ho ri$po$to, che mi parea $imile alle vo$tre. Allora io rivolto al Si- gnor Marche$e, piacemi, di$$i, che voi con$en- tiate meco, e $iate amico della mia opinione. Io cominciava ad e$$ere, di$$e il Signor Marche$e; ma tante co$e mi ha poi dette il Signor D. Nic- cola, che me ne ha di$tolto. Ditelemi di gra- zia, ri$po$i. Le dirò, di$$e il Signor Marche$e, $e egli me ne darà licenza, e vorrà correggermi, dove io erri. Ne di licenza, di$$e il Signor D. Niccola, avete voi bi$ogno, ne di correzione; pur l’ una potete prendervi, $e credete di aver- ne bi$ogno; ne l’ altra vi negherò io, $e mi par- rà, che l’ abbiate. Ben vi dico, che $tiate $opra di voi con que$t’ uomo. Di che avendo $orri$o il Signor Marche$e, così incominciò: la legge LIBRO II. della continuità non richiede già ella, che nella $erie delle contu$ioni, di cui s’ è detto, la forza viva debba agire nell’ ultima, che è la contu$ion nulla; anzi permette, che in que$ta niente agi$ca; ben vorrebbe, che dovendo l’ azicne della forza viva e$$er nulla nell’ ultima contu$ione, comin- cia$$e a $minuir$i nelle contu$ion<007> antecedenti, ne arriva$$e ad e$$er nulla $e non che a poco a po- co; il che ella non faccendo, perc<007>occhè in tutte le antecedenti contu$ioni è $empre la mede$ima, perciò contravviene alla continuità. Voi volete dire, ripre$i io allora, che $econdo la legge della continuità, l’ azione della forza viva non può nell’ ultima contu$ione e$$er nulla, $e prima non $i è a poco a poco $minuita. Così è, di$$e il Signor Marche$e. Ma non $i è $minuita, $eguitai io; dunque $econdo la leg- ge della continuità, non può l’ azione della for- za viva nell’ ultima contu$ione e$ser nulla; e così ritorna quell’ argomento fallaci$$imo: la forza vi. va agi$ce, dovunque $i fa contu$ione, dunque an- che dove non $e ne fa. Anzi io dico, rifpo$e qui- vi il Signor Marche$e, che $e l’ azione della forza viva divien nulla ne corpi duri$$imi, dove non è contu$ion niuna, bi$ogna, che negli altri men du- ri, ne quali le contu$ioni $i fanno $empre minori, $i $ia $minuita a poco a poco: e que$to è quello, che richiede la legge della continuità. E che ri- chiederà ella dunque, ri$po$i io, cote$ta legge, $e l’ azione della forza viva non s’ è $minuita? Io non DELLA FORZA DE’ CORPI mi $piego for$e abba$tanza, di$se il Signor Mar- che$e. Ma la legge della continuità certamente ri- chiede, che l’ azione della forza viva o non $ia nulla nell’ ultima contu$ione, o $e è nulla nell’ ul- tima, abbia cominciato a $minuir$i nelle antece- denti. Noi torniamo, ri$po$i, a quello $te$so; per- chè $e la legge della continuità richiede o l’ una o l’ altra delle due co$e, mancando l’ una, richie- derà l’ altra; e però mancando lo $minuimento dell’ azione nelle contu$ioni antecedenti, richie- derà, che l’ azione non debba e$ser nulla nell’ al. tima; e così vi ricondurrà a quella $te$$a fallacia: la forza viva agi$ce dove $i fa contu$ione, dun- que anche dove non $i fa. Dunque, di$$e il Si- gnor Marche$e, $e io avrò una certa quantità o forma co$tante, la qual tenga dietro a tutti gli altri termini di una qualche $erie, accompagnan- do$i con cia$cuno, io non potrò argomentar per que$to, che debba la $te$$a accompagnar$i ancor con l’ ultimo. Voi sì potrete, ri$po$i; e $e l’ ar- gomentar vo$tro non $arà evidente, $arà tut- tavia molto probabile. Ma nol potrò già io, di$- $e il Signor Marche$e, nel ca$o no$tro. Perchè? ri$po$i. Et egli: perchè avendo noi propo$ta una $erie di contu$ioni, voi volete, che in tutte le al- tre contu$ioni $i adopri la mede$ima azione della forza viva; ma non nell’ ultima. Quale è, di$$i, que$t’ ultima? Que$t’ ultima, ri$po$e il Signor Marche$e, è la contu$ion nulla, che $i fa ne cor- pi duri$$imi, nell’ incontro de’ quali voi dite, LIBRO II. che la forza viva niente agi$ce. Par dunque a voi, ri$po$i io, che la contu$ion nulla entri nella $erie delle contu$ioni, e po$$a dir$ene un termine? E perchè, di$$e il Signor Marche$e, non vi entre- rebbe? Et io ri$po$i, perchè non è contu$ione; che tanto è l’ e$$ere contu$ion nulla, quanto è il non e$$ere contu$ione di modo alcuno. E $e la contu$ion nulla non è contu$ione, io non veggo, come po$$a ella entrar nella $erie delle contu$ioni. Vi entra, ri$po$e il Signor Marche$e, per que$to appunto, perchè non è contu$ione, e non e$$en- do contu$ione, è contu$ion nulla; po$ciachè le contu$ioni, che compongon la $erie, $i vanno di mano in mano $minuendo, e vanno finalmente a terminar$i nel nulla. E quante $erie fanno quello $te$$o! Vedete già, che la $erie dei numeri 9, 8, 7, procedenti contra il naturale ordin loro, come è giunta all’ 1, cade nel nulla, che chiaman zero. E le ordinate nella parabola andando contro al vertice non vanno e$$e pure a finir$i nel nulla? Et io nego, ri$po$i, che cote$to nulla $ia mai ter- mine di veruna $erie. Ne vi concedo, che il ze- ro entri, come termine, in quella $erie di nume- ri, che avete propo$ta. Come? di$$e il Signor Mar- che$e; ogni termine di quella $erie $i forma levan- do al precedente l’ unità: così levando al 9 l’ u- nità $i forma l’ 8, levando all’ 8 l’ unità $i forma il 7, e così procedendo $i conduce la $erie fino ll’ 1; e levando poi a que$to 1 $imilmente l’ uni- aà ne viene il nulla, cioè ne viene quell’ ultimo DELLA FORZA DE’ CORPI termine, in cui fini$ce la $erie. Ne viene, ri$po$i io, il nulla, cioè non ne vien nulla; che mi dite voi dunque, che ne viene un termine? Anzi io $o- $tengo, che $e levando dall’ 1 l’ unità non ne vien nulla, que$to è argomento, che la $erie è finita in quell’ 1 ; e quell’ 1 è l’ ultimo termine della $erie. Pur, di$$e il Signor Marche$e, niun matematico, tenendo dietro a quella $erie, $i fermerà nell’ 1; ma tutti procederanno fino al zero, avendolo per un termine. Se voi, di$$i, volete $eguire l’ imma- ginazione dei matematici, non che al zero, ma procederanno più oltre, e vi mo$treranno altri ed altri numeri minori del zero $te$$o: - 1, -2, -3, e continveranno così la $erie in infini- to. Ma que$te non $ono altro, che e$pre$$ioni vio- lente dei matematici, che eglino $te$$i non bene in- tendono; e che lor $i permettono, perchè anche con e$$e, u$andole con certa regola, $i conducono al vero. E $imilmente lor $i permette di innalzare qual$i$ia linea a qual$i$ia dimen$ione, chiuden- do nelle loro e$pre$$ioni quello, che non po$- $on comprender nell’ animo. Ma e$$i hanno ri- dotto ad arte quell’ ardimento, e ne traggono la verità. Per la qual co$a $e noi vogliamo una $erie, la qual $ia, non nella immag<007>nazione dei matematici, ma nella natura, non è da crede- re, che entrino in e$$a ne il zero, ne il -1, ne il -2, ne quegli altri termini, che dicon$i e$$er minori del nulla; ma la $erie $i terminerà nell’ u- nità ; e $e vorrà la natura aggiungere alcuna quali- LIBRO II. tà o forma a cia$cun termine di una tal $erie, per ri$petto della continuità lo verrà aggiungendo a tutti i termini di mano in mano, finchè arrivi all’ 1, e quivi $i fermerà ; poco curando del zero, e di quegli altri termini m<007>nori del zero, che i ma- tematici $i hanno finto, e che ella non cono$ce. E que$ta è la ragione, perchè nella $erie delle con- tu$ioni propo$ta dal Padre Riccati, quantunque in cia$cun termine, cioè in cia$cuna contu$ione, trovi$i l’ azione della forza viva; non è però da dire, che per ri$petto della continuità debba tro- var$i anche nella contu$ion nulla; perchè, come potete aver inte$o, la contu$ion nulla non è un termine di quella $erie, $e non nella mente dei ma- tematici; e la natura non l’ha per tale. Voi mi a- vete, di$$e quivi il Signor Marche$e, $oprappre$o con cote$te ragioni. Pur non mi $i può levar di te$ta, che la $erie delle ordinate in una parabola, procedendo contro al vertice, non vada a termi- nar$i in quella, che chiamano ordinata zero, et è un’ ordinata nulla; e di vero trovan$i in e$$a quel- le proprietà mede$ime, che trovan$i in tutte le al- tre, e pare che la cont<007>nuità $te$$a ve l’abbia reca- te. Or pe<007>chè non potrebbono quelle contu$ioni, che il Padre Riccatiha propo$to, venir$i $minuen- do a quel modo, che $i $minui$cono le ordinate della parabola? così che dove$$ero terminar$i e$$e pure nella contu$ion zero o nulla, a cui però do- ve$$e attribuir$i quello, che a tutte le altre contu- $ioni s’ è attribuito, come all’ ordinata zero della DELLA FORZA DE’ CORPI parabola quello $i attr<007>bui$ce, che s’ è attribuito a tutte l’ altre. Et io v<007> dico, ri$po$i, che la $erie delle ordinate nella parabola non $i termina, ne può mai terminar$i nell’ ordinata nulla; perchè $e l’ ordinata è nulla, non è più ordinata. In che dun- que $i termina? di$$e il Signor Marche$e. Et io ri- $po$i: mai non $i termina; ma venendo a impic- col<007>r$i le ordinate a poco a poco, $corrono per tutti gli ordini delle piccolezze infinite, ne mai $i incontran nel nulla; il quale non è in niuno di quegli ordini, et è fuori di tutta la $erie. E $i- milmente $e voi leva$te ad una linea la $ua metà, e a quel, che re$ta, leva$te di nuovo la $ua metà, e così procede$te in infinito, componendo una. $erie d<007> tutte le metà levate, $arebbon le linee d’ una tal $erie, l’ una dell’ altra, $empre più pic- ciole; e niuna però ne $arebbe mai, la qual fo$$e nulla; e$$endo ognuna la metà della precedente linea, ne potendo il nulla e$ser metà di linea veru- na. Et io credo, che di gran lunga $i ingannin co- loro, i quali pen$ano, che una co$a per impicco- lir$i po$sa mai diventar nulla; e $i immaginano, che le co$e piccole $ieno più facili ad annientar$i, che le grandi. Laonde anche $i per$uadono, che, $e la natura vole$se ridurre una co$a a niente; do- ve$se prima a poco a poco rimpiccolirla, e condu- cendola per una $erie di infinite piccolezze far fi- nalmente, che $i incontra$se nel nulla; il qual-cammi- no $e la natura tene$se, non la ridurrebbe al niente giammai; concio$iachè il niente non trovi$i LIBRO II. in niuna $erie di piccolezze, quali che e$$e $ieno. E $e vole$$e pur la natura ridur la co$a al nien- te, bi$ognerebbe, che una volta la di$trugge$$e tutta ad un tratto, abbandonando tutti gl<007> ordini delle infinite piccolezze, e $altando, per così di- re, fuor della $erie. Se quello è vero, che dite, et a me par che $ia, di$$e allora il Signor Mar- che$e; com’ è dunque, che i matematici van pur tutto ’l dì nominando l’ ordinata zero, e fanno intorno ad e$$a le dimo$trazioni? Ciò fanno, di$- $i, perchè quell’ ordinata, che e$$i chiamano ze- ro, non è veramente nulla; ma per l’ infinita $ua piccolezza credono di poterla tra$curare nelle mi$ure comuni; e cosi tra$curandola la fanno di- ventar nulla nella lor mente. Che $e fo$$e vera- mente nulla in $e $te$$a, non potrebbono e$$i poi averla per una l<007>neetta compo$ta di infinite altre, come vedrete ch’ e’ fanno, ma$$imamente nel cal- colo differenziale. Voi dunque nella $erie delle ordinate, che avete propo$ta, ne troverete infini- te, che $aranno infinitamente piccole; non ne tro- verete niuna, che $ia veramente nulla. E $imil- mente avverrà nella $erie delle contu$ioni, la quale, come che proceda ad altre ed altre contu$ioni $em- pre più piccole in in$inito, non però mai verrà ad incontrar$i in una, che $ia perfettamente nulla, come quella $arebbe de corpi perfettamente du- ri. Laonde quantunque la legge della continui- tà richiede$$e, che l’ azione della forza viva, per tener dietro alla $erie delle contu$ioni, $i e$erci- DELLA FORZA DE’ CORPI ta$$e in tutte egualmente, eziandio nelle infinita- mente piccole; non per c<007>ò richiederebbe, che el- la dove$$e anche e$ercitar$i nella contu$ione de cor- pi perfettamente duri, la quale e$$endo veramen- te nulla, non entra, ne può entrare in quella $e- rie. E chi vole$$e $upporre tali corpi, e dice$$e, niente e$ercitar$i nel loro incontro la forza viva, non offenderebbe in niun modo la legge della continuità. E$$endomi io qui taciuto non meno, che <007>l Signor Marche$e di Campo Hermo$o; man- co male, di$$e il Signor D. Serao, che que$to gio- vane ha $tudiata la dialettica in Alcalà ; ne men vi volea per tener dietro alle vo$tre $ottigliezze. Ma tante già ne avete dette, che la Signora Prin- cipe$$a ne $arà $azia, e vorrà bene, che voi venia- te all’ altra parte della vo$tra propo$ta. Que$te $ottigliezze, di$$e la Signora Principe$$a, mi $o- no piaciute, perchè potrebbono anche e$$er ve- re. Ne però meno mi piacerà, che $i venga all’ altra parte, che voi dite. Qual è? di$$i io allora. Voi d<007>ce$te, ri$po$e il Signor D. Serao, che $up- ponendo$i i corpi duri$$imi, e dicendo$i, che la forza viva niente $i e$erciterebbe nel loro incon- tro, ciò nulla offenderebbe la legge della conti- nuità; e di que$to avete già favellato abba$tanza; for$e anche troppo. Aggiunge$te poi, che quand’ anche quella $uppo$izione fo$$e contraria alla leg- ge della continuità, pur non $arebbe da rifiutar- $i; e$$endo lecito $econdo voi formar talvolta $up- po$izioni contrarie alle leggi $te$$e della natura, LIBRO II. le quali leggi $tringono i corpi, che $ono; non quei, che $i fingono. Aggiun$i ancora, di$$i io quivi, che la legge $te$$a della continuità io non $o, $e $ia veramente nella natura. Anche di que- $to dunque, di$$e il Signor D. Serao, $arà bene dir poi. Ora piacemi, $e piace a cote$ti Signori, che ci mo$triate, come $ia lecito ai filo$ofi formare una $uppo$izione, che a qualche volta $ia contra- ria alle leggi della natura; perchè io metto pure tra le leggi della natura la continuità, e così ne $ono gelo$o, che non vorrei, che la o$$erva$$ero $olamente i corpi, che $ono, ma quelli ancora, che $i $uppongono. Se voi, ri$po$i, ne $iete gelo$o fino a que$to $egno, bi$ogna ben dire che voi $ia- te oltre modo gelo$o. Perciocchè quante altre leggi ha nella natura, che i filo$ofi tra$curano nei corpi, che piace lor di $upporre; e non per tan- to $i hanno per buone le $uppo$izioni loro? Qual co$a più contraria alle leggi della natura, che $up- porre una verga, la cui gravità $ia tutta raccolta in un $ol punto? pur $i concede ai filo$ofi di $up- porla per trovar le leggi dei pendoli. Quanti di que$ti e$empi potrei addurvi, per cui chiaro ap- parirebbe e$$ere già tra i $ilo$ofi una l<007>cenza qua$i comune di formar $uppo$izioni, che $i oppongo- no alle leggi della natura, ne $ono però meno utili, ne meno comode! Voi que$to, di$$e qui- vi la Signora Principe$$a, mi avete per$ua$o con l’ e$empio dei pendoli; pur non po$so negarvi, che il $uppor co$a, che $i opponga a qualche leg- DELLA FORZA DE’ CORPI ge della natura, a prima vi$ta non mi $paventi, parendomi, che non po$sa na$cerne, $e non di- $ordine e con$u$ione. Il Padre Riccati, di$se qui- vi il Signor D. Niccola, ne è in grandi$$imo ti- more ancora egli, prevedendo ruine $paventevo- li. Quali ruine? di$se la Signora Principe$sa; a cui ri$po$e il Signor D. Niccola: dice il Padre Riccati, $e non m’ inganno, alla pagina 343. (acciocchè non $ia que$ti quel $olo, che $i ricor- da le pagine) che $e una $ola legge della natu- ra veni$se meno, gli parrebbe che l’ univer$o $i $convolge$se, e ritorna$se to$to nel caos. E $e alcun’ uomo ave$se pur l’ ardimento di $uppor- re tal co$a, mancherebbongli di pre$ente i prin- cipj della ragione, ne avrebbe più modo ne via di $tabilire più to$to una conclu$ione, che un’ al- tra. Voi vedrete que$ti timori, leggendo il dia- logo decimo. Io non $on tanto pauro$a, di$$e la Signora Principe$$a, quanto è il Padre Riccati; il quale non potrà mai decidere, $e una co$a, la qual $ia fuori delle leggi della natura, $ia però in $e $te$sa po$$ibile; perciocchè non arri$chiando$i di $upporla, non potrà mai e$aminarla. In fatti, di$se il Signor D. Niccola, egli non vuol ne con- cedere, che i corpi perfettamente duri $ieno po$- $ibili, ne negarlo; e come giunge a que$to luo- go, $i umilia, e venera i con$igli della divina $a- pienza, e la$cia ai pre$ontuo$i il qui$tionare $opra l’ incontro di due corpi duri$$imi. Se que$ta è pre- $unzione, di$$e la Signora Principe$sa, io ho a LIBRO II. $crupolo tutta la filo$ofia; parendomi, che poche qui$tioni abbia men $ublimi di que$ta. Indi a me rivolta, de$idero bene, di$$e, che, poichè voi non avete tanta paura, e vi dà l’ animo di $uppor co$e alle leggi della natura contrarie, mi di$copriate, come ciò po$$a far$i $enza timore. Et io allora così incominciai: Signora, facil co$a $arebbe e molto $pedita il $oddisfarvi; $e i filo$ofi, che oggidì fanno tanto rumore delle leggi della natura, e non hanno altro in bocca, ave$$ero po$to cura di $piegare di- ligentemente quello, che per nome di legge voglia- $i intendere; ma, non $o come, più vaghi di nomi, che di diffinizioni, hanno cominciato a introdur voci, et a riceverne, a gui$a che il popolo fa, $en- za determinarne il $ignificato. E troverete molti$- $imi, che altro mai non nominano nei lor di$cor$i, che idea chiara e di$tinta, $emplicità della natura, analogia, legge, ed alrri nomi $omiglianti; e pochi$- $imi troverete, $e ne troverete alcuno, ai quali $of- fra l’animo di fermar$i a $piegarne con diligenza la $ignificazione; di che tanto più $ono a mio giudicio da riprendere, che di que$ti $te$$i nomi $i $ervo- no nel formar le regole del vero e diritto argo- mentare; onde altro che con$u$ione e o$curità non può na$cere. Ma venendo al nome di legge, che tanto oggidì s’ u$a nelle $cuole de’$i$ici, egli è certamente uno di quelli, che, non e$$endo $tati fino ad ora $tretti da niuna certa diffinizione, van- no vagando liberamente, e prendendo ora un $en timento, et ora un’ altro, di che molti non avve- DELLA FORZA DE’ CORPI dendo$i $i inganano. Io dunque per non errare, qualor $ento profferir legge di natura, prima di accon$entire a ciò, che altri ne dice, $oglio con- $iderare attentamente, in qual $ignificato prenda un tal nome colui, che lo profferi$ce. E per quan- to mi torna alla memoria, parmi di averlo udito prendere in molte maniere; benchè due $ono le più comuni. Primamente $ogliono chiamar$i leg- gi certe con$uetudini più generali e più co$tanti, che la natura $egue nel produrre et ordinar le co- $e; le quali con$uetudini $ono bene $pe$$o acciden- tali all’ e$$enza de’ corpi, e molte volte arbitrarie alla natura i$te$$a. Leggi ancora ho udito chiamar talvolta certi principj, che piutto$to nece$$ità do- vrebbon dir$i, che leggi; come, che il tut- to debba e$$er maggiore di qual $ivoglia delle $ue parti; e che due co$e immede$imate con una terza debbano altresì e$$ere immede$imate tra loro; et altre tali nece$$ità eterne et immutabili, che ven- gono $otto nome di a$$iomi, ne po$$on dir$i pro- priamente con$uetudini introdotte dalla natura, e$$endo @osì antiche, come la natura $te$$a. Or dunque con$iderando io que$ti due varj $entimenti, che $i danno al nome di legge, dico che io non mi arri$chierei già d<007> formare una $uppo$izione, che fo$$e contraria ad un a$$ioma; come che $ieno $tati molti eccellenti$$imi metafi$ici, a’ quali ha dato l’ animo di farlo. E la ragione $i è, perchè $e gli a$$iomi $ono, come io credo che $ieno, legati tut- ti in$ieme, e cong<007>unti; anzi immede$imati l’ uno LIBRO II. con l’ altro, così che un $olo e $emplici$$imo vero con$titui$cano; parmi, che $e uno $e ne leva$$e via, $i leverebbono tutti, ne più re$terebbe alcun prin- cipio alla ragione; et io avrei tutti i timori del Padre Riccat<007>. E certo che vano $arebbe l’ argo- mentare, tolto via i principj, perciocchè tolto via que$ti, è tolto l’ argomentare $te$$o. Ma non però tanto timor mi farebbe una $uppo$izione, per cui $i leva$$e alcuna di quelle con$uetudini, che $opra abbiamo detto; perciocchè toltone una, potrebbo- no rimanerne molte altre, che non dipende$$er da quella, e $empre ci rimarrebbon gli a$$iomi, i qua- l<007> e$$endo $tretti$$imamente congiunti con la ragio- ne, la $eguirebbono fin nel caos; laonde non man- cherebbe alla mente ne materia ne modo di argo- mentare, e trovare quante verità cia$cun vole$$e. E noi $appiamo, che Carte$io, filo$o$o grandi$$imo, gittate via tutte le altre leggi della natura, ebbe ar- dimento di entrare col pen$iero nel caos, null’ al- tro recando $eco, che gli a$$iomi, e alcune poche leggi del moto; e $però di trarne la vera forma dell’ univer$o. Con$iglio in vero ardimento$o, e da non permetter$i, che a Carte$io. Ma io, $enza entrare nel caos, mi arri$chierei bene di $upporre dei cor- pi, i quali o non $i attrae$$er l’ un l’ altro, o fo$- $er gravi non a mi$ura della materia loro, ma $e- condo altra proporzione; che $ebben que$te co$e fo$$er contrarie alle con$uetudini della natura, pur potrebbono rettamente con$iderar$i; et io vorrei, $e ave$$i tanto ingegno da $aper farlo, compor $o- DELLA FORZA DE’ CORPI pra e$se volumi intieri tutti pieni di conclu$ioni veri$$ime; le quali potrebbono anche e$$ere utili$- $ime; perciocchè molte volte avendo veduto quel- lo, che avvenir debba ad un corpo, il qual non o$- $ervi certa legge della natura, più facilmente $i pa$- $a a veder quello, che debba avvenirgli, o$$ervan- dola. Il perchè io credo fermamente, che non $ie- no da vietar$i ai filo$ofi $imili $uppofizioni; e quei, che le vietano, e dicono, la no$tra mente non po- tere andar più avanti, ove una $ola legge di natura $i tolga, confondono le leggi della natura; non. accorgendo$i, che quel, che dicono, è for$e vero, $e la legge, che viene a toglier$i, $ia un’ a$$ioma; $e $ia $ol tanto una con$uetudine, non è vero cer- tamente. Il $amo$o Beccari in Bologna ha di$co- perto tanti corpi e$$er fosfori, che oramai può cre- der$i, che $ieno tutti: del qual ritrovamento non $o, $e alcun’ altro $ia$i fatto a no$tri tempi ne più vago ne più leggiadro. Potrà dire alcuno, que$ta e$$er legge di natura, che tutti i corpi $ien fosfori. Diremo noi per ciò, che $e alcuno $uppone$$e un corpo non fosforo, dove$se to$to mancare a lui la ragione, e ritornare il mondo nel caos? E per ac- co$tarmi a quella $uppo$izione, per cagion della. quale avete voluto, che io entri in que$ta di$puta, voglio dire alla $uppo$izione de’ corpi duri$$imi, io non veggo, per qual ragione il Padre Riccati debba averne tanta paura, e temer, che per e$sa dove$se mancargli la ragione; perchè $ebbene a. lui pare, che per e$$a $i levi la legge della continui- LIBRO II. tà, que$ta legge però, quando ben fo$se nella na- tura, non $arebbe altro, che una con$uetudine, e levata e$sa, ne rimarrebbon dell’ altre, e re$te- rebbon certamente gli a$$iomi, ne la ragione ver- rebbe meno, ne il mondo perirebbe; $olamente, $uppo$ti tali corpi, mancherebbe, come egli ar- gomenta, la continuità; ne que$to $te$so potreb- be egli argomentare $enza $upporli. Sebbene che giova fermarci in que$ta controver$ia, $e prima non $i dimo$tri la continuità efsere veramente una legge di natura? Voi dunque negate, di$$e allora il Signor D. Serao, che le co$e, per in$tituto della natura loro, traggano alla continuità. Io nol nego già, ri$po$i; a$petto che il mi dimo$triate. Ne voglio, che mi dimo$triate, che la continui- tà $ia un principio o un’ a$$ioma; a me ba$ta. $ol tanto, che mi facciate vedere, che ella $ia. una perpetua, e general con$uetudine. Que$to, di$$e il Signor D. Serao, non è difficile a dimo- $trar$i, $e non quanto è difficile raccoglier qui tutti gli e$empi, che trar $i po$$ono dalla meccani- ca e dalla fi$ica, ne quali apertamente $i vede, quanto $ia la natura co$tante o$$ervatrice della con- tinuità. E per far vedere, di$$e quivi il Signor D. Niccola, quanto la continuità regni in tutte le. co$e, potrebbono anche trar$ene innumerabili e$empi dalla geometria. Io credo, ri$po$e il Si- gnor D. Serao, che la geometria $ia $tata la pri- ma, che abbia $coperto la continuità alla mecca- nica et alla fi$ica; le quali due $cienze non $ene DELLA FORZA DE’ CORPI farebbono for$e mai avvedute, $e la geometria non la mo$trava loro. Ma que$to Signore conce- derà facilmente la continuità nelle co$e, che $i con$iderano da voi altri geometri, negandola in quelle, che $i con$iderano dai fi$ici. Et io allora, ne in quelle, di$$i, ne in que$te la negherò; a$- petterò bene, che mi $i dimo$tri sì nell’ une, co- me nell’ altre. Mentre que$ti ragionamenti tra. noi erano, ci accorgemmo, che il naviglio aven- do fatto $uo giro, cominciava di acco$tar$i a ter- ra; e già vedevamo venirci incontro le belle $piag- ge di Baja, cui di lontano $eguivano le erbo$e rive dell’ ameno e dilettevol Pozzuolo; e raden- do con la nave una i$oletta, che di bo$chetti a- dorna, e di ca$e, u$civa tutta fe$to$a dell’ onde, vedemmo alquanti pa$tori, che $opra v’ erano, al dolce $uono di più $ampogne lietamente dan- zare con alquante leggiadre pa$torelle vezzo$a- mente inghirlandate. La qual vi$ta tra$$e a $e gli occhi di tutti, ma$$imamente del Signor Marche- $e di Campo Hermo$o; che po$cia a me rivolto, qual parte è, di$$e, ne’ beati contorni di Napoli, che non $ia piena d’ allegrezza e di ri$o? tal ch’ io mi credo, che gli amori, e le grazie $e gli abbian pre$i per lor $oggiorno; invitandovi $pe$- $o ancor le mu$e. E vi verran volentieri, ri$po$i io, ricordando$i del divin Sannazzaro, che ve le tra$$e altra volta così $oavemente con quelle $ue pi$catorie; nelle quali imitò così bene l’ inimita- bil Virgilio. E ben mi credo, che que$te rive, LIBRO II. e que$ti $cogli, e que$t’ onde appre$e l’ abbiano, e le ripetan talvolta; e già, non $o come, mi par di udire il lamentevol canto di Licida, di cui non po$$o mai ricordarmi, $enza che a mente mi torni il pianto di Coridone. Qui la Signora Principe$$a, a me rivolta, di$$e: la$ciate pianger Coridone, e ri$pondete a quello, che il Signor D. Serao, e il Signor D. Niccola te$tè dicevano: e già la vaga i$oletta, $correndo oltre il naviglio, avevamo la$ciata addietro; quando io ri$po$i: Si- gnora, io ho già detto che $to a$pettando, come la continuità mi $i dimo$tri o nella geometria, o nella meccanica, o in tutte quelle $cienze, che e$$i vorranno. Io non a$pettava già io, di$se quivi il Signor D. Nicola, che voi vole$te, che la conti- nuità vi $i dimo$tra$se nelle co$e de’ geometri; per- ciocchè fra quante e$$i ne con$iderano, qual n’ ha, o $ia linea, o $ia $uperficie, o $ia corpo, o di qual’ altra maniera voi vogliate, in cui non $i o$$ervi una co$tante e perpetua continuità? Qual progref- $ione ha nelle idee dei geometri, quale andamen- to, qual $erie, in cui pa$sando$i da un termine ad un’ altro, non $i tocchino tutti i gradi, che vi $ono frappo$ti? Così procedono le ordinate in tutte le linee curve; e con e$se $i e$primono, co- me $apete, e rappre$entano tutte le altre quantità. E le curve $te$se, $eguendo $empre una mede$ima legge, ritengono perpetuamente la lor natura, ne mai $i trasformano $ubitamente l’ una nell’ altra. Di che $e io vole$$i recarvi gli e$empi, prima il DELLA FORZA DE’ CORPI tempo mi mancherebbe, che le parole. Ma a voi $ta di mo$trarmi una figura $ola, una progre$$ion $ola, un $olo andamento, in cui trovi$i di$conti- nuità. Eccovi, $ubito ri$po$i: il triangolo. Do- ve trovate voi, di$se il Signor D. Niccola, la di- $continuità nel triangolo? Nell’ orlo, ri$po$i io, o vogliam dir nel perimetro; il quale procedendo dall’ una e$tremità della ba$e $ino all’ altra con uno andamento $empre retto, $ubito poi $i torce, e va a $ormare un lato, faccendo con la ba$e un’ angolo di qual$ivoglia grandezza $enza aver fatto prima gli altri angoli minori; e giunto poi alla cima del triangolo, $i torce $imilmente di nuovo, faccendo all’ improvvi$o un’ altro angolo; fatto il quale $i riconduce a quella e$tremità della ba$e, onde partì. Ed eccovi la di$continuità, che chia- ramente appari$ce nell’ andamento del perimetro. Qui ridendo il Signor D. Niccola, ben veggo, di$- $e, che vi prendete diletto di noi. E chi non $a, che il perimetro di un triangolo non ci $i forma nell’ animo per una progre$$ione, la qual ci porti a formarlo; ma è una po$izione di tre linee, che $i prendono, e collocano a piacer d’ ognuno. E potrebbe anche uno formar$i un triangolo, il cui perimetro compo$to $o$se di tre linee curve tra lo- ro diver$i$$ime; in cui certamente non $arebbe la continuità; perchè chi vuole e$iggerla in quelle co$e, che forman$i ad arbitrio? Et io vorrei $ape- re, ri$po$i, qual $ia quella figura, che i geometri non $e l’ abbian formata ad arbitrio. Che $e tali LIBRO II. d’ ordinario le formano, che appari$ce in ogni lor parte la continuità; a ciò gl’ inducono certe re- gole, che e$$i $i hanno propo$to nel formarle; dalle quali regole $e vorranno partire (e potran- no $empre, che il vogliano) incontreranno nelle lor figure tante di$continuità, quante ne vorran- no; ne tali figure $aran per que$to da rimover$i dal- la con$iderazion dei geometri, e $aranno così belle e così buone, come le altre. Et acciocchè non pa- ja, che io abbia addotto l’ e$empio del perimetro nel triangolo pernon averne altro, quantunque fa- cilmente $i intenda, che quello, che ho detto del triangolo, può $imilmente dir$i di ogni altro poli- gono, e di tutte le linee curve, ove ne piaccia di trasformarle in poligoni; vedete di grazia un’ an- golo $olo fatto da due linee rette: il quale, di$tra- endo$i viepiù le linee, et allargando$i, viepiù cre- $ce, e più $empre cre$cendo, come le linee vengono a por$i in dirittura l’ una dell’ altra, improv vi$amen- te divien nullo. Il che certamente è contrario alla continuità, la qual vorrebbe, che ogni quantità di- veni$$e nulla a forza di impiccolir$i; e voi vedete, che l’ angolo divien nullo nel $uo cre$cere. E ve- dete però, di$$e quivi il Signor D. Niccola, che di$traendo$i vie più le linee, vie più ancora cre$ce l’ arco, che è mi$ura dell’ angolo; e que$t’ arco, mettendo$i le linee in dirittura l’ una dell’ altra., non diviene già egli nullo; anzi $i fa maggiore che mai; laonde pare, che dove voi trovate di$continui- tà, $i trovi anzi continuità. E $imilmente potrei di- DELLA FORZA DE’ CORPI re del perimetro del triangolo; perchè, comunque $ia l’ andamento dei lati, $e voi però da tutti i pun- ti della ba$e condurrete altrettante linee ad’ e$$a perpendicolari, le quali vadano a terminar$i nei la- ti, trover te che que$te, cominciando da una e- $tremità della ba$e van $empre cre$cendo a poco a poco, $enza la$ciare addietro verun’ accre$cimento quantunque piccoli$$imo, in fin a tanto che giun- gano alla cima del triangolo; alla qual giunte co- minciano to$to a $minuir$i, e pa$$ando per tutti gl’ infiniti gradi della diminuzione $i ritornan nel nul- la. E que$te perpendicolari $egnano con le loro e- $tremità il perimetro del triangolo, il qual per ciò par nato da una certa continuità. Avendo così det- to il Signor D. Niccola, io non nego, ri$po$i, che dove io trovo di$continuità, non po$$a trovare al- tri la continuità, dipendendo tutto que$to dalla diver$a maniera, con cui vogliono le co$e riguar- dar$i. E for$e che non è $igura niuna tra quelle, che vengono in mente a geometri, in cui $e alcune di- $continuità appari$cono, non abbiano, per così dir, $otto $e una perpetua continuità, che le $egue, e in certo modo le regge. Ma altro è, che non $ia nelle idee de’ geometri di$continuità niuna; altro è, che quelle, che vi $ono, $ieno $empre accompa- gnate da qualche continuità. E di vero per quan- to voi troviate la continuità nella $erie degli ar- chi, che tengon dietro all’ angolo, mentre egli $i va accre$cendo; negar però non potete, che $ia di$continuità nell’ angolo i$te$$o, divenendo egli LIBRO II. nel cor$o del $uo accre$cimento improvvi$amente nullo. Anzi $e voi con$idererete gli archi, non in- quanto $ono archi, ma inquanto $ono mi$ure d’ angoli, troverete la di$continuità anche in loro; perchè divenendo l’ angolo nullo, benchè l’ arco, inquant’ è arco, divenga maggiore, divien però nullo, inquanto è mi$ura dell’ angolo. E $imil- mente è da concedere, che il triangolo nell’ an- damento del $uo perimetro non $egue in niun mo- do la continuità; benchè la $eguano que<007>le perpen dicolari, che v’ è piaciuto ora di fingere; le quali avre$te potuto $imilmente fingere anche in un triangolo, che chiamerebbe$i mi$tilineo, un la- to del quale fo$$e un’ arco d’ una parabola, e l’ altro fo$$e un’ arco d’ una ci$$oide; il cui perime- tro non $i direbbe però avere continuità; poichè tenendo per qualche tratto la forma di una curva, pa$$erebbe $ubitamente a prender la forma di un’ altra. Io dico dunque, che può e$$ere nelle idee de’ geometri alcuna di$continuità, benchè $ia for- $e accompagnata $empre da qualche continuità; e for$e anche, $e così volete, na$ca da e$$a; come $e voi vole$te, che dalla $erie di quelle perpendicola- ri, da voi poco fa rammemorate, avendo e$$a continuità, ne na$ce$$e un perimetro, che non l’ ha. Ma non potrebbe dir$i que$to $te$$o, cioè che la di$continuità $ia $empre accompagnata, o na$ca da qualche continuità; $e non vi fo$$e di$continui- tà niuna. Avendo io detto que$te co$e, il Signor D. Niccola già di$poneva$i di ri$pondere; quan- DELLA FORZA DE’ CORPI do avveduto$i che il Signor Marche$e di Cam- po Hermo$o mo$trava aver voglia di fare qualche domanda, a lui rivolto, non commetterò io, di$$e, che la no$tra compagnia $i re$ti priva di quello, che vi è venuto nell’ animo. Perchè, $e alcuna doman- da avete a fare, fatela. Et egli allora, la no$tra compagnia, di$$e, non potrebbe de$iderare di udir me, avendo udito voi due. Voi non $apete, ri$po- $i, tutto quello, che noi po$$iamo de$iderare; per- chè vi prego di voler dire; e ardi$co pregarvene anche a nome degli altri. Allora il Signor Marche- $e, a me rivolto, di$$e: Se la natura del vero $of- fre alcuna di$continuità, come voi dite, nelle li- nee, e neile figure, e nelle altre idee de’ geome- tri, e negli andamenti loro; io vorrei $apere, don- de avvenga, che in ogni linea curva $i trovi $em- pre continuità; che di quante io n’ ho vedute (e molte già ne vidi $tudiando algebra in Palermo $otto la di$ciplina del Signor D. Luigi Capece) niuna parmi di averne incontrata mai, che la leg- ge della continuità non o$$erva$$e; $eguendo ognu- na $empre la $te$$a regola $enza mai allontanar$e- ne; ne pervenendo mai le ordinate al zero $enza prima impiccolir$i a poco a poco; ne trasferendo- $i mai dall’ e$$ere po$itivo al negativo, $enza e$$ere pa$$ate prima per lo zero, o aver varcato li $pazj interminabili dell’ infinito. E quella continuità quanto valeva a render vaga e leggiadra ogni cur- va! Qui $i tacque il Signor Marche$e, et io incon- tanente ri$pondendo, piacciavi, di$$i, di avverti- LIBRO II. re, che io non ho mai negato, che $ia continuità nelle idee dei geometri; ho detto $olo, niuno aver- mi finqui dimo$trato, che e$$e non po$$ano talvol- ta incorrere in alcune di$continuità, le quali per- avventura potrebbon na$cere da quella i$te$$a re- gola di continuità, che le accompagna. E voi for- $e ne avre$te trovate alcune in quelle vo$tre curve, che già o$$erva$te, $e pre$o dalla vaghezza del- la continuità, e da e$$a rapito, ave$te potuto cercar altro. Ne io però mi meraviglierei, $e in quelle vo$tre curve ave$te anche trovata per tutto la continuità $enza di$continuità niuna; percioc- chè i geometri $e le compongono a modo loro, proponendo$i una certa regola di formarle, che $oglion chiudere in una equazione, e non volen- do, che appartengano alla curva $e non quei pun- ti, che $econdo quella regola ritrovano; e perchè quella regola trae a continuità, per ciò ogni cur- va, che e$$i compongono, mo$tra continuità per tutto; ne mai parte da quella $te$$a regola; per- ciocchè come potrebbe partirne, $e la compongon con e$$a? Non è dunque, che tutte le curve, che venir po$$ono in pen$iero, abbiano di lor natura una co$tante e perpetua continuità; e $e i geome- tri in tutte quelle, che $tudiano, la trovano; ciò non è, perchè tutte le immaginabili curve l’ abbia- no, ma perchè e$$i non $tudiano, $e non quelle, che l’ hanno. Se noi con un piano taglia$$imo un corpo, la cui $uperficie fo$$e di molte, e tra lor varie, $uperficie compo$ta, chi potrebbe promet- DELLA FORZA DE’ CORPI ter$i, che quella linea, la qual na$ce$$e dal taglio della $uperficie e del piano, ave$$e in ogni $ua par te continuità? Ne $o già, $e voi pote$te tanto $i- curamente affermarmi, che volendo riferire una tal linea ad un certo a$$e, e comporla per ordina- te, dove$$ero aver que$te quel bell’ ordine e quel- la vaga continuità, che tanto nelle vo$tre curve vi piacque. E per tornare a cote$te curve, che bella continuità trovate voi là, dove le ordinate $ten- dendo$i dall’ una parte in infinito, pa$$ano to $to a $tender$i in infinito dall’ altra? nel qual luogo $i direbbe e$$ere di$continuità $omma, $e ella non na$ce$$e da quella i$te$$a regola, con cui piac- que da principio formar la curva, e che e$$en- do continva, pur fa na$cere qualche di$conti- nuità. E come la regola, con cui $i formano le linee curve, e le figure tutte, dipende dall’ arbitrio dei geometri, così po$$ono e$$e avere con- tinuità, e non averla; ne la natura del vero le sforza all’ uno od all’ altro, valendo in ciò la vo- lontà degli uomini. Avendo io dette que$te co$e, il Signor Marche$e, mo$trando di accon$entire, ri$- po$e. Que$ta ragione però non dovrebbe valervi nelle opere della natura, le quali, non dalla vo- lontà degli uomini, ma dalla volontà di lei $te$$a $i movono e $i reggono. Et io, vedete, di$$i, che non $ia per que$to i$te$$o più difficile il dimo$trare la continuità nelle opere della natura, che in quel- le degli uomini; perchè, $e la natura le move e regge a modo $uo, chi può $apere, $e ella $i abbia LIBRO II. voluto imporre, qual prima e principal legge, la continuità, così che niun corpo per niuno acci- dente, che avvenir po$$a, debba poter pa$$are da una qualità ad un’ altra, et avendo una forma prenderne una nuova, $enza aver prima avute tutte le qualità o forme intermedie? E $e noi in molti$$ime co$e, che non $o già $e in tutte, tro- viamo la continuità, potrebbe ella e$$ere una con- leguenza di qualche regola o legge, la quale in- ducendo continuità in molti$$ime, la$cia$$e però luogo alla di$continuità in alcune. E qual potreb- be e$$ere cote$ta legge? di$$e il Signor Marche$e; et io ri$po$i: le leggi $te$$e del moto, le quali $e $i avverranno in corpi duri$$imi, non $olamente per- metteranno nel loro incontro qualche di$continui- tà; ma la vorranno, e la chiederanno. E chi $a, $e la natura, per isfuggire ogni di$continuità, abbia voluto guardar$i di produrre verun corpicciuolo duri$$imo, chenti erano gli atomi d’ Epicuro? Chi $a, $e i globetti della luce, i quali $i dice, che arri- vando a toccare la $uperficie d<007> alcun corpo, che non abbia virtù di ri$pignerli, perdono to$to il lor movimento, chi $a, dico, $e non $ieno duri$- $imi, o in altro modo $ciolti dell’ obbligo della continuità? e la natura intanto $eguendo in tutto le leggi del moto, le quali $ole a lei ba$tano per produrre qualunque a$petto dell’ univer$o, permet- ta a que$ti a$petti mede$imi, et ai corpi, che gli formano, qualche di$continuità? Avendo io fin- quì detto, e pen$ando di dir più oltre, il Signor DELLA FORZA DE’ CORPI D. Serao mi $i fe incontro con que$te parole. Voi però durere$te gran fatica a mo$trarmi un’ e$empio $olo, in cui fo$$e di$continuità; e di$correte pure a voglia vo$tra per tutta la meccanica, e per tutta la fi$ica, quant’ ella è; io potrei ben di pre$ente mo$trarvene mille, in cui trovere$te una per$etta continuità. E voi $apete, che gli e$empi vogliono u$ar$i in que$ta controver$ia, non le $ottigliezze. Io certo, ri$po$i, non prenderei ora la fatica di addurvi tutti gli e$empi della di$continuità; e $o già, che alcuni, avendo$i fitta nell’ animo la con- tinuità, qualunque effetto lor $i pre$enti, in cui e$$a non appari$ca, tanto s’ ingegnano, e $tudiano tanto, che trovano finalmente la via di $upporve- la; e potendovela $upporre, par loro, che vi $ia. E $e io vi dice$$i, che un corpo venendo a percuo- tere obliquamente in un piano, acqui$ta $ubito due direzioni, una delle quali è perpendicolare ad e$$o piano, $enza aver prima acqui$tato tutte le dire- zioni intermedie, che $ono tra que$ta, e quella, che avea; e $e vi dice$$i, che l’ acqua $gorgando dal fian- co di un’ va$o, nel primo $uo u$cire acqui$ta $u- bito tutta quella velocità, che avr@bbe a poco a poco acqui$tata, $e $o$$e caduta da tanta altezza, quanta ne ha l’ acqua nel va$o; e $e altri effetti di tal maniera vi propone$$i; io $on certo, che voi vi ingegnere$te tanto, che finalmente trovere$te la via di ridurli a continuità; e in ciò for$e tante $otti- gliezze adoprere$te, che non dovre$te più rifiutare le mie. Ma io non ho bi$ogno di gran $ottigliez- LIBRO II. za per per$uadermi, che po$$a un corpo e$trema- mente ro$$o e$$er vicini$$imo ad’ un’ altro e$tre- mamente verde, così che dal ro$$o $i venga al ver- de $enza pa$$are per li colori frappo$ti. E lo $te$- $o potrei $imilmente dire di tutte le altre qualità. Perchè non potrebbe un corpo oltremodo duro per alcun’ accidente e$$ere vicini$$imo ad’ un’ altro $ommamente molle; et uno den$i$$imo ad un rari$$i- mo? Ne accade che voi vi affatichiate di addurre i mille e$empi, in cui chiara appari$ca la continuità; perchè io non nego, che la continuità non $i o$- $ervi in molti$$ime opere della natura; ne potreb- bon però i mille e$empi dimo$trarla evidentemen- te, e metterla fuori d’ ogni dubio; $olamente le acqui$terebbono una qualche probabilità. Ne quel- li $or$e, di$$e quivi il Signor D. Serao, che $o$ten- gono la continuità, l’ hanno per co$a evidente; ba$tando loro, che $ia molto probabile. Ma voi vorre$te l’ evidenza per tutto. Io non vorrei già, ri$po$i, l’ evidenza per tutto, $apendo beni$$imo, che $on molte co$e, in cui non po$$iamo $perarla. Vorrei bene, che le co$e evidenti fo$$ero pi- gliate, come evidenti, e le probabili, come pro- babili. Il che $e tutti face$$ero, non $arebbon tan- ti, quanti ne $ono, i quali rifiutano un $i$tema, d’ altronde comodi$$imo, per que$to $olo, che egli $i oppone ad un principio, che e$$i amano, e che al- tro non è $e non probabile; perciocchè o il $i$te- ma par loro comodo, e $e è così, il principio dee cedere, e dargli luogo, ce$$ando per allora d’ e$- DELLA FORZA DE’ CORPI $er probabile; o il $i$tema non è ne comodo ne adattato agli effetti, ed egli allora dee ri$iu- tar$i per que$to, non perchè $i opponga a quel tale principio. E certo che, quanto a me, io non rifiuterei un $i$tema, il qual mi $piega$$e comodi$- $imamente tutti gli effetti, per que$to, che incor- re$$e talvolta in qualche di$continuità; e più to$to che rigettare il $i$tema per ritenere la continuità, rigetterei la continuità per ritenere il $i$tema. E quelli, che fanno il contrario, parmi, che abbia- no la continuità per più che probabile. Io non $o quello, di$$e qui il Signor D. Serao, che tutti fan- no. So bene che io ho udito molti, che $o$tene- vano la continuità non altro che come co$a a$$ai veri$imile; e dicevano di valer$ene per non avere alcun’ altro principio più certo; e in ciò mo$tra- vano una mode$tia grandi$$ima. Vedete, ri$po$i, non fo$$er di quegli (che molti$$imi n’ ha) i quali cominciano con gran mode$tia, e fini$cono con gran baldanza. Perchè cono$cendo la debo- lezza de’ principj loro, cominc<007>ano col propor- li umilmente: egli $i par veri$imile: facile co$a è da conceder$i: $embra che il buon $en$o detti; e tanto van dietro i pauro$i con quelle forme piene di mode$tia e di umiliazione, prote$tando pure di non $aper nulla di certo, che è uno sfinimento ad udirli; procedendo poi oltre col di$cor$o, depongo- no tutta l’ umiltà a poco, a poco, e $tabili$cono final- mente le con$eguenze loro con tanto orgoglio, quanto appena $i comporterebbe ad’ un geometra; LIBRO II. ne avvertono, che $e furono tanto timidi nei prin- cipj, conveniva loro e$$er più timidi nelle con$e- guenze. Ri$e quivi il Signor D. Serao, etio non nego, di$$e, che que$to errore non $ia oggidì di molti, i quali come giungono al fine dellor di$cor- $o, più non $i ricordano la debolezza di quei prin- cipj, $opra cui lo fondarono, e vogliono $pacciar per $icura una con$eguenza, che hanno tratta da. principj non $icuri. Non cosi però parmi, che fac- cia Giovanni Bernulli in quel $uo nobili$$imo ragio- namento, la dove dalla continuità della natura. pa$$a a dimo$trare, non dover e$$er nel mondo al- cun corpo duri$$imo, e ne leva via per fino la $up- po$izione. Voi $apete che l’ accademia di Parigi, $upponendo i corpi duri$$imi, avea chie$to, che $i cerca$$ero quelle leggi del moto, che più loro $i conveni$$ero. Ri$po$e Bernulli, che non potean. quelli $uppor$i, e$$endo contrarj alla continuità. Io non mi ricordo bene le $ue ragioni; ma $e do- ve$$e argomentar$i per via dell’ autorità, et io vo- le$$i valermi di quella di un così grand’ uomo, che ha creduto non poter $uppor$i in verun modo i corpi duri$$imi, $olo perchè alla continuità $i op- pongono; quale autorità mi opporre$te voi? Quel- la, ri$po$i, dell’ accademia di Parigi; che pur gli aveva $uppo$ti, e non doveva aver avuto tanta. paura di contravvenire alla continuità. Ma noi, cre- do, non vogliam moverci ne per l’ una autorità ne per l’ altra, come che $ieno e l’ una e l’ altra. gravi$$me. Sì, di$se il Signor D. Serao, ma Bernul- DELLA FORZA DE’ CORPI li, volendo pa$sare a quella $ua con$eguenza, che egli $i avea propo$to: cioè, che i corpi duri$$imi non po$san ne e$sere ne $uppor$i: e volendo per- ciò incominciare dal principio della continuità, egli non lo a$sun$e già così ad arbitrio, ma lo pro- vò con alquante ragioni, che da molti $i pigliano come evidenti, e che voi avrete ben lette. So, ri- $po$i, che già le le$$i; ma ora non le ho a memo- ria; ben parmi, quando le le$$i, che più, che le ragioni, mi move$se l’ autorità dell’ uomo; alla. quale però abbiamo detto di non volere ora atte- nerci. E $e io non ave$$i molti e$empi nella na- tura, che mi rendono alquanto probabile la con- tinuità, le ragioni di Bernulli non me l’ avrebbo. no fatta mai parer tale. Ma dir ciò è nulla, e$sen- doci di quelle ragioni dimenticati e voi et io; il che è anche argomento, che non ci dove$ser pa- rere di tanto pe$o. Qui ridendo il Signor D. Nic- cola, la vo$tra dimenticanza, di$se, non vi $ervi- rà punto a s$uggir di dirne il parer vo$tro; per- chè io ho qui il libro del Padre Riccati, in. cui $ono le ragioni $te$se di Bernulli, tradotte nel- la no$tra volgar lingua diligentemente, et io po$so leggervele così che la dimenticanza non vi $cu$i; oltreche il luogo, che le contiene, è a$$ai breve, ne a leggerlo $i richiederà troppo lungo tempo. Be- ne $tà, di$$e la Signora Principe$$a; et io avrò ca- ro, che noi chiudiamo il no$tro pre$ente ragiona- mento, con$iderando le ragioni di quel valenti$$i- mo uomo; perchè $e io ben cono$co que$te rive, LIBRO II. che andiam radendo a $ini$tra, noi $iamo già $otto Baja, e poichè il vento s’ è fatto alquanto gagliar- detto, non andrà molto, che noi $aremo à Poz- zuolo. Mentre la Signora Principe$$a così diceva, il Signor D. Niccola tra$$e fuori il libro, e rivol- gendone quà e là le carte, s’ avvenne alla pagina 343, ove vide, che il Padre Riccati, parlando di Bernulli, dice aver lui fatto vedere chiari$$imamen- te, che un corpo, il qual $ia d’ una perfetta durez- za, involve mani$e$ta contradizione. Oh! qui, di$$e, dovrebbon e$$ere le ragioni, onde Bernulli dimo$tra la continuità. E guardando alla $eguente pagina: eccole di$se, e cominciò a leggere = _In_ _effetto un $omigliante principio di durezza non po-_ _trebbe e$i$tere. Egl<007> è una chimera, che repugna alla_ _legge generale, che la natura o$$erva co$tantemente_ _in tutte le $ue operazioni. Io parlo di quell’ ordine._ _immutabile e perpetuo, $tabilito dalla creazione dell’_ _univer$o, che $i può appellare legge di continuità,_ _in virtù della quale tutto ciò, che s’ e$egui$ce, $i_ _e$egui$ce per gradi infinitamente piccioli_ = Fin qui, di$$i io allora, interrompendolo, non altro $i fa, che propor la co$a con gran pompa di parole; niente $i prova, ne $i dimo$tra. Abbiate pazienza, di$$e il Signor D. Nicola; che quì cominciano le prove; et e$$endo$i di nuovo po$to a leggere, re- citate le prime parole = _Sembra, che il buon $en$o_ _detti_ = ri$tette alquanto, e $orridendo di$se: voi direte que$ta e$$ere una di quelle forme piene di mode$tia, con cui cominciano i pauro$i, per finir DELLA FORZA DE’ CORPI poi con orgoglio. Certo, di$$i, le dimo$trazioni dei geometri non $oglion così cominciar$i: _Sembra_ _che il buon $en$o detti._ Ma que$to che fa; $e le ra- gioni, che $oggiugne Bernulli, $ieno chiari$$ime, et evidenti$$ime? Però leggetele. Allora il Signor D. Nicola ricominciò = _Sembra che il buon $en$o_ _detti, che verun cangiamento non po{$s}a far$i per $al-_ _to; per $alto non opera la natura. Non v’ ha co$a,_ _che pa$$ar po$$a da una e$tremità all’ altra $enza pa$-_ _$are per tutti i gradi di mezzo_ = Qui non potendo tenermi, $on que$te, di$$i, quelle dimo$trazioni chiari$$ime et evidenti$$ime? Ma la Signora Prin- cipe$$a interrompendomi, voi $iete, di$$e, impa- ziente fuor di modo; e intanto il Signor D. Ni- cola $eguitò a leggere = _E qual conne$$ione $i con-_ _cepirebbe tra due e$tremità oppo$te indipendentemente_ _da ogni conne$$ione di ciò, che è tra mezzo?_ = e let- te que$te parole $i fermò alquanto. Io allora, non fo, di$$i, $e que$ta a voi paja una ragione; a me. certamente o non pare, o non pare almeno di quella tanta evidenza, che a $tabilire un principio infallibile, e nece$$ario $i richiederebbe. Avendo io così detto, e tacendomi, parve, che gli altri pur $i tace$$ero, et io $eguitai: io dico dunque, che. $e un corpo, $correndo uno $pazio, dee pa$$are da un luogo ad un’ altro, dee pa$$are altresì per li luoghi interpo$ti $eguitamente, $alvo $e egli non vi fo$$e portato per miracolo; e può dir$i, che l’ un termine di quel cor$o $i connetta con l’ altro per la $erie di quei luoghi, che la natura vi ha. LIBRO II. realmente frappo$ti. E ciò intendo io beni$$imo. Ma non $o già, perchè debba nece$$ariamente dir- $i lo $te$$o, qualunque volta un corpo pa$$i da qual- $i$ia forma o qualità ad un’ altra: per e$empio dal ro$$o al verde, dalla luce all’ o$curità, dal movi- mento più veloce al meno; tra le quali forme e. qualità noi concepiamo in vero de i gradi, per pa$- $are dall’ una all’ altra col pen$iero più comoda- mente; ma que$ti gradi realmente non vi $ono, $e già la natura non ve gli fa a po$ta. Ne però, cred’ io, ha bi$ogno di farli; perciocchè $e le leg- gi per e$$a $tabilite richied$$ero, che un corpo ro$- $o $ubitamente diventa$$e verde; quel ro$$o e quel verde $i connetterebbono tra loro abba$tanza per quella $te$$a legge, che richiede$$e prima l’ uno e poi $ubitamente l’ altro, ne avrebbono bi$ogno d’ altra conne$$ione. E $imilmente $e due corpi du- ri$$imi, incontrando$i, $ubitamente $i ferma$$ero, così chiedendo le leggi del moto; et io fo$$i do- mandato della cagione, che connette$$e in$ieme. quel movimento con quella $ubita quiete, non. dubiterei di ri$pondere, tutta la conne$$ione e$$er po$ta nelle leggi del moto, che in quel ca$o vor- rebbono, che la quiete $uccede$$e $ubito al movi- mento. E tal conne$$ione ba$terebbe loro $enza i gradi frappo$ti; perciocchè la natura congiunge in- $ieme le qualità, e le connette, com’ ella vuole, e vuol talvolta congiungerle, traendole per tutti gl’ interpo$ti gradi; e potrebbe anche voler farlo d’ altra maniera. Secondo voi dunque, di$$e allora DELLA FORZA DE’ CORPI il Signor D. Serao, potrebbe la natura volere due co$e tra loro $conne$$e. Non le vorrebbe $con- ne$$e, ri$po$i; connettendole col volerle. E quan- do anche le vole$$e $conne$$e; non $o, quale a$$ur- do ne $egui$$e. Ma $e voi farete, ripigliò il Si- gnor D. Nicola, tanti comenti, non $arà mai, che per noi $i venga a capo di que$ta lezione. A$colta- te l’ altro argomento, che $egue, che vi parrà for- $e miglior del primo; e $eguì di leggere = _Se la_ _natura pote$$e pa$$are da un’ e$tremo all’ altro, per_ _e$empio dal ripo$o al movimento, dal movimento al_ _ripo$o, da un movimento al contrario, $enza pa$$ar_ _per tutti li movimenti in$en$ibili, che conducono dall’_ _uno all’ altro, egli converrebbe, che il primo $tato_ _fo$$e di$trutto, $enza che la natura $ape{$s}e, a qua-_ _le ella dove{$s}e determinar$i; giacche per qual ra-_ _gione la natura ne preferirebbe uno in particola-_ _re, di cui $i potrebbe chiedere, perchè que$to più_ _to$to che qualunque altro? concio$iacbè non e$$en-_ _dovi legamento alcun nece$$ario tra que$ti due_ _$tati, niente di pa$$aggio dal movimento al ripo-_ _$o, dal ripo$o al movimento, o da un movimento_ _all’ oppo$ito, ragion veruna non la determinerebbe a_ _produr’ una co$a più to$to che l’ altra_ = Avendo finqui letto il Signor D. Nicola, e $cor$i con l’ occhio i $eguenti ver$i, vide, che gli argomenti, da Bernulli addotti, per i$tabilire la continuità, erano al fin venuti; laonde chiu$o il libro, che vi par, di$$e a me rivolto, di que$to $econdo ar- gomento? et io di$$i: a me par, che Bernulli ab- LIBRO II. bia la natura per molto ignorante: volendo, che ella, qualor rimove dallo $tato $uo un qualche corpo, non po$$a $apere in qual’ altro $tato deb- ba riporlo, $e una $erie di gradi infinitamente piccoli non venga a mo$trargliele. Nel che par- mi, che egli non $olamente voglia, che la natu- ra o$$ervi la continuità nelle co$e, ma che non ab- bia, ne po$$a avere verun’ altra legge, cui o$$er- vare; perchè $e alcuna ne ave$$e, potrebbe que- $ta in$egnarle ciò, che la continuità non le in$e- gna$$e. E certo che $e fo$$ero al mondo due cor- pi duri$$imi, i quali veni$$ero con movimenti egua- li ad incontrar$i, quand’ anche la legge della con- tinuità non vi fo$$e, e per ciò nulla pote$$e pre- $criver loro; pre$criverebbe$i però loro il fermar$i da un’ altra legge, che mi pare molto più impor- tante e molto più nece$$aria, ed è, che due mo- vimenti debban l’ un l’ altro di$trugger$i, ove $ie- no eguali e contrarj: e la natura $eguendo una tal legge, non avrebbe, cred’ io, da confonder$i, ne da vergognar$i di non $apere quello, che far $i dove$$e. Qui fatto$i innanzi il Signor D. Serao, veramente, di$$e, io credeva, che quegli argo- menti di Bernulli, e$$endo tanto famo$i, e ricevu- ti da molti, come dimo$trazioni evidenti$$ime, dove$$ero e$$er più forti. Pure $e la legge della continuità è probabile, che non può negar$i; $i vuol $eguirla. Et 10, $e $i attendano, di$$i, gliar- gomenri, con cui Bernulli la dimo$tra, appena che mi paja probabile. Pure poichè è tale, non volen- DELLA FORZA DE’ CORPI do io negare ora, che la natura il più delle volte la o$$ervi, $i vuol $eguirla, ma $empre con incer- tezza, e con timore; ne dir $i dee, che $ieno a$$ur- di, e chimere, e involvano contradizion manife$ta tutte le $uppo$izioni, le quali pote$$ero in alcun ca$o contrariarla; perchè troppo certa con$eguen- za $i trarrebbe da troppo <007>ncerto principio; e $e alcuna di que$te $uppo$izioni fo$se comodi$$ima ai filo$ofi, come quella è de corpi perfettamente duri, la quale così $peditamente ci mo$tra le leg- gi del moto, io non vorrei certo per ri$petto del- la continuità rigettarla; in tanto che la $uppo$izio- ne $te$sa degli atomi di Epicuro, $e non fo$se per altro a$surda, com’ è, io non dubiterei diriceverla, quantunque nell’ urto di due atomi pote$se indur- $i di$continuità; perchè ben potrebbe la continui- tà e$sere una con$uetudine, che la natura o$ser- va$se ne corpi, e negli a$petti $en$ibili delle co$e, e non ne principi ultimi. Mentre que$te ed’ altre co$e tra noi $i ragionavano, la nave era giunta alle rive di Pozzuolo, $enza che niuno di noi $e ne avvede$$e. Pure accortici, che $tava ferma e congiunta al lido; la Signora Principe$sa, guar- dato intorno, a$sai, di$se, $i è per voi della ra- gione de corpi duri$$imi, e della continuità di$pu- tato. Quello, che re$ta a por fine alla qui$tione della forza viva, rimetteremo ad’ altra ora; e ciò detto in piè levata$i mo$trò di voler $montar del navilio, il che fecero $imilmente tutti gli altri. Et avviatici pian piano ver$o ca$a, eccoil Signor LIBRO II. Governatore venirci incontro col Sig. D. Felice Sa- batelli, e col Signor Conte della Cueva; che giun- ti erano poche ore innanzi da Napoli. Eranvi an- she altri Signori de$idero$i di riverire la Signora Principe$$a. Di che fu fatta maraviglio$a fe$ta, abbracciando$i or gli uni or gli altri, et or una or altra co$a dicendo$i. Nella quale allegrez- za dimo$trò alcun di$piacere il Signor Conte del- la Cueva di non e$$ere a$$ai per tempo arrivato a Pozzuolo, onde poter’ e$$er con noi nella nave. Il che $entendo la Signora Principe$$a, for$e per tormentarlo alcun poco, a$$ai più di$piacere av- re$te, gli di$$e, $e $ape$te i ragionamenti, che vi $i $on fatti; e brevemente gli e$po$e le qui$tioni avute. Perchè egl<007> prendendo vie più $degno dell’ e$ser tardi venuto, $i dol$e alquanto col Signor D. Felice dell’ indugio; il quale fatto$i innanzi, avrei, di$se, pur volentieri udito di$putare d’ una dimo$trazion nuova, ulcita, non ha gran tempo, $opra la forza viva; et è del chiari$$imo Padre Ric- cati; e mi par tanto ingegno$a, e tanto bella. Ma $ento e$sere alcuni, che non $e ne vogliono per- $uadere. Credo, di$se allora la Signora Principe$- $a, che noi ne abb<007>amo qui uno. Ma $appiate, che delle molte co$e, che $ono $tate propo$te, re- $ta que$t’ una $ola, di cui non s’ è ancor di$puta- to. Mentre il Signor Conte della Cueva, e il Si- gnor D. Felice in$ieme con la Signora Principe$- $a andavano tra lor ragionando; io, e gli altri, ri- ma$i alquanti pa$$i addietro, gli $eguivamo. Ed DELLA FORZA DE’ CORPI eglino intanto, come poi $eppi da loro $te$$i, di- vi$aron del modo di introdurre la di$puta appre$- $o cena, e così trarmi a dover dire $opra la dimo- $trazione del Padre Riccati. In quella arrivammo a ca$a il Signor Governatore, dove appena entra- ti, la Signora Principe$sa, rivolta$i alla compa- gnia, di$se di voler tutti $eco a cena; indi pro- cedendo oltre per le camere fu ricevuta tra varj $uoni, cui $eguirono alcune belli$$ime danze, al- le quali molti furono pre$enti $ino alla fine; altri per pigliar’ aria fino a tanto che l’ ora del cenar veni$se, $u la riva del mare a lor diporto n’ an- darono.

Fine del Secondo Libro. DELLA FORZA DE CORPI CHE CHIAMANO VIVA _LIBRO III._ AL SIGNOR GIAMBATISTA MORGAGNI.

GRandi$$ima qui$tione è $empre $ta- ta a mio credere, Signor Giamba- ti$ta cari$$imo, e a$$ai difficile a, $cioglier$i, $e nello $tudio dell’ ar- ti e delle $cienze più giovi agli uo- mini il de$iderio della novità, o più nuoccia; perchè $e noi con$idereremo quelli, il cui numero è $enza fallo grandi$$imo, i quali tra$portati da un tal de$iderio corrono dietro a, $trani$$ime opinioni, allontanando$i non meno dalla comune con$uetudine, che dalla verità, e in quel- le, per così dire, urtando rompono mi$eramente, la nave del loro ingegno, egli ci converrà di affer- mare, che $ia co$a a tutti pericolo$i$$ima, et a, molti$$imi molto danno$a lo $tudio della novità, Ne que$to danno $olo ne viene, che molti da amo- re di novità tratti incorrono in opinioni $trane e fal$e; ma quelli ancora, che in alcune vere $i av- vengono, $coprendo ciò, che ne’ tempi addietro DELLA FORZA DE’ CORPI era $tato na$co$to, $ogliono di que$to $te$$o trar pregiudicio gravi$$imo. Imperocchè con$iderando e vagheggiando i ritrovamenti loro, tanta vanità ne prendono, che non vogliono più lodar di nul- la gli antichi, e gli hanno in di$prezzo, e gli deri- dono; e quel che è peggio, $paventano altamente i giovani dal fermar$i eziandio per breve ora ad apprendere le dottrine antiche, dicendo loro, do- ver$i avanzar le $cienze, e non e$$ere da ritornare a quelle co$e, che già da gran tempo il mondo $a: il che $e tutti face$$ero, ne fo$$e più alcuno, che a quelle ritorna$$e, non molto andrebbe, che niuno più le $aprebbe. E que$ti tali oltre che $pogliano il mondo, quanto è in loro, di tutti gl<007> antichi ritrovamenti, cadono anche in un’ altro errore. grandi$$imo, per cui $ommamente nuocciono ai pre$enti uomini, et anche a loro $te$$i; non avver- tendo, che i ritrovamenti antichi furono anch’ e$$i nuovi una volta, ne $ono divenuti antichi, $e non per l età, che è $ucceduta loro, il che $imilmen- te avverrà delle pre$enti invenzioni; che perderan- no la novità a poco a poco, e diverranno antiche, come le altre. Il perchè mal proveggono alla glo- ria no$tra coloro, che, di$prezzando gli antichi, la$ciano a i po$teri un’ e$empio di di$prezzare an- che noi. E tanto più que$to mi par vero, quando con$idero, che la lunghezza del tempo confonde. in$ieme molti$$ime età, e fa comune a tutte la lau- de di cia$cuna. Concio$iachè $ebbene le invenzio. ni antiche $ieno u$cite per grandi$$imi intervalli l’ LIBRO III. una dopo l’ altra; e la poe$ia abbia preceduto di lungo $pazio la dialettica; e l’ eloquenza $ia $tata a$$a<007> pr<007>ma della mu$ica; ne $ieno certamente nate ad un tempo e l’ aritmetica, e la geometria, e la notomia, e la medicina, e la chim<007>ca; ne l’ archi- tettura abbia $or$e a$pettato la $coltura, e la pittu- ra per u$cire al mondo; ed altre arti $ieno venute in altri $ecoli; pur di tutte $i da laude $enza di$tin- zione alcuna agli antichi, come $e que$ti fo$$ero tutti d’ un tempo, e compone$$ero, per così dire, una $ola $amiglia. E ciò avviene, cred’ io, perchè e$$endo$i quelle età per tanto $pazio da noi allon- tanate, non ci accorgiamo della di$tanza, che han- no tra loro, e però di molti$$ime ne facciamo una $ola. Ora $e le co$e procederanno ne’ tempi avveni- re, come ne’ pa$$ati $empre $on procedute, verrà una volta, che confondendo$i anche l’ età no$tra con le pa$$ate, entreremo noi pure in quella co- munità, e così $aranno lodati gli antichi dei ritro- vamenti no$tri, come noi dei loro. La qual co$a non abba$tanza intendono quelli, che tra$portati dall’ amore della novità in$egnano ai po$teri di di$prezzare gli antichi, non badando, che tra po- co $aremo antichi ancor noi; e che $e quelli, che dopo no<007> na$ceranno, vorranno rivolgere tutto lo $tudio loro a ritrovare le co$e nuove, tra$cureran- no le no$tre. Per que$te ed altre ragioni io direi certamente, che $o$$e da $vellere e levar via del tutto dall’ animo degli $tudio$i la vaghezza della novità, veggendo in quanti errori $pe$$e volte DELLA FORZA DE’ CORPI gl’ induca, e come ne gua$ti e corrompa il giudicio; $e già d’ altra parte non con$ide. ra$$i di quanti comodi e beni a que$ta $te$$a. vaghezza $iam debitori. Perciocchè qual ritrova- mento avrebbono mai fatto o i moderni, o gli antichi filo$ofi, $e non $i fo$ser la$ciati condur da e$sa? Da e$sa nacquero tutte le arti, e tutte le $cienze; per e$sa $i accrebbono; ne altro che per e$sa giun$ero a quel $ommo grado di perfezione, in cui or le veggiamo. Imperocchè tutte le co$e, che $i producono, $on nuove, ne po$sono accre- $cer$i, $e non per la aggiunta d’ altre nuove; le quali trovar non $i po$sono $e non da chi le cerca; ne alcuno le cerca, $e non è mo$so da di$io di no- vità. Il perchè parmi, che chi vuole fermar$i a quello, che ritrovaron gliant<007>chi, $enza andar più avanti, e $enza aggiunger nulla, non ben $egua quegl’ i$te$$i antichi, che pur vorrebbe $egurre; i quali $i ingegnarono $empre con ogni sforzo di ag- giungere qualche co$a alle già ritrovate; cio che egli non fa. E benchè $ia da comportar$i a mol- ti, che non potendo o per l’ in$tituto della lor vita, o per la mancanza delle opportunità e dei comodi, che $ono in mano della fortuna, avan- zar$i a $coprire nuove cognizioni, $i contentino di po$sedere le già $coperte dagli altri, le quali in verità $ono oramai tante, che è molto $apere il $apere e$se $ole; tuttavia non debbono que$ti ta- li $gridar lo $tudio della novità ai giovani, il qua- le e$sendo retto e temperato da buon giudicio po- LIBRO III. trebbe una volta condurgli a $coperte gravi$$ime ed util<007>$$ime. Perciocchè voler chiuder la $tra- da a tutte le invenzioni nuove è lo $te$$o, che accu$ar gli antichi, che già l’ aprirono, e fare ingiuria ai po$teri, in grazia de’ quali fu aperta. Io credo dunque, Signor Giambati$ta cari$$imo, che $ia co$a convenienti$$ima, e alla profe$$ion del filo$ofo $ommamente accomodata, il de$ide- rio della novità; così veramente che non tragga l’ uomo ad opinioni $travolte e contrarie alla ra- gione, ne egli per li $uoi ritrovamenti nuovi s’ in- duca a di$prezzare $uperbamente gli antichi: d el qual vizio non $on privi coloro, i quali benchè niente attribui$cano a $e mede$imi, onde pajono temperati$$imi; pur vogliono, che tutto attribuir $i debba a quelli della loro età, o della loro $cuola, o del loro ordine, ne credono d’ e$$er $uperbi, perchè lo $ono a nome di molti. E che il di$io della novi- tà temperato di que$ta maniera $ia giovevoli$$imo, potrei dimo$trarvelo con mille e$empi, $e voi $te$- $o non ne fo$te uno così chiaro, e cosi eccellente, e così maraviglio$o, che rendete inutili tutti gli altri. Perchè la$ciando le altre parti della filo$ofia, che voi avete voluto più to$to $apere, che profe$- $are; nella notomia certamente, che avete pre$a, non $enza invidia, cred’ io, dell’ altre $cienze, con tanto $tudio ad’ illu$trare, avete a$$ai chiara- mente dimo$trato, quale e$$er debba in un filo$o- fo per$etti$$imo l’ amore della novità. Imperocchè avendo voi fatto tanti ritrovamenti nuovi, e così DELLA FORZA DE’ CORPI $ingolari, e così illu$tri e maraviglio$i, qual ne è $tato non $ommamente con$entaneo, e del tutto corri$pondente all’ o$$ervazione et al vero? e quan- tunque non $i di$direbbe al no$tro $ecolo diante- por$i a tutti gli altri, che $ono $tati di voi privi; quando però è $tato mai che voi vogliate valervi della felicità e virtù vo$tra a di$prezzo d’ altrui? che anzi avete voluto nell’ ampiezza qua$i infinita del vo$tro animo ricevere non $olo i ritrovamenti da voi fatti, ma quelli ancora, che fecero le età pa$$ate; e que$ti tutti avete $ottili$$imamente con- $iderati, ed apprezzati cia$cuno, $econdo che con- veniva, volendo $tudiarli e $aperli non men che i vo$tri; e di tanto poi gli avete con l’ingegno ab- belliti et ornati, che eglino $te$$i, per quel ch’io creda, più to$to vo$tri e$$er vorrebbono, che dei loro primi ritrovatori. E que$to è quello, ch’ io vorrei, che face$$e ognuno nella profe$$ion $ua, ma$$imamente il filo$ofo; in cui tanto non ripren- do io l’amore della novità, che voglio anzi, che s’ ingegni e $i sforzi, quanto può, di andar dietro alle co$e nuove, u$ando di quella temperanza, di cui voi avete la$ciato a i po$teri nelle vo$tre divi- ne opere un’ e$empio cotanto illu$tre. Ne $olamen- te voglio, che egli $tudj quelle co$e, che egli $pe- ra di poter trovar da $e $olo; ma perchè molte ne $ono, che un $olo uomo facilmente ritrovar non potrebbe, voglio, che ponga$i in comunità con molti, contentando$i, $e non ha tutta la lode del rittovamento, di averne qualche parte; e per- LIBRO III. chè ne $ono ancor di quelle, che una $ola età com- piere non potrebbe, ricercandovi$i l’ o$$ervazio- ne perpetua e co$tante di molti $ecoli, per ciò vo- glio ancora, che egli $i metta in $ocietà coi pa$$ati, perfezionando quello, che e$$i ci la$ciarono di im- perfetto, e conducendo a fine i ritrovamenti, che e$$i finir non poterono. Nel che però dovrà guar- dar$i da un’ errore, in cui cadono molti, i quali per aver data l’ultima mano credono, e$$i $oli do- ver’ e$$er lodati dell’ invenzione; la quale in vero è un’ opinione $uperba e irragionevole; percioc- chè dell’ invenzione lodar $i debbono tutti quelli, che hanno fatto quel, che potevano, eche era pur nece$$ario di fare per trovar la co$a; e come a tro- varla è nece$$ario qua$i $empre cercarla prima in più maniere, e tentar varj mezzi, e incamminar$i per varie vie, et errar molte volte, e tornare ad- dietro; così quelli, che prima di noi tentarono, benchè $i avvolge$sero in molti errori, ne tempo a- ve$$ero di giunger, dove noi $iamo giunti, pur fe- cero quello, che era nece$$ario di fare, acciocchè noi vi giunge$$imo, e debbono venire a parte dell’ invenzione. E certo io non dirò mai, che il mara- viglio$o $i$tema del mondo propo$toci ultimamen- te dall’ incomparabil Neuton $ia il ritrovamento d’ un’ uomo $olo, ne lo direbbe, cred’ io, lo $te$- $o Neuton, che $iccome d’ ingegno e di $apere parve, che $upera$$e tutti gli altri, così di mode- razione e di prudenza non fu $uperato da niuno. Imperocchè quel $i$tema non potea $tabilir$i $enza DELLA FORZA DE’ CORPI prima averne provato molti, il che fecero l’ un dopo l’ altro più filo$ofi in più $ecoli, Pittagora, Ari$totele, Tolomeo, Copernico, Ticone, Keple- ro, Carte$io, ed’ altri a$$ai, che precedettero il grandi$$imo Neuton; i quali $e errarono, fecero quegli errori, che avrebbe dovuto far l’ ultimo, $e non gli ave$$ero fatti e$$i per lui. Onde io dico, che quel $i$tema, a giudicarne rettamente, non uno $olo lo ritrovò, ma lo ritrovarono tutti in- $ieme. La qual co$a $e il filo$ofo intenderà be- ne, avendo l’ animo applicato a $coprimenti nuovi, vorrà metter$i in compagnia non $olo dei pa$$ati, ma ancor di quei, che verranno; e come cercherà di perfezionare le co$e, che gli an- tichi ci la$ciarono meno perfette, così vorrà la- $ciarne alcune meno perfette, che dovranno poi dai po$teri perfezionar$i; ne avrà timore di perder la lode del ritrovamento, che $arà ridotto a per- fezione da altri; come ne anche avrà timore di pro- por $i$temi non ancora abba$tanza provati, e tra- mandare ai $ecoli avvenire i $uoi dubj, e le $ue ragionevoli $u$pizioni; benchè in que$to corra pe- ricolo, che $ieno una volta cono$ciute fal$e, e riget- tate. Ma egli non dovrà re$tar$i per ciò; anzi, $pe- rando bene, dovrà aver coraggio, e commetter$i alla fortuna; perchè io $on d’ opinione, che niu- no po$$a e$$ere filo$ofo perfetti$$imo, $e non è an- cora in qualche parte fortunato; come i capitani grandi$$imi, ne quali oltre la $cienza et il valore anche la fortuna richiede$i; e lo $te$$o può dir$i e LIBRO III. del medico, che cura l’ infermo, e del trafficante, che fa venire le merci, e del nocchiero, che con- duce la nave. E $imilmente il filo$ofo, $e ha qual- che $i$tema bello, ingegno$o, veri$imile, ma che richiegga ancora altre prove, dee raccomandarlo ai po$teri, e avventurarlo; e così hanno fatto gran- di$$imi uomini e dotti$$imi. Ne certamente poteva l’ immortal Neuton e$$er tanto $icuro di quel ma- raviglio$o $i$tema, che egli formò delle comete, condottovi qua$i dalla $ola ragione; quanto ora. $iam noi, condottivi non dalla ragion $olamente, ma da molti$$ime o$$ervazioni, e da così gran nu- mero di calcoli: ne potè egli aver per certi$$ima, e fuor d’ ogni dubic quella forma $chiacciata, che diede alla terra, non avendo veduto quelle tante mi$ure, che pre$e poi in varie parti del mondo da matematici Italiani, Spagnuoli, e France$i l’ han- no mirabilmente confermata. Ma egli avendo con- cepite nell’ animo belli$$ime, e ragionevoli$$ime opinioni, confido$$i nella loro probabilità, e chia- mò i po$teri a farne prova; il che gli è $ucceduto felicemente; ed ha con$eguito maggior gloria, avendo $aputo $enza tante o$$ervazioni e mi$ure affermar quello, che niuno s’ ardiva d’ affermare $enza di e$$e. Così io voglio, che il filo$ofo inten- to a cercar novità, $ia qualche volta ardimento$o, contenendo$i però $empre dentro ai limiti della ra- gione; ne la$ci di cominciar quello, che egli non può compiere, contentando$i, che $ia compiuto dai po$teri; e $offra di partir la lode dell’ invenzio- DELLA FORZA DE’ CORPI ne con loro; $iccome anche dovrà partirla coi pa$- $ati in tutte le co$e, che e$$endo $tate da e$$i la$cia- te imperfette, avrà egli $aputo perfezionare. E a que$to modo $i metterà in compagnia di tutti i fi- lo$ofi, che $ono $tati per l’ addietro, e che $aranno dopoi, come $e fo$$er tutti una comunità $ola, e forma$$ero, per così dire, una $ola accademia. Ma di que$te co$e abbiamo detto abba$tanza, pa- rendomi oramai tempo, ch’ io m’ acco$ti ad e$- porvi il ragionamento ultimo, che fù in Pozzuolo $opra la forza viva in quella onorati$$ima compa- gnia, che $opra vi di$$i; alla quale s’ erano aggiun- ti il Signor D. Felice Sabatelli, e il Signor Con- te della Cueva. Il qual ragionamento perciocchè fu d’ intorno ad una dimo$trazion nuova, che il Padre Riccati ha propo$ta in un $uo belli$- $imo libro, volendo per e$$a dimo$trare, che. la forza viva debba e$$ere in cia$cun corpo pro- porzionale al quadrato della velocità; potrà for$e per ciò parervi, che non a ca$o $ia$i per me fino ad ora del di$iderio della novità ra- gionato. Perchè quantunque il Padre Riccati non alcuna $entenza nuova introduca, ma $ol propon- ga un’ argomento nuovo a $o$tenere una $entenza già qua$i vecchia; pur que$to ancora è novità; e dove $i faccia rettamente, e con giudicio, merita tutte le lodi, che a i gran ritrovamenti $i conven- gono. E certo il Padre Riccati non è venuto a quel $uo argomento $enza aver prima voluto e co- no$cere et e$aminar $ottilmente tutti quelli, che LIBRO III. erano u$citi per l’ addietro; e lo ha fatto in verità con tanta acutezza d’ ingegno, e profondità di $cienza, che ciò $olo ba$tar poteva ad acqui$targli grandi$$ima fama tra i matematici; avendo poi ve- duto, quella fentenza, che egli amava, e$$ere ancor bi$ogno$a di qualche forte ragione, che la $o$tene$$e, poichè ne quelle di Leibnizio, ne quel- le di Bernulli gli parevan ba$tanti, ha voluto tro- varne una nuova; e l’ ha trovata in vero molto ingegno$a, e tanto bella, che non la$cia più de$iderar le altre. Et io certamente con$en- tendo al Padre Riccati, che le ragioni addotte già da Leibnizio e da Bernulli non fo$$ero abba- $tanza valevoli, con$ento ancor facilmente, che tutta la qui$tione ormai riduca$i a veder $olo, $e $ia abba$tanza valevole la ragione addotta da lui $te$$o. Il che voi intenderete nei ragionamenti, che prendo ora a narrarvi; dove $e troverete alcu- no, che $i opponga al Padre Riccati, non per que. $to dovrete credere che egli non lo $timi grandi$$i- mamente, e non faccia ver$o lui, come egli ha fatto ver$o Bernulli, e Leibnizio, a quali oppo- nendo$i non ha la$ciato tuttavia di grandi$$ima- mente $timarli. Nacquero dunque i ragionamenti a que$to modo. Dopo molti e varj diporti, e $ol- lazzi, e$$endo l’ ora del cenar venuta, fummo tutti, $econdo l’ invito fattone, nelle $tanze della Signo- ra Principe$$a, e quivi in una belli$$ima camera, vagamente ornata, con due fine$tre riguardanti $o- pra il mare, che al lume della luna era belli$$imo DELLA FORZA DE’ CORPI a vedere, con e$$a e con altri Signori lietamente cenammo. F<007>nito il mangiare, e non e$$endo an- cora levate le tavole, attendendo ognuno quello, che la Signora Principe$$a comanda$$e; ella a me rivolta grazio$amente di$$e: $e io vi prega$$i di vo- ler pro$eguire il ragionamento fatto oggi $opra la forza viva, dicendone quello, che vi rimanea; $o, che farei co$a grata a que$ti Signori, che vo- lentieri vi a$coltano; ma voi dire$te, che $iete ora- mai $tanco, et avre$te ragione. Signora, ri$po$i io, non direi già que$to; che così poca co$a non mi $tanca; direi bene, che io non $o quello, che mi rimanga da dover dire, avendone già detto oggi tutto quello, che io $apeva e mi ricordava. Vor- rei poter ricordarmene più per poter più dirne, e far così co$a grata ($e pur grato è l’ a$coltarmi) non tanto a que$ti Signori, quanto a voi. Allo- ra il Signor D. Nicola, che mi $edeva appre$$o, rimanea, di$$e, da di$putare $opra quella dimo- $trazione ultima, che il Padre Riccati ha propo- $ta nel libro $uo per far vedere, che la forza viva de corpi debba e$timar$i $econdo il quadrato della velocità; la qual dimo$trazione $e io ave$$i a me- moria (giacchè troppo lungo $arebbe il ricercarla e leggerla nel libro $te$$o) non vi farei buona la vo$tra $cu$a; ne buona pure, cred’ io, ve la fa- rebbe la Signora Principe$$a; perchè io vi e$por- rei, quanto pote$$i, brevemente la dimo$trazione; et ella vi obbligherebbe di dirne il parer vo$tro. Ma quello, che non po$$o io, il potrà for$e il LIBRO III. Signor D. Felice, che ha letto il libro attenta- mente. Così è, di$$e il Signor D. Felice, e quella dimo$trazione, che voi dite, ho lungamente con- $iderata, et e$aminata da me $te$$o più volte; più volte ancora col Signor Conte della Cueva. Dun- que, ri$po$i io, potrete e$porlaci voi, e il Signor Conte, e dirne il giudicio vo$tro meglio di ogni altro. Quanto a me, io vi a$colterò con piacere grandi$$imo. Ma non vogliamo già noi, di$$e allo- ra la Signora Principe$$a, che voi $olamente a$col- tiate; oltre che non conviene, che il Signor D. Felice faccia egli tutta la fatica. Egli dunque e$- porrà la dimo$trazione, e voi ne e$porrete il giu- dicio vo$tro. Meglio $arebbe, ri$po$i io, udir quel- lo del Signor Conte della Cueva, che ha con$ide- rato, e $a la dimo$trazione meglio di me. Il Signor Conte della Cueva, ri$po$e $ubito il Signor D. Felice, dovrà ajutar me; perchè e$$endo la dimo- $trazione molto $ottile, e dovendola io per cagion della chiarezza cominciar di lontano, et e$$endo al- quanto avvolta e lunga, potrei tratto tratto aver bi- $ogno di chi mi $ovveni$$e. Voi, di$$i, a cote$to mo- do volete difendere il Signor Conte, e liberarlo d’ ogni fatica; ma $e di lui avete bi$ogno ad e$- porre la dimo$trazione, non avete certamente bi- $ogno di tutti; però que$ti altri Signori, come voi l’ avrete dichiarata, potranno giudicarne e$$i; e ognuno il farà meglio di me. E$$i e$porranno il giudicio loro, di$$e la Signora Principe$$a, o con- fermando il vo$tro, o opponendovi$i. E rivolta al DELLA FORZA DE’ CORPI Signor D. Felice, cominciate voi, di$$e, e date buon e$empio; acciocchè egli ancora impari di obedire. Io $on pre$to di farlo; di$$e il Signor D. Felice; ma prima fa di me$tieri, ch’ io vi di$egni alcune figure, $opra cui dovrò $piegarmi. Ciò der- to, furono to$to recati per ordine della Signora Principe$$a calamajo e penne; et e$$endo$i già ca- vati fuori alcuni di que’ fogli, ove contenevan$i le figure, $opra cui s’ era tutto quel dì d<007>$putato, pre$one uno il Signor D. Felice, et avendo alquan- to fra $e pen$ato, due figure vi aggiun$e, et appo- $e a cia$cuna il numero, che conveniva. Delle quali furono to$to fatte più copie, acciocchè cia- $cuno una ne ave$$e. Allora il Signor D. Felice, e$$endo $tato alquanto $opra di $e, incominciò. Grave, e difficil carico, oltre quanto po$$a crede- re chi non abbia a portarlo, mi ha impo$to la Si- gnora Principe$$a, volendo, che io vi referi$ca una delle più belle, e più ingegno$e dimo$trazio- ni, che $ieno u$cite intorno alla qui$tione della forza viva, quale $i è veramente quella del Padre Riccati; ne per ciò sfuggo di $ottopormiv<007>, aman- do meglio di cader $otto il pe$o obedendo, che, non obedendo, $tarmi in piedi. Voglio bene, che que$to mi concediate, che io vi riferi$ca la dimo$trazione, non con quell’ ordine $te$$o, con cui l’ ha e$po$ta l’ autore, ma a modo mio; perchè $e io in que$ta par- te non mi vale$$i del mio arbitrio, non potrei $er- vire all’ altrui, e$$endomi impo$$ibile di riferirla così appunto, come $ta nel libro. Io la e$porrò dun- LIBRO III. que, come io l’ ho nell’ animo, $enza partirmi pe- rò dal $entimento dell’ autore, e $tudierò, quanto per me $i potrà, la brevità. E perchè giova $em- pre, quando uno vuole incamminar$i in un di$cor- $o, $aper prima il fine, a cui e$$o tende, e la via, in cui mette$i, per arrivarvi: $appiate, che inten- dimento del Padre Ri@cati è, che debba e$$ere nel- la natura una forza, la qual $i mi$uri col quadra- to della velocità; e ciò perchè, $e non fo$$e una tal forza, interverrebbe un @a$o, in cui non $areb. be eguaglianza tra la cagione, e l’ effetto; di che $i $degnerebbono i metafi$ici, che tale uguaglian- za hanno per un principio manife$ti$$imo. Que$to ca$o poi vuole, che $ia la compo$izione, e la ri$o- luzione dei movimenti, quando o di due $e ne com- pone uno, che è $empre minore della $omma di quei due, o uno in due $i ri$olve, la cui $omma è $empre maggior di quell’ uno. Così egli intro- duce quella $ua forza viva per $o$tenere l’ ugua- glianza della cagione e dell’ effetto, e far$i amici i metafi$ici. Il che $e egli ottenga, e come, vedre tevel voi; io ve ne dirò la d<007>mo$trazione, dopo che avrò dichiarate alcune propo$izioni, che all’ autore piace di a$$umere, e che la co$a i$te$$a ri- chiede; e comincierò in tal gui$a. Ciò detto $o- pra$tette di nuovo alquanto; indi impo$to a tutti, che guarda$$ero nella figura quarta, $eguitò: La F. IV. linea SA, che $ola io voglio ora con$iderare nel- la pre$ente figura, $ia una corda ela$tica, che a- vendo un’e$tremo immobilmente piantato nel pun- DELLA FORZA DE’ CORPI to S, con l’ altro $i attacchi a un globo A, e contraendo$i, a cagione dell’ ela$ticità $ua, lo ti- ri ver$o S per uno $pazietto infinite$imo a_p_. Qui par certamente, che $ieno da conceder$i due co$e, delle quali, come vedrete, il P. Riccati $i vale a$$ai de$tramente. La prima $i è, che l’ azion della corda altro non $ia, che l’ accoreiar$i; di fatti a che altro tende l’ ela$ticità? Il quale accorciamento $en- za dubio mi$urar $i vuole dallo $pazio A_p_, e$$endo chiaro, che di tanto viene la corda ad accorciar$i, quanto e$$o $pazio è lungo. La $econda co$a, che mi par pur da concedere, $i è, che e$$endo lo $pazietto A_p_ infinitamente piccolo, la corda preme e tira il glo- bo egualmente in qualunque punto di e$$o; $e già non vole$$imo tener conto di quelle differenze, che per la loro infinita piccolezza po$$ono tra$cu- rar$i, e debbono. Onde $egue, che il globo per tutto quel tempo, in cui $corre lo $pazio A_p_ ve- nendo ver$o S, $ia $empre da una egual pre$$ione $ollecitato e mo$$o, ne più ne meno come un grave, il qual cada ver$o il centro della terra; e per ciò in quel breve cor$o, che egli fa da A fino in _p_, o$$ervi tutte le leggi della gravità, e $ia lo $pazio A_p_ proporzionale al quadrato di quella velocità, che egli avrà acqui$tata giunto in _p_. Avendo fin quì detto il Signor D. Felice, $i tacqüe così un po- co; et io allora, $e voi, di$$i, non avevate altro da proporci, non vi facea me$tieri di tanto lungo proe- mio. Come? ri$po$e il Sig. D. Felice; io non vi ho an- corpropo$to ne detto nulla. A me parea, ri$po$i io, LIBRO III. che voi ave$te detto ogni co$a; perchè il vo$tro di$cor$o non tende egli a dimo$trare, la forza viva dover e$$er proporzionale al quadrato della velocità? Or $e l’ azion della corda è lo $te$$o accorciar$i, come voi dite; e $e l’ accorciar- $i $i mi$ura dallo $pazio, e lo $pazio è pro- porzionale al quadrato della velocità; $i vede $u- bito, che l’ azione dovrà e$$ere proporzionale al quadrato della velocità; e per ciò anche l’ effetto, cui potremo chiamar forza viva: col quale argomen- to può e$$er finita la qui$tione. Si; $e il Padre Ric- cati, ri$po$e quivi qua$i ridendo il Signor D. Fe- lice, fo$$e così frettolo$o, come voi. Ma egli non ha tanta fretta, e dimo$tra le co$e a $uo comodo. Pertanto non $i ferma a cote$to vo$tro argomen- to; ma pa$$a più avanti, volendo far vedere la ne- ce$$ità della forza viva per mezzo della compo$i- zione del moto. E que$to è il fine, a cui $i dirige la dimo$trazion $ua, come $opra ho detto; alla quale io verrò acco$tandomi a poco a poco, giac- chè $opra le co$e finora dette parmi, che non abbiate dubio alcuno. Qui fermo$$i alquanto; e tacendo- mi io tuttavia, fece$i innanzi il Signor D. Nicola, e non crediate già, di$$e, che, perchè egli $i taccia, vi conceda però la $econda delle due co$e, che avete dette, cioè che il globo e$$endo portato da A in _p_ per una pre$$ione continva et eguale, deb- ba per que$to o$$ervare le leggi della gravità. An- zi di que$to, ripre$i io allora, non voglio di$putar punto, e $on pre$ti$$imo di concederlo, $e il Signor DELLA FORZA DE’ CORPI D. Felice così vuole. E quando io ave$$i voglia di di$putare, mi piacerebbe più to$to negar la prima delle due co$e, che egli ha detto. Voi, di$$e allo- ra il Signor D. Nicola, $iete più corte$e dopo ce- na, che non fo$te oggi; perchè oggi di$putando$i degli ela$tri, che nell’ aprir$i urtano un globo, quantunque il globo $ia portato per uno $paziet- to infinite$imo da una pre$$ione continua, e $em- pre eguale, non avete però mai voluto concedere che egli debba per ciò $eguire le leggi della gravi- tà; e quelle ragioni, che adducevate oggi, ben parmi, che potrebbono $imilmente addur$i nel ca- $o no$tro. Se a voi pare, ri$po$i io allora, che quelle ragioni, che io ho addotte oggi in propo- $ito degli ela$tri, debban valere anche ora in pro- po$ito della fune, e voi fatele valere, quanto vi piace; che io non vi contra$terò punto, ne $opra ciò $arò mole$to a niun di voi due. Io vorrei bene, che mi $i dimo$tra$$e la prima delle due co$e, che il Signor D. Felice ha dette, cioè che l’ azion del- la corda $ia l’ accorciar$i. Difficilmente, di$$e qui- vi la Signora Principe$$a, potrebbe dimo$trar$i co- $a, che par tanto chiara; e $e voi volete negarla, crederanno que$ti Signori, che voi vogliate far prova del vo$tro ingegno. Io non $o, ri$po$i, quanto fo$$e per giovarmi il farne prova; ma $e la co$a è tanto chiara, quanto voi dite, almeno mi $i $pieghi. Che bi$ogno ha di $piegazione? ri$po- $e $ubito la Signora Principe$sa, perciocchèche altro fa la corda ela$tica, quando ella tira il globo da A LIBRO III. fino in _p_, $e non accorciar$i? Che altro fa! ripi- gliai io; tira il globo, cioè lo muove da A fino in _p_; e que$ta è l’ azion $ua. Oh, di$$e quivi il Signor D. Felice, que$to tirare il globo da A $i- no in _p_, non è lo $te$$o, quanto alla corda, che l’ accorciar$i? Vedete, ri$po$i io allora, $e è lo $te$$o. S’ io dirò, la corda e$$er$i accorciata, ti- rando il globo da A fino in _p_, e dimanderò qual $ia la mi$ura di tale accorciamento, ne$$uno dubi- terà che la mi$ura non $ia lo $te$$o $pazio A_p_, $enza più; ma $e io dirô, la corda aver tirato e mo$$o il globo da A fino in _p_, e dimanderò qual $ia la mi$ura di un tal movimento, e dell’ azione, che l’ha prodotto, voi certo non ri$ponderete, la mi$ura e$$erne lo $pazio A_p_, ma mi$urerete il mo- vimento, $econdo la comun regola, dalla ma$$a e dalla velocità; e la $te$$a mi$ura $arà dell’ azione. Vedete dunque, che altro è accorciar$i, altro è movere il globo; et io di$tinguendo que$te due co$e, dico, che l’azion della corda è movere il globo, cioè produrre in e$$o un certo movimen- to, non l’ accorciar$i. Io credo, di$$e quivi il Si- gnor D. Felice, che voi troverete pochi, i quali vi concedano, che lo $te$$o accorciar$i non con- tenga in $e azione. Contiene in $e azione, ri$po$i, perchè contiene in $e il movere, non potendo in- tender$i accorciamento $enza moto; ma bi$ogna avvertire, che oltre il moto ricerca$i all’ accorcia- mento anche una certa direzione; perciocchè $e la corda preme$$e, e move$$e il globo non ver$o S, DELLA FORZA DE’ CORPI ma ver$o la parte contraria, moverebbe il globo, ma non $i accorcerebbe: allora $olo $i accorcia, quando move il globo con la direzione ver$o S; e perciocchè la direzione non con$titui$ce in niun modo l’ azione, la quale è la $te$$a, qualunque direzione abbia, per ciò tutta l’ azione della cor- da nell’ accorciar$i, non è altro, che movere il globo. Ma alcuni confondono ogni co$a, e $i for- mano una certa idea dell’ accorciamento, la qual veramente dovrebbe mi$urar$i dal $olo $pazio; e in quella credono, che con$i$ta l’ azione. Nel che $i ingannano, perchè, $e ciò fo$$e, ne $eguirebbe, che purchè il globo $i tira$$e per lo $te$$o $pazio, qualunque ne fo$$e la velocità, dove$se l’ azione e$ser $empre la $te$sa, e$sendo $empre lo $te$so ac- corciamento. Appena aveva io dette que$te paro- le, che il Signor Marche$e di Campo Hermo$o mo$trò di voler dire; laonde il Signor D. Felice, che già era pre$to di ri$pondere, $opra$tette, e il Signor Marche$e così di$$e: $e niun globo, ne al- tro corpo fo$se attaccato alla corda, e dove$se el- la accorciar$i $enza tirar nulla, vorrei $apere, qual $arebbe allora l’ azion $ua; perciocchè pare, che in quel ca$o ella non face$se altro che accorciar$i. In quel ca$o, ri$po$i io allora, ella tirerebbe $e mede$ima, cioè tirerebbe ver$o il punto S tutte quelle parti, che compongono l’ e$trem$tà A del- la corda $te$sa, le quali avendo la loro ma$sa co- sì, come il globo ha, lo $te$so potrebbe dir$i di loro, che del globo $i è detto. Anzi non altro in- LIBRO III. tendiamo noi per que$to globo, $e non quella ma$sa, che è po$ta all’ e$tremo A, o $ia e$sa un corpo attaccato alla corda, o $ia una parte della corda mede$ima. Qui e$sendo$i il Signor Marche- $e taciuto, ripigliò il Signor D. Felice in tal gui- $a. Io non vorrei, che perchè il P. Riccati mo$tri qua$i $empre di riporre l’ azion della corda nello $te$so accorciar$i, $i crede$se per ciò, che egli la mi$ura$se dallo $pazio $olo: che que$to $arebbe troppo grande errore. Anzi la mi$ura egli e dallo $pazio, e dalla potenza, moltiplicando l’ uno per l’ altra; così che e$sendo _p_ la potenza, _s_ lo $pazio, vuol, che l’ azione $ia _ps_. Perchè vedete, che quand’ anche lo $pazio re$ti lo $te$so, può tutta- via l’ azione e$ser varia, potendo variar la po- tenza. E per que$to $i vede, ri$po$i io, che l’ a- zione non è po$ta nell’ accorciar$i; poichè l’ accor- ciamento, pre$o così, come $uol prender$i, $i mi- $ura pur $empre dallo $pazio $olo; e $i dirà comu- nemente l’ accorciamento della corda e$$er $empre lo $te$$o, purchè il globo $corra $empre lo $te$$o $pazio A_p_, di qualunque maniera lo $corra. Ma io vorrei ben $apere, non variando$i lo $pazio, qual varietà na$cer po$$a nell’ azione e nell’ effet- to dal variar $olo della potenza. Qui fatto$i innanzi il Signor Conte della Cueva, na$ce, di$- $e, que$ta varietà: che $e la potenza è maggiore, il globo $correrà lo $te$$o $pazio anche più pre$ta- mente. Cioè, ri$po$i io, in minor tempo. Così è, di$se il Signor Conte. Dovrà dunque, ripigliai DELLA FORZA DE’ CORPI io, e$sendo minore il tempo, $timar$i maggior l’ azione; e perchè $i $tima anche maggiore, e$sendo maggiore lo $pazio; qual co$a è più facile, che il dire, che ella $arà proporzionale alla velocità, e produrrà la velocità $te$sa; così che l’ azion del- la corda $arà il producimento della velocità del globo; cioè il movere, non l’ accorciar$i? Se voi parlate, di$se allora il Signor Conte, affin di con- fondermi, non è al mondo più eccellente parla- tore; perchè di vero voi mi avete così confu$o, che ormai comincia a parermi, che qualora una fune $i accorcia, l’ azion $ua non $ia l’ accorciar$i. Ma che? quando un corpo ri$calda, non diciam noi, che l’ azion $ua $i è il ri$caldare? e quando un corpo ri$plende, non diciam noi, che l’ azion $ua $i è il ri$plendere? e quando un corpo cade, non diciam noi, che l’ azion $ua $i è il cadere? or perchè dunque, qualor s’ accorcia una fune, non direm noi, che l’ azion $ua $ia l’ accorciar$i? Se noi, ri$po$i, andremo dietro a cote$to vo$tro argomento, bi$ognerà dire, che quando uno $i ripo$a, la $ua azione è il ripo$ar$i. Non già, ri$- po$e $ubito il Signor Conte, poichè nel ripo$ar$i non è azion niuna; concio$iachè chi $i ripo$a per que$to appunto $i ripo$a, perchè non fa nulla; e certo bi$ogna guardar$i da un’ inganno, che $pe$- $e volte na$ce dalla con$uetudine; perciocchè e$- $endo con$uetudine dei verbi $ignificar qualche azione, a noi pare, che tutti debbano $ignificar- ne alcuna; il che però non è vero; come $i vede LIBRO III. in $tare, $edere, giacere, ed altri, dove non è a- zion niuna, ma noi portati dalla con$uetudine ve la immaginiamo. Voi dite beni$$imo, ri$po$i; mæ come ha alcuni verbi, che non $ignificano azion niuna; così n’ ha molti$$imi, che $ignificando al- cuna azione, non $ignifican però e$$a $ola, ma $i traggon dietro qualche altro $entimento, che con- giungono con l’azione, e che bi$ogna poi $eparar da e$$i, chi vuol intendere l’ azion $ola. Così $e voi dite, che il $ole ri$calda, non crediate, che $ia qui altra azione del $ole, $e non quella di movere certe minuti$$ime particelle; ma na$cendo in noi per tal moto un non $o qual $entimento, che calo- re chiamiamo, il verbo ri$caldare abbraccia anche que$to; e così dite del ri$plendere, e così del ca- dere: il qual verbo cadere $ignifica in$ieme e il mo- vimento, che ha il corpo, e la direzione all’ in giù; ma tutta l’ azione però è nel movimento $olo. E lo $te$$o $imilmente avviene del verbo accorciar$i, per cui s’ intende e il movimento, e la direzione; ma l’ azione non è altro che il movimento; e cre- do, che in tutti i verbi, che $i u$ano parlando de’ corpi, non altra azione ritroverete mai, $e non quella di movere, o di$porre al movimento; per- ciocchè la natura que$to $olo opera, et agi$ce ne corpi, ne in altro $i e$ercita, per quanto $aper ne po$$iamo; onde poi $egue, che le potenze, che producono il movimento, o lo di$truggono, ba- $tino da $e $ole ad’ ogni effetto. Avendo io finqui detto, mi fermai. Allora il Signor D. Felice, $e DELLA FORZA DE’ CORPI voi, di$$e, vorrete $ottilizzar tanto $opra o- gni co$a, e di$cender fino alle qui$tioni gramati- cali, non $arà mai, ch’ io giunga ad’ e$porvi la di- mo$trazione del Padre Riccati. Se ella è fondata, di$$i io allora, nelle co$e, che avete fin qui e$po$te, io comincio già da ora ad averla per una dimo- $trazione a$$ai incerta. Certo, di$$e il Signor D. Felice ridendo, $e voi vi o$tinate in cote$te $ot- tigliezze, ella non avrà luogo; ne accade, che io proceda più avanti. No, di$$i; perchè, per udirla, io $on di$po$to di concedervi, $e volete, che l’ a- zion della corda $ia l’ accorciar$i; vedete, che il Signor D. Niccola non $i o$tini egli a negarvi, che il globo venendo da A in _p_ $egua le leggi della gra- vità. Io non nego que$to, di$$e il Signor D. Nic- cola; $olo ho temuto che voi vole$te negarlo. Ma giacchè voi così d’ improvvi$o vi $iete renduto tan- to docile, fie meglio la$ciar procedere avanti il Si- gnor D. Felice, e vedere, come vada la dimo$tra- zione a finire. Prima di e$porlavi, di$$e allora il Signor D. Felice, io debbo avvertirvi di alcune altre poche co$e; il che farò con$iderando la cor- da SA non più da $e $ola, come finora ho fatto, ma in altro modo; vedrete voi, $e vi piacerà di concederle. Sia dunque AD un piano, che faccia con la corda AS un’ angolo, che 10 voglio al pre- $ente $upporre acuto. Il globo A appoggiando$i al piano, et e$$endo tirato dalla corda, ne poten- do $eguire la direzione AS, ne $egua un’ altra $ul piano $te$$o. Ciò pre$uppo$to, la corda tiri il glo- LIBRO III. bo $econdo la direzione AD per uno $pazietto in- finite$imo da A fino in _r_; $e noi condurremo dal punto _r_ una linea _rp_ perpendicolare ad AS, dice <007>l Padre Riccati molto $ottilmente, che l’ azione, che avrà fatto la corda traendo il globo da A fino in _r_ nella direzione AD, $arà eguale a quella azio- ne, che avrebbe fatta, traendolo nella direzione AS da A fino in _p_. La qual propo$izione voi non dovete negarmi, $e già non volete togliermi quel- lo, che pur poc’ anzi mi avete conceduto. Percioc- chè $e l’ azion della corda $i è pur l’ accorciar- $i, chi non vede, che traendo il globo per u- no $pazio infinite$imo da A fino in _r_, e pa$$an- do e$$a corda in S_r_, viene ella ad accorciar$i della lunghezza A_p_? (dico della lunghezza A_p_, tra$curando, come s’ u$a, le differenze infinita- mente piccole) e della $te$$a lunghezza A_p_ $areb- be$i pure accorciata traendo il globo da A fino in _p_ nella direzione AS; onde ne $egue, che $e l’ a- zion della corda è pur l’ accorciar$i, debba ella nell’ uno, e nell’ altro ca$o e$$ere la mede$ima, e$- $endo nell’ uno e nell’ altro ca$o il mede$imo ac- corciamento. E vedete, come con$enton le co$e tra loro, e, per così dire, $i accordano. Percioc- chè il globo A, $correndo la lineetta A_r_, acqui$ta quella $te$$a velocità, e quella $te$$a forza, che av- rebbe acqui$tata $correndo A_p_; il che è chiaro, $e voi pure mi attenete quello, che poco fa mi avete conceduto, cioè che il globo $egua et o$$er- vi in que$to $uo brevi$$imo cor$o le leggi della gra- DELLA FORZA DE’CORPI vità; poichè $e egli le o$$erva, chi non vede, che egli, venendo da A in _p_, è come un grave, il qual cada per una linea verticale dall’ altezza A_p_, e ve- nendo da A in _r_, è come un grave, il qual cada. dalla altezza mede$ima per un piano inclinato A_r_? Se egli ha dunque la $te$$a velocità, e la $te$$a for- za così in _p_, come in _r_, non è da maravigliar$i, che l’ azion della corda, o il tragga in _p_, o il trag- ga in _r_, $ia $empre la $te$$a. Il che voi, come ho detto, non potete negarmi, $e già non volete tor- mi quelle propo$izioni, che poco fa mi avete li- beralmente la$ciate. Vedete, di$$e quivi il Signor D. Nicola, di non valervi troppo della co$tui libe- ralità; perchè $e egli vedrà in ultimo, che il vo$tro argomento lo $tringa, $i ripiglierà quello, che vi ha donato; ne vorrà farvi buona una dimo$trazio- ne, che abbia tanto bi$ogno della liberalità altrui. Farà egli, ri$po$e il Signor D. Felice, quello, che gli piacerà; ne è mio carico di $o$tenere la dimo- $trazione del Padre Riccati, ma $ol di e$porla; al- la quale io potrei entrar di pre$ente; ma for$e, que$ti Signori avran, che dire $opra quello, che, ora ho $tabilito. Qui parve, che il Signor D. Feli- ce $i ferma$$e alquanto; e allora la Signora Princi- pe$$a, io non vi leverò già, di$$e, le propo$izioni, che que$to Signore vi ha donate; vedrà egli, $e, voi ne facciate buon u$o. Vorrei bene, che mi $oddisface$te di una mia curio$ità. Voi con$iderate il globo A ne più ne meno, come $e egli fo$$e, un corpo grave, e il punto S fo$$e il centro della, LIBRO III. terra, che a $e lo trae$$e; perchè ciò po$to $arebbe A_p_ la di$ce$a verticale, et A_r_ la di$ce$a per un, piano inclinato, e $eguirebbon tutte le co$e ap- punto, che avete dette. Io vorrei dunque $apere, perchè non più to$to abbiate voluto valervi dell’ e$empio di un corpo grave, il qual $i mova per la $ua propria gravità, $enza introdur qui una corda ela$tica, $opra cui vedete quanti dubj $on nati. Ma for$e nella dimo$trazione, che voi ci e$porre- te, $arà nece$$ario aver $uppo$to il globo più to$to tirato da una fune, che $pinto dalla $ua natural gravità. E’ egli così? Non credo, Signora; ri$po$e il Signor D. Felice; che anzi il Padre Riccati av- vi$a in più d’ un luogo quello $te$$o, che avvi$ate voi; e dice poter$i anche intendere in vece dell’ a- zion della fune l’ azion della gravità; ma pure egli ama l’ e$empio della fune, e a que$to $empre, tien dietro, qual che ne $ia la cagione. Io credo, di$$i io allora, che la cagion $ia, perchè immagi- nando il globo tirato da una fune ela$tica, facil co$a era, che ognuno, $enza avveder$ene, tra$cor- re$$e a credere che l’ azione fo$$e lo $te$$o accor- ciamento, e però dove$$e mi$urar$i dallo $pazio; perciocchè il nome di accorciamento ci ri$veglia. principalmente l’ idea d’ uno $pazio $minuito. E troppo ha egli bi$ogno d’ imprimere nella men- te degli uomini, che l’ azione s’ abbia. a mi$urar dallo $pazio. Se egli ave$$e imma- ginato un globo cadente per la $ua natural gravi- tà, non avrebbe avuto luogo quel verbo accor- DELLA FORZA DE’ CORPI ciar$i, ne $arebbe $tato così facile il per$uadere, che l’ azione dove$$e e$$ere per lo $pazio mi$ura- ta. Io credo dunque, che egli abbia $eguito l’ e- $empio della corda ela$tica, per la comodità del vocabolo. Lo $te$$o comodo avrebbe avuto egli, di$$e allora il Signor D. Felice, $e la$ciando da. parte la corda, $i fo$se $ervito dell’ e$empio della gravità; $olo che gli fo$se piaciuto di dire, che l’ azione della gravità non è già movere il corpo, cioè produrre in e$so un certo movimento, ma. l’ acco$tarlo al centro della terra; poichè il nome di acco$tamento, non men che quello di accor- ciamento, ri$veglia in noi principalmente l’ idea. d’ uno $pazio $minuito; ne difficil $arebbe dare ad intendere, che e$$o pure dove$$e dallo $pazio mi- $urar$i. E voi vedete, che con$iderando$i il globo A, come un grave cadente, l’ acco$tamento $uo al centro S $arebbe $empre lo $te$$o, o cade$$e egli in _p_, o cade$$e in _r_; onde $ubito $i conchiuderebbe anche l’ azione e$$ere $empre la $te$$a. Sì, ri$po$i io; ma pochi peravventura trovere$te, che fo$$er di$po$ti di concepire l’ azione della gravità, come la produzione d’ un’ acco$tamento; e$$endo noi troppo avvezzi a concepirla, come la produzione d’ un movimento; benchè da quel movimento ri- $ulti poi l’ acco$tar$i al centro della terra. Io non voglio contender di ciò, di$se allora il Signor D. Felice; ma piace al Padre Riccati $eguire l’ e$em- pio della fune ela$tica, et io debbo $eguir lui; e, poco importa, quale e$empio $i $egua, o quello LIBRO III. della gravità, o quel della fune, pur che l’ azione, o venga il globo da A in _p_, o venga da A in _r_, $ia $empre la $te$$a. E a me pur pare, di$$e allora il Signor Marche$e di Campo Hermo$o, che fin qui poco importi $eguir l’uno, o l’ altro e$empio, pur- chè l’azione $ia $empre la $te$$a. Ma s’ egli mi è lecito frappormi ai $ermoni di voi altri grandi uo- mini, dico, ch’ io non intendo, come l’azione, debba poter e$$ere $empre la $te$$a, s’ egli è vero quello, che voi poco fa dicevate. Che è que$to? di$$e il Signor D. Felice. Voi dicevate, ri$po$e il Signor Marche$e, che l’azione $i mi$ura dalla po- tenza, edallo $pazio, moltiplicando l’ una per l’ altro, ela e$primevate per _ps_. Così vuoleil Padre Riccati, di$$e allora il Signor D. Felice, piacendo- gli, che l’ azione altro non $ia, $e non la potenza applicata di mano in mano a tutte le parti dello $pazio. Or bene, di$se il Signor Marche$e, bi$o- gnerà dunque, che $e la potenza riman la $te$sa, variando lo $pazio, a cui $i applica, varj ancor l’ azione; onde $egue, che $e la fune tirerà il glo- bo prima da A in _p_, poi da A in _r_, non potrà l’ azione nell’ uno e nell’ altro ca$o e$ser la $te$sa; e$sendo la potenza, cioè l’ ela$ticità della corda., $empre quella $te$sa; ma non già lo $pazio, il qua- le nel primo ca$o è la linea A_p_, nel $econdo la. linea A_r_. Sì: ri$po$e quivi il Signor D. Felice, $e l’azione fo$se la potenza applicata a quello $pazio, che il corpo $corre; ma il Padre Riccati non vuol così. Vuole, che $ia la potenza applicata $empre DELLA FORZA DE’CORPI allo $pazio A_p_, che egli chiama $pazio di acco$ta- mento, o lo $corra il corpo, o non lo $corra. E quindi è, dice egli, che per qualunque via giunga il corpo da A in _r_, l’ azione è pur $empre la $te$sa, nulla variando$i ne la potenza, ne lo $pazio dell’ acco$tamento. Ne la potenza, di$se allora il Signor Marche$e, $i varierebbe punto, ne lo $pazio dell’ acco$tamento, quand’ anche il corpo $cende$se, da A in _r_ per due linee, che face$ser tra loro al- cun’ angolo; e pure io non $o, $e allora pote$se l’ azione e$sere quella $te$sa; certo che il corpo ac- qui$terebbe un’ altra velocità, e un’ altra forza, come facilmente può intender$i, con$iderandolo come un corpo grave, che cada. Et anche, $e ho da dirvi il vero, poco mi piace, che a formare la ve- ra idea dell’ azione, debba applicar$i la potenza non già a quello $pazio, che il corpo $corre, ma ad un’ altro, che egli non $corre. Io non po$so di$$imulare, di$se quivi il Sig. Conte della Cueva, che in que$to luo go il Padre Riccati anche a me poco piace. Ne anche mi piace il dire, che l’ azione $ia la potenza applicata ad uno $pazio, qualunque e’ $ia$i; per- ciocchè a qualunque $pazio $i applichi, parmi che $arà $empre potenza, non mai azione; e$$endo la potenza e l’ azione due quantità di diver$a natura, ne potendo l’ una per applicazione, che $e ne fac- cia, pa$$ar nella natura dell’ altra: e veggiamo, che il tempo, comunque $i applichi, non può mai di- venire uno $pazio; ne uno $pazio, comunque $i ap- plichi, può mai divenire una forza; e lo $te$$o dir LIBRO III. po$$iamo di tutte le categorie, avendo ognuna la natura $ua propria, che non può cangiar$i in quel- la dell’ altre. 10 non a$pettava, di$$e quivi il Signor D. Felice ridendo, chevoi, Sig. Conte, mi ajuta$te per cotal modo; ne a que$to fine vi volli io aver com- pagno nel riferire la dimo$trazione del Padre Ric- cati. Se voi non volete far’ altro, che riferirla, ri- $po$e il Signor Conte, io $ono anche in tempo di accompagnarvi; ma a voi non fa me$tieri di com- pagno. 10 non $o, di$$e il Signor D. Felice, di che mi faccia me$tieri; tante e così varie $ono le diffi- coltà e le dimande, che que$ti Signori mi fanno. Sebbene che che $i dicano, a me par pure, che po$- $a e debba conceder$i al Padre Riccati, che l’azion della corda $ia $empre la $te$$a, o tiri il globo da. A in _p_, o lo tiri da A in _r_, producendo$i nell’uno e nell’ altro ca$o lo $te$$o effetto, cioèla $te$$a ve- locità nel globo, e la $te$$a forza. Se così è, di$$i io allora, l’ azion dunqne non è la $te$$a, perchè l’accorciar$i $ia lo $te$$o; è più to$to la $te$$a, per- chè produce nel globo la $te$$a velocità, ovvero la $te$$a forza; donde $i vede chiaramente che l’ azion della fune, più to$to che accorciar$i, è produrre nel globo una qualche velocità, o una qualche forza; benchè nel produrla $egua accorciamento. Sia co- me vi piace, di$$e allora il Signor D. Felice, bi$o- gna pure ad ogni modo, che concediate, l’ azion della corda, qual che la ragione ne $ia, rimaner $empre la $te$$a, o tragga$i il globo da A in _p_, o tragga$i da A in _r_. Di que$to ancora io dubito mol- DELLA FORZA DE’ CORPI to, ri$po$i; e potrei dirvi la ragion del mio dubio, $e non teme$$i di dover’ e$$er troppo lungo; il per- chè meglio fia, che voi vi prendiate per conce- duto quello, di che io tuttavia dubito, cioè, che l’ azione in quei due ca$i $ia $empre la $te$$a, e pa$$iate finalmente alla dimo$trazione, che tanto de$ideriamo. 10 non potrei pa$$arvi, di$$e il Signor D. Felice, con animo a$$ai quieto, rimanendo in voi un tal dubio. For$e avre$te l’ animo men quie- to, ri$po$i, $e io ve ne e$pone$$i la ragione; però credo e$ser meglio, che voi entriate $ubito e fran- camente nella dimo$trazione, la$ciando a me tut- ta l’ inquietudine del dubitare. Allora il Signor D. Serao a me rivolto, voi, di$se, vorre$te fuggir fatica; ma la Signora Principe$sa non vi permet- terà di tacervi, e tenerci na$co$ta la ragione del vo$tro dubio; che come al Signor D. Felice diede carico di dichiararci la dimo$trazione del Padre Riccati, così a voi diede quello di giudicarne; e $e fia d’ uopo, noi la pregheremo tutti, che il vi im- ponga di nuovo. Allora la Signora Principe$sa ri- dendo, io non $on $olita, di$se, comandare la $te$$a co$a due volte; ma $e pur convenga di farlo, impon- go $empre la $econda volta un ca$tigo a chi non ha obedito abba$tanza alla prima. Voi volete, di$- $i io allora, $tringermi a tutti i modi; e la colpa $arà pur vo$tra, $e di$tendendo$i $overchiamente que$to no$tro ragionamento, l’ora del ripo$are vi $i farà tarda; perchè già parmi, che il chiaror della luna, che percuote là nell’onde del mare, cominci a venir LIBRO III. meno, $entendo for$e il nuovo di, che s’ avvicina. Non, di$$e la Signora Principe$sa; che le barche $o- lite muover$i et u$cire incontro all’ alba, non an- cor fanno romore, ne ancor s’ ode il canto ma- rinare$co dei pe$catori. Avendo così detto la Signora Principe$sa, io $tetti alquanto come pen$o$o, po$cia incominciai. Voi dovrete perdo- narmi, $e e$ponendovi quello, che pur ora m’ è nato nell’ animo, vi parrò o$curo, e poco ordina- to; e $e dirò for$e alcune co$e, che non $aran ne- ce$$arie, per timore di non trala$ciar quelle, che $ono. 10 dico dunque, che una potenza, qualora nell’ agir $uo incontra obliquamente alcun’ o$ta- colo, accre$ce generalmente la $ua azione, e fa, per così dir, prova di $e mede$ima; perciocchè co mincia to$to a premere ed urtare e $pinger l’ o$ta- colo, quanto può, per rimoverlo; ne la$cia tut- tavia di premere e sforzar$i ver$o altra parte; le quali due azioni pre$e in$ieme $ono $empre mag- giori di quella prima, che ella facea. Il che $i ve- de chiaramente nella ri$oluzione di qual$i$ia movi- mento. Ma $enza cercarne altronde l’ e$empio, egli è co$a noti$$ima, e da tutti conceduta, e dal Padre Riccati $te$so non negata, che $e traendo$i il glo- bo A dalla corda SA ver$o S, incontri l’ o$tacolo del piano AD, egli non $olamente comincierà a $correre per lo piano ver$o D, ma in$ieme comin- cierà a premere il piano $te$so, e $pingerlo con molta forza; così che conducendo$i dal centro del globo le due linee A_t_, A_u_, quella perpendicolare DELLA FORZA DE’ CORPI al piano, que$ta paralella, non la$cierà mai il glo- bo di premere il piano con la direzione A_t_, e di $corrervi $opra con la direzione A_u_. Che $e noi vogliamo, @he l’ azione, per cui la corda, non e$sendovi il piano, tirerebbe il globo da A in _p_, $ia eguale a quella azione, per cui, po$to il piano, lo tira da A in _r_; egli $i par manife$to, che $e a que$ta azione aggiungeremo l’ altra, per cui pre- me il piano $te$so e l’ urta, dovranno le due azio- ni pre$e in$ieme e$ser maggiori di quella prima. E poichè partono tutte e due dalla virtu della cor- da, e $ono azioni della corda $te$sa tutte e due, bi- $ogna ben dire, che più agi$ca la corda e faccia maggiore azione, venendo il globo da A in _r_, che non farebbe venendo da A in _p_. Qui mo$trò il Si- gnor D. Felice di non poter qua$i tener$i, e già volea ri$pondere; ma il Signor Marche$e di Cam- po Hermo$o, non accorgendo$ene, gliele impedì dicendo: 10 non veggo, perchè voi così facilmen- te concediate, che l’ azione, che trae il globo da A in _r_, $ia da $e $ola eguale a quella, che lo trar- rebbe da A in _p_. Perciocchè non è egli vero, che la potenza della corda traente il globo da A ver$o _p_, viene per cagion del piano a ri$olver$i in due, l’ una delle quali preme il piano $te$so, e l’ altra tira il globo ver$o _r_? E non è egli anche vero, che qual$i$ia di que$te due potenze è minore di quella prima? Altro è potenza, ri$po$i io, altro è azio- ne. E $e voi volete, che la potenza della corda, che porterebbe il globo da A fino in _p_, $i ri$olva in due LIBRO III. potenze, I’ una delle quali lo porti da A in _r_, $a- rà que$ta certamente minore di quella; di modo che ogni impul$o i$tantaneo di e$sa $arà più debo- le di qual$i$ia impul$o i$tantaneo dell’ altra. Ma come quella potenza, che porta il globo da A in _r_, vi mette più tempo, el’ altra, che lo portereb- be da A in _p_, ve ne metterebbe meno; così quella ripete i $uoi impul$i più volte, che que$ta; per mo- do che compen$ando$i col numero la debolezza, gl’ impul$i dell’ una potenza faranno in ultimo l’ i$te$$a $omma, che gl’ impul$i dell’ altra; e que$ta $omma è l’ azione. E tutto ciò voi potrete facil- mente cono$cere nella di$ce$a di un grave per un piano inclinato, che niente è diver$a dal di$corri- mento del globo da A fino in _r_, s’ egli è pur vero, ch’ egli o$$ervi in quel cor$o le leggi della gravità. E’ dunque vero, che l’ azione, che porterebbe il globo da A fino in _p_, trova$i eguale a quella, che il porta da A fino in _r_; e però $e a que$ta aggiun- geremo l’ altra, per cui preme$i il piano $econdo la direzione A_t_, $aranno le due azioni pre$e in$ie- me maggiori della prima; e $e voi vorrete attri- buirle, non già a due potenze nuove, che na$ca- no dalla potenza della corda, ma piutto$to, come parmi che voglia il Padre Riccati, alla corda $te$- $a, egli vi converrà dire, che prù agi$ca la corda, quando trae il globo da A in _r_, che $e il trae$$e da A in _p_. Parve, che il Signor Marche$e alle mie parole s’ acquieta$$e. Allora il Signor D. Felice, et io, d<007>$$e, $eguendo il Padre Riccati, vi nego, che DELLA FORZA DE’ CORPI la corda, mentre trae il globo da A in _r_, faccia due azioni, come voi dite. Come? di$$e il Signor Marche$e; la corda non tira ella il globo da A in _r_? e tirandolo, non urta e $pinge il piano? e non $on due azioni que$te, così che l’ una debba accre- $cer$i per l’ aggiunta dell’ altra? Nò, Signore, ri$po$e il Signor D. Felice, perchè il premere non è azione; e quando ben fo$$e azione, $arebbe un’ azione infinitamente piccola, e dovrebbe aver$i per nulla. Parmi, Signor D. Felice, ri$po$i io allora, che $e voi vorrete provar que$te due co$e, vi bi$o- gnerà $ottilizzar non poco. Et egli ridendo, non po- trò mai, di$$e, farlo, quanto voi. Ma delle due. co$e da me propo$te, e che il Padre Riccati $o$tie- ne, qual è, che voi mi negate? Io, di$$i, le nego tutte e due. Or bene, di$$e il Signor D. Felice, io mi sforzerò in primo luogo di provarvi la prima, cioè, che il premere non $ia agire; $ebbene io cre- do, che voi la neghiate, non perchè l’ abbiate per fal$a, ma per far prova o del vo$tro ingegno, o del mio. Del vo$tro, ri$po$i, $arebbe una prova. troppo piccola, del mio troppo grande; ma che. che $ia di ciò, provatemi dunque, che il premere non $ia agire; vedremo poi, $e, e$$endo agire, $ia agire infinitamente poco. Allora il Signor D. Feli- ce incominciò: Primieramente che il premere non $ia agire, e che la pre$$ione non $ia azione, può provar$i per que$to, che niuna azione può e$$ere, dove non $ia effetto niuno; la qual propo$izione, $iccome veri$$ima, e per $e $te$$a manife$ti$$ima, $i LIBRO III. a$$ume dal Padre Riccati, ne mi ricordo ben, do- ve. Qui il Signor Conte della Cueva, parmi, di$- $e, che l’ affermi in più luoghi, ma lo $uppon cer- tamente nella pagina 234. E il Signor D. Felice. $eguitò a dire: che s’ egli è vero, niuna azione e$- $ere $enza effetto, voi ben vedete, che la pre$$ione, non avendo per $e $ola effetto niuno, per $e $ola. non può e$$ere azione. Di fatti mettete un corpo $opra una tavola, così che vi $tia fermo et immobi- le; che effetto vi farà egli? niuno; e pure premerà la tavola; dunque il premere non è agire. Voi vi $pedite, di$$i io allora, con molta pre$tezza, volendo for$e con ciò far credere, che la co$a $ia facili$$ima. A me però non par così; e una co$a $ola dimando: chi $ottrae$$e improvvi$amente la tavola; il corpo $o- vrappo$to non cadrebbe egli incontanente? Sì, ca- drebbe; ri$po$e il Signor D. Felice; et io allora: di quale azione $arebbe effetto quella caduta? ed egli, della pre$$ione, ri$po$e, che la gravità e$ercita nel corpo. Oh! che mi d<007>te vo<007> dunque, ri$po$i io, che la pre$$ione non è azione? Non è azione, di$s’ egli, fin che niun movimento ne $egue; ma $eguendone alcuno, comincia $ubito ad e$$ere azione. Che va- le a dire, ripigliai io, la pre$$ione, che la gravità e$ercita nel corpo, comincia ad e$$ere azione $ubi- to, che $i $ottrae la tavola; prima non era azione. lo vorrei però $apere, che differenza abbia tra la. pre$$ione, che la gravità e$ercitava prima, che la ta- vola $i $ottrae$$e, e quella, che dopoi e$ercita, e$- $endo la tavola $ottratta; perchè quanto a me, par- DELLA FORZA DE’ CORPI mi, che la pre$$ione $ia $empre la mede$ima, $enon che prima di $ottrar la tavola non ne $eguiva il mo- vimento, perchè era impedito; $ottratta la tavola, $egue; così che tutta la differenza è po$ta nell’ effet- to, che ora $egue, ora non $egue, non nell’ azione. Voi dite bene, r<007>$po$e il Signor D. Felice; ma chi vieterà ad un filo$o$o di chiamare azione quella. pre$$ione, cui $egua il movimento, e non chiama- re azione quella, cui non $egua? quantunque l’ u- na e l’ altra pre$$ione $ieno, quanto a loro, dello $te$$o genere. Io, di$$i, nol vieto io già; ma vede- te, $e non lo vieti il Padre Riccati; perciocchè $e egli vuol dimo$trare, che l’ azione, che tira il glo- bo da A fino in _r_, di niente $i accre$ca, aggiun- gendole$i la pre$$ione, che lo $te$$o globo e$ercita contro il piano AD; non $o, $e a lui ba$terà di di- re, che que$ta pre$$ione non ha nome azione; per- ciocchè, qualunque $ia il nome, s’ ella è dello $te$- $o genere, che quelìa, che chiama$i azione, bi$ogna bene, che l’ una $i accre$ca per l’ aggiunta dell’ al- tra; e chi argomenta$$e in contrario, $i abu$ereb- be del nome. Ne $o, $e il Padre Riccati, dando al nome di azione quel $ignificato, che più a lui pia- ce, incontrerà poi la grazia dei metafi$ici, quan- do vorrà dimo$trare nella compo$izione del moto l’ uguaglianza dell’ azione e dell’ effetto; percioc- chè i metafi$ici non $on già contenti, che in quel loro principio $i prenda il nome di azione in qua- lunque $en$o più piaccia, ma vogliono, che $i pren- da in quello, che piace a loro. E chicontravviene, LIBRO III. turba il lor principio, non lo difende. Io non. dico, ri$po$e qui il Signor D. Felice, che il Padre Riccati argomenti dal nome, e neghi, che la azio- ne $i accre$ca per l’ aggiunta di una pre$$ione, per ciò che la pre$$ione non ha nome azione; che in. vero $arebbe argomento troppo debole; ma egli s’ attiene principalmente ad’ un’ altra ragione a$$ai forte, la qual’ è, che la pre$$ione, con la quale il globo $pinge il piano, $e è azione, è però azione infinitamente piccola, e per ciò dee tra$curar$i, così che aggiungendola a quell’ altra, che tira il globo da A in _r_, non debba far$i accre$cimento niuno. Udirò volentieri quello, che vogliate dire contro una tal ragione. Io dico già da ora, ri$po- $i, che poco mi piace cote$to tra$curare le quantità infinitamente piccole, e averle per nulla. Ma voi, di$$e il Signor D. Felice, vi avete po$to nell’ animo di voler dire contro ogni co$a. I geometri non le tra$curano e$$i? E $e ciò $i permette a i geometri, quanto più dovrà permetter$i ai fi$ici? Et 10 pure, ri$po$i, lo permetto agli uni et agli altri, ove $i trat- ti di ridur le co$e alle mi$ure comuni, nelle qua- li perdona$i fac<007>lmente al mi$uratore una colpa in- finitamente piccola; ma $e $i tratta$$e di ridurle ai principj, et alle leggi dei metafi$ici, non $o, $e. que$tigliel permette$$ero; perciocchè $ono $everi$- $imi, e non perdonano nulla. E $e avranno, per e- $empio, $tabilito, che l’ effetto non po$$a e$$er mag- giore della cagione; non vorranno già contentar$i, che $ia maggiore per una differenza infinitamente DELLA FORZA DE’ CORPI piccola; imperocehè quella differenza, percui l’ ef- fetto eccede$$e la $ua cagione, $arebbe $enza cagio- ne; e tanto è impo$$ibile, che $ia $enza cagione u- na particella infinitamente piccola, quanto che. $ia $enza cagione il mondo tutto; il qual po- trebbe e$$ere anch’ egli infinitamente piccolo, $e $i paragona$$e con un’ altro mondo infinitamente. più grande. Se dunque il Padre Riccati cerca di $o$tenere una legge dei metafi$ici, e acqui$tar gra- zia appre$$o loro; vegga di non commettere co’$uoi calcoli qualche peccato infinite$imo, che e$$i non. gli perdoneranno. Ma a ciò pen$erà egli. Io a$pet- to intanto, che voi mi dimo$triate, come l’ azio- ne, con la quale il globo A preme il piano AD, $ia azione infinitamente piccola. Avendo io così det- to, era già il Signor D. Felice di$po$to di $oddis- farmi; ma il Signor Conte della Cueva, che volge- va ancor nell’ animo le co$e poc’ anzi dette, lo in- terruppe, et a me volto, non vorrei, di$$e, ritar- dare l’ a$pettazion vo$tra; pure prima di udire la. dimo$trazion, che a$pettate, vorrei, che udi$te una difficoltà, che ora mi è nata $opra quello, che di- cevate poc’ anzi. Siete contento, che io la vi dica? Contenti$$imo, ri$po$i; poichè ritardandomi un. piacere, me ne fate un’ altro non minore; ne però mi togliete la $peranza di quello, che mi ritardate. Dite dunque a piacer vo$tro. Allora il Sig. Conte così cominciò. Voi dicevate, che la pre$$ione per $e $ola è azione; e però quella potenza, che pre- me, benchè non ne $egua l’ effetto del movimen- LIBRO III. to, tuttavia agi$ce. Io dunque dimando: que$ta. cau$a, che agi$ce $enza che ne $egua effetto niuno, qual co$a agi$ce? certo $e niuno effetto ne $egue, dovrà dir$i, che agi$ce nulla. Ora agir nulla, e. non agire, non $on for$e quello $te$$o? non $ono eglino la $te$$a co$a illuminar nulla, e non illumi- nare? ri$caldar nulla, e non ri$caldare? mover nul- la, e non movere? e perchè non $arà egli anche lo $te$$o agir nulla, e non agire? oltrechè quale azio- ne è, che abbia per termine il nuila, e tenda al nulla? Niuna, ri$po$i; perchè ogni azione ha per termine una qualche forma, che non è, ma dee. cominciar ad e$$ere per l’ azione $te$$a, purchè il $oggetto ne $ia capace; e a porre que$ta forma ten- de $empre l’ azione; e $e tal volta non la pone, ciò interviene per l’ incapacità del $oggetto, non perchè l’ azione non tenda ad e$sa, e non $ia ad e$- $a naturalmente diretta. Bene, di$se quivi il Signor Conte; ma quando la cau$a agendo non con$egue l’ effetto; qual co$a diremo noi, che ella agi$ca? Et io $oggiun$i: voi dimandate, qual co$a agi$ca. la cau$a, qualora agi$ce; perchè voi già $uppone- te, che ella non po$sa agire $enza agir qualche. co$a, che vale a dire $enza produr quell’ @ffetto, per cui agi$ce; il che è $uppor quello $te$so, di che è qui$tione; ne v’ accorgete, che l’ azione non è nell’ effetto, ma nella caufa, e però potrebbe e$- $ere, quand’ anche l’ effetto non fo$se. E certo $e non fo$se al mondo alcun corpo, che pote$se e$- $ere o illuminato, o ri$caldato, il $ole non illumi- DELLA FORZA DE’ CORPI nerebbe, ne $calderebbe nulla; ma però $panden- do i $uoi raggi non la$cierebbe di fare quella $te$- fa azione, che fa, quando ri$calda i corpi, e gl’ illumina; e $i direbbe, che egli non ri$calda, e non illumina, perchè que$ti vocaboli, ri$caldare e illu- minare, $ignificano non l’ azion $ola, ma anche. la po$izion dell’ effetto; tolto il quale effetto quei vocaboli non han luogo: non c@sì la voce agire, che $ignifica l’ azion $ola, e può aver luogo an- che là, dove l’ effetto non $ia; e certo non meno agi$ce chi $pinge a tutto potere un muro, e non. lo $cuote, che un’ altro, che preme una canna con eguale sforzo, e la rompe. Pur $iamo $oliti dire, ripigliò quivi il Signor Conte, che l’ azione $i mi- $ura dall’ effetto; e che l’ azione, che e$ercita la. gravità in un corpo, il quale $ia $o$tenuto e fermo, è infinitamente piccola, e però nulla, ri$petto a. quella, che e$ercita in un corpo, il quale attual- mente cade. Così diciamo, ri$po$i, perchè quando il corpo $ta fermo, noi con$ideriamo $olo quell’ impul$o i$tantaneo e pre$ente, che egli riceve dal- la gravità; degli altri infiniti, che $on già pa$$ati, e non hanno la$ciato di $e effetto niuno, non ab- biamo con$iderazione, tenendogli per inutili. Ma nel corpo, che cade, con$iderar $i vuole non $ol l’ impul$o pre$ente, ma quegl’ infiniti ancora, che egli ha ricevuti per tutto il tempo della caduta.; perchè $ebbene pa$$arono, e più non $ono, pur hanno la$ciato nel corpo un movimento, del quale $e noi vogliamo intendere la cagione, bi- LIBRO III. $ogna intendere tutti quegl’ infiniti impul$i, che lo produ$$ero. Se voi però ridurrete in una $omma tutti gl’ impul$i, che il corpo fermo riceve. dalla $ua gravità in un minuto di tempo, e $imilmente tutti quelli, che riceve in tempo eguale cadendo, voi troverete le due $omme egua- li$$ime; e l’ azione altro non è che la $omma degl’ impul$i; il movimento è l’ effetto. E $ebben l’ a- zione, come voi dicevate, $i mi$ura dall’ effetto, ciò vuol$i intender per modo, che $i mi$uri non dall’ effetto, che attualmente $egue, ma da quello, che. $eguirebbe, $e non fo$$e da altra cagione fra$tor- nato. Così l’ azione, che e$ercita la gravità per un minuto di tempo in un corpo, il quale $ia $o- $tenuto e fermo, dee mi$urar$i da quell’ effetto, che ella produrrebbe, $e il corpo non fo$$e $o$tenuto; perchè il dire, che l’ effetto $uo in quel ca$o è nul- lo, e che ella però dee mi$urar$i dal nullà, è lo $te$$o che a$$egnarle un’ effetto contrario alla na- tura $ua, non potendo l’ azione tendere al nulla, ne e$$ere dal nulla in niun modo mi$urata. Ma io non vorrei, che di$tendendoci noi troppo in que- $ta di$puta, parer pote$$e al Signor D. Felice, che noi vole$$imo $tudio$amente allontanarci dalla $ua propo$ta. Voi, di$$e il Signor D. Felice, vi $iete ad e$$a acco$tati più for$e, che non credete; e cer- to più, ch’ io non voleva; perchè tali co$e avete ultimamente dette, che appena la$ciano luogo a. quello, che io era per dirvi. Imperocchè la mia propo$ta, la quale è ancora del Padre Ric- DELLA FORZA DE’ CORPI cati, era, che l’ azione, con la quale il globo A preme il piano AD, $ia infinitamente piccola. ri$petto a quella azione, per cui $corre da A in _r_; e la ragione, che io doveva addurvi, $i era, per- chè que$ta produce un movimento, e quella non. ne produce niuno; parendo, che, $e $i mi$urino dal movimento prodotto, debba $enza alcun du- bio e$$ere infinitamente piccola quella, che niun ne produce. Ma voi direte, che quella azione, con la quale il globo preme il piano, dura tanto tem- po, quanto l’ altra, per cui viene da A in _r_, e im- prime al globo egual numero di impul$i, e che $i- nalmente vuol mi$urar$i non già da quel movimen- to, che è nullo, e che non può, e$$endo nullo, e$- $er prodotto, ma da quel movimento, che ella. produrrebbe, $e il piano non fo$$e. Si certamente, ri$po$i io allora, ch’ io direi tali co$e; e dicendo- le, apparirebbe chiaramente, che l’ azione, con. la quale il globo A preme il piano, continvando$i per tutto quel tempo, che egli viene da A in _r_, ne può dir$i infinitamente piccola, ne è; e $e il movi- mento non ne $egue, ciò è per l’ impedimento del piano, non per la mancanza dell’ azione. Ma la. notte chetamente $en fugge, e già veggo la luna. di gran pa$$o inchinar$i ver$o il ponente; ond’ io comincio a temere, ohe noi ci perdiamo troppo in $ottilità metafi$iche. E’ già buona pezza, di$$e il Signor D. Niccola, che io ne temo; perchè, a dir- vi il vero, cote$te vo$tre ragioni tanto metafi$iche, $enza accompagnamento di e$perienze, e$pogliate LIBRO III. di ogni calcolo, come che a me piacciano, non piace- ranno al mondo, e non $aranno ricevute. Io non voglio già, di$$i, darle alle $tampe: quantunque. piacendo a voi (s’ egli è pur vero, che a voi piac- ciano, e nol dite per gentilezza) pare a me, che. dovrebbono piacer a tutti. Voi giudicate, di$$e al- lora il Signor D. Niccola, troppo corte$emente di me. Ma in verità i matematici de no$tri dì, $icco- me voi $apete, amano grandemente le propo$izio- ni dei metafi$ici, ma vogliono più to$to a$$umerle, che di$putarne. E come fanno, ri$po$i io, a $aper, che $ien vere, $enza di$putarne? Oh $i veramente, ri$po$e il Signor D. Nicola, che lo $aprebbono, di- $putandone. Ma $e dopo averne di$putato, ri$po$i io, non po$$on $apere, $e quelle propo$izioni $ien vere, molto meno il $apranno, $e non ne di$puta- no; perchè in $omma il di$putare di una propo- $izione non è altro che cercare, $e $ia vera, o non vera. Troppa briga, di$$e allora il Signor D. Ni- cola, $i darebbe ai matematici; chi vole$$e, che ol- tre l’ a$$umere le propo$izioni dei metafi$ici anche le e$amina$$ero. Volendo io quì ri$pondere, fece$i innanzi la Signora Principe$$a, e di$$e: voi per poco entrere$te in un’ altra di$puta metafi$ica; ne la$cie- re$te, tanto $iete litigio$i, che il no$tro Signor D. Felice venir mai pote$$e a quella dimo$trazione, che tanto a$pettiamo. Però mettete da parte le $ottigliez- ze, e concedetegli una volta, che l’ azione della corda, o tiri il globo da A in _r_, o lo tiri da A in _p_, $ia $empre la $te$$a; che è quello, che egli, $e ben DELLA FORZA DE’ CORPI m’ accorgo, ma$$imamente di$idera : e $e a $tabilir ciò, vuol$i, che l’azion della corda $ia lo $te$$o che l’ accorciar$i; e che $i mi$uri dallo $pazio; e che il globo nel primo $uo mover$i o$$ervi le leggi della gravità; e che il premere non $ia agire; e vo<007> digra- zia concedetegl<007> ogni co$a, acciocchè po$$iamo $i- nalmente ud<007>re a qual fine giunga la dimo$trazio- ne. Allora io rivolto al Signor D. Felice, meno, di$$i, non vi volea della Signora Principe$$a di Co- lobrano, perchè tante co$e ad un tempo vi $i con- cede$$ero. Ma ella può quanto vuole. Voi dunque venite alla dimo$trazione. Ri$e un poco il Signor D. Felice, poi cominciò: $ia un corpo A (volgete F. V. l’ occhio alla figura quinta ) $timolato da due po- tenze $econdo due direzioni AS, AC, che facciano un’ angolo acuto ( potrei $upporre l’angolo d altra maniera; ma <007>o $eguo la $uppo$izione p@ù comoda ); e $ieno le potenze tra loro come le due linee AB, AC, le quali linee voglio, che $i prendano nelle, direzioni mede$ime. Egli è $tabilito tra i meccanici, che il corpo $i incamminerà per AD, diagonale, del parallelogrammo BC, e la $correrà in quel tem. po mede$imo, in cui $pinto dalla $ola potenza AB avrebbe $cor$o il lato AB, o $pinto dalla $ola po- tenza AC avrebbe $cor$o il lato AC. Dove $ubito e chiaramente appari$ce, che le tre velocità $onotra loro, come le tre l<007>nee AB, AC, AD; e $iccome la linea AD è $empre minore della $omma dell’ al- tre due, così ancora la velocità, con cuiella è $cor- $a, è $empre minore della $omma dell’ altre due, LIBRO III. con cui $eparatamente $i $correrebbono i lati AB, AC. Di che pare ad alcuni, che l’ uguaglianza tra l’ effetto e la cau$a $i levi, non $enza pericolo, che $e ne $degnino i metafi$ici, concio$iaco$ache le po- tenze e$erc<007>tando$i $eparatamente producano velo- cità maggiore; e poi ne producano una minore, e$ercitando$i congiuntamente. Ma quelli, che così parlano, non pongon mente, che quando le poten- ze $i congiungono, ognuna di loro agi$ce for$e meno nel corpo di quel, che agirebbe, $e fo$$ero $eparate; il perchè non è da maravigliar$i, che pro- ducano effetto minore; e poca ragione avrebbono <007> metafi$ici di $degnar$ene, e$$endo l’effetto, $econ- do e$$i, proporzionale non veramente alla potenza ma all’ azione. Sono poi alcuni, i quali immagi- nano, che le due potenze, che $pingono il corpo per li due lati AB, AC, e che io chiamerò poten- ze laterali, ne producano una terza, che lo $pinga per AD, che io chiamerò potenza diagonale; e que$ti mi$urando le potenze dalle velocità, che, producono, $ono a$tretti di dire, che la potenza diagonale $ia minore della $omma delle due latera- l<007>, da cui vien prodotta; onde pare anche a loro, che tolga$i l’ uguaglianza tra la cagione el’ effetto. Ma il Padre Riccati molto $ottilmente gli ripren- de, e con ragione; perciocchè nega egli, che le, potenze laterali po$$an produrre veruna potenza, nuova; e dice, che $e il corpo $corre la diagonale AD, ciò fa egli, non per l’ azione d’alcuna poten- za nuova che allor $i produca, ma per l’azione del- DELLA FORZA DE’ CORPI le potenze laterali $te$$e. E certo le potenze non pajono di lor natura ordinate a produrre altre po- tenze. E’ dunque la potenza diagonale, $econdo lui, non prodotta nel corpo, ma finta e immaginata. nell’ animo dei matematici; i quali non volendo valer$i di due potenze, che $ono nella natura, amano meglio di ricorrere ad’ una $ola, che e$$i $i fingo. no; la qual $e fo$$e, farebbe lo $te$$o effetto, che quelle due. Quindiè, che a con$ervar l’ uguaglian- za tra l’ azione e l’ effetto, non altro fa d’uopo $e non dimo$trare, che l’az<007>one, che fanno le due po- tenze laterali congiunte in$ieme, $ia eguale a quella azione, che farebbe la potenza diagonale da $e $ola, $e vi fo$$e. E que$to $i è quello, che il Padre Riccati prende a dimo$trare, e il fa di maniera, che la dimo$trazione $te$$a lo con- duce nell’ opinione della forza viva. Come ciò $ia, vi $piegherò brevemente, proponendovi prima un teorema di geometria a$$ai bello, e non men fac<007>- le, $opra cui non dovrà na$cere niuna conte$a. Ec- covi il teorema. Nella diagonale AD di un paralle- logrammo BC $i prenda un punto _r_, e quindi $i guidi- no le due rette _rp, rq_, perpendicolari ai lati AB, AC. Dico, che il rettangolo di AB, et A_p_, e il rettan- golo di AC et A_q_, pre$i in$ieme, $ono eguali al rettangolo di AD et A_r_. Volete voi, che io il vi dimo$tri? Fermo$$i quì un poco il Signor D. Felice. Allora la Signora Principe$$a, quelli, di$$e, che ne de$iderano la dimo$trazione, de$idereranno anche. di trovar$ela da loro $te$$i. Quanto a me, io $on per- LIBRO III. $ua$a del teorema, e credo, che gli altri ancora lo $ieno; onde voi potete pa$$are avanti. Vengo dun- que, ri$po$e il Signor D. Felice, all’ argomento del Padre Riccati; nel quale $e io dicendo le co$e, che mi parran nece$$arie, ne la$cierò alcune, che, quantunque non nece$$arie, e$$endo però congiun- te all’ argomento $te$$o, potrebbe piacervi d’ in- tendere, voi me le dimanderete, et io vedrò di $od- disfarvi; quelli poi, che $i opporranno all’ argo- mento, e non vorranno averlo per vero, la$cierò, che $i $oddisfacciano da loro $te$$i. 10 dico dunque, che le due potenze laterali po$$ono $empre con$ide- rar$i, come due corde ela$tiche, le quali tirino il corpo; perciocchè di qualunque maniera $ieno le potenze, faranno $empre lo $te$$o, che due corde fa- rebbono. Sia dunque AB la potenza di una corda ela$tica AS, che tiri il corpo con la direzione AS; e $ia AC la potenza di un’altra corda ela$tica AC, che tiri il corpo con la direzione AC. Intanto il corpo, incamminando$i per la diagonale AD, co- me vogliono i meccanici, $corra lo $pazietto infini- te$imo A_r_. Egli è certo, per le co$e dette, che la corda SA traendo il corpo da A in _r_, fa quella. $te$$a azione, che farebbe, $e lo trae$$e da A in _p_; e che que$ta azione, mi$urando$i dalla potenza. moltiplicata per lo $pazio, $i e$primerà col rettan- golo di AB, et A_p_. E $imilmente apparirà, che an- che l’ azione della corda CA, traente il corpo da A in _r_, $i e$primerà col rettangolo di AC, et A_q_. E non è alcun dubbio, che $e $o$$e una terza poten- DELLA FORZA DE’ CORPI za AD, la qual trae$$e il corpo $imilmente da A in _r_, $i e$primerebbe l’ azion $ua $imilmente col ret- tangolo di AD et A_r_. E$$endo dunque i due rettan- goli di AB et A_p_, e di AC et A_q_, pre$i in$ieme, eguali al rettangolo di AD et A_r_, è chiaro, che. venendo il corpo da A in _r_, le azioni delle poten- ze laterali, pre$e in$ieme, $ono eguali a quella azio- ne, che la potenza diagonale farebbe da $e $ola. Ed eccovi l’ argomento del Padre Riccati, per cui viene a con$ervar$i nella compo$izione del moto quell’ uguaglianza, che i metafi$ici a$pettan $em- pre, e rich<007>eggon per tutto tra l’ azione e l’ effet- to. Ne credo che faccia me$tieri, ch’ io vi mo$tri, come l’argomento $te$$o ci conduca nell’ opinione della forza viva; perciocchè $e egli è fondato in. que$to, che l’ azion della corda AS $ia $empre la. $te$$a, o tiri il corpo da A in _r_, o lo tiri da A in _p_; e $imilmente, che l’ azion della corda AC $ia $em- pre la $te$$a, o tiri il corpo da A in _r_, o lo tiri da A in _q;_ chi non vede, ciò provenire dall’ e$$er l’ azion della corda non altro, che l’ accorciar$i; on- de ne $egue, che, mi$urando$i l’ accorciamento dal- lo $pazio, debba mi$urar$i dallo $pazio ancor l’ azione, e però anche dal quadrato della velocità, perciocchè il quadrato della velocità, movendo$i il corpo da A in _p_, ovvero da A in _q_ $econdo le leg- gi della gravità, è $empre allo $pazio proporziona- le. Che $e l’ azione è proporzionale al quadrato della velocità, bi$ognerà bene, che un’ effetto ne na$ca proporzionale allo $te$$o quadrato, il qual’ Libro III. effetto non può e$$ere, $e non la forza viva di Lei- bnizio. Qui tacque$i il Signor D. Felice; e allo- ra la Signora Principe$sa, non mancherà, di$$e, chi voglia contradire a que$to argomento. Io pe- rò $enza contradirgli, de$idero $olo per intender- lo più pienamente, che mi $oddisfacciate di un. mio de$iderio. Se la linea AD, per cui s’ incammi- na il corpo, non fo$$e la diagonale del parallelo- grammo BC, ma altra linea; voi non pertanto po- tre$te prendere in e$$a un punto _r_, e condotte le perpendicolari _rp_, _rq_, prolungarla tanto, che fo$- $e il rettangolo di AD, et A_r_ eguale ai due rettan- goli di AB et A_p_; e di AC et A_q_, pre$i in$ieme; e in que$to ca$o potre$te dire tutte le co$e, che avete dette. Io dimando dunque, onde avvenga, che e$$endo il corpo $o$pinto dalle due potenze AB, AC, più to$to per la diagonale $i incammini, che per altra linea. Dimandatene pure i meccanici, di$$e allora il Signor D. Felice; perchè e$$i $ono, che in- $egnano il corpo dover$i incamminare per la diago- nale; al Padre Riccati ba$ta di aver dimo$trato, che, incamminando$i e$$o per la diagonale, l’ effetto è pur $empre eguale all’ azione. Ne è però, che egli non po$$a anche render ragione, perchè il corpo debba più to$to $eguire la diagonale, che prendere altra via. Perchè dovete $apere, che $econdo il Pa- dre Riccati, che in ciò s’ accorda all’ opinione de- gli altri meccanici, le due potenze AB, AC non $o- lo traggono il corpo per una terza linea AD, ma anche contra$tan tra loro premendo$i l’ una l’ altra Della forza de’ corpi vicendevolmente; ne potrebbe il corpo determi- nar$i a $correre una certa linea, $e le pre$$ioni, per cui le potenze contra$tan tra loro, non $i rende$- $ero eguali, e $i di$trugge$$ero. Egli è dunque per l’ uguaglianza, a cui debbon ridur$i quelle tali pre$- $ioni, che il corpo dee $eguir la diagonale, non al- tra linea. Ma il Padre Riccati non mette le pre$$io- ni nel numero delle azioni, e però non vuole, che $i con$iderino, trattando$i $olo di $piegar l’ ugua- glianza, che pa$$a tra l’ azione el’ effetto. E$$endo- fi qui taciuto il Signor D. Felice, fece$i innanzi il Signor D. Nicola, et, io pure ho un de$iderio, di$- $e, cui vorrei, che voi $oddisface$te. Voi avete detto molto accortamente, che la potenza AB, o tiri il corpo da A in _r_ in$ieme con la potenza AC, o lo tiri da $e $ola da A in _p_, nell’ uno e nell’ al- tro ca$o fa $empre la $te$$a azione; e certo nell’uno e nell’ altro ca$o $egue lo $te$$o accorciamento della corda da voi $uppo$ta. E così nell’ uno e nell’ altro ca$o produce $empre lo $te$$o effetto, il quale è, $e- condo voi, la forza viva. Similmente dira$$i della potenza AC, la quale, come avrà tirato il corpo da A in _r_ in$ieme con la potenza AB, avrà pro- dotta in lui quella $te$$a forza viva, che avrebbe in e$$o prodotta, tirandolo da $e $ola da A in _q_. Onde ne $egue che il corpo, giunto in _r_, dovrà a- vere una forza viva eguale alla $omma di quelle due, che avrebbe avute ne punti _p_ et _q_, $e vi fo$se $tato $eparatamente tirato dalle due potenze. Non è egli così? Così è certamente, di$se il Signor D. Libro III. Felice. Non però, $eguitò allora il Signor D. Nic- cola, avrà il corpo, giunto in _r_, una velocità, che $ia eguale alla $omma delle due velocità, che av- rebbe avuto ne punti _p_ et _q_. La$ciate che io mi $pie- ghi con un’ e$empio. Supponghiamo, che il corpo tirato dalla $ola potenza AB ave$$e avuta in _p_ una velocità 3, e per con$eguente una forza viva 9, e tirato dalla $ola potenza AC ave$$e avuta in _q_ una velocità 4, e per con$eguente una forza viva 16; così che la $omma delle velocità fo$$e 7; la $om- ma delle forze vive fo$$e 25; dovendo il corpo, giunto in _r_, avere $econdo voi una forza viva 25, non potrà certo avere una velocità, che $ia 7; ma. dovrà averne una minore, la qual $arà 5; altri- menti la forza viva, che egli ha in _r_, non $arebbe proporzionale al quadrato della velocità. E’ dun- que chiaro, che la potenza AB, traendo il corpo da $e $ola in _p_, produce in e$$o una velocità 3; traendolo poi con la potenza AC in _r_, quantun- que faccia la $te$$a azione, produce però una velo- cità minore. E $imilmente la potenza AC, traen- do il corpo da $e $ola in _q_, produce in e$$o una velocità 4; traendolo poi in _r_ con la potenza AB, produce una velocità minore, quantunque faccia l’ i$te$$a azione; e ciò per modo, che la $omma delle velocità, la qual per altro $arebbe $tara 7, riduca$i $olo a 5. Così che pare, che le po- tenze, faccendo le $te$$e azioni, debbano in certo modo convenir$i, e divi$ar tra loro delle veloci- tà, che debbon produrre. Volea $eguitare il Si- Della forza de’ corpi gnor D. Nicola, ma il Signor D. Felice qui l’ in- terruppe, e di$$e. Ne io vi ho detto, ne potrei dir- vi, $eguendo l’ opinione del Padre Riccati, che le potenze producano le velocità; anzi vi dico, e voglio ben, che intendiate, che qual$ifia potenza non altro produce mai, che la forza viva; la forza viva poi, benchè non produca la velocità, (per- ciocchè, $e la produce$$e, $arebbe ad e$$a propor- zionale,) però $e la trae dietro, come un con$e- guente; e $empre $i trae dietro quella, che le con- viene. Io non voglio in$i$tere in que$to, ri$po$e allora il Signor D. Nicola; $ebbene egli è una gran di$perazione la$ciar la velocità, per così dire, ab- bandonata, e $enza cau$a alcuna, che la produca; e molto più mi piacerebbe poter $upporre, che ella $te$$a $enza altro fo$$e prodotta dalla potenza. Ma di que$to, come ho detto, non voglio io di$- putare ora; tornando dunque a quello, che io di- ceva, cangierò fra$e, e dirò che la potenza AB, tirando il corpo da $e $ola in _p_, produce in e$$o una forza viva 9, la qual $i trae dietro come un $uo con$eguente la velocità 3. Tirandolo poi in _r_ in$ie- me con la potenza AC, produce in e$$o la $te$$a forza viva 9, e que$ta allora $i trae dietro non più la velocità 3, ma altra minore. E $imilmente la potenza AC, tirando da $e $ola il corpo in _q_, pro- duce in e$$o una forza viva 16, la qual $i trae die- tro, come un $uo con$eguente, la velocità 4; ti- randolo poi in _r_ in$ieme con la potenza AB, pro- duce in e$$o la $te$$a forza viva 16; e que$ta allo- Libro III. ra $i trae dietro non più la velocità 4, ma altra più piccola. Bi$ogna dunque, che le due forze vive così convengano e $i concordin tra loro, che la $omma di quelle velocità, che e$$e $i traggon dietro, e che per altro dovrebbe e$$er 7, divenga 5. Quì il Signor D. Serao, interrompendo il Signor D. Nicola, $e Dio m’ ajuti, di$$e, que$ta è co$a mol- to $comoda a concepir$i, et io certo per me de$i- dererei una $entenza più agevole. E veggo bene o- ra, perchè il Signor D. Felice non ha mai voluto concedere, che contraendo$i, et accorciando$i la cor- da SA, l’ effetto di e$$a $ia la velocità prodotta nel corpo A: poichè nel no$tro ca$o e$$endo di$eguali le velocità, che il corpo acqui$ta traendo$i dall’ i$te$$a corda in _r_, o in _p_, $arebbono di$uguali gl’ ef- fetti, e però di$eguali ancor le azioni; e troppo a- vea bi$ogno il Padre Riccati dell’ uguaglianza del- le azioni per te$$ere quella $ua dimo$trazione. E per que$to anche, di$$i io allora, s’ è egli o$tinato a volere, che accorciando$i la corda AS, l’ azion $ua $ia lo $te$$o accorciar$i; per poter poi, e$$endo eguale nell’ uno e nell’ altro ca$o l’ accorciamento, $o$tenere, che fo$$e eguale ancor l’ azione. Vedete anche un’ altra malizia; che non ha mai voluto con$entirmi, che il premere $ia agire, e che delle pre$$ioni debba aver$i veruna con$iderazione; per- chè certo l’ argomento del Padre Riccati $arebbe a cattiva condizione, $e oltre le azioni, con cui le potenze traggono il corpo da A in _r_, dove$$ero con$iderar$i ancor le pre$$ioni, per cui $i oppongo- DELLA FORZA DE’ CORPI no e fan contra$to l’una con l’altra; ne $o $e, met- tendo$i que$te pre$$ioni a luogo di azioni, fo$$e poi così facile il dimo$trare, che le due azioni delle po- tenze laterali fo$$ero eguali all’ azione della poten- za diagonale. Non $o, di$se allora il Signor D. Fe- lice ridendo, qual di noi $ia più malizio$o, o io, che voi dite aver u$ate tante malizie, o voi, che pen$ate di averle di$coperte. Ma perchè non la$cia- te, che il Signor D. Nicola pro$egui$ca il $uo ra- gionare, e fini$ca di e$porre quella difficoltà, che avea cominciato? Niuna difficoltà, di$se allora il Signor D. Nicola, intendo io di e$porvi; intendo $olo, che voi mi $pieghiate una co$a, la quale o non ho letta nel Padre Riccati, o non me ne ricor- do, et è però degna, che $i $appia. Ed eccola. I meccanici richieggono, che il corpo A tirato da a- mendue le potenze, non $olamente $corra la dia- gonale AD, ma la $corra in quel mede$imo tempo, in cui $correrebbe o l’ uno o l’ altro lato del pa- rallelogrammo, $e fo$se tirato o dall’ una o dall’ al- tra potenza $olamente. Così $e $i condurranno le due linee _rm_, _rn_ parallele ai lati DB, DC, com- piendo il parallelogrammo _mn_, vogliono i mecca- nici, che il corpo $corra la lineetta A_r_ in quel tem- po $te$so, in cui $correrebbe o la linea A_m_, $e fo$se tirato dalla $ola potenza AB, o la linea A_n_, $e fo$se tirato dalla $ola AC. Ora io ho inte$o per le co$e da voi ragionate, che le azioni delle potenze $on $empre le mede$i- me, o traggano congiuntamente il corpo in _r_, o il LIBRO III. traggano $eparatamente l’ una in _p_, l’ altra in _q_. Ho anche inte$o, che il corpo, giunto in _r_, avrà una forza viva eguale alla $omma di quelle due, che egli avrebbe in _p_ et in _q_. Ma non ho ancora inte$e, come il corpo, tirato dalle due poten- ze in$ieme, debba $correre la lineetta A_r_ nell’ i- $te$$o tempo, in cui $correrebbe A_m_, $e fo$$e tira- to dalla $ola potenza AB, ovvero A_n_, $e fo$$e tirato dalla $ola AC. Se voi ave$te letto attenta- mente, di$$e quivi il Signor D. Felice, tutto il luo- go, dove il Padre Riccati dichiara la $ua dimo$tra- zione, avre$te inte$o anche ciò, che voi mi di- mandate. E $enza leggerlo, potrete intenderlo an- cora da voi mede$imo; $ol che vi piaccia di $tabi- lir prima il tempo, nel quale il corpo tirato dalla $ola potenza AB, $corre lo $pazio A_p_, e in$ieme il tempo, in cui tirato congiuntamente dalle due potenze, ovvero dalla potenza diagonale, che può $o$tituir$i alle due, $corre lo $pazio A_r_; perciocchè $correndo il corpo lo $pazio A_p_ $econdo le leggi della gravità, $e egli nel primo dei $opraddetti due tempi $corre lo $pazio A_p_, potrà facilmente racco- glier$i, quale $pazio dovrà $correre nel $econdo; e voi troverete, che e$$o $pazio è appunto la quarta linea proporzionale dopo le trè AD, AB, A_r_; cioè a dire la linea A_m_. Simil co$a dimo$trerete anche ri$- petto alla linea A_n_, et all’ i$te$$o modo. Ne la$cia il Padre Riccati di dichiararlo $ottilmente; ma voi non vorrete ora, che io mi avvolga in molte e lun- ghe $upputazioni; ne io for$e potrei, quando be- DELLA FORZA DE’ CORPI ne il vole$te. Perchè non potremmo noi, di$$i io allora, cominciarne quì una, traendola da quelle co$e, che avete fin quì $piegate? e $e ella ci $i av- volge, e divien troppo lunga, che $arà a noi l’ ab- bandonarla? Bi$ognerebbe, di$$e quivi il Sig. D. Felice, prima d’ogni altra co$a $tabilire i tempi, che ho detto. Voi avete già detto più volte, ripigliai io, che la potenza moltiplicata per lo $pazio $cor$o è $empre proporzionale all’ azione; e l’ azione alla forza viva; e la forza viva al quadrato della velocità. Di qui certo $egue, che e$$endo la velocità propor- zionale allo $pazio divi$o pel tempo, cioè ad {S/T} (dico S lo $pazio, T il tempo) dovrà la potenza moltiplicata per lo $pazio e$$ere eguale al quadra- to di {S/T}, e nominando P la potenza, dovrà e$$ere PS = {SS/TT}. Dunque, $oggiun$e $ubito il Signor D. Felice, $arà TT = {S/P}, cioè a dire: il quadrato del tempo, nel quale il corpo $corre un certo $pazio, $arà eguale allo $pazio $te$$o divi$o per quella po- tenza, che lo fa $correre. Abbiamo dunque $ubi- to i quadrati dei due tempi, che cercavamo; poi- chè il quadrato del tempo, nel quale il corpo $cor- rerebbe A_p_, $arà {A_p_/AB}; e il quadrato del tempo, nel quale il corpo $corre A_r_, $arà {A_r_/AD}. E bene, $og- LIBRO III. giun$i io allora, s’ egli è vero quello, che già ave- te detto, cioè, che il corpo $corra lo $pazio A_p_ $e- condo le leggi della gravità, onde i quadrati dei tempi debbano e$$ere proporzionali agli $pazj; e $e egli, tirato dalla $ola potenza AB, $corre A_p_ in quel tempo, il cui quadrato è {A_p_/AB}, niente $arà più facile, che $coprire, quale $pazio dovrà $cor- rere in un tempo, il cui quadrato $ia {A_r_/AD}; e allo- ra vedra$$i $e tale $pazio appunto $ia la linea A_m_, come e$$er dee, e come io credo veramente, che $ia. Mentre io diceva que$te parole, il Signor Con- te della Cueva avea già $te$o in una carta i termi- ni della proporzionalità {A_p_/AB}, {A_r_/AD}:: A_p_, {AB: A_r_/AD} quando tutto lieto e$clamò: è de$$a, è de$$a. Lo $pazio, che $i cerca, è appunto la linea A_m_, e$$en- do egli {AB: A_r_/AD}, cioè la quarta linea proporzio- nale dopo le tre AD, AB, A_r_. Vedete dunque, di$$e allora, a me rivolto, il Signor D. Felice, che il corpo, qualor fo$$e tirato dalla $ola potenza AB, $correrebbe la linea A_m_ in quello $te$$o tem- po, in cui, tirato dalle due potenze, $corre la li- nea A_r_; e mede$imamente $i mo$trerà, che nello $te$$o tempo $correrebbe la linea A_n_, $e $o$$e ti- rato dalla $ola potenza AC. Troverete voi qui malizia alcuna? Io non ne cerco, di$$i, acciocchè DELLA FORZA DE’ CORPI voi non diciate, che io $ia malizio$o, trovandone; dico bene, che a que$to argomento non potrebbe proceder$i, $enza a$$umer prima, e che l’ azione $ia la potenza applicata non al tempo, ma allo $pa- zio, e che e$$a produca non la velocità, ma la forza viva, e che il corpo tratto da qual$i$ia po- tenza debba nel primo $uo mover$i $eguir le leggi della gravità; le quali co$e tutte, e$$endo per $e $te$$e o$cure ed incerte, voi le avevate a$$ai prima con molta arte preparate e di$po$te, e fattele appa- rire, come certi$$ime, per farne poi na$cere un’ ar- gomento, con cui $i dimo$tra$se la forza viva di Leibnizio. Ma io non voglio rimettere ora in campo quegli argomenti, di cui s’ è oggimai tanto di$putato. Allora il Signor D. Felice ridendo, non $o, di$se, $e vi giova$se; perciocchè le propo$izio- ni, che $i a$sumono a formar la dimo$trazione, che io vi ho e$po$ta, quali che e$se $ieno, e che che n’ abbiate oggi di$putato; debbono certamente e$sere amme$se, $e elleno $on nece$sarie a $piegare, co- me un principio certi$$imo dei metafi$ici $i accordi a un teorema altresì certi$$imo dei meccanici. Di fatti come vorre$te voi $piegare, che nella compo- $izione del moto, propo$ta dai meccanici, $ia l’ ef- fetto eguale all’ azione, $iccome vogliono i meta- fi$ici, $enza $tabilir prima, che l’ azione delle po- tenze laterali $ia eguale all’ azione della potenza diagonale? E come $tabilir que$to $enza dir, che l’ azione generalmente mi$urar $i debba dalla poten- za applicata allo $pazio? E ciò dicendo, bi$ogna LIBRO III. pure attribuirle un’ e$fetto proporzionale allo $pa- zio $te$$o, cioè al quadrato della velocità; il qua- le effetto che altro e$$er può $e non la forza viva? Cioè, $oggiun$i io allora, l’ inerzia. Che mi dite voi, ri$po$e il Signor D. Felice, d’ inerzia? Il Pa- dre Riccati, di$$i io allora, non vuole egli, chela forza viva $ia l’ inerzia? Oh voi, di$$e $ubito il Si. gnor D. Felice, volete richiamarmiora alla diffini- zione della forza viva; la qual certo il Padre Ric- cati in$egna nel principio del $uo dotti$$imo libro e$$ere l’ inerzia $te$$a, $e $i con$ideri in quanto fa contra$to con quelle potenze, che vorrebbono can- giare lo $tato del corpo. E chi è, di$$i io allora, che non con$ideri l’ inerzia a que$to modo? Ma io certo non intendo, come tale inerzia produca$i dalle potenze, le quali con l’ azion loro altro mai non fanno, che turbarla; ne come ella debba e$$ere proporzionale al quadrato della velocità. Che che $ia di ciò, di$$e quivi il Signor D. Felice, niente è a me; purchè $ia quello, che abbiamo detto, cioè che la potenza debba produrre un’ effetto propor- zionale al quadrato della velocità; poichè que$to effetto, qualunque egli $ia$i, lo chiameremo forza viva. Chiamandolo però di que$to modo, ri$po$i io allora, voi nol chiamerete molto elegantemente; perchè $e voi non dimo$trate, che quell’ effetto $te$- $o produca altri effetti nella natura, e $ia nece$$ario a indur ne corpi quelle $orme, che in lor veggia- mo, $arà co$a inelegante chiamarlo forza. Ma voi, di$$e allora il Signor D. Felice, $iete $ofi$ticoal $om- DELLA FORZA DE’ CORPI mo, e vorre$te, per quanto veggo, allontanarvi a poco a poco dall’ argomento propo$to. A cui pe- rò ritornando, non vi par’ egli, che dando luogo alla forza viva, comodi$$imamente $i $pieghi, come nella compo$izione del moto $ia l’ effetto eguale all’ azione, che lo produce; il che malamente po- trebbe $piegar$i da chi leva$$e via, come voi fate, ogni forza viva? E certo della dimo$trazione del P. Ric- cati, che che voi ne diciate, dovranno e$$er con- tenti i meccanici, e non doler$ene i metafi$ici. Et io temo, ri$po$i, che $e ne doleranno e gli uni e gli altri; e meglio potrebbe $oddisfar$i al de$iderio d’ entrambi $enza la forza viva. Pure, di$$e il Signor D. Felice, faccendo na$cere la compo$izione del mo- to per l’ egualità delle azioni, parmi certo, che non $i faccia ai meccanici niun torto. Non dico, ri- $po$i io, che $i faccia loro alcun torto; credo be- ne, che volendo e$$i far valere la compo$izione in molti ca$i, non ameranno farla na$cere per una ra- gione, la qual vaglia in un $olo. E chi non $a, che come negli altri moti, così anche vogliono i mecca- nici, che $i faccia la compo$izione nei moti equa- bili? Perchè $e per e$empio, andando un corpo $u per una tavola di moto equabile ver$o una certa parte, la tavola $te$$a $i move$$e ella pure di moto equabile, e il porta$$e ver$o un’ altra, $i farebbe nel corpo, $econdo il parer de meccanici, la compo$i- zione dei due movimenti; e pure qual luogo avreb- be quivi la ragione, che voi avete dedotta dall’ egua- lità delle azioni? Perciocchè qui niuna fune potreb- LIBRO III. be finger$i, la quale accorciando$i e$ercita$$e un’ azicne proporzionale allo $pazio; e trae$$e il corpo con un moto accelerato, $iccome è quello dei gra- vi; le quali co$e tolte via, è tolta via ancor la vo- $tra ragione. Che direm noi, che i meccanici trova- no la compo$izione non $olamente nei moti, ma anche nelle pre$$ioni, da cui non $egue moto niu- no? perciocchè come di due movimenti ne com- pongono uno, così anche, et all’ i$te$$o modo, compongono una pre$$ione di due; ne è co$a, che in$egnino intorno alla compo$izione, et alla ri$o- luzione dei movimenti, la qual non vogliano che s’ intenda egualmente anche nelle pre$$ioni. Ora in que$te pre$$ioni, che non hanno moto niuno, qual luogo avranno le funi ela$tiche? quale gliaccorcia- menti? quale le potenze moltiplicate per lo $pazio? quale le accelerazioni? e que$te co$e $ono i fon- damenti della ragion vo$tra. Ne $o quanto po$$a, valere al Padre Riccati il dire, che i moti equabili, e le pre$$ioni non $ono azioni; e perô non dovere aver$i di loro con$iderazione alcuna. Imperocchè $e non $ono azioni, e tuttavia $i fa in loro la com- po$izione, come $e fo$$ero; par bene, chele ragio- ni, e i modi, onde e$$a compo$izione $i fa, debba- no per tutt’ altro $piegar$i, che per l’ azione. E $o- no anche $opra ciò da a$coltar$i i meta$i$ici, i quali quando in$egnano, che l’ effetto dee corri$ponder $empre all’ azione, tal $ignificato attribui$cono a que$ta voce azione, che vogliono abbracciar con e$$o, e comprendere non $olamente le a- DELLA FORZA DE’ CORPI zioni acceleratrici, ma generalmente tutte le azioni, che finger $i po$$ono; e non ne e$clu- dono pur le pre$$ioni. Ne bi$ogna per voler di- fendere il lor principio, mutar la $ignificazione dei termini, con cui lo propongono, ne intendere per azione altro, che quello, che intendon e$$i; perchè chi fa altrimenti, non difende il lor prin- cipio, ma lo cangia. Volendo io dir più oltre, il Signor D. Serao mi interruppe, e di$$e: i vo$tri metafi$ici non potrebbono e$$ere ingannati e$$i, et aver pre$o per azione quello, che veramente azio- ne non $ia? perchè voi pare, che alla metafi$ica cre- diate ogni co$a, e l’ abbiate per infallibile. Io cre- do, ri$po$i, che la metafi$ica abbia principj più $i- curi, che qualunque altra $cienza; anzi credo, che le altre $cienze non ne abbiano niuno $icuro, $e non $e quelli, che prendono in pre$tito dalla meta- fifica; gli altri tutti, che traggono dall’ o$$ervazio- ne, recano $empre con loro qualche timore, et e$- $endo certi nei ca$i particolari, in cui $i o$servano, perdono molto della loro certezza, faccendo$i uni- ver$ali; il che non interviene dei principj metafi- $ici, i quali non per varie o$$ervazioni, e per lun- ghezza di tempo, $i manife$tano, ma $ubito e per $e $te$$i. Ma venendo al propo$ito, io ri$pondo, che $e i metafi$ici ave$$ero malamente inte$o l’ a- zione, comprendendo $otto que$ta voce alcuna co$a, che azione non fo$$e, e in cui non dove$$e valere quel lor principio; io direi più to$to il principio loro e$$er fal$o, che $o$tenerlo come ve- LIBRO III. ro, e poi mutarlo. Sebbene e$$endo il concetto, che noi abbiamo della azione, $emplici$$imo, e comune a tutti gli uomini, come quello è dello $pa- zio, del tempo, del modo, della relazione, della $o$tanza, et altri molti; io non $o, per qual ragio- ne temer $i debba, che i metafi$ici vi $i $ieno in- gannati, non inganandovi$i ne$$un’ altro; perchè $iccome niuno è, che $i inganni nel concetto del- lo $pazio, e del tempo, così che gli confonda l’ un con l’ altro; $imilmente parmi che dir $i po$$a dell’ azione; di modo che, $e il premere $ia agire, e $e colui, che preme, faccia azion niuna, parmi una qui$tione da dover potere e$$ere $ciolta non men dal vulgo, che dai filo$o$i. Vedete, che io non amo troppo i metafi$ici, rimettendo la qui$tio- ne anche al popolo. Voi gli amate troppo, di$$e il Signor D. Serao, volendo, che i meccanici $i ac- comodino al $entimento loro. Anzi io voglio, ri$- po$i, che $i accomodino al $entimento del popolo; perchè qual è del popolo, che non conti il preme- re tra le azioni? chi è, che po$$a indur$i nell’ ani- mo, che l’ azione non $ia più azione, $e per ven- tura ne $ia impedito l’ effetto? Potete $tudiarvi, quanto volete, di$$e quivi la Signora Principe$$a, e ingegnarvi di parer popolare, che quanto a me vi avrò $empre per un grande amatore della meta- fi$ica; il perchè non po$$o non maravigliarmi, che voi vogliate levar via quella bella concordia, che il Padre Riccati avea con tanto ingegno procurata tra la compo$izione del moto propo$ta dai meccani- DELLA FORZA DE’ CORPI ci, e l’ uguaglianza dell’ azione e dell’ effetto $ta- bilita dai meta$i$ici. Io non voglio levar via quel- la concordia, ri$po$i; anzi dico, che $enza tanto $tudio può beni$$imo con$ervar$i, e $enza forza viva. Que$to, di$$e allora la Signora Principe$$a., dovre$te voi $piegarci. Ne lunga, ri$po$i, ne dif- ficile $piegazione vi $i ricerca; $olo che voi mi concediate quello, che niuno, ch’ io $appia, ha mai negato, cioè che la $te$$a potenza ora agi$ca più, et ora agi$ca meno; il che certamente non induce di$uguaglianza veruna tra l’ azione e l’ effetto; per- ciocchè può beni$$imo la potenza $te$$a qualora agi$ce più, produrre effetto maggiore, e qualora agi$ce meno, produrre effetto minore. Qui il Sig. D. Felice ridendo, certo, di$$e, voi a cote$to mo- do vi aprite la $trada ad una $piegazion facile; per- chè potete oramai dire, che, e$$endo le due poten- ze $eparate, ognuna di loro agi$ce più; et e$$endo congiunte, ognuna agi$ce meno; e così maggiore velocità producono, e$$endo $eparate, che non fan- no, e$$endo congiunte. Io potrei dir que$to, ri$- po$i; e s’ io il dice$$i, non $o, che alcuno pote$$e rimproverarmi di avere indotto di$uguaglianza tra l’azione e l’effetto. Ma io non voglio privare il teo- rema meccanico dell’ onore, che alcuni gli fanno, d’ una $piegazione più lunga. E ciò dicendo, pre$i un $oglio in mano, in cui di$egnai to$to la $igura $e- F. VI. $ta, che fu $ubito ricopiata dagli altri. Poi di$$i: $ieno AB, AC le due potenze, che $pingono il cor- po A, con le direzioni delle $te$$e linee AB, AC; LIBRO III. e $ia AD quella linea, che egli $corre $econdo il parer dei meccanici. Poco vi vuole a intendere., che l’ azione della potenza AB, la qual da $e $ola produrrebbe nel corpo la velocità AB, $i ri$olva in due AT, AM, e$pre$$e dai lati del parallelo- grammo AB; e che l’ azione della potenza AC $i ri$olva $imilmente nelle due AQ, AN, e$pre$$e dai lat<007> del parallelogrammo AC. Qui il Signor D. Felice, <007>nterrompendomi, vedete, di$$e, che volgen- do la compo$izione del moto in due ri$oluzioni, non ricadiate in qualche di$uguaglianza tra l’ azio- ne e l’ effetto, perchè quelli, che temono di cader- vi nella compo$izione, non lo temono meno nella ri$oluzione. Che altro voglio io, ri$po$i, qualor ri$olvo l’ azione AB della potenza AB nelle due AT, AM, $e non, che la $te$$a potenza, che av- rebbe fatta un’ azion $ola AB, pa$$i a farne due. AT, AM? le quali veramente pre$e in$ieme $on. maggiori dell’ azione AB. Ma que$to che altro è, $e non dire, che la potenza $te$$a agi$ce ora meno, et ora più? nel che niun può dire, che induca$i di$uguaglianza tra effetto ed azione; anzi e$send@ le tre azioni, di cui parliamo, proporzionali alle linee AB, AT, AM, a cui pure $on proporziona- li le velocità, chiaramente $i vede, le azioni fin- quì e$ser proporzionali agli effetti, $olo che per ef- fetti vogl<007>ano intender$i le velocità $te$se. Ne me- no $arà da temer$i, che na$ca di$uguaglianza tra effetto ed azione, $e io dirò, che le quattro azio- ni, in cui $i ri$olvon le due AB, AC, così $i di$- DELLA FORZA DE’ CORPI pongono, che due di loro AT, AQ, e$sendo contrarie l’ una all’ altra et eguali, $i di$truggano; le altre due AM, AN prendano una mede$ima di- rezione. Perciocchè che entra qui l’ azione e l’ ef- fetto, l’ uguaglianza o la di$uguaglianza? ba$ta bene, che le due azioni AM, AN producano un’ effetto proporzion le alla lor $omma; giacchè dal- le azioni AT, AQ, che $i di$truggono, non è da a$pettar$i certamente effetto niuno; ne è alcun meta$i$ico, che il richiede$$e. Ora $e le due azioni AM, AN, traendo il corpo per la direzion loro, producono in e$$o una velocità proporzionale al- la lor $omma; non lo traggon dunque per AD, diagonale del parallelogrammo BC, come vogliono i meccanici; e non producono una velocità propor- zionale alla $te$$a AD? E $e così è, eccovi, che io ho $piegato il teorema dei meccanici, prendendo la velocità come effetto dell’ azione; e $enza cadere in quella di$uguaglianza, che voitemevate. E$$en- domi io quì fermato un poco, il Signor Marche- $e di Campo Hermo$o, e come, di$$e, dimo$trate voi le due co$e, che avete ultimamente dette: cioè che le azioni AM, AN $pingendo il corpo con la direzion loro, lo $pingano per la diagonale del paralellogrammo BC: e che producendo in e$$o una velocità proporzionale alla lor $omma, $ia que- $ta poi proporzionale alla diagonale $te$$a? Et io al- lora, fate, di$$i, Signor Marche$e, di prolungare la li- nea AN fino in D, così che $ia ND eguale ad AM, e perciò $ia ancora tutta la linea AD eguale alla. LIBRO III. $omma delle due AM, AN; indi guidate le due linee DB, DC. Ciò po$to, io chieggo: le due linee AT, AQ non e$primono e$$e due azioni tra $e contrarie, et eguali, e in$ieme le direzioni loro? Così abbiamo $uppo$to, di$se il Sig. Mar- che$e. Saranno dunque, ripigliai io, egual<007> tra lo- ro, e in dirittura l’ una dell’ altra. Così è, ri$po- $e egli. Et io: $aranno dunque le linee MB, NC parallele et eguali tra loro, e$$endo l’ una paralle- la et eguale ad AT, e l’ altra parallela et eguale ad AQ. Allora il Sig. Marche$e $enza la$ciarmi più dire, intendo già, di$$e, ogni co$a; che e$$endo i triangoli AMB, CND $imili tra loro et eguali, $a- ranno gli angoli BAD, CDA eguali, e le due li- nee AB, DC eguali e parallele; dunque ancor le due AC, DB; dunque $arà BC un parallelogram- mo, la cui diagonale $arà AD, eguale alla $omma delle due linee AM, AN. Vedete dunque, $og- giun$i io allora, che le due azioni AM, AN, $pingendo il corpo con la direzion loro, lo $pin- gono per la diagonale $te$$a del parallelogrammo BC, come vogliono i meccanici. E vedete ancora, che producendo nel corpo una velocità propor- zionale alla lor $omma, vien que$ta ad e$$ere pro- porzionale alla d<007>agonale $te$$a. Con che viene a $oddis$ar$i ai meccanici, $enza gua$tare quella per- fetti$$ima uguaglianza, che tra l’ azione e l’ effet- to vogliono i meta$i$ici; ne v’ è bi$ogno di forza viva. Tutto va bene, di$$e quivi il Signor Conte della Cueva; ma non potete negare, che quel ri- DELLA FORZA DE’ CORPI $olver$i d’ una azione in due non re$ti anche una co$a o$curi$$ima. Io non lo nego, ri$po$i; ma al- tro è, che quel ri$olver$i $ia co$a o$cura, altro è, che induca di$uguaglianza tra l’ azione e l’effetto; la qual di$uguaglianza $e noi vogliamo temerla per tutto, ove $ia qualche o$curità, non $arà luogo alcuno in tutta la filo$ofia, in cui non la temiamo. E certo $e noi non intendiamo per qual ragione, et in che modo una potenza di$po$ta a fare un’ azion $ola, $ubito $i rivolga a farne due; in che con$i$te il ri$olver$i; ciò proviene dal non $aper noi, che co- $a $ieno le potenze in lor mede$ime, ne come agi- $cano, ne quali in$tituti e eo$tumi abbiano. Ne po- trà filo$oto alcuno, ch’ io $appia, sfuggire una tale o$curità; ne la sfugge a mio giudicio il Padre Ric- cati $te$$o; il quale ri$olve pure l’azione della po- tenza AB nell’azione, che move il corpo per la dia- gonale, e nella pre$$ione, per cui contra$ta con la potenza AC; e $imilmente ri$olve l’ azione della. potenza AC; ne $o $e que$ta ri$oluzione $i renda. più chiara col dire, che quella pre$$ione non ha no- me azione. Se rimangon$i dunque nella o$curità i meccanici, volendo $piegare la compo$izione del moto; ciò è perchè non ne veggono le cau$e, e i principj ultimi, non perchè levin per e$$a quell’ uguaglianza, che richieggono i metafi$ici; ai quali ottimamente $oddisfanno, non potendo però $od- disfare a $e mede$imi. Credete voi, di$$e quivi la. Signora Principe$$a, che $ieno mai per $oddisfar$i, e cono$cere una volta cote$ti pr<007>ncipj ultimi? Io LIBRO III. non $o, di$$i, quello, che prometter mi debba dei meccanici. Parmi bene, che o niuno, il che è p<007>ù da credere, gli cono$cerà, o gli cono$ceranno for- $e una volta imeta$i$ici, ai quali $oli è dato di con- templar le co$e $uperiori alla materia. E vi par’ e- gli, di$$e allora la Signora Principe$$a, che quella virtù, che move i corpi, $ia tanto $uperiore alla. materia, che non po$$ano $perar di cono$cerla an- che i $i$ici? Io l’ ho, ri$po$i, per tanto $uperiore, ch’ io non credo, lei e$$er corpo <007>n niun modo, e la ripongo in un’ ordine molto più nobile, e più $ublime. Di che è anche argomento il vedere, che i fi$ici non ne cercano gran fatto la natura, e qua$i non $i arr<007>$chiano di di$putarne. I metafi$ici $ono più animo$i. E $ono anche, di$$e la Signora Prin- cipe$$a qua$i ridendo, più o$curi, e $i perdono die- tro a qui$tioni inutil<007>. Non dite: r<007>$po$i; perchè s’ io v’ entra$$i nelle utilità grandi$$ime e molti$$i- me della meta$i$ica, non $o, qual fine pote$$i por- re al mio ragionare. Che oltre che tutte le $cienze hanno tolto i loro principj dalla metafi$ica, ne $i tengon certe e $icure, $e non quanto $eguono quel- li; voi potete anche facilmente vedere, quanto el- la largamente $i e$tenda in quello $tudio, che ap- part: ene alla vita et ai co$tumi, mo$trandoci la bellezza della virtù, nel che i fi$ici non hanno par- te alcuna, e $corgendoci alla vera felicità. E la giuri$prudenza, e la teologia, e tutte quell’ al- tre di$cipline, in cui contengon$i o il gover- no delle famiglie, o il reggimento dei popoli, o DELLA FORZA DE’ CORPI la religione, o la pietà, o la fede, non vi par’ egli, che più to$to l’ acutezza de$iderino dei metafi$ici, che le e$perienze e le o$$ervazioni degli altri? E que- $ta i$te$$a algebra, che tanto vi piace, e que$ta mec- canica, e que$ta fi$ica, quante volte, traendoci d’ una ragione in un’ altra, e $alir faccendoci ver$o i principj ultimi, e$igon da noi e ricercano tanta $ottigliezza, quanta apprendere non $i potrebbe $e non dai metafi$ici! I quali $e entrar vole$$ero in quelle ricerche mede$ime, e ripigliar$i tutte le qui- $tioni, che le altre $cienze hanno loro involate, quanto $arebbon più ricchi! come que$ta è della forza viva, di cui tanto oggi s’ è ragionato: la qua- le era dei metafi$ici, $e non $e l’ ave$sero i mate- matici u$urpata. Perchè vedete, quanto ingiu$ta- mente riprendano la metafi$ica, come inutile, quel- li, che togliendole le qui$tioni più utili, non le la$ciano $e non le vane; $ebbene que$te i$te$$e non $on così vane, come e$$i credono, e $ervono a$$ai $ovente, e fanno $trada alle non vane. Ne è da di$- prezzar tanto la metafi$ica, quanto alcuni fanno, per cagione della o$curità. Quale $cienza è, che acco$tando$i alle qui$tioni $ue più $ublimi, e più ingegno$e, e più belle, non $ia o$cura, o non di- venga? che $e la metafi$ica par tutta o$cura, ciò in- terviene, perchè è tutta ingegno$a, e tutta bella. Sebbene qual co$a più chiara, e più manife$ta, e più ri$plendente dei principj metafi$ici? i quali traggono prima a con$eguenze certi$$ime, $pargen- dole di un chiari$$imo e maraviglio$o lume; venen- LIBRO III. do poi a quelle co$e, che la natura ci ha voluto na$condere, non vi recano e$$i l’ o$curità, ma ve la la$ciano; e in que$to $te$$o non $on meno utili. Perchè $e dalle co$e, che chiaramente intendiamo, pa$$iamo con l’ animo alla grandezza di quel Dio, che le contiene e le fa, (nel che è po$to il maggior frutto, che trar $i po$$a da no$tri $tudj) quanto più dalle co$e, che non intendiamo? le quali quan- to più $on lontane dalla no$tra ragione, e $uperio- ri ad ogni umano intelletto, tanto più mo$trano l’ imper$crutabil $apienza, e la potenza infinita di quel principio, da cui $i partono. O metafi$ica lume dell’ intelletto, $corta della ragione, divina e cele$tial mae$tra di tutte le co$e: per te $copron le $cienze i lor principj, per te $i dirigono le a- zioni e gli ufficj degli uomini, per te $i apprendo- no i co$tumi e le leggi. Tu innalzi gli animi uma- ni a quella altezza, a cui $enza te giungere non potrebbono; e traendoli $oavemente con la forza ine$plicabile della tua chiari$$ima luce, fai lor co- no$cere il primo vero; e $e gli la$ci tra$correr tal- volta nella o$curità, e nelle tenebre, fra quelle te- nebre i$te$$e mo$tri loro un’ incerto lume, che pur gli guida a felicità. E quando mai $aranno gli uo- mini degni di cono$certi? Beato colui, che te $e- guendo può $ollevar$i $opra le co$e terrene, e ve- nir teco a parte delle cele$ti. Sarei io degno di tan- to dono? Qui la Signora Principe$$a, $cuotetelo, di$$e, che egli va in e$ta$i. Che è ciò, di$$i io allora, che voi dite? E’ parea proprio, ri$po- DELLA FORZA DE’ CORPI $e la Signora Principe$$a, che una qualche idea di Platone vi ave$se altrove rapito. Et io, niu- na co$a, ri$po$i, potrebbe rapirmi altrove, e$$endo voi pre$ente. Di che ella $orri$e. E già cominciava il cielo a biancheggiare dalla parte del levante, e$- $endo$i la luna nel ponente na$co$ta; quando le grida dei marinari, apparecchianti le barche al lor cammino, c<007> avvi$arono dell’ aurora $opravvegnen- te. Allora la Signora Principe$$a in piè levando$i, tempo è, di$$e, di por fine ai no$tri ragionamen- ti. Indi ver$o me volta, voi, $oggiun$e, avete oggi $o$tenuta per amor mio una gran fatica; ma l’ ave- te fatto con tanto mio piacere, e credo ancora di que$ti Signori, ch’ io non po$$o pentirm<007> di averla- vi impo$ta. Et io ri$po$i: piacemi, che le ragioni, che io ho dette, abbiano potuto tanto; e $e voi le avete per vere, poco mi curerò, $e mi $aran nega- te da que$ti altri. Io non dico di averle per vere, ri$po$e la Signora Principe$$a $orridendo; dico, che mi $ono grandemente piaciute; ma voi le a- vete con tanto $tudio e con tanta arte adornate, che mi è nato nell’ animo qualche $o$petto. For- $e non le ha per vere, di$$e allora il Signor D. Se- rao, ne egli pure. E già la Signora Principe$$a, di- cendo$i que$te co$e, giunta era alla porta delle $ue $tanze, dove $alutando tutti con molta grazia ci licenziò. Noi tratti dalla dolcezza di una $oa- vi$$ima aura, che allora a $pirar cominciava, u$cimmo nel giardino, dove al grato $u$urro, che @e foglie degli alberi lievemente $co$se facevano, LIBRO III. s’ aggiun$e to$to il canto de’ vaghi augelli, $veglia- t<007>$i a $alutar l’ aurora, che già na$cea. E quivi do. po aver pa$$eggiato alquanto, ragionando chi di una co$a, e chi di un’ altra, pre$o finalmente l’ un dall’ altro commiato, n’ andammo a dormire, e$- $endo oramai $parite tutte le $telle, toltone la bel- la governatrice del terzo cielo.

IL FINE.

Vidit D. Salvator Corticelli Clericus Regularis Sancti Pauli, & in Eccle$ia Metropolitana Bononiæ Pænitentiarius pro Sancti$$imo Domino no$tro Papa Benedicto XIV. Arcbiepi- $copo Bononiæ.

Die 13. Novembris 1751.

P. Fr. Diony$ius Remedelli S. Tbeologia Magi$ter, Græcæ lin- guæ Profe$$or videat pro S. Officio & referat.

Fr. Thomas Maria de Angelis Inqui$itor Generalis Bononiæ.

D’ ordine del Reverendi$$imo P. Inqui$itore, ho letto atten- tamente l’ Opera, che porta per Titolo _DELLA FOR-_ _ZA DE’ CORPI, CHE CHIAMANO VIVA, LIBRI TRE,_ e non avendo ritrovato in e$$a alcuna co$a contraria al- la Santa Fede, ovvero alla Morale Cri$tiana; ma anzi e$$endo ripiena di utili$$ime verità derivate dalla più $ublime Metafi$ica, po$$eduta mirabilmente dal dotti$$i- mo, e grazio$i$$imo Autore; $ono di parere, che per maggior utile de i buoni Studj debba dar$i alle Stam- pe. E in fede &c.

Dal Convento di S. Domenico di Bologna 18. Novembre 1751.

Fr. Dioni$io Remedelli dell’ Ordine de Predicatori M. D. S. T. e Profe{$s}ore della lingua Greca.

Die 20. Novembris 1751.

Stante præmi$$a atte$tatione.

IMPRIMATUR.

Fr. Cç$ar Antoninus Vela$ti Provicarius Sancti Officii Bono- niæ.

PAOLO SACCHI Libreria Antiquaria Ippogrifo

METAFISICA

ZANOTTI Francesco Maria

Della forza de’ corpi che chiamano vita. Libri tre del signor F. M. Zanotti al sig. Giambattista Morgagni.

Bologna, Piffari C. Primodi G. F., 1752.

In 8°, pp. XX + 312 + 1 tavola p.v.r. in fine con fig. geometriche. Bella marca tipografica al frontespizio, capilettera incisi. Legatura in mezza pelle moderna con titolo oro al dorso. Esemplare in barbe con leggerissime tracce d’uso. Edizione ooriginale per l’accurata forma dialogica e la correttissima forma italiana è anche un apprezzato testo di lingua Cfr. Gamba, 2511; Riccardi, I.658. Cfr. Graesse, VII 506. 2004101

PAOLO SACCHI

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