metadata:
dcterms:identifier ECHO:D09WWP72.xml
dcterms:creator (GND:102501580) Gallaccini, Teofilo
dcterms:title (it) Trattato sopra gli errori degli architetti
dcterms:date 1767
dcterms:language ita
text (it) free
http://echo.mpiwg-berlin.mpg.de/ECHOdocuView/ECHOzogiLib?mode=imagepath&url=/mpiwg/online/permanent/library/D09WWP72/pageimg
log:
parameters:
despecs=1.1.2
unknown:
<007> = i or ı (dotless i) (occurs 3 time(s))
replacements:
NON inferiore certamente ad alcun altro Lettera-
to Sane$e comparirebbe all’ età no$tra la fama,
e il grido del dotti$$imo _Teo$ilo Gallaccini_, $e la
di lui incomparabile mode$tia, il $avi$$imo, e abbietti$-
$imo contegno, col quale regolava tutte l’operazioni,
e le innumerabili virtù Cri$tiane, che l’adornavano,
non l’ave$$ero alienato dalla pubblicazione colle $tam-
pe di taluna almeno di quelle tante opere, che $cri$-
$e, e compo$e. Se compari$$ero pale$i i Trattati Filo-
$ofici, che egli la$ciò inediti, potrebbero gli Speculati-
vi dicifrare i più a$tru$i arcani di quella $cienza; $e
$i vede$$ero i di$cor$i Medici, e Anatomici, di quanto
profitto $i renderebbero per la più facile guarigione
dell’ infermità più o$tinate! $e i ragionamenti A$trono-
mici, $e i dilucidamenti Meccanici $i pale$a$$ero, oh!
quanto vantaggio arrecherebbero per una più $icura co-
gnizione dell’ incerti$$imo cor$o de’ Pianeti, e per un
più raffinato, e perfetto po$$edimento delle Arti, e de’
Me$tieri; e finalmente $e non re$ta$$ero incogniti i nu-
mero$i Volumi dell’ Architettura Civile, e Militare,
le $toriche o$$ervazioni, e tant’ altre materie, nelle qua-
li egli, nel lunghi$$imo cor$o della vita $ua, s’ occupò,
Nacque in Siena _Teo$ilo_ il 22. di Settembre dell’ an-
no 1564., da poveri, ma onorati Genitori; e $e di quel
tempo non $i potea la di lui Famiglia con$iderare tra
le Nobili, non è per que$to, che più anticamente, e
fin dall’ anno 1397., nella Per$ona di _Gabriele_, e d’ al-
tri A$cendenti, non ave$$e goduti i $upremi Onori del-
le Magi$trature della Patria. Fu $uo Padre _Claudio d’_
_Alberto Gallaccini_, e la Madre _Eufra$ia d’ An$ano di Nic_-
_colò Molandi_. Educarono que$ti _Teofilo_ unico Figliuolo,
che ottennero, prima nelle virtù morali, e dipoi lo
con$egnarono, per apprendere l’Umanità, a’Padri del-
la Compagnia di Gesù, che appena intrapre$o il cor$o
Grammaticale $i re$e meritevole di pa$$are all’ acqui$to
della Rettorica, e $u$$eguentemente delle materie $cien-
tifiche; e perchè nell’ Univer$ità di Siena con fama
non ordinaria in$egnavano, tra molti altri di quel tem-
po, _Livio Rettori_ la Filo$ofia, _Niccolò Finetti_ la Medicina
Teorica, e _Cre$cenzio Landi_ la Pratica, il _Gallaccini_ voglio-
$o allora di profe$$are quegli $tudj, ad e$$i pre$enta-
to$i, e velocemente i$truito$i, il 19 di Giugno 1583. fu
giudicato meritevole della Laura Dottorale; e così, e$-
po$to$i al cimento delle pubbliche Conclu$ioni, con plau-
$o univer$ale fu dottorato in Filo$ofia, e Medicina. Andava $empre più avanzando$i il fervore di _Teofilo_
nel profitto delle mediche cognizioni colle continuate
vi$ite, che praticava più volte il giorno fare a’ mala-
ti dello Spedale di S. Maria della Scala; e per inda-
gare le occulte cagioni delle infermità più pericolo$e,
bene $pe$$o tagliava egli mede$imo i Cadaveri, ed o$-
$ervando minutamente le Vi$cere, l’ Arterie, i nervi,
e la $truttura tutta de’Corpi Umani, ne ritraeva non
Ma come che il _Gallaccini_ per naturale inclinazione
era portato più volentieri ad altre dilettevoli applica-
zioni, abbandonò gli $tudj della Filo$ofia, e della Medi-
cina, e dato$i con tutto l’animo agli altri dell’A$tro-
nomia, della Matematica, della Geometria, e della
Meccanica, e dell’ Architettura Civile, e Militare:
nella prima compo$e i Trattati, _de Radio Latino, & de_
_Natura Angelorum_, nella $econda altri Trattati, _de Cir_-
_culo, & de Angulo_; nella Matematica $cri$$e _De’ Porti_
_di Mare, de Templo, & de Itinerario_; nella Geometria la
plau$ibile Opera intitolata, _I Principj di Geometria_; nella
Meccanica un gro$$o Volume, che prende il nome dal-
la mede$ima Profe$$ione; e unì a que$ta l’altra fatica, a
cui diè titolo _di Zibaldone, di Arcbitettura, e di Meccani_-
_ca_: e perchè tali Profe$$ioni portano $eco la cognizio-
Cono$ceva molto bene il _Gallaccini_, che a’ $opra ri-
feriti $tudj per una migliore perfezione non doveano
nece$$ariamente andar di$giunti gli altri della Storia, e
dell’ Antiquaria cognizione, e però tra$cri$$e, e di$egnò
gran quantità delle I$crizioni Greche, e Latine, che fre-
quenti$$ime $i ritrovano nella Città di Roma; eforman-
done un’ampla raccolta in un va$ti$$imo Tomo, quelle
illu$trò, e con erudite note $piegò i $entimenti più a-
$tru$i degli Antichi; e, come che $pe$$e volte $uccede,
che, o per invidia, o per far$i onore dell’ Opere altrui,
gli venne tolta que$ta diligenti$$ima fatica, e pervenu-
ta all’ età no$tra, benchè con grave di$pendio, $e n’im-
padronì il Barone _Filippo Sto$cb_ Tede$co, nato $uddito
del Re di Pru$$ia, allorchè ritrovava$i commorante in
Roma, ed io $te$$o po$$o a$$erire, che conver$ando in
Siena con que$to Letterato, me la fece vedere, e mi
diede commodo d’ o$$ervarla, e di leggerla. Non furo-
no que$te $ole le occupazioni $toriche del _Gallaccini_,
mentre $i trattenne in Roma, perchè applicato l’animo
non meno che alle numero$e $cienze, che po$$edeva,
alla mede$ima $toria, compo$e, e $cri$$e un’ altr’ Opera
intitolata _Tbe$aurus Hi$toricorum_, che vuol dire una $pie-
Ma finalmente $tanco _Teofilo_ di dimorare fuori della
Patria, e benchè dotato di $car$i beni di fortuna de$i-
derando acca$ar$i per i$tabilire la di lui Famiglia, non
avendo alcun altro Fratello, $e ne ritornò in Siena, nel
1602. e nel $u$$eguente anno 1603. $posò _Camilla di Fortu_-
_nio Jacomini_, Cittadina Sane$e. Ne ottenne da que$ta don-
na in progre$$o di tempo numero$i Figliuoli, che furo-
no, _Claudio_ il maggiore, che $i accasò di poi con _Ale$$an_-
_dra di Fabio Fondi_, de’ quali nacque altro _Teo$ilo_, e da que-
$ti _Maria Ale$$andra_, che dopo e$$er rima$ta Vedova d’
un certo Medico del cognome de’ _Bertoni_, pa$sò alle $e-
conde nozze con _Giu$eppe Luti. Fau$to_ il $econdogenito,
che $eguì in gran parte gli $tudj Paterni delle Mate-
matiche, e tra gli _Accademici Intronati_ fece cono$cere e$-
$er degno Figliuolo di _Teofilo_; e in oltre di ma$chi,
nacquero _Carlo, Alberto, Angelo, e Bernardino_, che profe$-
sò le materie legali, e divenne non ordinario Giurecon-
$ulto: e di Femmine, _Fra$ia, Bartolommea_, e _Virginia_; al-
cuni di que$ti morti nell’ età fanciulle$ca, e altri pa$$a-
ti a diver$e Religioni; e le Femmine maritate in Fa-
miglie onorate, e civili. Trattenendo$i dunque _Teo$ilo_ in Siena, continuamente
frequentava le Accademie degl’ _Intronati_, e de’ _Filomati_,
alle quali era a$critto, e in e$$e facea bene $pe$$o $piccare i
$uoi talenti con i$toriche di$$ertazioni, e Poetici compo-
nimenti; poichè nelle prime, compo$e _l’ Antiquario Politi-_
_co_, e _Gentilizio_; Una _raccolta di Pro$e_, e _di Lettere To$cane_,
_dei Secoli_ XIII. e XIV. Altro _Trattato dell’ Origine e avanza_-
_mento della Città di Siena; In re Militari, atque Medica nefa_-
_$ti dies; la $toria di Partavita F_. e pa$$ata all’ altra vita con
fama di non ordinaria $antità, la madre _Suor Pa$citea Crogi_
_Fondatrice delle Cappuccine di Siena l’ anno_ 1615. _ne $cri$$e la_
Conversò continuamente co’ più celebri Letterati dell’
età $ua; poichè $empre l’accol$ero, l’a$coltarono con di-
$tinta dimo$trazione di $tima, e d’affetto, _Cel$o Cittadi_-
_ni, Alcibiade Lucacini, Belli$ario Bulgonini_, il gran _Filo$o_-
_fo France$co Piccolomini, Diomede Borgbe$i, Scipione, Girola_-
_mo, e Cel$o Bargagli, Giugurta Tomma$i_, ed altri non po-
chi pae$ani, e Fore$tieri, tutti uomini chiari, e rino-
mati appre$$o la Repubblica intiera delle Lettere, per l’
opere loro colle $tampe pubblicate. Accompagnava il _Gallaccini_ le occupazioni Letterarie
colle più $ingolari eroiche virtù Cri$tiane, poichè non ci era
Compagnia Laicale di più $tretta o$$ervanza, che egli
non frequenta$$e: conver$ava bene $pe$$o co’Regolari di
maggior perfezione, frequentava i Sacramenti, e i Sa-
cri Oratorj; umile nel portamento, abbietto ne’ ve$ti-
menti, alieno dalle Pompe mondane, e tutto intento
nell’ ammini$trazione della Gioventù, e nell’ educazione
de’ proprj Figliuoli. Se era talmente dilatata la fama, eil grido delle vir-
tù morali di _Teo$ilo_, molto più cre$ceva il nome delle
$tudio$e materie, che po$$edeva, e particolarmente delle
matematiche; per lo che vacando nell’ anno 1621. per
la morte del celebre _Guglielmo Gangioli_, nell’Univer$ità
Sane$e la Cattedra di quella $cienza, dal Sereni$$imo
Gran Duca _Co$imo II_. con onorato $tipendio venne pro-
mo$$o a quella Lettura il _Gallaccini_, il quale di poi le$$e, ed
in$egnò per tutto quel tempo, che $opravvi$$e; $e non che,
due anni dopo, nell’ anno 1623. gli fu ingiunto il pe$o d’
in$egnare ancora la Logica, e la Filo$ofia; e così i$truen-
do nell’una, e nell’altra $cienza la numero$a Scolare$-
ca, tanto Oltramontana, che Italiana, e Pae$ana, che
correva affollata ad a$coltarlo, ne ritra$$ero da un così
Finalmente carico d’anni, perchè di 76. compiuti,
e di meriti per tante Opere $critte, e compo$te, benchè
niuna, niuna fin ora publicata colle $tampe, morì _Teo_-
_filo Gallaccini_ in Siena il 27. del Me$e d’ Aprile dell’ an-
no 1641. univer$almente compianto; e fu interrato il dì
poi nella Chie$a de’PP. Pred. di S. Domenico, nel $epolcro di
_Fra$ia Molandi_ $ua Madre. _Le autorità, dalle quali $ono $tate e$tratte le $opra$critte notizie, $ono_: L’Albero Genealogico della Famiglia _Gallaccini_, compilato da _Cel$o_ Cit-
tadini, che prova ad evidenza e$$ere $tata un’ i$te$$a della Famiglia Bettini,
che produ$$e il tanto rinomato _Antonio Bettini_ Ge$uato di Fuligno, Autore
_del Monte Santo di Dio_, e d’altre numero$e opere Teologiche. Il Padre _I$idoro Ugungieri_ nelle Pompe Sane$i Parte I. Tit. XXI. a c. 676.
e nella Terza Parte mano$critta. I Ruoli de’ Lettori dell’ Univer$ità Sane$e, e$i$tenti nell’ Archivio del Mae-
$trato di Balia. I Regi$tri de’ Dottori di Filo$ofia, e Medicina appre$$o i re$pettivi Col-
legj. I Libri della re$idenza de’Soggetti innalzati al $upremo grado della Signoria
di Siena, addimandati i Leoni. _Giulio Mancini_ nel ragguaglio $torico, mano$critto delle co$e più notabili
di Siena. _Giulio Piccolomini_, nel $uo Libro mano$critto, intitolato _Siena illu$tre_. Le memorie e$i$tenti pre$$o gli Eredi del $oprannominato _Teofilo_, e partico-
larmente pre$$o _Maria Ale$$andra Gallaccini_ ne’$uoi Luti. Le di lui Opere mano$critte, in gran parte con$ervate pre$$o di me Gio:
Antonio Cav. Pecci. Diver$e altre memorie, $critture, Autori, e documenti $par$i pre$$o diver$i
Soggetti della Città di Siena. II regi$tro de’ Nati, e Battezzati in Siena, con$ervato nell’ Archivio del
Mae$trato, detto di Biccherna. Altro regi$tro de’ Morti nella Pieve di S. Gio: Batti$ta, con$ervato nell’
Archivio Arcive$covile. E il Necrologio dei $epolti nella Chie$a de’ Padri Predicatori di Siena To-
mo II. SON già pa$$ati due anni, ch’io doveva mo$trare a
V. S. Illu$tri$s. e Reverendi$s. l’Operetta mia degli
errori degli Architetti, avendogliela prome$$a quando
mi trovava in Roma di pa$$aggio. Ma perchè non mi
pareva convenevole condurla innanzi a Lei di pochi$$i-
ma età, e qua$i in fa$ce, onde non Le avrebbe recata
$oddisfazione alcuna; perciò ho indugiato fino a que$to
tempo, pel quale è già> cre$ciuta in età perfetta, ed in
maniera, che può favellando e$primere il $uo concetto:
benchè for$e non $ia giunta a quella perfezione, che po$-
$a $ommamente piacere a Lei, ed agli altri cagionar qual-
che maraviglia. Pure, comunque ella $ia, la rappre$en-
to avanti a V. S. Illu$tri$s. e Reverendi$s. in abito di
nuova Spo$a fatta bella, e adorna, $e non come $i con-
veniva, acciocchè meglio compari$$e, almeno $econdo
che è $tato po$$ibile al troppo debole ingegno mio. L’
accolga dunque colla $ua $olita benignità e corte$ia, e
la favori$ca, donandole, mentre la vede, qualche parte del
$uo $plendore, acciocchè più lieta, e con ardimento mag-
giore po$$a di $e mede$ima far mo$tra chiari$$ima in
cote$to mirabile augu$ti$$imo Teatro delle virtù, delle
grandezze, e delle dignità maggiori del Mondo; laddo-
ve a mio nome umile e riverente Le s’inchina, e Le ba-
cia la Ve$ta. Di V. S. Illu$tri$s. e Reverendi$s. SIccome nella Medicina, $cienza veramente $alutevole, pregiati$$ima, e per
l’ origine $ua, divina, e viepiù antica d’ogn’altra, natural magìa maravi-
glio$a, imitatrice della Natura, e $ua mini$tra, ritrovata per comune $alute,
non $olamente del genere umano, ma ancora degli animali bruti, delle pian-
te, e de’minerali; una delle co$e da e$$a propo$te (benchè ci di$piaccia il no-
minarla, non che rivolgervi il pen$iero) $i è la cognizione de’veleni: non per-
chè ella $ia il $uo fine, che è l’acqui$to, e il con$ervamento della $anità, e
con$eguentemente la lunghezza della vita; nè per l’u$o, il quale a tutte le det-
te co$e è contrario, e nemico della natura di tutti i viventi; ma perciò che
dalla cognizione di e$$i po$$iamo imparare a fuggirli per $icuro con$ervamento
delle vite no$tre; così nell’ Architettura, mini$tra principale della magnificenza
de’ Principi, e delle Repubbliche, imitatrice delle opere della Natura, ritrova-
trice degli umani comodi, degli ornamenti pubblici, e privati, della comune,
e della particolar dife$a di tutti gli Stati, ed in pace, ed in guerra, e del con-
$ervamento loro: perizia invero, od arte, della quale non $i $degnano i Prin-
cipi, e $e ne gloriano le per$one nobili, non $olo è naturalmente proporzionata
agli uomini, come con$ueti imitatori del $ovrano Architetto della mirabile ed
immen$a $abbrica dell’ Univer$o (onde avviene, che non vi $ia uomo alcuno,
$e non è privo d’ingegno, o $enza l’u$o dell’intelletto, e della ragione, che non
$i diletti del fabbricare) ma ancora convenevole ai Re, ed Imperadori, ai
Monarchi del Mondo, ed ai Pontefici, e$$endo un mezzo $ufficienti$$imo, col
quale in gran parte po$$ono far mirabil mo$tra dell’eroica virtù, e della ma-
gnificenza loro. Que$ta, come un bene, e un ornamento politico, nobili$$ima-
mente appari$ce nella diver$ità delle fabbriche delle Città, e dei Regni. In que-
$ta, io dico, la cognizione di tutti quelli errori, che talvolta accadono, è una
di quelle co$e (benchè per $ua natural condizione $ia rea, e danno$a) per av-
vertimento della quale avevamo pen$ato di giovare, non intendendo, che la
propo$ta di e$$i $erva per in$egnare a cia$cuno il modo di commetter gli errori
nell’Architettura; imperciocchè, $iccome il fine d’ogni $cienza contemplativa $i
è il ritrovamento della verità delle co$e, e non della menzogna; e d’ogni $cien-
za morale il trovare il buono, il giu$to, l’one$to, ed il convenevole: così il
fine d’ogn’arte è il non far errore nell’operare, non partendo$i giammai dalla
diritta ragione della pratica $ua. Imperciocchè fra le Arti umane non ve ne
ha alcuna, che in$egni a peccare; anzi il $olo mae$tro ne è il mal u$o. Ma
per introdurre la cognizione degli errori dell’Architettura male u$ata, affinchè
alcuno $tudio$o di tal profe$$ione po$$a imparare a fuggirli, ed in e$$a divenire
eccellenti$$imo; concio$$iachè errando s’impari, ed imparando s’acqui$ti con
per$ezione qualunque abito di $cienza, e d’arte; poichè l’errore, bene o$$er-
vando, ne conduce alla notizia della co$a mal fatta, e que$ta ci fa cono$cer l’
opera buona e perfetta, tale e$$endo la natura de’contrarj, che l’ uno $i cono-
$ca per l’altro. Avendo adunque per le ragioni inte$e cono$ciuto, di quanto gio-
vamento fo$$e per e$$ere la cognizione degli errori degli Architetti, mi propo-
$i di ri$tringere in un breve Trattato una parte di e$$i: non già con animo di
GLi errori degli Architetti $i commettono, o prima di fabbricare, o nel
fabbricare;
O $i $cuoprono, poi che $i è fabbricato. Nell’elezione dei Siti. Nella mala $celta delle materie. Nella rea elezione de’fabbricatori. Nella mala elezione del tempo. Nel di$egno mal di$po$to, e male ordinato, e mal compartito. Ne’ fondamenti. Nella proporzione delle parti. Nella di$po$izione del componimento. Nel collocar le co$e fuor del luogo loro conveniente. Nell’abu$o d’alcuni ornamenti. Nel decoro. Nel cattivo amma$$amento, e nella $truttura de’mattoni, e delle pietre, e
della mala compo$izione dei muri. Nella $uperfluità, e nel difetto. Nella mutazione dell’ ordine delle parti, dell’u$o loro, e della mala cor-
ri$pondenza fra e$$e. Nei coprimenti. Nella poco diligente cura u$ata intorno alle fabbriche. Nella poca avvertenza dei condotti dell’acque, delle ci$terne, dei pozzi,
delle fontane, e delle pe$chiere: delle cloache, e d’altre co$e tali. Nei cavamenti $otterranei vicini ai fondamenti. Nei tagliamenti delle muraglie. Nei nuovi carichi, che $i pongono $opra le muraglie vecchie. Nei ri$tauramenti. TUtti gli effetti, e tutte le opere di qualunque Arte operativa $i di$tinguo-
no $econdo tre tempi; perciocchè ogni movimento, ed ogni e$ercizio $i
mi$ura col tempo. Il primo tempo $i è avanti, che l’opera $ia po$ta in effetto.
Il $econdo, nel cor$o $te$$o, nel quale $i fa, cioè nell’atto dell’operare. Il ter-
zo, quando la $te$$a co$a è fatta. E perchè in que$ti tre tempi $i $corge la
perfezione, e il difetto, cioè nella preelezione, o nell’atto d’operare, o nel ter-
mine ultimo di tutta la pratica, che è l’opera condotta al $uo fine; pertanto
$i proporranno gli errori degli Architetti, cagionati, o dal difetto dell’elegge-
re, o dall’operare, o dal concluder l’opera, e nella cura di e$$a; di$tinguen-
dogli in tre tempi, cioè, avanti al fabbricare, nel fabbricare, e poi che $i è
fabbricato. Ma per dar principio, nel $econdo capitolo $i tratterà degli errori
comme$$i prima di fabbricare. GLI errori, che avvengono prima di fabbricare, $ono i maggiori, e i più
importanti, che po$$ano accadere in qualunque ragion di fabbrica, per
cagione de’ grandi$$imi pericoli, che ne $uccedono: $i perchè vengono da man-
camento di providenza, la quale è la prima regola, che conduce a buon fine
ogni pratica operazione; e $i ancora per le molte male con$eguenze, che ri-
$ultano da tali di$etti; onde $i dice, che un piccolo errore da principio, $i fa
maggiore nel fine. E que$ti tali errori nel principio del fabbricare $i com-
mettono per più cagioni. O dalla confu$ione dei di$egni, o dalla mancanza di
buon giudice, o dalla $celta di peggiori operatori; o per affetto, o per favore,
o per fal$a opinione; ovvero dall’inclinare per imperfezione umana più ai peg-
giori, che ai migliori; o dal volere $pender poco, o per avarizia, o per di-
fetto di facoltà; o dalla mancanza del primo Architetto, il quale, fatto il di-
$egno, non s’impaccia più dell’opera; tantochè, nè altro Architetto, nè Ca-
pomae$tro Muratore è valevole ad e$eguir perfettamente l’intenzione del pri-
mo, $iccome $i $corge nelle fabbriche grandi, alle quali non ba$ta l’età d’un
uomo per condurle a fine; onde pa$$ando $otto diver$e mani, s’allontanano dall’
intenzione dell’ inventore del primo di$egno. E però avendo$i a fabbricare è
meglio fare $celta d’ un componimento mediocre, purchè $ia onorevole, che d’
un troppo grande, benchè nell’a$petto dimo$tri più mae$tà. O da ingegnero po-
co accorto, men $aputo, e molto meno e$ercitato nella $ua profe$$ione: o dall’
avarizia di chi fa fabbricare; o dalla troppa confidenza, che $i ha negli arte-
fici: o dalla credenza, che hanno i Signori delle fabbriche d’ intender$i del me-
$tiero dell’ Architettura, e del fabbricare, confidati pur troppo in un proverbio
volgare male inte$o, _che non vi $ia il migliore Architetto del Signor della Ca-_
_$a_: o dal non aver cognizione della mala pratica dei manipolatori; o dal non
aver provveduto di chi a$$i$ta a tutte le operazioni, che $i richiedono nelle fab-
briche: o dallo $tabilire un tempo determinato, e breve, nel cui $pazio quel-
li, che fanno fabbricare, vogliono che la fabbrica $i fini$ca: onde le muraglie
non avendo fatto ugualmente il $uo po$amento, aggravate dal pe$o, e$$endo la-
vorate di fre$co, $i aprono, e talvolta minacciano rovina: o finalmente dalla
mala $celta della $tagione del fabbricare, e $pecialmente nell’inverno. E per
que$te, e per altre cagioni $uccedono diver$i e notabili errori intorno al fab-
bricare, dei quali ragioneremo a parte a parte nei $eguenti capitoli. UNA delle più importanti co$e, che $i richieggono in tutte le $pezie delle
fabbriche, è la buona $celta dei $iti, la quale perchè è la prima di tutte,
è ancora la più nece$$aria: imperciocchè a qualunque opera d’Architettura $i
antepone il Luogo, e il Sito, non generale, ma particolare, in cui $i ha da
collocare la fabbrica. Laonde da Vitruvio nel 4. Cap. del primo Libro $i an-
tepone a tutto l’in$egnamento dell’ Architettura, mentre prima che egli tratti
della fabbrica della Città, e di tutti gli edi$icj, che $i fanno dentro il circuito
di e$$a, primieramente c’in$egna le ragioni, e le regole di far buona $celta dei
$iti. Come ancora $i fa da Leon Bati$ta Alberti nobile Architetto Fiorentino,
che dopo Vitruvio tiene il primo luogo, dal primo Libro della $ua Architettu-
ra in$ino al nono. Onde noi per que$ta ragione imitando que$ti Autori pri-
marj, tratteremo primieramente in que$ta prima parte degli errori, che acca-
dono nella elezione dei Siti, nei quali $i ha da fabbricare. I Siti adunque, o $ono di Città, o di luoghi dentro le Città, cioè, $ono o
di edificj pubblici, o di privati, o di luoghi, che riguardano la $ola comodità,
o $olamente l’ornamento, o l’uno, e l’altro in$ieme. Nei $iti di Città gli er-
rori po$$ono e$$ere di più maniere, cioè, o che $otto aria non $ana, come in
regione d’aria troppo grave, troppo mole$ta, o $pecialmente d’ aria impura,
nella quale $i radunano gro$$e, e den$e caligini, e nebbie, puzzolenti vapori,
e dannevoli impre$$ioni, la quale è grave alla vi$ta, e non $i può con rimedio
alcuno ri$anare, $iccome afferma di Venezia Niccolò Ma$$a, trattando delle in-
fermità cagionate dall’aria pe$tilenziale l’anno MDLV. favellando in que$to
modo. E $ebbene quei delle I$torie di quel tempo, ed anche molti Medici $crivo-
no, che il divino Ipocrate caccia$$e la pe$tilenza d’ Atene frequentando fuochi
per tutta la Città, e ancora il non mai a ba$tanza lodato Galeno il mede$i-
mo face$$e a Roma, a rimuover la pe$tilenza dell’aria; nientedimeno in que$ta
così gran Città con le $opraddette condizioni, io non $o come $i pote$$e far
que$to, e ma$$ime dove $empre abbiamo mali vapori, che $i alzano da così gran
laghi, e da paludi; e non $olo que$ti, ma ancora quelli, che vengono dalle
valli del continente, molte volte putridi, menati però da venti di terra, che
la notte $i levano, e durano qua$i fino a mezzo giorno, molte volte tutto il
giorno, e la notte, e per più giorni continui: nè la quantità degli abitatori è
$ufficiente a correggerla intieramente; così ancora dove l’aria $ia gro$$a, e che
to$to riceva $temperamento di freddo, o di caldo, e lo ritenga lungo tempo;
e dove non $arà agitata da venti; perciocchè ella, come l’acqua, $i puri$ica col
movimento: o che $ieno i Siti in regione e$po$ta a venti non $alutiferi, come
a’venti Au$trali, che $econdo l’opinion d’ Ipocrate, di Teofra$to, e di Plinio,
$on più noc>ivi d’ ogni altro vento; e gli Occidentali, $econdo il parere d’altri
Autori, non $on molto buoni per la $anità dei luoghi; perciocchè per la pa$-
$ata ripercu$$ione dei raggi del Sole di tutto il giorno, ridotto il Sole nella
quarta d’Occidente, accre$ce il calore, onde i Siti rimangono $enza re$rigerio
alcuno: oppure $ieno Siti, che abbiano di contro montagne, le quali chiuda-
no il pa$$o ai venti $alutiferi: ovvero che $ieno in terreno $terile, ed in luogo
de$erto, dove per di$etto di vitto non $i po$$ano $o$tentar gli abitanti, i quali
non po$$on ricever utile alcuno dalla coltivazione del terreno: e volendo poi
abitarvi $ono nece$$itati a condurre i viveri da pae$i lontani, il che co$ta lor
caro, o è loro negato, o impedito, o rubato per via, e talvolta convien loro
prenderlo non buono, ed alterato, o vien loro condotto in$etto di contagione:
o $ieno po$te in luogo, che $ia nido di grandi$$ima copia di $iere, o di ani-
mali veleno$i, e morti$eri, onde non vi $i po$$a abitare, o per la grandi$$ima
$alvatichezza, difficilmente $i po$$a addome$ticare; o per e$$er $olitario, non è
DOpo gli errori, che $ogliono avvenire circa la $celta dei Siti, i più im-
portanti $on quelli, che per diver$e cagioni $pe$$e volte $uccedono nella
$celta delle materie. Imperciocchè, $iccome dalle buone materie, che s’adopra-
no nella fabbrica, $i produce la bontà, e la perpetuità delle muraglie; così per
lo contrario dalle cattive procede qua$i ogni loro mala condizione, e la breve
loro durata. Laonde uno dei principali avvertimenti degli Architetti, o di chi
a$$i$te alle fabbriche, o di chi fa murare, $i è il porre grandi$$ima diligenza
Gli errori, i quali appari$cono nelle materie $olamente della Natura, $ono,
come quando s’adopera rena di cava, e $pecialmente quella, che è terro$a,
fango$a, e gro$$a, la quale $i mangia la calcina, e impa$tata con e$$a non fa
pre$a, nè forte legamento di muro, ed è come $e $i mura$$e colla $emplice ter-
ra, come anticamente $i u$ava in Siena, ove $i veggono molte mura vecchie
murate con terra, la quale tanto tiene, e lega in$ieme i mattoni, e le pietre,
quanto dura l’umidità $ua fango$a, che di$$eccata, finalmente $i $nerva, $i ri-
duce in polvere, e $i fa $imile alla terra dei campi, o al terreno, come $pe$$o
avviene in quelle parti di To$cana, ove non $i trova la puzzolana. Ma quan-
do $i ha da u$ar la rena di cava, non $i piglia la bianca, perchè è la peggio-
re di tutte, di pari che la rena gro$$a, benchè $ia la più tenace, perciocchè $i
fende facilmente, così ancora ogni rena, che maneggiata colle mani non $tri-
de, e macchia i panni, e me$colata coll’acqua l’intorbida, o la rende fango-
$a. E finalmente quella, che $arà $tata lungo tempo all’aria, al Sole, alla Lu-
na, e alle piogge, per aver natura di terreno, $arà me$colata con umor mar-
cido, e di$po$ta $pontaneamente a produrre erbe, e arbo$celli. Nè perchè da
noi s’e$cluda la rena di cava, $i dee perciò intendere a$$olutamente; impercioc-
chè fra le rene, che $i cavano, la migliore di tutte $i è la puzzolana, della
quale abbondano Napoli, e Roma, e noi in vece di e$$a abbiamo una $pecie
di rena, che $i cava da una ragione di tufo, che è dotata di tutte le buone qua-
lità: que$to è pro$$imo alla pietra pure di tufo, di color più chiaro, e di terra
d’ombra meno o$cura, che s’acco$ta al color giallo $morto. E que$ta rena $i po-
trà dire rena pietro$a, molto differente dalla rena terro$a, la quale $i cava dal tu-
fo, che ha più natura di terra, e$$endo più umido, più gro$$o, più frangibile, e
di color di terreno da coltivare. Ovvero quando $i adoprano le pietre non lavora-
te, come le pietre tonde, pulite, eguali, cioè, le $celte de’letti de’fiumi, e dei
campi: ovvero $e $aranno troppo tenere, e frangibili: imperciocchè le prime nel-
la $truttura delle muraglie non fanno buon legamento, nè ritengono fortemente
la calcina, nè fanno buon ripieno: concio$$iachè acco$tando$i coll’ altre pietre, o
con i mattoni, la$ciano $pe$$e vacuità, le quali malamente $i po$$ono riempiere,
$e non vi $i con$uma gran quantità di calcina, o $e non vi $i pone gran copia
di minuti pezzi, i quali, benchè $ieno ben battuti, nondimeno di e$$i non $i fa
buon componimento di muro, e$$endo d’opera cementizia, bia$imata meritamen-
te dagli Architetti; di modo che per ogni lieve occa$ione, o pel calare della mu-
raglia, o per la pre$$ione del pe$o, o per lo $pegner degli archi, o per gl’introna-
menti, $i aprono; e to$to che una parte comincia a rovinare, facilmente, e con
poca forza tutta rovina, e $i converte in macia, ed in cumulo di $a$$i, $iccome
$i vede bene $pe$$o nelle fabbriche di villa: come $ono quelle $trutture, e quei
muramenti, che da Vitruvio nel cap. 3. del $econdo Libro $i dicono di muro in-
certo: o quelle, che $i appellano opere cementizie, delle quali, $iccome delle altre
$pecie di $trutture $i fa menzione da Marziale nel IX. Libro, Epigramma 77. che
ha per titolo = _De balneo Tuccœ: Non $ilice duro, $tructilive cemento,
Nec latere cocto, quo Semyramis longam
Babylona cinxit, Tucca balneum fecit;
Sed $trage nemorum, pineaque compage,
E come era la fabbrica di Nicea, della quale parla Plinio il giovane nel X. Li-
bro delle $ue Epi$tole, $crivendo a Trajano in tal modo: _=Theatrum, Domi_-
_ne, Niceœ maxima jam parte con$tructum, imperfectum tamen $extertium, ut_
_audio, neque enim ratio plus excu$$a e$t, amplius centies bau$it, vereor, ne_
_fru$tra; ingentibus enim rimis de$cendit, & biat, $ive in cau$$a $olum bumi_-
_dum, & molle, $ive lapis ip$e gracilis, & putris._ (E que$te pen$ava egli e$-
$er le cagioni, per le quali la fabbrica del detto Teatro $i fo$$e aperta, e fo$$e
calata, cioè, l’umido $overchio, la tenerezza della terra, le pietre frangibili, e
marce; onde facilmente penetrato il terreno, o dal pe$o premuta la muraglia,
e ridotte in minuti pezzi, e qua$i in polvere le pietre, tutta la fabbrica fo$$e
calata, ed aperta) _dignum e$t certe deliberatione, $itne faciendum, aut $it_
_r>elinquendum: nam fulturæ, ac $ub$tructiones, quibus $ubinde $u$cipitur, non_
_tam firmœ mibi, quam $umtuo$œ videntur: buic Theatro ex privatorum polli_-
_citationibus multa debentur, ut ba$ilicœ circa, ut porticus $upra caveam, quœ_
_nunc omnia differuntur ce$$ante eo, quod ante peragendum e$t. Iidem Nicen$e_
_gymna$ium incendio ami$$um, ante adventum meum re$tituere cœperant longe_
_numero$ius, laxiu$que, quam fuerat; etiam aliquantum erogaverunt, pericu_-
_lum e$t, ne parum utiliter; incompo$itum enim, & $par$um e$t. Prœterea_
_Architectus $ane œmulus ejus, a quo opus inchoatum e$t, adfirmat, parietes_
_(quamquam viginti, & duos pedes latos) impo$ita onera $u$tinere non po$$e_,
_guia $int cemento medii fa$ti, nec te$taceo (cioè laterizio) opere prœcincti_. E
$e peravventura altri è nece$$itato a $ervir$i di que$te pietre naturali $ciolte,
procuri di prender quelle, che $ono a$pre, ruvide, $pungo$e, poro$e, e che ab-
biano $pe$$i cantoni; perciocchè quelle di que$ta maniera ricevono, e ritengo-
no meglio la calcina, e molto meglio $i $errano in$ieme coll’altre pietre, e co’
pezzi de’ mattoni, onde $i fa ottimo incatenamento di muraglia. E quando $i
adoprano le pietre tenere, e frangibili, come quelle di tufo, e $pecialmente
di quello più tenero, e reno$o, del quale $i trova gran copia in To$cana, e
particolarmente in Siena, e ne’$uoi contorni; benchè vi $i trovi un’altra $pecie
di tufo di buona $aldezza, e molto duro, di maniera che $e ne può fare ogni
lavoro, come ba$i, colonne, capitelli, cornici, ed altro, $iccome è ancora la
pietra tenera, e la pietra forte: oppure quando s’adopera una ragione di tufo
bianco, e così tenero, che $i può tagliar coll’accetta, quale è quello, che $i ca-
va in Napoli dalle gran ma$$e dette monti, il quale è leggiero $pungo$o, e gial-
letto, che s’acco$ta al bianco, e tenacemente s’uni$ce colla calcina; e tuttavia
le muraglie, che d’e$$o $i fabbricano (che quivi non $i fanno d’altra materia)
bene $pe$$o $i vedono $paccate, ed aperte, non $olamente per la mala legatu-
ra, che $i fa con e$$e, ma anche per la loro tenerezza, e perchè nel murar$i
non $on battute, nè $errate bene in$ieme, o perchè non $ono quadrate; ma ta-
gliate a ca$o: o quando $i prende una $pecie di tu$o nero pomicio$o, leggie-
ro, e tenero, come è quello, che $i cava in Roma; il quale benchè faccia
buona lega colla calcina, contuttociò le mura fatte di e$$o mo$trano $empre
qualche apertura: ovvero quando $i adopra l’acqua $alma$tra, e untuo$a per fa-
re l’impa$to della calcina colla rena; perciocchè, $e è $alma$tra, rode la calci-
na, i mattoni, e le pietre, mentre $i converte in $ale; onde la calcina impa-
$tata con tale acqua, non è tenace, e la $abbrica rimane come $e fo$$e murata
a $ecco: imperciocchè, $iccome la rena di mare non è buona, perchè pre$to $i
$ecca, e pre$to $i bagna, e $i disfà a motivo della $al$edine; così per la me-
de$ima ragione l’acqua marina non è buona per murare. Ma $e è untuo$a,
per e$$a non $i uni$ce il componimento, e quando pur $i uni$ca, non $i attacca al-
_Grœci, prœterquam ubi e $ilice fieri poterat $tructura, parietes lateritios prœ_-
_tulere. Sunt enim œterni, $i ad pendiculum fiant_). E non e$$er$i trovata giam-
mai per$ona di tanto ingegno, che abbia $aputo rinvenire, onde $i cava$$e la
creta, della quale $i formavano tali mattoni, e dove fo$$ero già le fornaci. Imper-
ciocchè, quando que$ti luoghi $i trova$$ero, Roma non avrebbe bi$ogno di pez-
zami di tufo tenero, e di $a$$i nel fabbricare per la mancanza di mattoni, e le
muraglie $ue $arebbero più durevoli. E perchè non paja, che ciò io a$$eri$ca
di propria immaginazione, e per congettura, vi mo$trerò quì appre$$o gli e$em-
Pj d’alcuni $egni di mattoni antichi ritratti dalle Note delle Antichità di Ro-
ma di Cel$o Cittadini, uomo intendenti$$imo delle Antichità, ma$$imamente di
Roma, e che è $tato il primo a o$$ervare, e a pubblicare $critti di tali mate-
rie; da’quali $egni $i comprendeva, di qual cava, e di qual fornace fu$$ero. Le $pezie de’quali mattoni pre$$o gli Antichi erano diver$e, $iccome $i può
ritrarre da Plinio nel Lib. 35. cap. 13. e da Vitruvio nel $econdo Lib. Cap.
31. = Plinio dice = Genera eorum, tria, Didoron, quo utimur, longum $exquipede, latum pede:
alterum Tetradoron, tertium Pentadoron. Græci enim antiqui doron palmum
vocabant, & ideo doras munera, quia manu darentur. Ergo quatuor, & quin-
que palmis, prout $unt, nominantur. Eadem e$t & latitudo: Minore in pri-
vatis operibus, Majore in publicis. Vitruvio nel Lib. 2. cap. 3. = Fiunt autem laterum genera tria, unum quod Græce, δυόδωρον appellatur,
ide$t, quo no$tri utuntur, longum pede, latum $emipede, cæteris duobus Græco-
rum ædificia $truuntur. Ex his unum Pentadoron, alterum Tetradoron dicitur.
Doron autem Græci appellant palmum, quod munerum datio δῶρον appellatur .
Id autem $emper geritur per manus palmum, ita quod e$t quaquaver$us quin-
q>ue palmorum pentadoron, quod quatuor tetradoron dicitur, & quæ $unt pu-
blica opera, pentadoro, quæ privata tetradoro $truuntur. Fiunt autem his la-
teribus $emilateres, qui cum $truuntur, una parte lateribus ordines, altera $e-
milateres ponuntur. Nè ba$tò agli Antichi ordinare, che $i $egna$$ero i mattoni per $icurezza lo-
ro; ma non gli ponevano nelle fabbriche, $e non $apevano, che fo$$ero $tati
approvati dal magi$trato $opra ciò deputato, onde lo $te$$o Vitruvio nel $oprad-
detto luogo dice: = Igitur tectoria ab $tructura $ejuncta propter tenuitatem per $e $tare non po$-
$unt, $ed franguntur ip$ique parietes fortuito, $identes vitiantur, ideoque et-
iam Uticen$es, latere, $i $it aridus, & ante quinquennium ductus, cum ar-
bitrio Magi$tratus fuerit ita probatus, tunc utuntur in parietum $tructuris. Ed in Siena per ordine de’no$tri Antichi $i trovano le mi$ure, e le forme
de’mattoni di tutte le ragioni, ed ove $ono delle tegole fatte di ferro pre$$o il
Magi$trato della Biccherna, o $ia pubblica Te$oreria, dalle quali i fornaciaj $on
tenuti a prendere le mi$ure, e le forme de’mattoni, e di tutto ciò, che lavo-
rano, acciocchè le grandezze $ieno giu$te, e uniformi per cagione della bontà
delle muraglie, ed affinchè non $ieno defraudati i compratori, Errano ancora,
quando prendono per le fabbriche i mattoni interi vecchj, o i pezzi, e ogni
frammento vecchio; imperciocchè i mattoni vecchj non $ono eguali, e con
frammenti non $i fa buono incatenamento di muraglia, onde le fabbriche non
$ono perpetue, e così $i fa grandi$$imo con$umo di calcina, e $i richiede più
tempo nel murare. Non è difetto di minor con$iderazione il $ervir$i di calcina
non buona, come di quella, che $ia fatta di pietre non cavate, raccolte pe’
campi, e di cave, che non $ieno umide, di pietra nera, e non dura: o di cal-
cina ridotta in polvere, la quale non è fre$ca, ed è $enza nervo. Finalmente
nell’u$o de’ferramenti, prendendogli troppo crudi, e frangibili, e mal tirati, e
mal $aldati, onde $i $pezzano, o $i piegano facilmente. E tutti que$ti $ono gli
errori, che accadono nella $celta delle materie per fabbricare. QUal$ivoglia fabbrica, per e$$er con buona ragione incamminata alla $ua do-
vuta perfezione, non $olamente dee e$$er collocata in buon $ito, e po$ta
in e$ecuzione con ottime materie, ma ancora le bi$ognano fabbricatori, e
mini$tri d’ottime condizioni, e dotati di tutte le qualità convenienti all’ Arte
loro. Pertanto l’ Architetto, o chiunque ìntende di far murare, dee u$are molto
accorgimento nella $celta de’fabbricatori, nè mo$$o dalla volontà di $pender poco,
dee pre$tar fede a quelli, che s’offrono a tirare innanzi l’ Opera con lieve $pe$a;
poichè que$ti non o$$ervano quella diligenza, che $i conviene; ma riguardano $ol-
tanto a fare il lavoro con poca cura, e più pre$to, che po$$ono, per tirare il pa-
E poco più oltre lo $te$$o Budeo aggiunge = _Probare vero, & approbare Re-_
_demtoris e$t, non locatoris; e$t enim approbare, quod Cicero fere probare dicit,_
_efficere, ut probum, & rectum dijudicetur id, quod quis facit, vel dicit_.....
E pa$$ate poche linee = _Opus autem probare, e$t, ut vulgus loquitur, recte,_
_& probe con$ummatum præbere_.. e $egue = _Paulus $upra in Tractatu Locati_.
_Si in lege locationis hoc comprehen$um e$t, ut arbitratu domini opus approbe-_
_tur, perinde habetur ac $i viri boni arbitratu comprehen$um e$$et_ = Tali Cura-
tori delle fabbriche avevano cura d’approvar le opere degli edificatori; che $e
riu$civano buone, le approvavano, e per te$timonianza di tale approvazione ne face-
vano memoria nelle I$crizioni intagliate nelle pietre. E però in un marmo antico
$opra la Porta volta a Settentrione della Città di Roma $i legge così = L. NVMISTRONIVS. L. F. DECIAN. C. LVCIVS M. F. M. FVNTIVS. L. F. MESS. AEDILES. PORTAS. TVRRES. MVRVM. EX. S. C. FACIVND. CVRARVNT. IDEMQVE PROBARVNT. Nell’acquedotto dell’ Acqua Claudia pre$$o a S. Tomma$o dei Cattivi. PVBLIVS CORNELIVS P. F. DOLABELLA. C. JVNIVS. Q. F. SILANVS. FLAMEN. MARTIAL. EX. S. C. FACINVDVM. CVRAVERVNT. IDEMQ. PROBAVERVNT. E in un altro Arco fra l’ Aventino, e il Tevere, dove oggi $i dice Marmorata. P. LENTVLVS. CN. F. SCIPIO. T. QVINCTIVS. CRISPINVS. VALERIANVS. EX. S. C. FACIVNDVM. CVRAVERE. IDEMQ. PROBAVERE. E nel Ponte Ce$tio, oggi di S. Bartolommeo. L. FABRICIVS. L. F. CVR. VIAR. FACIVNDVM. CVRAVIT. IDEMQ. PROBAVIT. Q. LEPIDVS. M. F. M. LOLLIVS. M. F. COS. EX. S. C. PROBAVERVNT. E come $i vede pre$$o France$co Albertino nel $uo Libro _de Roma pri$ca,_
P. CORNELIVS. P. F. DOLABELLA. COS. C. JVNIVS. C. F. SILANVS. FLAMEN. MARTIAL. EX. S. C. FACIVNDVM CVRAVERVNT. IDEMQ. PROBAVERVNT. E molti altri $imili. Ma quando le fabbriche non erano approvate, gli edificatori erano obbligati
a rifarle a $pe$e loro, avendo dato per $icurtà, conforme al comandamento del-
la Legge i lor beni, $iccome $i vede appre$$o Cicerone nella terza delle Verri-
ne. Ma que$ta cautela nei no$tri pae$i non $i potrebbe avere, e$$endo, $e non
tutti, almeno la maggior parte, i Muratori fore$tieri, e non acca$ati; onde $i
po$$ono partire a lor voglia, $iccome $pe$$o fanno, e non po$$egono alcun be-
ne $tabile. Il che $tando in tal maniera, $i potrebbero forzare a trovare qual-
che per$ona, che promette$$e per loro. Oltre di che que$ti tali debbon e$$ere ri-
gettati, mentre promettono di tirare innanzi il lavoro con poca $pe$a, per in-
citare, e inanimire altri a fabbricare; i quali indi a non molto, dato principio,
mo$trano, che alla fabbrica fa bi$ogno di molto più materia, e molto maggio-
re $pe$a di quella, che fu propo$ta: onde qualunque padrone della fabbrica,
non piacendogli d’accre$cer la $pe$a, è forzato a far ce$$are il lavoro, e rima-
nere imperfetto, e non atto a $ervir$ene, e la $pe$a fatta rie$ce affatto vana: o
per nece$$ità bi$ogna, che faccia continuare la fabbrica, perchè la prima $pe$a
non $ia perduta, e po$$a in parte con$eguire il fine propo$to$i. Ma per dare a
cono$cere ormai gli errori comme$$i nella $celta dei fabbricatori, porremo fine a
que$te con$iderazioni, e cominceremo ad e$aminargli particolarmente, dicendo,
che almeno $ei $ono le maniere degli Edificatorori, che adoperate nelle fabbriche
$on cagione d’importanti$$imi, e di molto danno$i difetti ad ogni ragion di fab-
brica. Concio$$iachè i fabbricatori, o $ono troppo avidi del guadagno, o poco
affezionati all’ Arte loro, o non curanti della propria riputazione, o non molto
pratichi ne’lavori importanti, e non ordinarj; o non capaci de’di$egni, e de’
modelli delle fabbriche fatte dagli Architetti; o che $ieno di propria, e d’o$ti-
nata opinione, e non docili, nè obbedienti, ed o$$ervatori di quanto $i dice da-
gli Architetti. Quando i fabbricatori $on troppo affezionati al guadagno, allora è grandi$$i-
mo errore il $ervir$ene, ed è molto danno$o; sì perchè non $i contentano del
pagamento, che loro $i dà, che $empre il vorrebbero maggore, onde è un gran-
di$$imo tormento a chi dà le $ue fabbriche a tali muratori; sì ancora, perchè
co$toro non hanno altro fine, che il proprio intere$$e, e il $olito vantaggio, e
nulla $i curano di dar buon conto di loro $te$$i nelle opere, che fanno, non
u$ando quella diligenza, che $i conviene, nè operando come vuole il debito
dell’ Arte loro; ma con ogni a$tuzia, e con ogni $ottile ed iniqua indu$tria, $i
forzano di finire la loro opera quanto più pre$to $i può, rie$ca pure fatta in
qualunque modo, purchè pre$to $ia condotta al termine, per trarne il pagamen-
to, e $i faccia co$tar caro il mal lavoro, e $i venda con ingiu$to prezzo il bre-
ve tempo, che vi $i è $pe$o. Quando $on poco affezionati all’ Arte loro, tutto
quello, che fanno, lo fanno $trappazzatamente, e con di$pregio, poichè po$-
pongono al guadagno la buona riputazione dell’ Arte, e di loro $te$$i, la perfe-
zione dell’opera, e la perpetuità, $tudiando $olamente in una certa apparenza
di bontà di lavoro, la quale tanto dura, quanto ba$ta ad aver tempo di condurre il la-
voro a quel fine, che $i $ono propo$ti, per giungere al pagamento bramato. Ma dopo
non lungo $pazio di tempo la fabbrica dà $egno della malvagità, e della iniqua, e volon-
taria negligenza; onde la $pe$a rie$ce tutta vana, e bi$ogna tornar da capo a edifica-
re, e prima gua$tare tutto il mal fatto. Il che è di $ommo pregiudizio a chi
fabbrica. E $e non fanno alcuna $tima della propria riputazione, e $ono puri,
e abbietti mercenarj, non è da fidar$ene punto, perchè poco loro importa l’ope-
rar male, e a danno di chi gli adopera, purchè venga lor fatto di guadagna-
re quanto de$iderano; e perchè non manchi loro da fabbricare, s’ajutano col pro-
AVendo a ragionare degli errori appartenenti all’ elezione del tempo, che $i
fa dagli Architetti per fabbricare qual$ivoglia $pecie d’ edifizio, è nece$$a-
rio primieramente vedere ciò, che $ia que$to tempo. E perchè non $i può co-
no$cer que$to tempo, di cui s’intende trattare in que$to Capitolo, $enza proce-
der con di$tinzione; pertanto prima lo divideremo, e poi dimo$treremo, quale
$ia il tempo inte$o in que$to luogo. Diciamo dunque, il tempo e$$ere di due
ragioni, l’una il tempo comune, e l’altra il tempo proprio, e particolare. Il
tempo proprio, cioè, adattato, $i è quello $pazio breve, o lungo, il quale è la
mi$ura di tutto il cor$o, o di qualunque parte di qual$ivoglia operazione. E
E perchè le operazioni delle fabbriche $ono variabili, e $i multiplicano $econ-
do varj accidenti, perciò non $i può co$tituire un tempo determinato in qual
$ivoglia opera di fabbrica. Quindi è, che non $i può fare elezione di tempo
preci$o, in cui $i po$$a condurre a perfezione ogni muramento. Onde mala-
mente fanno quelli, che $i sforzano di finire le fabbriche loro in breve tempo,
a vendo gu$to di vederle finite, e di $ervir$ene: ma to$to veggono con lor di-
$gu$to, che minacciano rovina. Imperciocchè a dir vero le fabbriche $ono come
le piante, che pre$to na$cono, e che pre$to cre$cono, le quali hanno brevi$$ima
vita: così le fabbriche, le quali in corto $pazio di tempo $i fini$cono, durano
poco. Per la qual co$a nel fabbricare $i dee fuggire la $overchia pre$tezza, ma
$i dee concedere qualche $pazio di quiete ai fondamenti, e quindi alle parti al-
zate delle muraglie, acciocchè abbiano tempo di far maggior pre$a, ed a$$o-
dar$i maggiormente, e perchè acqui$tino fermezza tale, da far re$i$tenza al pe-
$o del rimanente di tutta la muraglia. Che non la$ciando$i po$are i fondamen-
ti, è nece$$ario, che aggravati dal pe$o calino, e tutto il muro $i apra, $i $com-
ponga, e minacci rovina. Ed in que$to modo accadono gli errori dalla parte
del tempo particolare. Ma $e ci voltiamo al tempo comune, cioè, alle quattro
$tagioni dell’ anno, potremo dire, che $i fa errore in eleggere il tempo per mu-
rare nell’ Invernata, non $olamente a motivo della brevità dei giorni, ma an-
cora per cagione delle nevi, della molte piogge, e dei diacciati, che impedi-
$cono il fabbricare. Si fa altresì errore ( benchè for$e non tanto, nè $empre,
nè ugualmente in ogni luogo) fabbricando nell’ E$tate per cagione della gran
$iccità, e del gran caldo: l’una, che $overchiamente ra$ciuga le muraglie avan-
ti che facciano pre$a, l’altra perchè in tal tempo $i $uole aver penuria d’ acqua,
$e peravventura nel luogo, ove $i fabbrica, non è copia d’acque vive, o gran-
di con$erve d’acque piovane, o non vi è vicino fiume, o lago, o comodità di
condurvi l’acque da altre parti. Onde $olamente la Primavera, e l’Autunno
$on buoni$$ime $tagioni per fabbricare, $ebbene talora l’E$tate non $i rigetti.
Chiunque pertanto elegge que$te, non fa mai errore nei muramenti $uoi. NOn vi è alcun dubbio, che gli errori comme$$i nella di$po$izione, nell’or-
dine, e nel compartimento dei di$egni, $ono i maggiori, che oltre all’
elezione dei Siti, delle materie, degli Artefici, e del tempo, $i trovino: im-
perciocchè i di$egni degli Architetti e$$endo le forme, e le idee delle fabbriche,
e la norma di tutte le opere, e il primo principio immediato di e$$e, bi$ogna
immaginar$i, che tutti gli errori de’di$egni $ieno i principj, e le porte di tut-
Allora i di$egni appari$cono mal di$po$ti, quando non $on proporzionati ai
$iti, e quando hanno difetto nelle mi$ure, nelle corri$pondenze, e nelle propor-
zioni delle parti, e finalmentete non hanno buono, e intiero componimento,
avendo difetto di luoghi, e di comodità, e mala di$po$izione di $cale, di trapa$$i,
e di lumi. E allora $on male ordinati, quando non $i è fatta buona di$po$izione,
o di$tribuzione delle parti della fabbrica, cioè, quando le membra, che debbo-
no e$$ere le principali, e le signore dell’ Arte, $on fatte $oggette, e collocate
nel $econdo, e nell’ ultimo luogo: e quelle parti, che debbono e$$er libere, $on
po$te $otto qualche $ervitù. Il mede$imo avviene nel compartimento: poichè
talvolta gli appartamenti delle abitazioni non $on fatti proporzionati a tutte le co-
modità, e ai bi$ogni, alle $cale, alle porte, alle fine$tre, ai trapa$$i, alle log-
ge, ai cortili, e non hanno buona di$tribuzione di lumi, di modo che non vi
$ia luogo, che non abbia lume; e bene $te$$o nei compartimenti delle fabbri-
che, e degli ornamenti loro non $i u$a quella corri$pondenza di numero, di
mi$ura, di proporzione, e di $omiglianza dovuta. E finalmente i di$egni non
$on buoni, i quali non corri$pondono al de$iderio di chi vuol fabbricare; e
quindi procede, che le fabbriche le più volte non $oddisfanno. Laonde per fug-
gire que$to inconveniente, l’ Architetto dee prima procurare d’e$$er bene infor-
mato dell’intenzione di chi gli richiede il di$egno, della grandezza, e della fi-
gura del $ito: di poi dee fare un primo di$egno, non determinato, ma tenta-
tivo; e $e non ba$ta que$to, ne faccia degli altri, e gli conferi$ca con quelle
per$one, che vogliono fabbricare, acciocchè, $e in qualche parte il di$egno fo$-
$e fuor del voler loro, o vi manca$$e alcuna co$a, o vi fo$$e alcuna co$a
$uperflua, inte$a meglio l’intenzione, e dove con$i$ta il mancamento, po$$a
poi formare un di$egno determinato, in tutto corri$pondente alla volontà lo-
r>o, totalmente perfetto, e che intieramente piaccia. E in tal gui$a l’ Archi-
tetto non erra, ed appaga chicche$$ia, e con$erva, e accre$ce con $ua notabile
utilità la propria riputazione. GIà $i $ono dimo$trati gli errori degli Architetti, che $i commettono avanti
al fabbricare: e nella parte $eguente $i dee ragionare di quelli, che acca-
dono nello $te$$o fabbricare. Ora in que$t’ultimo Capitolo della prima Parte
per non la$ciare indietro co$a, che po$$a e$$ere di $omma utilità all’ in$egnamento
dell’ Archittetura, m’ ingegnerò di mo$trare, qual provvedimento u$a$$ero gli an-
tichi Romani, che con l’e$qui$ito governo loro furono mai $empre la regola
del più perfetto Reggimento politico. Diciamo pertanto, come e$$i cono$cendo
bene, quanti errori accorre$$ero intorno alle fabbriche, e per cagione degli Ar-
chitetti, e per colpa de’ mini$tri loro, dico de’fabbricatori, pen$arono di rime-
diarvi con legge, ordinando, e comandando tutto quello, che $i dove$$e fare in
qual$ivoglia fabbrica. E per que$to fine i$tituirono alcune Leggi, e particolar-
mente quella, che $i legge nelle Pandette $otto il Titolo _Ad Legem Juliam re-_
_petundarum_. E nel Paragrafo = _Ne obl. æxtim_. nella legge. _Ne in accept. ferat_.
è $critto così. = _Ne in acceptum feratur opus publicum faciundum; frumen-_
_tum ne pubblice dandum, præbendum, apprehendendum: Sarcta tecta tuenda,_
_antequam perfecta, probata, præ$tita legerint_. Dove il Budeo nelle Annota-
zioni predette dice, dover$i leggere; _non apprehendendum, $ed approbandum, &_
_lege erunt_, non _legerint_; e $egue dicendo: = _Omnino enim $ic legendum e$t._
Ma A$conio Pediano $opra que$to luogo ci riferi$ce l’appre$$o erudizione: =
_Nullam columnam, quæ ad perpendiculum e$$e po$$it. Perpendiculum linea la-_
_terum æqualitatem probat_ (il che $i vede nell’ u$o del piombino u$ata dai fab-
bricatori) _a $ummo ad imum altitudinem probans; hoc enim in columnis o-_
_mnibus, tum maxime in $tructilibus vetus_ (manca) _amotio, tumoris non aliun-_
_de provenit_ (vi manca) _non autem in quibus_ (_$cilicet columnis_) _aut media,_
_aut ima cra$$iora $unt._ = E ciò $i dice con ragione: imperciocchè nelle co-
lonne non $truttili, cioè non fabbricate di $truttura di pietre, o di mattoni, $ic-
come $ono i pila$tri, non $i $uol fare ingro$$amento alcuno nel primo terzo da
ba$$o, o nel mezzo; ma $olamente nelle colonne d’un pezzo, o di più pezzi di
pietra ottimamente po$ti in piano, e $qui$itamente congiunti, come $ono le tre
colonne del Foro Romano, detto Campo Vaccino. E veramente con ragione
la Legge non tratta, che le colonne $i formino, o $i collochino a perpendico-
lo, trattando $oltanto del numero, che $i dee u$are nelle fabbriche; ed altresì
ancora dice, non e$$er bi$ogno far le colonne a perpendicolo, cioè, a piombo;
imperciocchè $i diminui$cono ver$o il $ommo capo, e s’ingro$$ano ver$o l’imo,
cioè nel primo terzo della loro altezza. Ma quando $i legge _$arta tecta_ nel nu-
mero del più, e nel numero del meno $i direbbe _$artum tectum,_ $i dee inten-
dere, e$$ere una certa formula della Legge, la quale, per quel, ch’io credo,
non era altro, che il dinotare il lavoro, la fabbrica, o l’ armadura dei tetti,
cioè il collegamento delle materie, e il coprimento di tegole, ec. Fra Giovan-
ni Genove$e nel Dizionario intitolato Cattolicon, prende que$ta parola pel ri-
$tauro dei tetti de’ Templi; e per prova di ciò adduce un luogo della Scrittu-
ra Sagra, cioè del 4. Lib. dei Re nel cap. 12. = E_t in$tauraverunt $arta te-_
E quella Legge, il cui Titolo è que$to = _Lex parieti faciundo_, intagliata
in marmo, trovato a Pozzuolo, e $econdo che riferi$ce Cel$o Cittadini, $i tro-
va in Ca$a del Sig. Adriano Spata$oro detto di Guglielmo, pre$$o la Chie$a di
S. Giovanni Maggiore in Napoli, la quale in conferma di ciò, che $i è detto,
e per maggior notizia degli Architetti $i porrà quì appre$$o. AB . COLONIA . DEDVCTA. ANNO. XC. NEVFIDIO. N F. M PVBLIO. DVOVIR. P. RVTILIO GN. MANLIO. COS. OPERVM. LEX. II. LEX. PARIETI. FACIVNDO. IN. AREA. QVAE. EST. ANTE. AEDEM. SERAPI. TRANS. VIAM. QVI. REDEMERIT. PRAEDES. DATO. PREDIAQ. SVBSIGNATO. DVVMVIRVM ARBITRATV. IN. AREA. TRANS. VIAM. PARIES. QVI. EST. PROPTER. VIAM. IN. EO. PARIETE. MEDIO. OSTEI. LVMEN. APERITO. LATVM. P. VI. ALTVM. P. VII. FACITO. EX. EO. PARIETE. ANTAS. DVAS. AD. MARE. VORSVM. PROICITO. LONGAS. P. II. CRASSAS. P. I. - - - INSVPER. ID. LIMEN. ROBVSTVM. LONGVM. P. VIII. LATVM. P. I - - ALTVM. P. S. - - IMPONITO. INSVPER. ID. ET. ANTAS. MVTVLOS. ROBVSTOS. II. CRASSOS. P. S. - - ALTOS. P. I. PROICITO. EXTRA. PARIETEM. IN VTRAMQVE. PARTEM. P III. INSVPER. SIMAS. PICTAS. FERRO. OFEIGITO. INSVPER. MVTVLOS TRA. BICVLAS. ABIEGNAS II. CRASSAS. QVOQVOVERSVS. A. S. IMPONITO. FERROQVE. FIGITO. INASSERATO. ASSERIBVS. ABIEGNEIS. SECTILIBVS. CRASSIS. QVOQVOVERSVS = = DISPONI-
TO. IN. PLVS. S. - - OPERCVLAQVE ABIEGNEA. IMPONITO. EX. TIGNO PEDARIO. FACITO. ANTEPAGMEN-
TA. ABIEGNEA. LATA. S. - - CRASSA. E. CVMATIVMQVE. IMPONITO. FERROQVE. PLANO. FIGITO. PORTVLAQVE. TEGITO. TEGVLARVM. ORDINIBVS. SENEIS. QVOQVOVERSVS. TEGVLIS. PRIMORES. OMNES. III. ANTE. PAGMENTO. FERRO. FIGITO. MARGINEMQVE. IMPONITO. EISDEM. FORES. CLATRATAS. II. CVM. POSTIBVS. ESCVLNIEIS. FACITO. STATVITO. OCCLVDITO. LIGATOQVE. ITA. VTEI. AD. AEDEM. HONORIS. FACTA. SVNT. EISDEM. MATERIA. EXTREMA. PARIES. QVI. EST. EVM. PARIETEM. CVM. MARGINE. ALTAM. FACITO. P. X. EISDEM. OSTIVM. INTROITV. IN. AREA. QVOD. NVNC. EST. ET. FENESTRAS. QVAE. IN. PARIETE. PROPTER. AREAM. PERPETVOM. IMPONITO. EOSQVE. PARIETES. MARGINES-
QVE. OMNES. QVAE. LITA. NON. ERVNT. CALCE. HARENATO. LITA. POLITAQVE. ET. CALCE. VDA. DEALBATA. RECTE. FACITO. QVOD. OPVS. STRVCTILE. FIET. IN. TERRA. CAL-
CIS. EXTINCTAE. PARTEM. QVARTAM. INDITO. NI. VE. MAIOREM. CAEMENTA. STRVITO. QVAM. QVAE. CAÉMENTA. ---- ARBA. PENDAT. P. XV. NI. VE. ANGOLARIA. ALTIO-
REM. - - E. FACITO. LOCVMQVE. PVRVM. PRO. EO. OPERE. REDDITO. DIEM. SACELLA. ARAS. SIGNAQVE. QVAE. IN. CM>PO. SVNT. QVAE. DEMONSTRATA. ERVNT. EA. OMNIA. TOLLITO. DEFERTO. COM-
PONITO. STATVITOQVE. VBEI. LOCVS. DEMONSTRA-
TVS. ERIT. DVOVIR. IDVVMVIRVM. ARBITRATV. HOC. OPVS. OMNE. FACITO. ARBITRATV. DVOVIR. ET. DVOVIRATIVM. QVI. IN. CON-
SILIO. ESSE. SOLENT. PVTEOLIS. DVM. NI. MINVS. VIGINTI. ADSIENT. CVM. EA. RES. CON-
SVLETVR. QVOD. EORVM. VIGINTI. PROBAVE-
RIT. PROBVM. ESTO. QVOD. IEIS. IMPROBARINT. IMPROBVM. ESTO. DIES. OPERIS. K. NOVEMBR. PRIMEIS. DIES. PEQVN. PARS. DIMIDIA. DABITVR. VBEI. PRAEDIA. SATIS. SVBSIGNATA. ERVNT. ALTERA. PARS. DIMIDIA. SOLVETVR. OPERE. EFFECTO
PROBATOQVE. C. BLOSSIVS. Q. F. HS. CID. IDEMQVE. PRAES. Q. FVFICIVS. Q. F. CN. TETTEIVS. Q. F. C. CRANVS. C. F. T. CRASSICIVS.... Nella qual Legge, non $olo $i ordina ciò, che $i dee o$$ervare nella fabbrica
dei muri, e nella forma delle porte, e dei coprimenti; ma $i fa menzione an-
cora dell’approvare, e del riprovare le opere delle fabbriche, dando autorità ai
Curatori Edili di giudicarle, e d’approvarle; e in uno $te$$o tempo $i ordina,
quando s’abbiano a fare i pagamenti, cioè, dando la metà del danaro, men-
tre $i fabbrica l’opera, e l’altra metà, quando è finita, perfetta, e approvata.
Siccome $i può ricavare dal Te$to nel Vocabolario, ove dice = _Redemtores_
_proprie, atque antiqua con$uetudine dicebantur, ut cum ad faciundum, velut_
_præbendum quod induxerant, illud re efficiendum, tum demum pecunias reci-_
_piebant_. Indi Cicerone, $crivendo a Quinto $uo Fratello, dice: = _Redemtori_
_tuo dimidium pecuniæ paravi_. Il che è una cautela di chi ha allogato il la-
voro ai fabbricatori. Que$ta Legge per ora non $i e$porrà, per non dilungarci
QVI. DE. L. MARTIO. M. PERPENNA. CENSORIBVS. REDE-
MERIT. EVM. SOCIVM. NE. ADMITTITO. NEVE. EI. PAR. TEM. DATO. NEVE. EI. REDIMITO. SI. QVID. OPERIS. CAVSA. RESCIDERIS. REFICITO. QVI. REDEMERIT. SATIS. DET. DAMNI. INFECTI. EI. QVI. A. VETERE. REDEMTORE. ACCEPERIT. PECVNIA. PRAESENS. SOLVATVR. HOC. OPVS. BONO. SVO. QVOQVE. FACITO. Nondimeno prima, ch’io termini il pre$ente Capitolo, e que$ta prima Par-
te, fa di me$tieri porre nell’altrui con$iderazione, e $ingolarmente di quelli, che
comandano, e che reggono, e governano le Città, che $arebbe molto conve-
niente a qualunque Città bene ordinata l’avere alcuna Legge $omigliante, $pet-
tante alle Fabbriche, $econdo la quale $i de$$e regola, e norma tale agli Archi-
tetti, ed ai loro mini$tri, che fo$$e cagione, che non $i commette$$e errore al-
cuno nelle fabbriche, e che i fabbricatori fo$$ero obbligati a fare quanto co-
manda$$e la Legge, obbligando le loro facoltà, e gli eredi, o procacciando$i
buone prome$$e, o mallevadori, ed errando, fo$$ero tenuti a rifar la fabbrica a
loro $pe$e: e non pote$$ero domandare il pagamento a lor piacere, ma la me-
tà $oltanto quando $i fabbrica, e l’altra poi che il lavoro fo$$e finito e appro-
vato; e così cia$cuno $arebbe $ervito a dovere, e $i toglierebbe ogni occa$ione
di litigare. Nè ciò $arebbe irragionevole, avendo drittamente riguardo ad una
$pecie di ben pubblico, e politico, e privato. E $e $i con$idera bene la detta
Legge in quanto ha cura della forma della fabbrica, noi potremo affermare, che
ad e$ta $i conforma l’i$tituzione, e l’u$o delle fabbriche de’Religio$i Regolari,
e Clau$trali. E ciò (come $i ritrae da Guido Pancirolo nel Lib. intitolato _No-_
_va reperta_), procede dall’aver e$$i $eguito il modo di fabbricare delle abi-
tazioni degli Antichi, avendo e$$i donato i palazzi loro alle Religioni, on-
de poi hanno pre$o il modello delle fabbriche loro: benchè i Monaci Certo-
$ini, e i Frati Cappuccini abbiano inventato un’altra foggia di fabbricare, la
quale, $econdo la Regola loro, o$$ervano ovunque $ono inviolabilmente. Anzinon
$olamente gli Antichi provvidero al di$ordine delle fabbriche pubbliche, e del-
le private delle Città con Leggi particolari; ma ancora impo$ero Leggi $opra
la fabbrica delle Città, e particolarmente circa il compartimento delle Ca$e,
comandando, che $i face$$ero $ciolte l’una dall’altra con una certa mi$ura d’
intervallo infra e$$e, acciocchè l’una non fo$$e impedimento all’altra, $iccome
oggi $ono i Palazzi in i$ola, e come $ono alcune ca$e in Siena, che hanno l’
l’inter$epio: (benchè $i face$$e per vietare l’appoggiamento alle mura del vi-
cino, e per a$$icurar$i dagli abbrugiamenti): ed in Ca$ole, Ca$tello dello Sta-
to di Siena, ove le ca$e $ono tutte i$olate, for$e con$orme alla Legge, che $i
vede nell’ Autentica, nel Col. V. _De novi operis nunciatione maritimi a$pe-_
_pectus_, parlando l’Imperador Giu$tiniano della Città di Co$tantinopoli, dice co-
sì: = _Cau$am, que dolo$a fit in hac Regin Civitate, circa domuum ædificia,_
_cohibere, & emendare ju$tum credimus. Quia enim certis men$uris di$tare do-_
_mos ab invicem Zenonis piæ memoriæ Con$titutio dicit, $ed & nos aliquid ta-_
_le $ancimus. Sequitur autem in hac regia Urbe non po$$e aliquid ultra centum_
_pedes prohibere maris a$pectum terræ grati$$imum, &c_. Imperciocchè in Con-
$tantinopoli alcuni fabbricavano le ca$e lontane dal vicino cento piedi, e più;
ma per malignità alzavano un muro, ed impedivano la vi$ta del mare, che è
la più dilettevole, e la più grata co$a, che $i po$$a vedere, quando però è
quieto, e pacifico. GLl errori, che accadono nel fabbricare, $ono di grandi$$ima con$iderazio-
ne; poichè quantunque $ia$i eletto buon $ito, buone materie, fabbricato-
ri eccellenti, e buona $tagione per fabbricare; nondimeno non ba$ta a condur-
re a perfezione qualunque fabbrica, quando $i commettono errori nel fabbrica-
re: concio$$iachè tutte le dette co$e $ieno ordinate all’operazione dell’edificare.
E la fabbrica allora procede $enza errori, quando vi a$$i$te la diligenza dell’
Architetto, che $ia eccellenti$$imo, e accorto, e quando $i $ono eletti mini$tri
molto pratichi, e dabbene, e intendenti$$imi d’ogni ragion di fabbrica, e ca-
paci d’ogni avvertimento, e d’ogni regola d’Architettura, obbedienti, non o-
$tinati, nè di propria opinione. Ma quando le fabbriche $on prive di tale a$-
$i$tenza, ed e$eguite da Artefici non pratichi, e poco intendenti dell’Arte lo-
ro, allora è nece$$ario, che gli edifizj non $i fini$cano $enza notabili errori. E
la colpa di tutto ciò cade $opra gli Architetti; poichè è uficio di buono Ar-
chitetto eleggere buoni Mini$tri, e continuamente a$$i$tere alle fabbriche. QUelli errori nelle fabbriche $ono di grandi$$imo danno, che $i commetto-
no nei fondamenti; imperciocchè portan $eco la rovina di tutta la fabbri-
ca, nè $i po$$ono $enza $omma difficoltà, e $enza certi$$imo pericolo e-
mendare. Ma non $i può aver perfetta cognizione di e$$i, $e prima non $i $a,
quante $ieno le $pecie de’fondamenti. Diciamo pertanto, che i fondamenti, o
$i fanno in terreno a$ciutto, $olido, e fermo: o in luogo paludo$o; ovvero in
acqua. O di$tinguendo altramente, affermiamo, che de’fondamenti altri $ono
naturali, e altri artificiali. E in tutte que$te maniere $pe$le volte occorre l’er-
rore, $iccome dimo$treremo. Quando adunque $i fanno i fondamenti nel terreno a$ciutto, e $odo, $i com-
mette notabile errore, non u$ando$i avanti del cavamento, ed al gittare i fon-
damenti quella diligenza, che $i conviene in o$$ervare i cavamenti de’pozzi, delle
ci$terne, e delle cantine, che $on pre$$o al luogo delle fabbriche, e riguardando l’erbe,
e gli alberi $oliti na$cere in terreni fermi, e $odi, come la canapicchia, cioè tigna-
mica, la nepitella, la pimpinella, ed altre: l’olmo, il leccio, la quercia l’uli-
va$tro, la gine$tra, il ginepro, e più diver$e piante $pino$e: ovvero $e $i fan-
no in terreni non fermi, nè $tabili, come $ono le $pecie della creta, del cre-
tone, la terra cimolia, detta terra da purgo, le quali $entendo l’umidità a mo-
tivo di lor natura untuo$a, $i muovono, e $corrono, e mutan luogo: nè facen-
done prova, la$ciando cader $opra il $uolo qualche grave pe$o dall’alto, e o$$ervan-
do, $e ri$uona, o trema: nè facendo altre $perienze, per e$aminar bene la bontà
del terreno per i$tabilirvi i fondamenti: imperciocchè, $e non $i fanno tutte le
diligenze nece$$arie avanti al cavare i fondamenti, ma $i procede $con$iderata-
mente, e a ca$o fidando$i de’cavatori, la muraglia non riceve conveniente, e
$tabile po$amento, e avanti che $ia finita, minaccia rovina. Si erra, ol-
tre a ciò, mentre non $i o$$erva, $e il terreno $ia per tutto ugualmente fermo
e $odo: poichè quando cono$ciuto, e$$er così in una parte $ola, pen$iamo, che
$ia così nel tutto: fidando$i di tale o$$ervazione vi gettiamo i fondamenti to$to
che il muro $i alza, e $i aggrava, la prima falda del terreno cede al ba$$o, e
la muraglia calando, s’affonda più in giù, e $i $tacca da quella parte, che ha
Nella $te$$a gui$a, trovato buon terreno in una parte, $i dee vedere, $e in
un’altra $i trova, e non trovando$i, $i dee cavar più al ba$$o; poichè il terre-
no $odo non $i trova nel mede$imo piano; concio$$iachè le parti della terra $on
fatte a falde, e alla gui$a delle $caglie delle cipolle, $econdo l’incurvamento,
e $econdo la pendenza dei monti, dei colli, e delle valli. E non o$$ervando$i
que$te co$e, $i commette gravi$$imo errore; poichè la muraglia poco indugia
a dar $egno di rovina. Ma $e il detto terreno $arà reno$o, e $mo$$o, e $ciolto,
$arà error peggiore il fabbricarvi, mentre in e$$o non $i po$$ono $tabilire le mu-
raglie non $olo per lungo tempo, ma nemmeno per breve. Adunque, per non
errare, dee ogni Architetto e$$ere informato di tutte le $pecie di terreni. Però di-
ciamo, che il terreno, ove $i ha da fabbricare, o è per tutto ugualmente $odo,
e que$to è ottimo per farvi i fondamenti, che è di più ragioni; poichè altro è
cosi> duro, che appena $i può tagliare col ferro, ed è uua $pecie di tufo la mi-
gliore di tutte: altro non è così $odo; ma tutta via re$i$te ottimamente al pe-
$o: od è un terreno, che nereggia; e que$to è buono per fondamenti, mentre
è più arido: od è un altro, che biancheggia; e que$to è più debole; onde po-
tendo$i fuggire, $arebbe errore il fabbricarvi; poichè in e$$o le fabbriche non po$-
$ono avere buono, e perpetuo fondamento, qualora non vi $i $uppli$ca coll’arte,
cioè, facendo i fondamenti molto più gro$$i e fortificandogli intorno con con-
trafforti, o con $peroni, o con barbacani; ovvero almeno fortificandogli ver$o
la parte, che inclina: ed altro è un terreno tutto creta, o creto$o, e que$to nei
fondamenti è fallace, e$$endo $oggetto all’umido, per cui cede al pe$o, e $i muo-
ve, e$$endo fatto a modo di falde (come $i è detto altrove) e fra una falda, e
l’altra trovando$i una $pecie di terra bianca, la quale è di $o$tanza $ottile, gra$-
$a, e untuo$a, che è una $pecie di morga, che da Giorgio Agricola $i dice e$$e-
re la più gra$$a terra, che $i trovi; la quale, to$to che $ente l’umidità, $i fa
come un unguento, onde la falda, che le $ta $opra, aggravata dal pe$o, $corre,
e calando al ba$$o muta luogo. Il che è cagione, che le fabbriche rovina-
no, aprendo$i; o tutte intiere $i muovono in$ieme col terreno, e mutan luo-
go, $iccome alcune volte hanno fatto i campi, e le intere Città. E perciò è
grandi$$imo errore, non e$$endo forzati, il fabbricarvi. Ma $e altri $arà pur ne-
ce$$itato a porvi i fondamenti, dovrà tener que$t’ordine per a$$icurar$i bene.
Faccian$i alla muraglia dei fondamenti, ad ogni due, o tre braccia, alcuni $pe-
roni fatti a modo di branche, ovvero a mezz’archi, i quali, come Saettoni,
o puntelli, entrino $otto il muro dalla parte del terreno, che piega, (il che
$i cono$ce per le $ue vene) facendo il po$amento loro molto più ba$$o di quello
della muraglia, e tanto lontano da e$$o, che vi $i po$$a far l’arco, o la branca,
cavando il terreno, dove $i dee fare a modo di mezze centine. Il che $i ren-
derà più chiaro col di$egno po$to quì appre$$o, e accompagnato coll’e$empio
del modo di fare i fondamenti. Altro è quello, che comunemente è detto tufo, il quale, benchè $ia $odo,
alcuna volta è fallace, e$$endo caverno$o, e fatto come la creta, benchè non
abbia le falde, e gli sfogli così $pe$$i, e non $ia così di$po$to a muover$i, con
tutto che gli@ $i frapponga una $pecie di terra, che bagnata $i faccia co-
me unguento. E però è agevol co$a l’errare facendovi i fondamenti, $enza
u$are accorgimento alcuno: poichè non ba$ta nel cavare averlo trovato, ma
bi$ogna penetrar più $otto, far diligenza, o$$ervando bene il terreno. Che
$e vi $i fabbrica, $enza cavar più ba$$o, può accadere, che $otto vi $ia qual-
che caverna, o qualche poro$ità naturale, onde aggravato il fondamento la
muraglia sfonda il terreno, $icchè ne rimane buona parte a$$orbita da e$$o,
$iccome s’avverte molto bene da Leon Batti$ta Alberti nel 3. Lib. dell’Architet-
tura al Cap. 3., ove dice, che in ne$$un luogo non è da fidar$i così $ubito tro-
vato il bancone, che ricusi il ferro. Perchè que$to potrebb’e$$ere in una pia-
nura, ed e$$ere infermo; anzi ancora vi potrebb’e$$ere alcuna concavità, o ac-
qua, o terreno gra$$o, e in$tabile, come terra cimelia, o rena, o $abbia. On-
de l’Alberti $oggiunge d’aver veduto una torre pre$$o a Me$tre Ca$tello de’
Veneziani, la quale fabbricata, dopo qualche anno, che fu $atta, forato col
$uo pe$o il terreno, $opra cui era piantata, $ottile, e debole, $i $otterrò qua-
$i infino alle merlature. E $e avviene, che tutta la fabbrica non $i di$co$ti
dal terreno, rimanendovi una parte $opra il $uo po$amento, que$ta re$i$ten-
do, e quella calando, cagiona e$pre$$a rovina, e lo $te$$o Autore nel X. Lib.
Cap. 1 dice = Per l’i$torie $appiamo, come Bun, ed Elide, l’una da un’
apertura della terra, e l’altra dall’onde furono $ommer$e. E non è $icuro di
non errare chi fa i fondamenti in luoghi paludo$i, poichè in e$$i il terre-
no è troppo umido, e molto $i profonda dal pe$o delle muraglie. Ma per non
errare, bi$ogna fare le fo$$e larghe, fortificar le $ponde di qua, e di là, con pa-
li, con graticci, con tavole, con alga, o con paglia, o con altro, affinchè l’
acqua non penetri, e non $coli, e riempia i cavamenti: che $e vi $arà calata
l’acqua, $i dee to$to cavare, o vi $i debbono prima fare le palificate di legna-
mi, che re$i$tano all’umido, e con pali di conveniente lunghezza, e di gro$$ezza
po$ti in$ieme $pe$$i, e beni$$imo battuti. Che quando per negligenza, e per ava-
rizia, o per brevità di tempo $i face$$e il contrario, $arebbe gravi$$imo errore.
E finalmente, $iccome è molto difficile, e di molta fatica il fare i fondamen-
ti in acqua, così è facili$$ima co$a il commettervi errori, e$$endo l’acqua un
impedimento qua$i in$uperabile, pel quale altri non può vedere, e $qui$itamen-
te o$$ervare il terreno, dove $i hanno da fondare le muraglie, e $pecialmente nel
Mare, e ne’Laghi, $e prima non $i cerca per mezzo di macchine di cavar l’
acqua, e ritenerla, affinchè non torni a riempire il luogo del fondamento. La-
onde non potendo$i veder da vicino la qualità del terreno, non e$$endo $icuri,
$e $otto l’acqua $ia $odo, efermo, e $e vi è $abbione, o rena, o fango, è facili$$imo
l’errare, o per inavvertenza, o per avarizia. Benchè, $econdo l’opinione d’alcuni
il miglior terreno, che $i trovi per fondare, $ia quello, che $i trova $ott’acqua. Il
che per le ragioni dette non $i può a$$olutamente a$$ermare. E tutto que$to,
che $i è detto, appartiene alla prima di$tinzione dei fondamenti. Ora, per con-
durre a fine il di$cor$o di que$to Capitolo, il quale for$e per la nece$$ità della
materia è più importante d’ogni altro del pre$ente Trattato, prenderemo a con-
$iderar quello, che appartiene alla $econda di$tinzione dei fondamenti, là, dove
$i di$$e, altri e$$ere i fondamenti naturali, e altri gli artificiali. I fondamenti
naturali $ono tutte le $pecie di terreni, de’quali $i è for$e ragionato a ba$tanza,
fra i quali $i dee porre il terreno $a$$o$o, cioè quello, in cui $i trovano ma$$i di tufo du-
ri$$imo, di pietra forte, di pietra $erena, e di ti$chio, che è una ragion di pietra
fatta naturalmente di $pe$$i$$ime, e di minute, e di gro$$e ghiare, collegate in-
$ieme da una terra impietrita, la quale è come tartaro, e fa il mede$imo ufi-
cio che la calcina nei calce$truzzi, o negli $malti, o di travertino da torre; le
cave del quale $i vedono in$ino a Siena, e più lontane. Ed in que$to terreno,
$iccome anche negli altri, non è $empre $icuro il fare i fondamenti: con-
E Plinio nel Lib. 36. cap. 9. = _Super omnia exce$$it difficultas mari Romam_
_devehendi, $pectatis admodum navibus. Divus Augu$tus priorem advexerat, mi-_
_raculique gratia Puteolis navalibus perpetuis dicaverat: $ed incendio con$umta_
_e$t. Divus Claudius aliquot per annos a$$ervatam, qua Cajus Cæ$ar importave-_
_rat, omnibus, quæ unquam in mari vi$æ $unt, mirabiliorem, turribus Puteola-_
_no ex pulvere exædificatis, perductam o$tiam, portus gratia mer$it & c._) Il far, dico, tali fondamenti è molto $icuro, poichè aggravata la nave, o la
barca dal pe$o della muraglia, $i profonda fortemente nel letto del mare, il
quale ricevendola nel fondamento, l’abbraccia fortemente, di maniera che non
vi è pericolo, che cali, nè che $ia forzata da parte alcuna dall’impeto dell’ac-
qua, nè $ia $cavato il $uo fondamento; la qual maniera di fabbricare $i può ri-
Ecco il modo di fare i fondamenti $opra navi. Ma la Nave $opraddetta $i
mo$trerà coll’appre$$o di$egno. Ma l’obeli$co già detto fu collocato nel Circo del Vaticano da Cajo Ce$are
Caligola, che dipoi mutata la Religione in Roma, rima$e accanto al fianco
de$tro della Chie$a di S. Pietro edificata dal gran Co$tantino. Ed a’tempi no-
$tri è $tato tra$portato da Si$to V. nella Piazza di S. Pietro per opera di Do-
menico Fontana $uo Architetto, benchè al tempo di Gregorio XIII. ne fo$$e
fatto il di$egno della macchina per tra$portarlo, da Cammillo Agrippa. Sic-
chè di lui $i potrebbe dire ciò, che di$$e Virgilio de’$uoi versi: _Hos ego ver-_
_$iculos feci, tulit alter honores._ = Il Porto di Nerone era quello, che era det-
to An$io, e ora po$to nella $piaggia Romana, a man $ini$tra andando ver$o Na-
poli, dove oggi appari$cono le reliquie, il cui ritratto $i. vede nel rove$cio del-
la Medaglia di detto Nerone. Nel fondare fabbricando $opra muraglie vecchie, cioè, $opra rovine, o$opra
mura di ca$amenti vecchj, che s’abbiano a ri$taurare, od a ridurre a miglior
forma, $i farà grande errore, non provando molto bene prima, $e la muraglia
$ia buona a $o$tenere il pe$o, e $e ella ha buon fondamento, o $e è $tata lun-
go tempo $coperta, e con$umata da varj accidenti, la quale non $i uni$ce mol-
to bene colla muraglia nuova, e $e $i uni$ce, non è durevole. E que$ta è una
delle cagioni principali, che ci fa cono$cere, non e$$er molto lodevole il fabbri-
car $opra il vecchio. E que$ti $ono gli errori, che accadono nel fare i fonda-
menti $econdo la varia natura, e $econdo la diver$a di$po$izione de’luoghi, do-
ve $i $tabili$cono i fondamenti delle fabbriche. Ora $i debbono con$iderare gli
errori, che accadono dalla parte del modo del fabbricare i fondamenti. Imper-
ciocchè nel fondare le muraglie $i procede diver$amente, $econdo la diver$ità
de’luoghi. Onde chi non opera conforme alla di$po$izione di qualvoglia luogo,
non è $icuro di non cadere in qualche notabile errore. Imperciocchè i luoghi,
ne’quali $i hanno da cavare i fondamenti delle mura, o $ono rilevati, o ba$$i,
o po$ti in mezzo a que$ti, come $ono le $piagge, e le valli. I luoghi alti $o-
no aridi, e $ecchi, $iccome $ono i gioghi, e le cime dei monti. I luoghi ba$$i
$ono troppo umidi, e molli, come quei, che $ono vicini al Mare, agli $tagni,
ai laghi, a paludi, a fiumi, e a torrenti. I luoghi di mezzo, come quelli,
che $on pendenti, i quali del tutto non $ono $empre bagnati, e$$endo di$po-
$ti con pendenza, dove l’acqua non $i ferma, nè vi si corrompe; ma ca-
lando $empre $cola. Il terreno de’gioghi non è buono per farvi i fonda-
menti, perchè facilmente $i ri$olve in rena, e in polvere. Quello de’luo-
ghi ba$$i, per la $overchia umidità, cede a qual$ivoglia pe$o di muraglia.
E finalmente quello, che è in luogo pendente, benchè per $e $te$$o $ia buono
per fondamenti, nondimeno tira tutto il pe$o delle muraglie ver$o la parte più
ba$$a, onde la parte di e$$e po$ta in alto, rimanendo, $i $tacca da quella, che
cala, e però $i fanno aprimenti notabili, che danno indizio di certa rovina. E
pertanto nei $iti pendenti, $econdo il precetto di Columella, $i debbono comin-
ciare i fondamenti dalla parte di $otto, e dal luogo più ba$$o, acciocchè la mu-
raglia, che $i fa nel ba$$o, faccia $palla a quella, che $i fa nel luogo al-
to. Il che più $icuramente, e con maggior forza verrà fatto, quando le mu-
ra, che $i fanno ne’fondamenti, più ba$$i, $aranno più gro$$e dell’altre. Ma
fondando in detti $iti, $enza u$are le debite diligenze, s’incorre in errori dan-
no$i$$imi, non cavando nei luoghi delle fabbriche i pozzi, col mezzo dei qua-
li $i $cuopre la condizione di qualunque terreno, e non u$ando quei rimedj ba-
$tevoli a $upplire ai difetti dei fondamenti. Oltre a ciò è grandi$$imo errore il
non cavare i fondamenti in piano, che è cagione, che le fabbriche calando
più in una parte, che in un’altra, $i aprano: e il non purgargli bene dal fan-
go, dal $abbione, o dalla rena, o dalla terra mo$$a; e il non cavar l’acqua,
che talvolta vi $i trova: e nel gittare i fondamenti, non proccurare, che i fab-
bricatori battano bene le pietre, e i mattoni, acciò meglio $i acco$tino, e s’im-
pa$tino in$ieme colla calcina, poichè, quando non $on ben battuti, $opraggiun-
to il pe$o, la muraglia $i acca$cia, e produce aperture, e peli. E que$ti $ono i
difetti, che si cagionano dal modo di fare i fondamenti. Rimane ora per $i-
gillo di que$to di$cor$o la con$iderazione degli errori appartenenti alla forma di
I fondamenti, che $i fanno $enza la platea, $on quelli, che $i cavano conti-
nuati, $econdo le gro$$ezze convenienti alle muraglie, ne’quali accade $pe$$o l’
errare, $iccome $i è dimo$trato, e i più $icuri, $ono i più profondi, i più gro$-
$i, e i più $errati, e uniti: e quei, che $ono fatti bene in piano, ed alzati per
tutto ugualmente: che $e $i faranno in altra maniera, $aranno in tutto e per
tutto difetto$i. Finalmente i fondamenti, che $i fanno con archi, per far mi-
nore la $pe$a, e per condur pre$to a fine la muraglia, $on quelli, che $i for-
mano, facendo prima tanti pila$tri, quanti bi$ognano alla lunghezza delle mu-
ra; alzandogli quanto ba$ti, per fabbricarvi $opra gli archi, $u i quali $i po$$a
poi alzare il muro continuo. Que$ti fondamenti $ono i più imperfetti, e i me-
no $icuri degli altri. Imperciocchè può accadere, che alcuno dei pila$tri $ia mu-
rato in terreno, che $ia $odo sì, ma che abbia $otto concavità, o non $ia $ta-
bile; onde aggravato dal pe$o del muro, cali, e $eco $i tiri ancora la parte,
che gli $ta $opra; e finalmente $ia cagione, che rovini. E que$to è quanto $i
poteva dire intorno agli errori, che per mala cura degli Architetti accadono ne’
fondamenti di qual$ivoglia fabbrica. COme dalla proporzione delle parti del Mondo grande, le quali fanno un’
armonìa maraviglio$a; e dalla proporzione del Mondo piccolo $i cagiona
la perfezione, e la bellezza; così dalla proporzione delle fabbriche $i produce
la perfezione, e la bellezza loro. Così anche pel contrario in qualunque fabbri-
ca la $proporzione è cagione di varie imper$ezioni, e di bruttezze diver$e. On-
de gli errori, che na$cono dalla $proporzione delle parti degli edificj, $ono di
$omma importanza. Imperciocchè la proporzione delle parti loro è una delle
condizioni più nece$$arie. Que$ta poi con$i$te, o fra le parti alte, o fra le ba$-
$e, o fra le laterali, o fra i vani, che $i fanno nelle parti inferiori, e nelle
$uperiori: o fra le interne, e le e$terne: o fra le membra degli ornamenti, e
fra le parti loro. Laonde, allora gli Architetti errano nelle proporzioni delle par-
ti delle opere, quando le mi$ure non $ono fra loro corri$pondenti, e propor-
zionali. Come quando le parti $uperiori delle muraglie non hanno le gro$$ez-
ze proporzionate alle inferiori, cioè, quando o $ono più gro$@e delle parti vici-
ne ai fondamenti, o $ono troppo $ottili: e quando le altezze de’luoghi non $on
fatte a proporzione delle larghezze. Come le altezze dell’impo$te delle volte
non $ono a proporzione delle larghezze, $iccome $i vede in molte nobili$$ime
fabbriche, e particolarmente nella Chie$a di S. Pietro di Roma, ove l’impo$ta
della volta non e$$endo proporzionata alla larghezza a motivo dell’aggetta della
cornice, è cagione, che $i mo$tri troppo ba$$a: sì ancora, perchè non le è $ta-
ta data quella giunta, che $i richiedeva, con$>orme alla mi$ura dello $porgiment-
to, e del rilievo della cornice; onde alla no$tra vi$ta da e$$o $i toglie buona
parte della volta, e però $i mo$tra ba$$a. E que$to è un errore nato dal non
aver cognizione alcuna di pro$pettiva; il quale errore, perchè più appari$ca,
ne daremo quì $otto un e$empio. Fra le laterali, come quando la parte da man de$tra è così larga, o più lun-
ga di quella da man $ini$tra, e così vicever$a. Fra i vani, cioè, fra quelli de-
gli archi delle logge, e de’portici, e fra le aperture dei lumi, cioè, delle fi-
ne$tre, e delle riquadrature po$te nelle parti $uperiori, e nel $econd’Ordine:
ovvero fra i vani inferiori, e pieni o $odi $uperiori. Come, quando le apertu-
re delle fine$tre non corri$pondono ai vani degli archi, po$ti $otto, o nel nu-
mero, o nella grandezza, o nella $ituazione: e così quando i vani delle logge
non corri$pondono alle fine$tre: o, quando ai vani degli archi, e delle porte
non corri$pondono quei delle fine$tre: così, quando i vani di $opra non $i ac-
cordano in numero, in po$izione, e in grandezza, con quei di $otto: e quando
il $odo, e il pieno non concorda col $odo, e col pieno, ma è collocato $opra
vano; come, quando al mezzo degli archi $i pongono i pila$tri, e le colonne:
e al mezzo il vano delle porte, e delle fine$tre, la muraglia, o pila$tri delle
Logge. Benchè gli Antichi alcune volte, non per errore, ma per nece$$ità del-
la forma della fabbrica abbiano po$te le colonne del $econd’Ordine al mezzo
degli archi del primo da ba$$o, $iccome $i vede negli avanzi della villa pubbli-
ca di T. Didio, la quale $i dimo$tra da Balda$$ar Peruzzi nel Serlio al 3. Li-
bro dell’Antichità $otto nome di Portico di Pompeo, e Ca$a di Mario. Ma
nel vero edificio, che oggi tiene da Santa Maria del pianto, fino avanti a piaz-
za Santa Croce, era la Villa pubblica di T. Didio, $iccome $i ricava dal ro-
ver$cio della $ua Medaglia, ed era di que$ta forma E per tornare al propo$ito no$tro, $i erra nelle proporzioni, quando i vani
de’lumi, e delle porte delle parti laterali delle fabbriche di$cordano nel nume-
ro, e nella grandezza: e quando i lumi, o gli archi, o le parti $olide $upe-
riori, non hanno proporzionatamente quell’accre$cimento, che loro $i deve,
per $upplire a tutto quello, che $i toglie dalla lontananza, acciò $i mo$trino
eguali. Il che $i co$tuma, quando $i pongono più ordini di colonne l’un $o-
pra l’altro, come $i o$$ervò dagli Antichi nei Teatri, e negli Anfiteatri. E
tale errore procede dal non u$are la ragion di Pro$pettiva, e dal non $aper l’
u$o del Quadrante di$tinto in gradi novanta. Il quale, applicato all’occhio,
$tando incontro alle linee a piombo delle fabbriche, col mezzo di quelle, che
vengono dal centro, e dall’occhio, $i fanno i compartimenti in tutta l’altezza,
Fra le mi$ure, come, quando l'altezze non corri$pondono alle lar-
ghezze. Il che accade $pe$$e volte nelle $tanze: e quando ne'Tempj le gran-
dezze de'fianchi, e delle $palle, $ono $proporzionate al rimanente del corpo
della fabbrica: e, quando il comparto dell'Architrave, del fregio, e della cor-
nice, non è proporzionato all'altezza della colonna. Oltre a ciò gli Architetti
errano nelle mi$ure, quando mi$urano le fabbriche antiche con le mi$ure mo-
derne, e non con le antiche, colle quali furono fabbricate, cioè, o colla de-
cempeda, o col cubito, o col piede, o col palmo antico Romano, il quale è
diver$o dal palmo moderno, che oggi $i u$a in Roma, che è maggiore del pal-
mo antico, compo$to di quattro dita, $iccome $i ritrae da Vitruvio; ma il
palmo moderno è piutto$to lo $te$$o, che la Spitama detta volgarmente Span-
na. E benchè le moderne $i po$$ano ridurre alle mi$ure antiche, nondimeno
nel mi$urar le fabbriche antiche è meglio $ervir$i delle mi$ure antiche, poichè
le moderne non corri$pondono preci$amente alle antiche, $iccome $i vede nel
braccio Sane$e, che è alquanto differente dalla mi$ura di due piedi antichi Ro-
mani; for$e perchè le dita $on formate di quattro più gro$$i grani d'orzo per
traver$o, che ogni dito è compo$to di quattro granelli d'orzo, e ogni palmo di
quattro dita; onde cre$cendo$i le dita in gro$$ezza, $i accre$ceva l'e$ten$ione
del palmo, e per l'aumento di que$to veniva slungato il piede. O perchè il pie-
de contenuto nel no$tro braccio, corri$pondente qua$i al piè d'Ercole, dal quale
fu mi$urato lo $tadio Olimpico, che in lunghezza era maggiore del Greco, e$-
$endo cavato dal $uo piede maggiore, $iccome $i ritrae da Aulo Gellio. Fra le membra degli ornamenti, come, quando a una gran colonna, ovvero
a un gran pila$tro $i $oprappone un piccolo capitello, o a un grande Architra-
ve un fregio troppo ba$$o, o vicever$a: o una cornice di piccola altezza, come
$i vede négli ornamenti de'fianchi della fabbrica di S. Pietro di Roma. Errore
nato dal non con$iderare, che la lontananza $cema ogni grandezza, $econdo l'ap-
parenza, che vicina alla vi$ta $i mo$tra della mi$ura $ua propria. E tal con-
$iderazione non $i può avere, $enza la notizia della Pro$pettiva. Nè ba$ta perti-
nacemente u$ar le regole dell'Architettura in ogni luogo, e in ogni $ito, dando
all'altezza del compo$to dell'Architrave, del fregio, e della cornice, o la quinta parte,
o la quarta dell'altezza della colonna. Ma con$iderato, che la lontananza dall'occhio
$cema le grandezze, $i dee accre$cere la detta mi$ura, affinchè alla vi$ta non i$-
corci. Così anche per l'oppo$to $i erra nella proporzione degli ornamenti, quan-
do a una cornice, a un gran fregio, e a un grande architrave $i $ottopone una
colonna troppo corta, e troppo gro$$a, come $i vede nella Cattedrale di Siena,
nell'ornamento della Cappella de'quattro Coronati, benchè il lavoro fra gli An-
tichi-moderni $ia uno dei più lodevoli. Dove la cornice, il fregio, e l'architrave
in$ieme s'avvicinano alla metà dell'altezza della colonna. Finalmente $i erra,
quando $i fanno le colonne $ottili, e $opra vi $i pone un gran capitello: o quan-
do $i fanno le colonne $ottili, e molto alte, e $i dà loro un capitello troppo pic-
colo: e quando non $i dà la debita mi$ura a cia$cun membro. Ma tutto ciò $i
renderà più chiaro con gli appre$$o e$empj. E quello, che $i è detto dei Capitelli, $i dee intendere ancora delle ba$i, men-
tre non $olo non $on fatte proporzionevoli, e$$endo, o troppo grandi, o troppo
piccole; ma ancora non $on formate colla mi$ura della metà della gro$$ezza in-
feriore delle colonne. Fra le membra e$terne, e le interne delle fabbriche, cioè,
allora si erra nelle proporzioni, quando le parti interne non corri$pondono alle
e$terne nella mi$ura, nel numero, nella posizione, e nella forma. IL compartimento delle fabbriche $i può intendere in tre modi, cioè, od in
quanto appartiene al componimento delle mura, ovvero in quanto appartie-
ne alla di$po$izione delle parti principali, e non principali. Nel primo modo s'intende la maniera della $truttura delle muraglie, che $i
fa, ponendo in$ieme pietre, mattoni, pezzami, pietre riquadrate, in$ieme con la
calcina. Dove allora $i $uole errare, quando dall'Architetto non $i procura, che
$i uni$cano, e $i colleghino bene in$ieme, e $i battano quanto bi$ogna, e vi $i riempia
ogni luogo vuoto, benchè piccolo. Che quando la pietra e$teriore del muro non $i col-
lega bene coll'interiore, facilmente l'una $i $tacca dall'altra, come, quando $i fa la
muraglia di mattoni a faccia netta, alcune volte, o per diacciato, o per for-
zamento di pe$o, o per altro accidente, tutta la parte di fuori del muro $i $cro-
$ta, o $i $compone, e cade; onde il muro rimane $cortecciato, rozzo e indebo-
NOn vi è dubbio alcuno, che (dato, e non conceduto, poichè il $ommo Crea-
tore fece il tutto perfettamente in numero, in pe$o, in mi$ura, in po$i-
zione convenienti$$ima) quando l'Architetto di que$ta macchina mondiale ave$-
$e po$ta nel luogo della Terra l'Acqua, e nel luogo dell'Aria il Fuoco, oltre che
non $olo $arebbe riu$cita un'opera mo$truo$a, e un novello caos, e una mole to-
talmente rozza, come dice Ovidio nelle Trasformazioni, ma non avrebbe tampoco
potuto avere alcuna $u$$i$tenza. Così, quando nel formar l'Uomo, ave$$e po$to la te-
$ta nel luogo de'piedi, o gli occhi nel petto, invece d'e$$er$i formato un Uomo,
ne $arebbe ri$ultato un mo$tro. Dove la te$ta e$$endo po$ta nel luogo più ba$$o, non
avrebbe potuto far l'ufizio de'piedi, come altresì gli occhi non avrebber potu-
to così facilmente riguardar d'ogn'intorno, e fare la $entinella in dife$a di tut-
te le parti. Nella mede$ima gui$a veggiamo talora per errore degli Architetti
accadere alle fabbriche, mentre e$$i non co$titui$cono le parti nel debito luogo;
Vi $ono, oltre a ciò, altri errori circa la po$izione delle parti degli orna-
menti, e $pecialmente, quando quelle membra, che non po$$ono convenevol
mente $tare in$ieme, come, colla colonna To$cana, e con la Dorica, il Capitello
Corintio; così con la Compo$ita, e con la Dorica, la ba$e Ionica; e così di
tutti gli altri Ordini, cambiando$i fra loro, e le ba$i, i capitelli, le cornici,
e i piedi$talli: e quando nella giunta laterale degli ornamenti, accanto alle co-
lonne i$olate, $i pongono altre colonne, le quali, oltre l'e$$ervi indarno, non
avendo pe$o proporzionato, e non v'e$$endo nece$$arie; poichè l'aggiungimen-
to dei lati può molto ben con$i$tere $enza le colonne; $on cagione, che l'Ar-
chitrave, e$$endo rotto, o piegato dal ri$altamento, rimanga $enza aver dove
po$ar$i. Ovvero le dette colonne non $on po$te nella mede$ima dirittura, e nella
mede$ima linea delle contra-colonne, come $i comprenderà nella pianta e$po$ta
a carte 44. Finalmente è notabili$$imo errore, quando $opra gli ornamenti de'Templi,
delle Cappelle, degli Altari, e delle Porte, in luogo di farvi i fa$tigj, e i fron-
te$pizj interi, accomodarvi i rotti, credendo con la rottura di dar grazia all'or-
namento. Che veramente i fronte$pizj non $ono altro, che il fa$tigio, e il tetto
della fabbrica. E chi è quegli, che vole$$e rompere il tetto della propria abita-
zione, per dare maggior grazia all'a$petto della Ca$a? Certamente niuno. Nè $i
trovò mai, che gli Antichi u$a$$ero di fare il fronte$pizio rotto, ma lo forma-
rono $empre intiero, o tondo, o angolare con due pendenze, che comunemen-
te $i $uol dire a due acque, cioè, a due $colamenti d'acque, ovvero con una
$ola pendenza. E quando pure, $econdo la licenza moderna, altri vole$$e rom-
pere il fronte$pizio, s'incorrerebbe in uno di due inconvenienti, cioè, o facendo$i
la rottura corri$pondente al $odo delle colonne, la parte del fronte$pizio verrà
troppo angu$ta; ma facendo$i tal parte maggiore del vivo delle colonne, ella
u$cirebbe fuori del $odo, e $tarebbe $o$pe$a. E que$ti $on due notabili difetti nati
dal rompere i fronte$pizj. Nè perchè ne $ia $tato inventore Michelangiolo Buo-
narrotti detto il Divino, ed e$$endo eccellenti$$imo nella Scultura, nella Pittura, e
nell'Architettura, mo$$o da nece$$ità, $i dee tra$portare $imigliante u$o in ogni
propo$ito, e in ogni luogo, $enza nece$$ità, e grazia alcuna: impercioccchè
quello, che una volta, e per accidente è $tato u$ato, non può, nè dee $ervire per
regola di bene operare; che gli accidenti violentano gli Artefici a partir$i dal-
la rettitudine dell'arte loro; e tal violenza non forza $empre, ma qualche volta,
e però non può farci regola: che la regola è $empre buona. Ma perchè meglio
s'intenda quanto $i è detto, $i porranno gli e$empj quì appre$$o. SIccome l'abu$o d'alcuni co$tumi nelle Città, e nelle Comunanze di$trugge
tutta la rettitudine del viver politico; e nell'Arti, e nelle Scienze è cagio-
ne, che e$$e divengono danno$e; così l'abu$o di alcuni ornamenti nell'Archi-
tettura rimuove la bontà dell'opere, è cagione dell'imperfezione degli Edifizj,
e toglie la riputazione agli Architetti. E però oltre agli altri errori, cia$cuno
Architetto, a cui molto preme il con$ervar l'onor $uo, quanto più può dee
procurare di tenersi lontana ogni danno$a, ed immaginevole u$anza. E per
mo$trare alla bella prima, ove consi$ta l'abu$o d'alcuni ornamenti delle fabbri-
FRa tutti gli errori, che provengono dagli Architetti, uno $i è il contra$ta-
re alla per$ezione, e alla bellezza delle $abbriche; onde nell’apparenza loro
non $i dimo$tra grazia, nè nobiltà; nè muovono a maraviglia chi le riguar-
da. E que$to è il non o$$ervare il decoro, il quale allora io pen$o, che po-
tra$$i facilmente intendere, quando $i $arà dichiarato ciò, che $ia e$$o decoro.
Diciamo adunque, il decoro non e$$>er altro che una bellezza, e una grazia del-
le co$e, che na$ce da una certa giu$tezza di$tributiva, $econdo la quale $i dà
tutto quello, che $i conviene a cia$cuna parte. Ma per adattare al no$tro pro-
po$ito que$ta de$inizione, $i dice, che il decoro delle fabbriche altro non è,
che una bellezza cagionata dalla convenienza delle parti; quando, $econdo una
giu$ta, e proporzionevol di$po$izione $i è conceduto a cia$cuna quanto $e le
conveniva. Perciò, affinchè intendiamo gli errori di que$ta maniera, $i dice,
che qualunque fabbrica, come imitatrice del corpo umano, è compo$ta di mem-
bra, poichè in e$$e $i trovano il capo, le $palle, i $ianchi, il ventre, e le gam-
be. Ed a cia$cun membro $ono a$$egnati i $uoi ornamenti; che quei delle $pal-
le, dei fianchi, e del rimanente, non $i attribui$cono al capo, e così vicever$a.
Che è $overchia diligenza il continuare i mede$imi ornamenti particolari, e i
mede$imi compartimenti di membra, di vani, e di particelle, che $i trovano
ne’$ianchi, nelle $palle, nella fronte, o nella faccia, la quale è la parte
principale, e il capo della fabbrica. Il che è totalmente $uper$luo, $iccome $i
vede nella fabbrica di S. Pietro di Roma; ba$tando pure a$$ai la continuazio-
ne, e il concor$o delle colonne, dei pila$tri, dell’architrave, del fregio, e del-
la cornice in$ieme col $econd’Ordine; e$$endo ba$tevole, $econdo il buon di$e-
gno formare il portico di Michelagnolo Buonarruoti. E tanto più che $empre
nelle fronti dei Templi è $tato co$tume di collocare il portico, o qua$i porti-
co, come $appiamo da Vitruvio. Oltre a ciò $i erra nel decoro, non dando$i
alle membra il debito adornamento, come, quando nella fronte non $i pone il
fa$tigio e il $ronte$pizio, che è il principale ornamento del Capo, $iccome l<_>2
acconciatura delle donne, dagli Antichi detta _Caliendro_, come $i vede pre$$o
Orazio nel Lib. I. dei Sermoni ---- _altum Saganæ caliendrum_
_Excidere_ ---- E Tutolo, come $i ritrae da Fe$to Pompeo = _Aponiæ a tulis_, onde perav-
ventura $i è tratto il _Titolo_, che appre$$o noi è il fa$tigio, e il $ronte$pizio
delle Chie$e, dove in luogo d’i$crizione dedicatoria, $i fanno dipignere le im-
magini dei Santi Titolari dei luoghi. Ma che il fronte$pizio delle Chie$e $i di-
ca Titolo, $i può provare per quello, che $i legge nel Terzo Libro delle Cro-
niche Ca$$inen$i: = _Ba$ibus $uppo$itis, columnas de$uper decem ex uno latere, & ex altero toti-_
_dem erexit cubitorum novem: fene$tras quoque in $uperioribus amplas, in na-_
_vi quidem viginti, & unam: in Titulo vero $ex longas, & rotundas qua-_
_tuor; ac duas in ab$ida media $tatuit. Porticus vero utriu$que parietes in al-_
_titudine cubitorum quindecim, $ubjungens fene$tris, binc decem, totidemque_
_inde, di$tinxit_. = E que$to errore $i $corge nella facciata di S. Pietro in Vati-
cano: imperciocchè in vece di terminare nel fa$tigio, termina nella balau$tra-
ta, e nelle $tatue, che vi $on po$te per ultimo finimento, ma non ba$tevole,
oltre al non e$$er quello luogo loro conveniente, $iccome anche nell’ultima cor-
nice del Campidoglio, benchè vi $ieno $tate po$te per mo$trar più alta la fab-
brica; sì perchè in tal luogo non $i con$ervano; sì ancora, perchè $on troppo
lontane alla vi$ta. Nè ba$ta aver $atto il fronte$pizio alla parte di mezzo della fronte,
che viene in fuori; poichè il fa$tigio dei Templi dee avanzare tutto il rimanente
della fabbrica; $iccome $i vede in tutte le fronti dei Templi antichi, degli anti-
chi moderni, e dei moderni. Ed in vero (mi $i conceda pure il dirlo) pare
co$a molto di$dicevole, che quella Chie$a, che è Capo di tutte le Chie$e del-
Si pecca nel decoro, quando $i u$ano per ornamento co$e non convenevoliai
luoghi $agri, e ai luoghi profani: e quando $i adattano, $enza con$iderazione
alcuna, e $uori d’ogni corri$pondenza, gli Ordini d’Architettura, cioè, dove
conviene più la $odezza dell’Ordine To$cano, e del Dorico, e della maniera ru-
$tica, applicando l’Jonico, il Corintio, o il Compo$ito, e vicever$a; e quel-
lo, che conviene a un $e$$o, e a una condizione, attribuendo a un’altra. Fi-
nalmente $i erra nella mede$ima gui$a, quando non $i danno alle membra le de-
bite mi$ure, e proporzioni con$ormi alle $pezie di cia$cun’Ordine: quando non
$i dà quella corri$pondenza degli ornamenti, quel collegamento uni$orme, che $i
richiede: e quando le altezze $i fanno $proporzionate, e le lunghezze alle lar-
ghezze, $e però non ne è cagione il $ito, e la lontananza dall’occhio: e final-
mente, quando per una particolare comodità, che $i po$$a trarre dall’altra par-
te, $i gua$ta, e $i confonde il componimento, e s’interrompe l’ordine degli or-
namenti della fronte. E tutti que$ti $ono i più notabili errori, che occorrano nel
trala$ciare il decoro della fabbrica. GLi errori, che gli Architetti la$ciano commettere dai fabbricatori nell’am-
ma$$amento, e nella $truttura delle muraglie, non $olamente $on cagione
della difforme apparenza loro; ma ancora (e que$to è ciò, che più importa)
di fare che non durino lungo tempo. E però gli Architetti $on tenuti a o$$er-
vare, colla maggiore indu$tria loro po$$ibile, il modo tenuto dai Muratori nel
$abbricare. Que$ti errori con$i$tono nel fare i muramenti non e$attamente livella-
ti, e $quadrati, e negli ordini, e nei filari delle pietre, e dei mattoni non ben
po$ti in piano, nè ben battuti, e con troppa calcina, e che $ia di mala quali-
tà, e mal compo$ta: ovvero nel mal collegamento dei mattoni, e delle pietre,
e dei $ilari in$ieme in cia$cun piano; non $olo nella corteccia, e nella fodera
del muro dalla parte di fuori, ma ancora nel riempimento della parte di dentro,
e nel congiungere il ripieno con e$$a: onde $i fa una muraglia male unita, e non
$oda, e tale, che per $e $te$$a $i può $cro$tare, e facilmente a poco ridur$i in
rovina: imperciocchè la molta calcina, e mal lavorata, e peggio impa$tata,
ra$ciugando$i perde il nervo, e $i converte in terra: benchè la calcina me$co-
lata colla puzzolana non $ia di que$ta natura, onde $i vede nelle muraglie anti-
che di Roma in tal quantità, che agguaglia la gro$$ezza dei mattoni, non $ola-
mente gli lega, ma gli $upera nella durezza. E il buon collegamento delle mu-
ra non con$i$te nella quantità della calcina; poichè la mede$ima nell’unire le
pietre, e i mattoni $a l’u$izio della colla nel congiungere i legnami, e della $al-
datura, per attaccare in$ieme metalli; laonde ba$ta prenderne poca. O gli er-
rori $on collocati nel non procurare, che le pietre, che $i pongono per ornamen-
to, s’inca$trino bene dentro la gro$$ezza del muro: e que$to accade in Siena,
dove per nece$$ità $i conducono pietre di piccola grandezza, per ri$parmio del-
la $pe$a, perchè non $i po$$on condurre $e non per mezzo di carri, o a $chiena
di mulo per la lontananza delle Cave, e per la difficoltà delle $trade; e perchè
tali pietre $i mantengano negl’incro$tamenti delle muraglie, è nece$$ario legarle
con grappe di ferro, onde vi durano, mentre e$$o $i mantiene; ma con-
$umato dalla ruggine, le pietre rimangono $ciolte, e cadono, e una, che ne
rovini, dà occa$ione alla caduta delle altre. Si veggono gli errori non guardan-
do$i, che le parti delle muraglie, e $pezialmente $e gli angoli facciano mala le-
gatura: o le mura nuove $i legano bene colle vecchie, acciocchè $ieno più $ta-
bili: o nell’u$ar poca diligenza, non avvertendo, che l’opera non $i alzi più in
Tale era ancora la volta della Cella Soliare, che dagli Architetti $i $timava
non poter$i imitare, e$$endo di gran $e$to, e piana, $embrando male atta a reg-
gere il pe$o dell’acqua, che vi $i faceva andare ai bi$ogni; onde $u nece$$ario
farle $otto un’armadura, che la regge$$e, fatta di rame, in forma di cammel-
li, come $i legge pre$$o Elia Sparziano nella Vita d’Antonio Caracalla. = Opera Romæ reliquit, Thermas nomini $uo eximias, quarum Cellam Solearem
(alcuni leggono Soliarem) Architecti negant, po$$e ulla imitatione, qua facta
e$t, fieri: nam & ex ære, vel cupro Cameli $uppo$iti e$$e dicuntur, quibus ca-
meratio tota concredita e$t; & tantum e$t $patii, ut id ip$um fieri negent po-
tui$$e docti Mechanici. = Que$ta cella era detta _Soliare_ da’Solii, $iccome il triclinio era detto da’tre
letti di$cubitorj; imperciocchè in e$$a erano collocati i $olii, cioè, una maniera
di $edie fatte di pietra, le quali avevano il piano, dove $i $edeva, a modo di
mezza luna, e così fatto, acciocchè le per$one $i pote$$ero bagnar le parti da ba$-
$o $tando a $edere, come $i può vedere pre$$o Girolamo Mercuriale nel primo Li-
bro dell’Arte Ginna$tica nella pag. X. in una figura datagli da Pietro Ligori:
della quale fa menzione France$co Alberti Fiorentino nel Libro dell’Antichità di
Roma dedicato a Papa Giulio II., favellando delle Terme in que$ta gui$a. =
_Thermæ Antonianæ, quas Ba$tianus Antonius Caracalla incboavit>, & Alexan-_
_der perfecit, adhuc vi$untur $emidirutæ apud Eccle$iam S. Xi$ti, quarum Cel-_
_lam Solearem Architecti negant, po$$e ulla imitatione, qua facta e$t, fieri;_
_nam ex ære, vel cupro (ut ait Spartianus) cameli $uppo$iti e$$e dicuntur,_
_quibus cameratio tota concredita e$t; & tantum e$t $patii, ut id ip$um fieri_
_negent potui$$e docti mechanici, ut adhuc vi$untur ingentes ruinæ cum altis_
_parietibus, & $emi$epultis columnis._ Ma nel fabbricar le volte $i erra talora u$ando la materia troppo grave, la
quale di $overchio affatica i fianchi, talchè appena po$$on re$i$tere allo $pingi-
mento, ed al gravitar loro; e però gli Antichi le fecero di pietre leggiere di po-
mici, di cannoni, di va$i di terra cotta, come, vettine, coppi, ovvero orci, e
$imili, di tufo leggiero: (e quando fo$$e po$$ibile, $i potrebbero fabbricare di
mattoni di Mar$ilia, Città della Francia, e di Pitane Città dell’A$ia, i quali $i
formavano di creta pomicio$a, e tanto leggiera, che $tava a galla $opra l’acqua,
LA natura, che è la Mae$tra dell’Arte, nelle opere $ue non è mai di$etto-
$a, nè $uper$lua. Così l’Arte imitatrice $ua non dee troppo abbondare,
nè troppo e$$er manchevole. Nella $te$$a gui$a l’Architettura, la quale imita
la Natura, nelle fabbriche non dee trapa$$are la nece$$ità, nè la$ciare di far
tutto quello, che è nece$$ario. E però nel $abbricare alcuna volta accadono gli
errori nel difetto delle co$e nece$$arie, e nella $uper$luità di quelle, che non $i
richiedono. E gli errori nel mancamento $ono di più maniere; poichè o $ono
nel difetto della gro$$ezza debita delle muraglie, o dello $pazio proporzionato de’
luoghi, $econdo la lunghezza, e $econdo l’altezza: o nel mancamento di quel-
le parti, che rinforzano, e a$$icurano, i fondamenti: o nel di$etto de’lumi, i
qualimancando, $on cagione, cheiluoghi delle fabbriche $i po$$ono male u$are, st
per la malinconìa, che apportano, sì ancora perchè l’aria non vi $i muta, nè
vi tra$pira: ovvero nel di$etto d’alcune membra nece$$arie, come d’architravi, d’
archi, di fregj, di cornici, di corone, cioè, di gocciolatoj, e di quelle, le
quali avrebbero a e$$ere il $o$tegno della $abbrica, e di quelle altre, che deb-
bono e$$ere il compimento, e il termine; e altre, per le quali l’acqua piova-
na tutta $e ne $coli al ba$$o, acciocchè l’edi$izio non $ia o$$e$o dall’umido $o-
verchio: o con$i$tono nel difetto delle ba$i. Benchè alcune volte volontaria-
mente, e $enza errore non $ieno $tate u$ate le ba$i delle colonne, per u$cir del-
lo $tile ordinario, e per mo$trare, che la fabbrica na$ca $opra il terreno, co-
me fanno gli Alberi. Il che fece $aviamente quell’Architetto, il quale nel di$egno
del Teatro di Marcello, che oggi è detto Monte Savello; e quell’altro, che
nella fronte, e nel portico, che gira intorno al Tempio della Pietà, che anti-
camente fu il carcere pubblico, il quale aggiun$e al Tempio nella fronte il
portico con $ei colonne, da Vitruvio detto _E$a$tico_; e perchè girava intorno
alla Cella, congiungendo$i col portico de’fianchi, portico, che $i direbbe, $e-
condo Vitruvio, _ampbipro$tilos_, ovvero _anfipro$tilo e$a$tico_, $i veggono le co-
lonne $enza ba$i, e $i mo$trano come $orgenti dalla terra, $iccome $ono le co-
Cen$or maxime, principumque princeps,
Cui tot jam tibi debeat triumphos,
Tot na$centia Templa, tot renata,
Tot $pectacula, tot Deos, tot Urbes.
Plus debet tibi Roma, (quod pudica e$t.) Ma que$to co$tume di non porre le ba$i alle colonne, $iccome $i vede, è $tato
$olamente u$ato nell’Ordine Dorico, a cui par conveniente, a motivo della $odez-
za, e della purità $ua; onde crederei, che fo$$e errore l’adattarle ad altro Ordi-
ne. O $on collocati nel difetto de’po$amenti convenevoli, e proporzionati al pe-
$o, che hanno a reggere, cioè, quando $ono $car$i di gro$$ezza ne’fondamenti,
e per poco avvedimento di chi a$$i$te alla muraglia, o di chi opera per ava-
rizia di chi $pende, o per l’abbreviamento del fabbricare. Così ancora, quan-
do le parti vicine ai fondamenti $on troppo $ottili, onde non $on proporzio-
nate al pe$o delle muraglie: e allora $i fa maggior errore, quando $opr’e$$e $i
leva troppo in alto la fabbrica; che bene $pe$$o minacciano rovina, ond’è nece$-
$ario, o rifonder le muraglie, o appoggiarvi barbacani, e $peroni, dove non
ba$tano le catene. O finalmente appari$cono manife$tamente gli errori, quando
$i fanno le fabbriche $enza fondamenti, $iccome $i vede una Torre in Siena nel
terzo di Camolia $otto le Cappuccine, detta Torre del Pulcino, della quale fa
menzione Leon Batti$ta Alberti. Pel contrario gli errori, che $on po$ti nella $u-
perfluità, o appartengono all’aggiungimento del numero delle membra non ne-
ce$$arie, e agli adornamenti po$ticci, od al moltiplicare i luoghi, e i vani,
quando non bi$ogna, e più di quello, che $i richiede; o finalmente apparten-
gono alle gro$$ezze de’muri, abbondando oltre il bi$ogno. Ma ne’muramenti,
$eppur $i concede l’errore, meglio $arà permettere, che $i erri nell’eccedere del-
le gro$$ezze, che nel di$etto: che quando le gro$$ezze $ieno $overchie, è facil
co$a lo $cemarle, quando $ia bi$ogno; e nella maggior gro$$ezza $i fa miglior
ba$e, e più $tabile fondamento: ma quando $on troppo manchevoli, è difficil
co$a l’ingro$$arle, e $eppure s’ingro$$ano, mal $i collegano. L’ecce$$o delle mem-
bra allora $uccede, quando $i fanno alcune membra per ornamento, le quali non
$ono di frutto alcuno, poichè $enz’e$$e po$$ono ornatamente, e comodamente $ta-
re, come ne’compartimenti delle abitazioni $i fanno alcuni luoghi d’avanzo,
o $i multiplicano le $cale, quando ba$ta una $ola, e quando al più $e ne fanno
due: ed in $omma, quando al numero determinato, e conveniente s’aggiungono
altre membra, che non hanno fine alcuno. Come, quando per ornamento d’
alcuno Altare, o delle parti, o d’alcuna fine$tra, $i face$$ero ri$altare i piede$tal-
li, le colonne, e le cornici, e $opra la giunta dalle bande $i colloca$$>e il fronte$pi-
zio po$ato $opra men$ole, onde il detto ri$altamento non $ervi$$e a reggere alcu-
na co$a, come dimo$trano gli appre$$o e$empj. LA mutazione dell’ ordine delle parti, e delle membra loro è uno errore di
molta importanza; poichè dove non $i o$$erva ordine, quivi è confu$ione,
e dove è confu$ione, ivi è deformità, ed ove que$ta $i vede, non regna per-
fezione alcuna. E però cia$cuno Architetto nei di$egni, nei modelli, negl’ inta-
gli delle pietre, dee con ogni accorgimento procurare, che non $i muti l’ ordine
delle membra, delle parti delle fabbriche, e degli ornamenti loro, per non e$-
$er occa$ione, che le forme loro rie$cano confu$e, e deformi; poichè ciò non
facendo, permetterebbe, che non procede$$ero da buona ragione d’ Architettura,
nè più degno ei $arebbe del nome d’Architetto. Ma affinchè $i manife$ti la condizione di que$ti errori, che a gui$a d’Idra,
$ono un mo$tro di più capi, primieramente diremo, il primo dei $uoi Capi
e$$er quello, che con$i$te nel collocamento de’corpi, cioè, quando i minori $i
$ottopongono ai maggiori, e i rotondi ai quadrati. Imperciocchè il collocare
i corpi minori $otto ai maggiori, non $olo è contro all’Arte, ma eziandio con-
tro la Natura, come $i vede negli alberi, dove la parte del tronco vicina alle
radici è $empre più gro$$a, e quella, che $egue appre$$o, va minorando fino alla
cima, vale a dire, è più $ottile, poichè quanto più s’inalza, tanto più s’a$$ot-
tiglia. E a imitazione di que$to (imperciocchè anche le fabbriche $on dette
na$centi) per regola d’Architettura $empre le parti, che più s’acco$tano alla
$uperficie del terreno, e al fondamento, tanto più debbono e$$ere di maggior
gro$$ezza; ma però $econdo la regola della proporzione; e quelle, che più $i di-
$co$tano, e a$cendono, avvicinando$i alla cima, più $i debbono diminuire, sì
per cagione di non accre$cere il pe$o, e di non po$are i corpi $uperiori in fal$o,
sì ancora per cagione della grazia dell’opera. Si avverta però la diminuzione, che
si fa $oltanto nelle gro$$ezze; poichè nelle altezze, piutto$to $i accre$ce proporzio-
nevolmente la mi$ura, per cagione della lontananza, come altrove $i è accennato. Per la $te$$a ragione il $econdo capo appari$ce, quando i corpi rotondi $i pon-
gono $otto ai quadrati, come nei primi ordini di qualche ornamento, po-
nendo$i le colonne tonde, e nei $econdi le quadrate. Ma $i potrebbe for$e
dire, ciò non e$$ere errore; poichè i corpi tondi non avendo angolo alcu-
no, $ono più forti, e più atti a re$i$tere al pe$o, come $i ritrae da Vitruvio,
il quale in ciò preferi$ce le torri tonde delle mura delle Città alle poligone,
cioè, di molti angoli. Ciò è vero in quanto alle torri; ma non $i può adat-
tare ai corpi, che ordinatamente $i pongono l’un $opra l’altro, perchè non con-
vengono nella mede$ima ragione; concio$$iachè le torri $ieno e$po$te a far te$ta
alle offe$e, che vengono loro incontro; dove que$ti corpi $i fanno re$i$tenza fra
loro, cioè, quelli, che $ono $otto, re$i$tono alla gravitazione di quelli, che $tan-
no lor $opra. Anzi per diver$o fine $i antepongono le torri tonde alle angolari,
dal fine dei corpi tondi po$ti $otto ai quadrati: que$ti debbon fare buon fonda-
mento ai corpi, che vi $i po$ano $opra; e quelli dovevano far valida re$i$ten
za all’ urto degli arieti, e ora alle perco$$e delle Artiglierie, benchè $i ricu$ino
dalla moderna ragione di fortificazione, diver$a dall’antica, a motivo della mi-
lizia diver$a, e della nuova maniera delle armi offen$ive. E però all’ obiezione $i
ri$ponde, che i corpi rotondi, gli angolari, e i quadrati, $i po$$ono con$iderare
in due modi, cioè, o in quanto i quadrati $i traggono dai rotondi, come il con-
tenuto dal continente, e l’effetto dalla cagione, $iccome $i ritrae dalla propo$izio-
ne XV. del 13. e dalla XXI. del 14. Libro d’Euclide: o in quanto i tondi $i ca-
vano dai quadrati, per mezzo del taglio $cambievole delle linee diagonali, come
dal continente loro. Nel primo modo i corpi tondi $i dovrebbero porre $otto ai quadrati, $econdo la
precedenza dell’ origine, che nella ragione del fabbricare non $i $tima: poichè $e
Barbara pyramidum $ileat miracula Memphis,
A$$iduus jactet nec Babylona labor. Nec Triviæ Templo molles laudentur honores,
Di$$imuletque Deum cornibus ara frequens. Aere nec vacuo pendentia Mau$olea
Laudibus immodicis Cares in a$tra ferant. Omnis Cæ$areo cedat labor Amphiteatro:
Unum pro cunctis Fama loquatur opus. Hic, ubi $ydereus propius videt a$tra colo$$us,
Et cre$cunt media pægmata cel$a via,
Invidio$a feri radiabant atria Regis,
Unaque jam tota $tabat in Urbe domus. Hic, ubi con$picui venerabilis ampbitbeatri
Erigitur moles, $tagna Neronis erant. Hic, ubi miramur velocia munera tbermas,
Ab$tulerat mi$eris tecta $uperbus ager. Claudia diffu$as ubi porticus explicat umbras,
Ultima pars aulæ deficientis erat. Reddita Roma $ibi e$t, & $unt te præ$ide, Cæ$ar,
Delitiæ populi, quæ fuerant domini. Nell’ordine più alto $i veggiono le colonne quadre, che $econdo l’ opinione co-
mune $ono d’ Ordine Compo$ito, e$$endo tutte le altre tonde, e rilevate in fuo-
ri per la metà della gro$$ezza loro, o per due terzi, o per un terzo. Le quali
colonne piutto$to $ono Attiche, od _Atticurghe,_ che Compo$ite; imperciocchè
da Plinio $on dette _Atticurghe,_ $iccome $i vede nella $ua naturale I$toria nel
Lib. 36. Cap. 23., dove $i afferma, e$$er collocate nella cima dell’Anfiteatro di
Ve$pa$iano. = Atticurges e$$e cen$entur, quæ $unt in $ummo Titi Ve$pa$iani Ampbiteatro,
Ma le colonne $uddette per due ragioni $ono $tate fatte quadre; per la pri-
ma, poichè $ono Atticurghe, e non Compo$ite, le quali, benchè nell’ aggetto,
o rilievo loro non $ieno perfettamente quadre, come $i richiede a tale opera;
nondimeno $ono una quarta parte, o una terza, poichè così bi$ognava farle,
affinchè po$a$$ero $ul vivo. Per la $econda, poichè tali colonne $on cavate dalla gro$$ezza delle colonne
inferiori, le quali $on tonde; e perciocchè rappre$entano le contra-colonne, che
$i pongono dopo le colonne tonde, pre$upponendo, che quelle, che $ono a ba$-
$o, $ieno $ciolte, e dopo loro $ien collocate le colonne quadre, alle quali cor-
ri$pondono le colonne quadre dell’ultimo Ordine. Il terzo capo $arà il formare
gli ornamenti delle fabbriche, mutando talora i luoghi, e gli Ordini dell’Ar-
chitettura, collocando prima l’Ordine Compo$ito, di poi l’Jonico; o prima il
Corintio, e di poi il Dorico, il che è un errore, che toglie la bellezza, e l’ar-
monia degli edifizj: imperciocchè gli Ordini fra loro $i corri$pondono con una
certa proporzione armonica $e$quialtera, come $i vede e$pre$$amente nelle colon-
ne; concioffiachè la colonna To$cana contenga $ei gro$$ezze, la Dorica $ette,
la Jonica otto, la Corintia nove, la Compo$ita dieci: e nei piedi$talli $i trova
la proporzione dupla, la $esquialtera, e la biparziente due terzi. Che nel piedi-
$tallo To$cano è la proporzione d’un quadrato; nel Dorico la $e$quialtera prefa
dall’ aumento del quadrato tratto dal movimento del diametro; nell’Jonico è la
proporzione dupla, poichè vi è il quadrato, che è il doppio della giunta, che è
la metà di e$$o; e ri$petto al To$cano vi è la proporzione $e$quialtera, che è
un quadrato, e la metà più: nel Corintio è la biparziente i due terzi; poichè,
oltre al quadrato, vi $ono i due terzi del quadrato: nel Compo$ito finalmente
$i trova la proporzione dupla, poichè contiene due quadrati. Il quarto capo $i
vede, quando $i pongono le membra fuori del luogo loro, di$tribuendo con-
fu$amente i loro ufizj. Errore veramente notabile, il quale dà chiari$$imo in-
dizio di mancamento d’intelligenza, e di giudizio, come, quando $i pone l’ar-
chitrave in vece del fregio, e il fregio in luogo dell’architrave, ed altro mem-
bro in luogo d’ambedue. Ma $i riguardi, che non è errore, quando $i pone la
cornice $opra l’architrave, purchè ne $ia cagione il $ito; e allora $i potrà for$e
dire, che l’architrave faccia u$izio d’Architrave, e di fregio. Il quinto capo è
un licenzio$o, e barbaro errore, come negli ornamenti delle porte il collocare
pure quadrature di pietre $opra le colonne, in luogo d’architrave, e di fregio:
e adattare le gocciole u$ate nell’ Ordine Dorico, $ott’ e$$e, e $opra il capitello
delle colonne, in vece di collocarle $otto il regolo dell’ architrave, e $otto i tri-
glifi, e far l’arco di tutto $e$to, ma finto, nel luogo del fregio, e dell’ Archi-
trave, e coll’impo$ta nel vivo, e nel piombo delle colonne, in vece di farla
$opra il $odo dell’Ante, e degli Stipiti della porta, la quale col fuo vano è ter-
minata da un arco, che non è, nè tondo, nè ovato, nè piano; ed oltre al fare
un fronte$pizio rotto, o un fronte$pizio $opra l’altro, che è un peccato di $pro-
porzionata $uperfluità, terminando con un gocciolatojo po$to $opra la cima$a
della cornice, oitre al non e$$er formato a perpendicolo, $econdo una certa,
benchè fal$a, opinione, che $ia così $tato u$ato dagli Antichi, la quale proce-
de dal non intendere la pro$pettiva. Il detto gocciolatojo è $uperfluo, e$$endo-
vi il gocciolatojo della cornice, il quale è a ba$tanza. E tutti que$ti errori,
per non parlare degli altri, che $on degni di con$iderazione, da cia$cuno $i po-
tranno vedere, che $ia intendente, giudizio$o, e non troppo affezionato alla co-
mune opinione, e che o$$ervi in Roma gli ornamenti della Porta Pia fatta fare
da Pio IV. Il $efto capo, ed è for$e il peggiore, $i è il porre i vani $otto il pe$o
dei corpi gravi, far ri$altare in fuori le membra $opra le linee a piombo, in ve-
ce di collocarvi $otto modiglioni, o men$ole, o cornici, o colonne, o pila$tri,
o altro, che po$$a $o$tentare il pe$o. Il che non conviene all’opere di pietra, ma
piutto$to a quelle di legname, o di $tucco. Il $ettimo, e ultimo capo è il rom-
pere le cornici, i capitelli, e l’altre membra, $enza me$colare l’Ordine con l’ope-
SIccome il fine della Scienza della Medicina è il ricovramento della $anità
dei corpi infermi, e il con$ervamento della $anità riacqui$tata; così il fine
dell’ Architettura $ono le fabbriche, le quali $i fanno a benefizio umano, e il
con$ervamento di e$$e, acciocchè fatte perpetue po$$ano $empre u$ar$i dagli uo-
mini, o per la pietà, o per la dife$a delle vite loro. E però al buono Archi-
tetto non ba$ta l’aver fatto a perfezione i di$egni, e i modelli delle fabbriche
di qual$ivoglia ragione, ed aver procurato con grandi$$ima diligenza, che $ieno
condotte al fine loro, $enza errori, ma è nece$$ario, fatta qualunque opera,
porre grandi$$ima cura nel con$ervamento di e$$a, tenendo lontani tutti quelli
accidenti, e tutti quelli errori, che po$$on e$$er cagione di gua$tamento, e di rovina.
Che, $iccome l’Architetto eterno del maggiore, e del minor Mondo, to$to che formò
l’uno, e l’altro, e to$to che produ$$e qual$ivoglia co$a, non l’abbandonò, ma $em-
pre le fu a$$i$tente, la dife$e, e la con$ervò, $iccome ancora continuamente co$tuma
di fare: così l’Architetto temporale non dee, to$to che è finito qualunque edi-
fizio, abbandonarlo, ma bi$ogna, che gli $tia intorno con diligente cura, per
con$ervarlo, Ciò molto bene intendendo gli Antichi Romani, che furono $em-
pre la norma del viver politico a tutte le Nazioni del Mondo, avevano, come
già $i è detto, i Redentori, l’ufizio dei quali era d’approvare tutte le opere dei
fabbricatori, $iccome $i comprende dalle I$crizioni Antiche, e $pezialmente dal-
le appre$$o e$po$te, tratte dalle memorie Antiche del $oprallodato Cittadini. L. NVMISTRONIVS. L. F. DECIAN. C. LVCIVS. M. F. M. FVNTIVS. L. F. MESS. AEDILES. PORTAS. TVRREIS. MVRVM. EX. S. C. FACIVND. CVRARVNT. IDEMQ. PROBARVNT. L. FABRICIVS. C. F. CVR. VIAR. FACIVNDVM. CVRAVIT. IDEMQ. PROBAVIT. L’altro era l’ufizio dei Curatori, come quello, che teneva cura delle ripe,
e del letto del Tevere, che erano murate. Que$ti Curatori o$$ervavano conti-
nuamente, $e nelle ripe vi era bi$ogno alcuno di ri$toramento, e avevano cu-
ra, che il fiume $te$$e netto, per cagione delle inondazioni, come $i vede nel-
le I$crizioni antiche, e particolarmente in que$te. EX. AVTORITATE. IMP. CAES. VESPASIANI. AVG. P. M. TIB. POT. Ben provvide Natura al no$tro $tato,
Quando dell’ Alpi $chermo
Po$e fra noi, e la Tede$ca rabbia.
Ma for$e non è piaciuto a Dio, che all’Italia $ia $ucceduta cotanta ventura. La
qual co$a è $tata poi imitata con traver$amento di muraglia da’popoli della China
nei confini dei loro Stati, per chiudere il pa$$o alle incur$ioni $traniere. E $icco-
me racconta il $opraddetto Alberti nel X. Libro dell’ Architettura nel mede$imo
Capitolo, Arta$er$e fra $e, e il nemico fece una fo$$a larga $e$$anta piedi pre$$o
all’Eufrate, e lunga diecimila pa$$i. E i Ce$ari, fra i quali fu Adriano, fecero
un muro per l’ Inghilterra lungo ottantaquattro miglia, col quale divi$ero i cam-
pi dei Barbari da quelli dei Romani. Antonino Pio fabbricò nell’ I$ola mede$ima
un muro di piote, cioè di zolle di terra. Severo dipoi a traver$o dell’I$ola da
un capo all’altro fino al mare fece un argine di centoventiduemila pa$$i. Appre$-
$o la Margiana Provincia dell’India, Antioco Sotero, dove edificò Antiochia,
cin$e la provincia intorno d’un muro lungo quindicimila $tadj: e Se$o$tri lungo
l’Egitto ver$o l’Arabia, fece un muro da Pelu$io $ino alla Città del Sole. O fi-
nalmente il $ito $ia paludo$o, vicino a $tagni, a lagune, e acque ferme, putri-
de, ed immonde, e a luoghi minerali. Negli edificj pubblici talvolta $i veggono
errori di grandi$$ima con$iderazione, come quando $i fabbricano Porti non molto
capaci, nè $icuri dai venti, non forti, fatti di mala $truttura, mal fondati, faci-
li a riempir$i di rena, di terra, o d’immondezze, $iccome $ono i Porti di Na-
poli, e d’Ancona, i quali, quando vi $i u$a$$e diligenza in vuotargli, e ri$tau-
rargli, $arebbero migliori, e più capaci; in uno d’e$$i, cioè in quel d’Ancona
e$$endovi naturalmente il difetto del Monte di San Ciriaco, che gli $ta a cavalie-
re, ed acqui$tando maggior luogo. Ma quello di Napoli $i renderebbe migliore,
qualora gli $i cambia$$e il Sito. Così ancora quando un Ponte ave$$e poco fon-
do, o non riu$ci$$e comodo alla Città, pre$$o la quale fo$$e collocato: o quando
$i face$$e non i$cegliendo$i comodo luogo alle $trade, e quando il letto del fiume
e le $ponde, non hanno $aldezza alcuna, $icchè non $i po$$an difendere dallo
$calzamento fatto dalle acque correnti, dal calcamento cagionato dal pe$o, mo-
vendo$i il terreno inumidito, il quale forza la muraglia po$tagli $opra ad accom-
IIII
. IMP.
X
>. P. P.
COS.
CALPETANVS. RANTIVS. QVIRINALIS.
VALERIVS. CESTIVS.
CVRATOR. RIPARVM. ET.
ALVEI. TIBERIS. TERMIN.
R. R. PROX. CIPP. P. CLXXIIII.
D.D. N.N PROVIDENTISSIMI. IMPP.
DIOCLETIANVS. ET. MAXIMIANVS.
INVICTI. AVGVSTI. RIPAM. PER. SERIEM.
TEMPORVM. CONLAPSAM. AD. PRISTINVM.
STATVM. RESTITVERVNT. PER. PEES. C. X.
CVRANTE. MANLIO. ACILIO. BALBO.
SABINO. V.C. CVRAT. ALVEI. TIBERIS.
RIPARVM. ET. CLOACARVM. SACRAE. VRBIS.
C. MARCIVS L. F. CENSORINVS.
C. ASINIVS. C. F. GALLVS. COS.
EX. S. C. TERMIN. R. R. PROX. CIPP. P. XX.
CVRATORES. RIPARVM. QVI PRIMI. TERMINA- VER. EX. S. C. RESTITVERVNT.
EX. AVCTORITATE.
IMP. CAESARIS. DIVI.
NERVAE. FIL. NERVAE.
TRAIANI. AVG. GERMANICI. PONT.
MAX. TRIB. POTEST.
TITVS. IVLIVS. FEROX. CVRATOR. ALVEI.
ET. RIPARVM. TIBERIS. ET. CLOACAR.
VRBIS. TERMINAVIT. RIPAM.
R. R. AD. PROX. CIPP. P. LIII.
Que$to provvedimento fu $empre appre$$o gli Antichi di molta utilità, poichè per mezzo di e$$o $i facevano le fabbriche di grandi$$ima per$ezione, $iccome $i co- no$ce nelle reliquie degli edificj antichi, che $i $ono con$ervate fino al tempo no- $tro, e trapa$$eranno for$e anche più oltre. Il qual ordine, per mio avvi$o, dovrebbe e$$ere imitato dai moderni, e $pecialmente dai Principi, i quali po- trebbero tenere gli Architetti non $olo mentre dura la fabbrica, e avanti che $i fabbrichi, ma ancora dopo che la fabbrica è finita, non facendo, come $i $uol fare, cioè, $ervendo$ene mentre $i mura, o avanti che $i dia principio a mu- rare, e finito il muramento, licenziar l’Architetto. Imperciocchè è co$a non $olamente utile, ma anche nece$$aria, che gli Architetti a$$i$tano con grandi$- $ima diligenza intorno ai Templi, ai Palazzi, alle Fortezze, alle Città, per cagione dei varj errori, e accidenti, che po$$ono accadere, ed o$$ervino conti- nuamente i bi$ogni dei ri$toramenti, o dei ripari, affinchè con poca $pe$a $i tolga ogni pericolo di rovina, e che non s’abbia con grandi$$imo danno, e con trava- glio a ridur$i alla molta $pe$a, $iccome $i ricerca a chiunque è $olito di gover- nar$i nelle co$e $ue con buono accorgimento, e con molta prudenza. Nè ciò $i dee riputar co$a vana; imperciocchè non $ono di minore importanza gli errori, che accadono finite le fabbriche, di quelli che $i commettono avanti al fabbri- care, e mentre $i fabbrica: poichè, $e quelli ri$guardano alla perfezione dell’ opera, que$ti hanno riguardo al mantenimento, alla perpetui tà, e all’ u$o di e$- $a; poichè quando per qualche difetto le Fabbriche non $i po$$ono u$are, elle $ono del tutto vane, e$$endo prive del fine loro. Ma quando per qualche erro- re elle non $ono durevoli, $i perde l’u$o, e la $pe$a. Onde altri è forzato a tor- nare a $pendere di nuovo, o per ri$torare, o per fortificare le muraglie, o per riedificare dai fondamenti. Il che è grandi$$imo danno, e travaglio d’animo in- $opportabile. Acciocchè adunque gli Architetti, e i padroni delle fabbriche $i po$$ano guardare da tali errori, in que$ta Terza, e ultima Parte c’ingegneremo di dar loro a cono$cere i mede$imi con quella brevità, e con quella chiarezza, che ci $arà po$$ibile.
IL fine di tutti gli edificj $ono i coprimenti, e però gli errori, che $i fanno in
e$$i, $ono errori nel fine, che non $ono di minore importanza di quelli
comme$$i nel principio: concio$$iachè $ono nell’ ultima perfezione di qual$ivoglia
muraglia; poichè non $i può mai giudicare perfetta l’opera, benchè condotta
alla debita altezza, e$$endo adornata in fronte, ne’fianchi, e nelle $palle, di
tutti quelli abbellimenti, che $e le richieggono, non avendo il convenevole cuo-
primento: nè que$to può $igillare, e concludere tutta la perfezione della fabbri-
ca, quando ella ha qualche difetto, il quale non $olo cagioni deformità nell’
opera, ma le $ia di grandi$$imo danno; poichè il buon coprimento è cagione,
che ogni edificio $i con$ervi perpetuamente, dove per lo contrario il cattivo è
cagione di certi$$ima rovina: imperciocchè le male coperture non difendono be-
ne le muraglie la$ciandole in parte $coperte, onde $i putrefanno le materie, $i
pelano le mura, s’aprono le facciate, e tutta la muraglia a poco a poco rovina. Ma
le buone coperture fortificano i fondamenti, e mantengono le mura in piedi.
E que$te $on quelle, che non hanno difetto alcuno, e le ree $on quelle, che
$on piene di molti difetti, nati dagli errori degli Artefici, e degli Architetti,
dei quali intendiamo ragionare in que$to Capitolo. Ma prima di darvi principio,
bi$ogna e$aminar le $pecie dei cuoprimenti, e quindi le materie di e$$i, e dimo-
$trare in ciò, che con$i$tano gli errori, che appartengono a loro. Adunque pri-
ma di tutto diciamo, che dei cuoprimenti alcuni $ono al coperto, altri allo $co-
perto. Quei, che $ono allo $coperto, $on quelli, $opra i quali, per lo più, non
$i può camminare, e $ono e$po$te alle pioggie, alle nevi, alle grandini, ai diac-
ciati, e all’ardore del Sole. Quando que$ti cuoprimenti $i fanno $olamente per
Quando la $pe$a non fo$$e troppo grave, meglio $arebbe il fare i cuoprimen-
ti con tegole di bronzo, le quali farebbero re$i$tenza a tutte le ingiurie del
tempo, benchè $ottopo$te alquanto alla ruggine, che finalmente le con$ume-
rebbe, $ebbene quelle, che $ono $opra i Templi u$ati di Roma, durino ancor
$enza aver ricevuto molto detrimento; al che $i potrebbe rimediare, $tagnan-
dole, ovvero, $econdo il co$tume antico, indorandole; e quando pur ciò non
$i face$$e, ci ba$terebbe, che fu$$ero di più lunga durata di tutte l’altre. Di
que$ta maniera di tegole erano quelle dei Templi antichi, e $pecialmente quel-
le del Tempio di Giove Capitolino, dove erano le to>gole di bronzo indorate,
con le quali poi per ordine di Papa Florio ($iccome racconta Bernardo Ga-
mucci nel primo Libro dell’Antichità di Roma) fu ricoperta la Chie$a di San
Pietro, le quali in diver$i tempi $ono $tate levate con occa$ione della nuova
fabbrica di detta Chie$a. Ma $e prendiamo lamine di piombo, che $i u$ano
ancor oggi, come in Siena nel tetto della Cattedrale, le quali non $ono tanto
durevoli, quanto quelle di bronzo, o di rame, per cagione della ceru$$a, che
vi s’impone, e le con$uma; e per la molta impo$itura di e$$a $i fanno più
gravi. Finalmente potremmo errare, o facendole troppo $ottili, per moderar la
$pe$a, perchè in tal modo $on più durevoli; poichè si logorano pre$to, e si
$ollevano dai venti: o conficcandole male $opra il tavolato del cuoprimento,
mentre quando $ono mal confitte, $ono $ollevate dai venti; onde il cuopri-
mento re$ta in parte $coperto, e vi penetra l’acqua delle piogge, la quale in
breve $pazio di tempo infracida i legnami. Ma i cuoprimenti, che non $olo
PErchè altri po$$a ricever piena cognizione degli errori, che $ogliono accade- re nella poca cura delle fabriche fatte, $i dee notare prima il fine, nel qua- le $i u$a fare o$$ervazione intorno ad e$$e, e di poi con$iderare le maniere del- le o$$ervazioni, e quindi trattare degli errori, che na$cono mentre $i o$$ervano.
Il fine, al quale $i riguarda nella o$$ervazione degli edificj fabbricati, è di due
ragioni: l’una $i è l’imparare dal buono e$empio col mezzo della imitazione,
il che allora $i con$egui$ce, quando $i o$$ervano le fabbriche fatte con buona re-
gola d’Architettura, dove non $ia difetto alcuno, nè di mi$ure, nè di propor-
zioni, nè di conformità, nè di corri$pondenza delle parti, e dove non $i de$i-
deri alcuna co$a. Dalla con$iderazione delle quali s’impara il modo di ben fab-
bricare. Come accade nello $tudio delle fabbriche antiche di Roma, e d’altri luoghi d’
Italia: poichè que$te $ono il vero, e il principal Libro della buona pratica dell’ Archi-
tettura. Così anche $i può fare, o$$ervando le fabbriche moderne ben fatte;
e finalmente o$$ervando imparare dall’ e$empio delle opere mal fatte, avverten-
do gli errori, e i difetti, per e$$erne bene informati, affinchè altri gli po$$a age-
volmente $chivare. E l’altra $i è il con$ervamento delle opere fatte; impercioc-
chè o$$ervando$i con diligenza, $i cono$ce ovunque accada qualche accidente,
al quale non rimediando$i, po$$a e$$er cagione, che le opere $i di$pongano a ma-
nife$ta rovina. E però gli errori, che accadono nell’ o$$ervazione di e$$e, $ono
di molta importanza: concio$$iachè dalla mala o$$ervazione na$ca la poca cura,
e il non cono$cere il bi$ogno pre$entaneo di riparo, per ovviare a maggiore ac-
cidente di rovina, e ri$parmiare la molta $pe$a. E que$ti accidenti $i cono$co-
no per la diligente o$$ervazione, che $i adopera intorno alle fabbriche finite,
e u$ate. La quale mancando, non $i cono$ce il bi$ogno delle muraglie; e que-
$to non cono$ciuto, le mede$ime rimangono in preda d’ ogni pe$$imo accidente
di rovina. E que$ta o$$ervazione $i dee fare, o circa le parti e$teriori, o intor-
no alle interiori. Intorno alle parti e$teriori, cioè, nelle parti vicine ai fon-
damenti, in quelle della cima, e in quelle di mezzo. Onde gli errori, o $i
fanno non avvertendo bene le parti vicine alla terra, quando $i marci$cono
dall’acqua, che cade dalle gronde dei tetti, o dai condotti, o dai canali, la
quale cadendovi muore, non avendo e$ito alcuno, e non potendo $corre-
E quando non $i guarda molto bene, $e lungo i fondamenti vi pa$$a l’acqua corrente
di fo$$o, o di gora, o di fiume; allora $i commette gravi$$imo errore non ricorren-
do ai pronti, e convenienti ripari di $teccate, d’argini, e di rifondamenti;
poichè l’acqua, che corre continuo, rode il fondamento. Ma quegli errori, che
accadono nelle parti eminenti, allora $i veggiono $cuoprire, quando non $i vol-
ge l’occhio ai difetti dei travamenti, dei tetti, delle cornici, e di tutti i fini-
menti delle muraglie: come, quando non $i con$iderano perfettamente i legna-
mi, $e hanno patito umidità, $e $on cavati da tarli, o da altri animali, $e $on
cotti dal Sole, o $e hanno alcuna rottura notabile, e pericolo$a: e quando altri
$e la pa$$a$$e, $enza con$iderare con molto accorgimento le cornici, non riguar-
dando, $e $i $piccano dal muro, $e pendono, $e hanno le parti $mo$$e: e final-
mente, quando non $i avverte, $e la parte $uperiore della muraglia e$ce del
piombo del $uo po$amento, il che è $egno, che ella non può far re$i$tenza,
nè $palla alla forza dello $pigner delle volte, degli archi, e delle travi armate.
ICondotti delle acque $i fanno $pe$$e volte nelle gro$$ezze delle muraglie, co- minciandogli dalle parti più alte, e conducendogli nelle più ba$$e pre$$o ai fondamenti, per potergli indi derivare nella con$erva loro. Onde allora $i fa grave, e pericolo$o errore, quando altri non $i guarda d’acco$targli alle inte$ta- ture delle travi, alle radici dei fondamenti, alle volte delle cantine, e dei cel- lieri, e alle $tanze, ove $i abita, o alle fronti, e ai fianchi delle Cappelle, ed’ altri luoghi delle Chie$e. Imperciocchè, quantunque $ieno ben murati, nondi- meno l’umidità vi penetra a parte a parte, ed infracida le muraglie, e le tra- vi, che vi $on po$te, e le volte delle $tanze, e le facce delle mura: di manie- ra che, oltre al pericolo evidenti$$imo di rovinare, $i rendono mal $ane ad abi- tarvi, e nelle facciate delle ca$e, o delle Chie$e non $i può collocare ornamen- to alcuno, o di pietra, o di $tucco, o di legname, o di pittura, che non $i gua- $ti, nè vi $i può collocare alcuna co$a, che non marci$ca. E $e altri non $i guarda d’avvicinare i condotti dell’acque ai fondamenti, to$to avviene, che $i accorga di qualche $egno d’irrimediabile rovina. Il mede$imo errore accade nel fare le fogne, o cloache, ed altri luoghi cavati $otto terra: imperciocchè, $e $i fanno accanto, o $otto i fondamenti, i mede$imi o vengono deboli, o $i mar- ci$cono, o $i $calzano, $correndovi continuamente l’acqua; e tirando $eco l’im- mondezze, alcune volte $i fa tale impo$ta, che trattiene ogni umidità, che è un perpetuo danno delle muraglie. Per lo contrario ciò, che $i è detto dei condotti delle acque, $i può dire ancora dei cammini; poichè e$$i parimente $ono una $pecie di condotti, cioè, del fumo, il quale procede dal fuoco: imperciocchè, qu ando nelle abitazioni già finite, o nelle vecchie, $i debbono fare nuovi cami- ni, talora $i erra, quando altri non procura di collocargli più lontani, che $ia po$- $ibile, dalle travi, il che non facendo$i non po$$iamo a$$icurare i ca$amenti dagl’ incendj.
GLi errori dei cavamenti allora $i fanno, quando alcuna volta si cavano
cantine, o ci$terne, o pozzi, o vie $otterranee appre$$o ai fondamenti di
qualunque fabbrica: imperciocchè, o s’indeboli$ce il po$amento delle muraglie,
cavando $overchiamente il terreno attorno ad e$$e, o cavandolo $otto, riman-
gono in aria, $iccome accadeva anticamente, quando per $trattagemma milita-
re si cavava $otto le mura delle Città, o delle Fortezze per tenerle poi $o$pe-
$e in aria con $o$tentamento di travi, e per riempire il vuoto di fa$cine per
Itagliamenti delle muraglie, i quali $i fanno per accre$cere qualche $ito per far vani, fine$tre, porte, diver$e concavità, ricettacoli per cavar nicchie per $tatue, e luoghi per Altari, per Cappelle, per Cori, o per altre varie comodità, non è dubbio alcuno, che le indeboli$cono, e $pecialmente, quando elle $ono troppo $ottili, o mal fabbricate: e cavando$i le parti da ba$$o, che $ono la ba- $e di tutto il rimanente del muro; o a$$ottigliando$i, quelle, che vi $on $opra, rimangono $enza $o$tentamento alcuno, onde danno $egno di voler$i precipita- re. E però è grandi$$imo errore il fare i tagliamenti, e le rotture delle mura, $enza riguardare, $e $ieno per e$$ere cagione di danno, e $enza fortificare i luo- ghi, nei quali $i debbono tagliare le muraglie, o con archi, o con rincorca- mento di muro, o col rifondare, e armar le mura con catene. Concio$$iachè tagliando$i le muraglie, s’a$$ottigliano, s’intronano, $i $collegano, $i rompono, e vi $i fanno aperture tali, che danno manife$to $egno di rovina.
SI commette grandi$$imo errore, quando $opra le muraglie vecchie $i alzano
muri nuovi, $enza procurar diligentemente, $e elle abbiano forza di re$i$te-
re, e $pezialmente quando le medefime $ono troppo $ottili, o lavorate con ma-
la $truttura, o di materia fragile. Così, quando non avvertiamo, che la Natu-
ra è quella, che c’in$egna, non $olamente a fondare mura nuove $opra il ter-
reno, ma ancora ad alzare altre mura nelle vecchie. Imperciocchè e$$a fa $em-
pre i po$amenti dei corpi più gro$$i, più $odi, e più forti dei corpi, che $o-
pra vi si alzano, come si vede nei monti, e negli alberi, dove è di maggior
gro$$ezza la ba$e del rimanente; così ancora di $aldezza maggiore, come $ono
i ceppi negli alberi, e le $elci, e i tu$i nei monti. Così l’Arte, che nell’ope-
rare $egue la Natura $ua mae$tra, co$tuma $empre di far le ba$i delle mura di
que$te mede$ime condizioni. E però il buono Architetto, a cui $i porge occa-
$ione di far murare $opra muraglie vecchie, dee con diligenza o$$ervare, $e le
muraglie vecchie $ono di conveniente gro$$ezza, $e $on ben fatte, $e non han-
no difetto alcuno, cioè, che non $ieno $mo$$e, intronate, marce, ar$e, pelate,
troppo alte, e $e non hanno il perfetto perpendicolo. Lo che non facendo, e
IRi$toramenti, che $i fanno alle fabbriche, hanno per fine il rimediare ai peri- coli di rovina, il fortificare, e l’a$$icurar le muraglie, il confermare i fonda- menti, e il ridurle a tal condizione, che $i po$$ano con$ervare perpetuamente. E però tutti gli errori, che $i commettono in que$to ca$o, $ono di grandi$$imo dan- no, perchè in vece di rimediare ai difetti delle mura, e di farle più $tabili, tut- tavia $i con$ervano nei difetti loro, e bene $pe$$o $i rendono maggiori pel con- tra$to delle mura vec chie con le nuove, que$te aggravando, mentre calano, e quelle re$i$tendo. Que$ti ri$toramenti, o $i fanno rifondando le muraglie, o in- gro$$andole, o foderandole, o rifacendone qualche parte, o appoggiando mura- glie nuove alle vecchie, o facendo $peroni, e barbacani a quelle, che pendono. Onde allora $i farà errore, quando nel rifondare non $i cava tanto $otto, che $i trovi il terreno più $odo, e quando non $i leva quella parte di muro, che è marcia, o $mo$$a; e quando la muraglia, che $i dee rifondare, non $i pone ben in puntelli di forti$$imo legname di ca$tagno, di quercia, o d’olmo, par- te puntellandole di fuori per $o$tenere il pe$o, e far re$i$tenza al calamento del muro; e parte ponendole $otto il muro vecchio, fermando bene nel fondo del fondamento, e $errandolo dentro la gro$$ezza della nuova muraglia. Ed oltre a ciò, non $i erra meno, quando il muro, che vi $i farà $otto, non $arà di buona materia, $oda, e ferma: e quando non $ia ben collegata, nè ben battu- ta: e finalmente $arà grande errore il di$armare le muraglie, e le volte avanti che abbiano fatto buona pre$a nell’ingro$$amento delle muraglie, e nel fare i fondamenti loro $i erra non collegando, nè incatenando bene la muraglia nuo- va con la vecchia, nè $errandole bene in$ieme. Così, quando $i dee rifare qual- che parte d’un muro vecchio, $i farà errore, non congiungendo bene il nuovo col vecchio, e non ponendo bene a filo, e a dirittura l’uno con l’altro. E fi- nalmente nel fare gli $peroni non $aremo $icuri dall’errare, mentre non procu- reremo di trovare il fondo più $odo, nè provvederemo buona materia, nè la la collegheremo bene in$ieme con buona calcina, non $errando validamente la cima dello $perone col muro vecchio, inca$trandolo con forza nella gro$$ezza di e$$o, nè u$ando diligenza, che la $ua e$tremità $ia fatta bene in piano, ac- co$tandola con forza $otto gli ultimi filari dei mattoni, o delle pietre del mu- ro vecchio, affinchè meglio $i uni$ca, e $opr’e$$o $i $o$tenti tutto il pe$o del- la muraglia. E que$ti $on tutti gli errori, che po$$ono accadere nei ri$tora- menti delle muraglie.
CHi leva$$e l’ordine dell’Univer$o, $enza dubbio alcuno $arebbe cagione del
$uo di$truggimento; e chi confonde$$e l’ordine nelle Repubbliche, $areb-
be cagione della rovina del buon governo civile. Così chiunque toglie$$e il buon
ordine, che nel fabbricare $i conviene, $arebbe cagione di molte imperfezioni,
di molti difetti alle muraglie, di varj, e di gravi accidenti, e che le mede$ime
$i face$$ero di corta durata. Allora, $iccome $i comprende per l’e$perienza, $i le-
va il buon ordine delle fabbriche, quando quelli, che debbono e$$er Mini$tri, $i
pongono per Sopra$tanti, e per Architetti. Che, $iccome non è bene, nè è co$a $icu-
ra, che lo Speziale faccia l’ufizio del Medico, così non è bene, nè è co$a giovevole,
che il Muratore, lo Stuccatore, il Lavorator di pietre, il Mae$tro di legname, il Pitto-
re, e lo Scultore, facciano l’ufizio dell’ Architetto. Imperciocchè qualunque ei $ia$i
di que$ti, non è bene informato di tutta la perizia dell’Architettura, non $a-
Soli Deo, Trino, atque Uno, qui univer$i bonum, omniumque Principium, & honor, & gloria.
COL pre$ente Capitolo $i porranno $otto gli occhi i pernicio$i$$imi errori intro- dotti dagli Architetti del pre$ente Secolo, che deformano la bellezza, e la grazia della $empre lodevole $tudiata Architettura, che viene grandemente alterata da chi $cherza bizzarramente, comecchè l’Architettura fo$$e un’arte $oggetta alla moda: co$a fal$i$$ima, poichè ella ha per direttore l’ottimo, e perfetto regolamento delle Parti, che la compongono. Laonde io Antonio Vicentini Veneziano, non già per mole$tare i $aggi, e periti Architetti da me perpetuamente e $timati, e com- mendati, ma per dilungar l’abu$o de’licenzio$i, e $corretti, che gua$tano il magni- fico, e degno di lode, e che fanno $capito al buon ordine po$itivo dell’e$$er $uo an- tico, e buono, imprendo la pre$ente fatica.
Seguo pertanto in ciò le tracce di Teofilo Galaccini inve$tigatore diligenti$$imo degli errori dell’ Architettura, che correvano al tempo $uo, avendone egli nel $uo Mano$critto molto a lungo trattato in ogni gui$a, e di più $timolando i po$teri, rinvenendone de’ nuovi, ad unirgli a que$ti $uoi, affinchè veggiano gli $tudio$i la $omma importanza d’e$$er pienamente informati di tutto quello, che $concia la no- biltà d’una tal Arte, e$$endo $empre vero, che i buoni Architetti, i quali regolata- mente $i $ono $erviti dei cinque Ordini dell’Architettura nelle loro fabbriche, hanno con$ervato perpetuamente il buon $i$tema delle parti mede$ime, nè mai hanno ab- bandonato con irregolarità il retto lor fine. Su que$te tracce, io ripeto, conviene anche a me il farmi ora ad o$$ervare certi di$dicevoli ripieghi, così detti da chi volle $o$tenere il $uo bizzarro intendere, facendo fare compar$a Scenica a quelle co$e, che in tutto e per tutto debbon con$ervare la naturale $olidità, parte principale dell’ Architettura. Si $ono ai dì no$tri inoltrati a $egno gli errori, che $i può dire, e$$er rinato l’u$o della barbara, e $concia Architettura, collo $cherzare, cioè, e muover le cornici, i fronte$pizj, e gli archi $te$$i irregolarmente, e fuor del dovere, facendo- gli po$are $ul fal$o, e fuori del piombo, tagliati, e $ciolti dall’unione, e legamento delle parti mede$ime, che armonicamente debbon$i tenere unite, e con$onanti per la buona lor nobiltà, altra Parte importanti$$ima alla $te$$a Architettura: a tal fine io ne e$porrò gli e$empj rilevati dalle mede$ime fabbriche in tu@te le maniere; lo che $ervirà per maggior te$timonianza di quanto a$$eri$co; e que$ti de’Templi e d’altro, che po$$a approvare la ragione, ed il buon modo di maneggiare l’Architettura, e non confondere, o alterare gli Ordini $te$$i, in gui$a che non $i rilevi, qual $ia il $uperiore, o l’inferiore, accavalcandogli l’uno $opra l’altro, $iccome ho in varj luo- ghi o$$ervato, come altresì $oglie di porte, e di fine$tre pe$anti, ed eziandio certe cime d’Altari piene di $travagante bizzarria, fuori del buon gu$to, che $ono piut- to$to chimere, che Architettura: e per meglio e$primere il mio pen$iero, e l’incoe- renza di così fatti abu$i, e di$ordini, ad onta degli ottimi in$egnamenti la$ciatici dai no$tri Maggiori, $embrami acconci$$ima la comparazione del corpo umano, che nel $uo comple$$o d’o$lature, e di mu$coli, parti al $uo $o$tentamento, e leggiadria nece$$arie; $e que$te $ieno di$ordinate o per i$tirature di braccia, o di gambe, o per isforzi di vita, viene a perdere e$$o corpo tutta la $ua forza, e vigor naturale: nel- la gui$a $te$$a l’Architettura, allorchè fia slegata, o sforzata più del dovere nelle $ue parti, $ia nelle cornici, $cherzando fuor di propo$ito, $ia nei fronte$pizj tagliati $garbatamente, eccedendo $overchio in altezza, o formandogli gonfi, $travolti, in- cartocciati, e fuori del vivo. Stiracchiature $on que$te, che di$ordinano il naturale loro e$$ere, ed il fine, per cui $ono $tati dalla $te$$a Architettura introdotti, e ten- dono a deformare il $odo, e la gentilezza, con cui debon e$$er u$ati. Dai quì e$po- $ti e$empj $i rileverà maggiormente il da me detto, e $i comprenderà, quanto im- porti, che $i e$cluda vizio tanto pernicio$o ad Arte così nobile, e così perfetta.
Convien quì per farci meglio intendere il con$iderare, qual giovamento ne verrebbe a un infermo, $e dopo che il Medico l’ave$$e vi$itato, ed ave$$egli con attenzione ta- $tato il pol$o, cono$ciuto non ave$$e la natura della febbre, e del morbo, che lo $com- pone, e di$ordina, e po$cia non gli ordina$$e i rimedj atti a ri$anarlo? Tutto cer- tamente $arebbe inutile, mentre languirebbe il pover uomo abbandonato al $uo ma- le. Mi figuro io adunque di vedere nel mede$imo deplorabile $tato l’Architettura, omai qua$i cadente per la febbre attaccatale dagl’imperiti: e veggio oramai il male tanto avanzato, che la mi$era $i trova a mal partito, e qua$i di$$i, abbandonata. Se le o$$ervazioni degli $convolgimenti d’ordini pre$$ochè irrimediabili fanno toccar con mano quanto a$$eri$co, nulladimeno credo nece$$ario il farci a diligentemente e$aminare tutte quelle circo$tanze, ed errori, che finora l’hanno oppre$$a, ed e$po- $ta così di$ordinata, e mancante di quelle parti, che realmente $e le $pettano, per ricovrarla nel primiero perfetto e$$er $uo, sì importante, non meno per la $ua $ti- mabilità, che $empre mai $u con$iderata, che ancora per i vantaggj, ed utilità di quei $oggetti, i quali bramano le loro abitazioni comode non meno, che decoro$e per $e, e per la $te$$a lor Patria.
I rimedj adunque a ciò conducenti, $ieno tutti quei proficui avvertimenti, ed i$truzioni $ommini$trateci dall’ erudito Sig. Teo$ilo Galaccini, non $olo per la norma di bene operare, ma eziandio per tutte quelle informazioni, e documenti dal mede- $imo la$ciatici col $olo fine di render per$etto l’Artefice.
A que$ta $ua fatica s’aggiungano gli accennati vi$ibili errori, e$po$ti con figure, affinchè meglio vengano rilevati, e fuggiti, $coperti, di$egnati, e intagliati da me Antonio Vicentini Veneto, accompagnati da giu$ti dicevoli rifle$$i, e da convincenti ragioni: e que$to coll’unica mira di re$tituire la primiera $alute, e $tato perfetto all’ Architettura da qualche tempo gravemente ammalata. Giu$ti motivi $on que$ti, per mio avvi$o, e tali, che mi hanno determinato a pen$are non $olo al vantaggio dell’ Arte, ma altresì al decoro della $te$$a mia Patria, della quale mi glorio e$$er figlio, e per la quale non ce$$erò mai di affaticarmi giu$ta mia po$$a.
Potrei dir molto di più intorno a ciò: ma mi $tenderò di vantaggio, allorchè trat- terò dei cinque Ordini partitamente, e$ponendo per minuto cia$cheduna lor parte, per più intelligenza di chicche$ia, che voglia a tale $tudio applicar$i; e con ciò verremo a rimettere nel $uo vero e$$ere la bellezza dell’antica Architettura Greca, e Romana. Pre- go il Sommo Dator d’ogni bene, che $i degni concedermi vita, e$anità, ond’io po$$a affaticarmi pel profitto degli $tudenti, $endo in e$tremo portato a $ar sì, che la bell’ Arte, $e fia po$$ibile ri$orga, $icchè continui, come lo fu già, ad e$$ere la delizia dei Monarchi, che $erviron$ene per innalzare Archi pei loro Trionfi, $ontuo$i Edifizj a lor gloria immortale; come altresì continui a coltivar$i ed e$$er prezzata nella no$tra Do- minante eterna Repubblica, ove i copio$i magnifizj Edifizj dimo$trano il genio grande e magnifico dei nobili Cittadini di tal Arte protettori, e vaghi oltremodo di nobilitar $empre più la loro immortal Patria, dalla qual protezione ne è originato il lu$tro maggiore dell’Arti Liberali; e $ingolarmente dell’ Architettura $ono$i e$$i $egnalati al par dei Romani, vantando quel pregio, che potrebbe dir$i inarrivabile, per la mae- $tà e moltiplicità delle loro magnifiche fabbriche, Templj, Palagj, ed altri $ontuo$i Edifizj, de’quali abbonda, e va $uperba la bella Città Dominante di Venezia.
Poichè convien fare alcuno e$ame intorno agli errori, o difetti del corpo umano, $arà bene, che incominciamo dal Corpo, e$aminando, $e abbia deformità, che lo renda $concio, e privo di quella per$ezione, che $e gli conviene; così è proprio il far$i prima di tutto a $cuoprire gli errori comme$$i dagli Architetti mal pratici, e poco avveduti, sì nell’operare, che nel maneggiare la nobile e bella Architettura, in tutte le $ue parti, e con$iderazioni $empre per$etta. Conviene pertanto cominciar da Roma Capo primario di grandi, e magnifiche $abbriche, sì antiche, che moder- ne. Le o$$ervazioni, che $i faranno $opra alcuna $ua antichità, non $aranno mai per detrarre alla $ua $tima, ma bensì per ammae$trarci. Quelle poi, che $i $aranno in- torno alle fabbriche moderne, $erviranno per mani$e$tare ciò, che $ia errore, e di- fetto, $empre da $chivar$i, con avere in avvenire più l’occhio al decoro di que$t’ Arte.
Le figure, che quì appre$$o e$porrò, $ono già a comune contezza, non $olo per le
fabbriche $te$$e, che e$i$tono, ma eziandio per le molte $tampe pubblicate in varj
Figura, che dimo$tra la fine$tra, o $ia Loggia della Benedizione nel Palazzo Pon- ti$icio al Quirinale, in cui $i rilevano diver$i errori comme$$i dall’ Architetto.
Diremo adunque, come l’arco di que$ta fine$tra, che $i $tende a rido$$o dell’ Ar- chitrave, e tutto lo cuopre, viene a togliere al mede$imo il $uo u$izio. Il difetto $te$$i$$imo $i rileva altresì nell’ arco della porta del Palazzo Chigi, che taglia, e cuopre tutto l’ Architrave nella gui$a $te$$a: co$a affatto deforme, non v’ e$$endo ra- gione alcuna, che po$$a ammettere cotali $cherzi, nè co$a e$tendovi, che altri $cu- $ar po$$a da tale errore. E $e per avventura mi $i pone$$ero innanzi da taluno le quattro arcate, due delle quali fanno l’ ufizio di portoni nell’ Anfiteatro di Pola, ri$ponderò, che anche que$te tagliano l’ Architrave corrente: e $e mi $i dice$$e, che e$$endo que$ta fabbrica antica, può $ervire d’e$emplare, e può imitar$i, $econdo la relazione delle $coperte fatte $opra tale Anfiteatro dal Conte Gian-Rinaldo Carli Rub- bi; ri$ponderò di nuovo, che il porre in pratica $iffatto abu$o è $tato, è $arà per- petuamente un errore da $chivar$i: tanto più, che $opra l’ arco a bel principio divi- $ato, trova$i collocata la Statua della Vergine $edente col Bambino in braccio: im- perciocchè è certo, che que$ta $igura per $edere dee occupare dello $pazio, e quì non può e$$ervi $e non quel poco, che tiene lo $porgimento della cornice dell’ arco e della te$tolina del Cherubino, che forma $erraglia: nè $ervirà il dire, che le poche nuvole po$te a’ fianchi, le quali pure appoggiano $opra l’ arco, facciano comparire la $tatua in aria, e $o$tentata dalle mede$ime: nè tampoco $i dee $upporre $cherzo pittore$co, poichè in tal ca$o le nuvole dovrebbero e$$er mo$$e in altro modo più bizzarro, e non appoggiate come $i trovano, a modo di piedi$tallo. Se $i o$$erverà pertanto il pre$ente di$egno, $i rileverà meglio quanto e$pongo, con que$to di più, cioè, che la $te$$a cornice gli pa$$a dietro; e que$ta in vece di formargli $edia, la $pinge in fuori; nè mai può approvar$i un tal pen$iero, qualora $upporre non $i vole$$e, che fo$le un’ Immagine dipinta $opra una tavola, e non una Statua di pie- tra. Si o$$erva inoltre, che il mede$imo fronte$pizio $opprappo$to, $orpa$$a colla pun- ta, e taglia la cornice $uperiore fin $otto al gocciolatojo: $concerti $omiglianti ban- di$cono il buono, ed in$egnano ai po$teri errare a man $alva. Quanto mai $tupireb- bero in faccia a tali errori gli Antichi Mae$tri d’ Architettura, che appunto $i $pac- ciano battezzandogli per bizzarrie! Non in$egnarono e$$i giammai co$e tanto $conce, come po$$iamo o$$ervare dalle fabbriche dell’ antica Roma, il cui gran pregio non e$tinguera$$i giammai: ed e$$a $ola $ervir dovrebbe di con$u$ione alla moderna Ro- ma, la quale non fa mo$tra che d’ Architettura licenzio$a e teatrale piena d’ imba- razzi e $torpiature, come rileva$i dalle $te$$e moderne fabbriche.
Dalla novità di que$ta fine$tra, che rappre$enta piutto$to un’arcova da camera,
che una fine$tra principale in una facciata di Palazzo famo$o in Roma, $i rileva l’
Architetto, che ne fu autore lontani$$imo dal $ano pen$are, non meno ri$petto alla
magni$icenza del $ito, che per intelligenza di $oda Architettura, che certamente in
e$$a fine$tra t<007>on $i rileva. Poco vi vuole a ricono$cerla di$etto$a: il vederla $olo co-
sì mal concia nel rimenato, che appoggia sì male $opra la cornice, che nulla a$-
fatto corri$ponde colla mede$ima, fa cono$cere l’ e$$er $uo fal$o, e $munto: quin-
di con$iderando le due cartelle, che $porgono in fuori ( mi $o a credere, che ciò
$ia ad e$$etto di ri$tringere il vano, che $arebbe compar$o tozzo, ed anche per
$upplire al $o$tegno dello $te$$o rimenato: ma tutto que$to forma compar$a teatra-
le, e nulla più ). Il fronte$pizio poi, che altro non ritiene, che la $ola gola, e il
Sarà dunque da avvertire, che tutte quelle $igure, le quali s’ adornano in Archi- tettura, altro fine aver non debbono, $e non $e quello, che richiede e$$a Architet- tura per $uo decoro, e mae$tà: quindi $i debbon bandire tutte le bagattelle, che non po$$ono e$$er commendabili, nè mai lo $aranno pre$$o i pro$e$$ori d’ottimo gu$to e per$etto, i quali $eguono, e perpetuamente $eguiranno l’ e$empio degli An- tichi per con$ervare la vera e per$etta Architettura.
Appari$ce que$ta porta interna nel Palazzo Borghe$e con una $oglia $travagante, perchè nella mezzeria viene ad e$$er raddoppiata: e $iccome a rido$$o è po$ticcia, non $i $a intendere, come regger $i po$$a. Inoltre la le$enadura di mezzo $otto alla corni- ce tiene le gocce, e il fe$toncino nel riquadro me$chini$$imo, e di$acconcio ornato $opra una porta mae$to$a: ed è un nuovo argomento di ciò, che quì $opra abbiam detto, ri$petto agli ornati in Architettura. In que$ta porta non $i rileva di buono, che le alette ne’$ianchi cartellate. Che mai abbia pen$ato di fare l’ Architetto, non $aprei indovinarlo: dico bene, che $i$$atte invenzioni non po$$on mai e$$er amme$$e, e che $arà $empre condannabile chi così pen$a.
Que$to sì, che veramente è un bel pen$are! Unire due porte in una, quando una $ola ba$tava a formare la $te$$a figura. Ed a che $erve mai l’ aver po$to lo $tipite delle due porte per dividere le mede$ime, quando que$to ingombra, e non accre$ce nobiltà, anzi $terili$ce la figura $te$$a? Vi $arà for$e taluno, che per difender l’Ar- chitetto, voglia dirci, che una tale larghezza non poteva aver proporzione coll’ al- tezza, e che perciò venne forzato a prendere un $iffatto ripiego? Ri$ponderei io pertanto a que$to tale, che i fori debbon e$$er perpetuamente accomodati al proprio $ito; e certamente l’Architetto dee u$are tutte quelle diligenze, ed o$$ervazioni, che po$$on convenire ad un tal $ito, per adoprar$i colla maggior bravura, e perizia po$- $ibile. Anche un $ol foro poteva far$i beni$$imo, variando la figura con quei miglio- ri compen$i, che l’Arte può, e $a $uggerire, allorchè que$ti vengano inte$i dall’Ar- chitetto. Non è da dubitare, che quell’ Architetto avendo pen$ato nella gui$a divi- $ata, non abbia a un tempo $te$$o creduto la co$a molto pellegrina, e bizzarra, non accorgendo$i dell’inganno, che quindi ri$ultava, vale a dire, di tozzo, e pe- $ante: di tozzo, poichè la $ua luce in tutt’e due le porte è d’un $olo quadrato: di pe$ante, perchè il quadro, che forma la propria $oglia colla $ini$tra, che $o$tiene la $opraccornice le$enata, e porta fronte$pizio fino alla mezzana di detto quadro, ve- nendo tutto que$to a formare un gravo$o gruppo $opra la $oglia mede$ima, taglia inoltre l’architrave $te$$o della propria cornice, ed il fronte$pizio po$tovi così $car- $o, e me$chino $opra la gola della cornice, la quale deve$i certamente levare, per dar maggior corpo allo $te$$o fronte$pizio, e nel tempo mede$imo leggerezza alla $te$- $a cornice: e poi con$iderando la figura di quei due Serafini così imbarazzata nelle $ue ale, le quali ingombrano al traversìo il fronte$pizio, facendo compar$a confu$i$- $ima, e niente adorna. Tutto il buono, e il bello, che quì $i può con$iderare, $i ri$tringe alla $ola medaglia del Pontefice po$ta nel mezzo, e meglio a$$ai vi $arebbe- ro riu$citi due Angioletti po$ti $opra i fronte$pizj in atto di $o$tenere con avvenenza detta Medaglia, in vece di quegli aggruppati, e mal po$ti Sera$ini ( che null’ al- tro po$$on rappre$entare che amore ) dove in que$to luogo non rappre$entano $e non confu$ione, $iti ingombrati, o per dir meglio $torpiature fatte alla perfetta Archi- tettura.
Que$ta porta fra le molte o$$ervate ha alcuna differenza a motivo del pe$o po$to $opra la propria $oglia, formando una zanca fal$i$$ima, e taglio al di $otto, che $ca- va la mede$ima, riducendola più debole, e $concia: quindi i due ri$alti con goc- cie, che $o$tengono a $ini$tra il timpano, e fronte$pizio di pe$ante forma, tutto a rido$$o della $uddetta $oglia: que$ta certamente non potrà mai dir$i grazio$a, e gen- tile, ma $arà $empre bia$imata; oltre di che lo $te$$o timpano viene a tagliare la cornice, che appoggia $ulla $ini$tra dello $tipite; e que$ta $compari$ce, e$$endo tron- ca; come altresì il fe$tone appe$o alla cartella, rimane tagliato, quantunque po$$a $uppor$i, che pa$$i dietro per unir$i nella mezzaria della $ini$tra $otto il timpano. Ciò volendo $upporre, convien dire, e$$er lo $te$$o timpano in aria, non $itto nel muro: in $omma $i$iatte invenzioni non debbon$i mai porre in pratica, ove $ia vera Architettura, che richiede $olidità, e non aeree fanta$ie. Que$to potrebbe $tare, $e tutto il di$egno altro non fo$$e, che cartelle, e fogliami, nel qual ca$o altri tutto $i fa lecito per motivo del capriccio$o intreccio, co$e e$$endo tutte que$te, nelle qua- li $i può $cherzare a talento, lo che non è lecito ove $i tratta di $eria Architettura.
Picciola porta è que$ta di me$chino ornamento po$ta accanto alle tre maggiori nella facciata di San Pietro fra gl’intercolunnj delle colonne principali, della quale, come altresì delle fine$tre, ragiona il Galaccini a carte 76. e 77. E di vero com- pari$ce que$ta porta più nicchia per una Statua, che porta d’un Tempio sì magni- fico, e grande. Ella è gretta, e me$chini$$ima. Il $olo vederla così piena di bagat- telle, con i$concia $erraglia, e povera fa$cia nell’arco, e $enza impo$te, affatto pri- va di quei requi$iti, che in quel $ito le converrebbero, fa giudicare, che meglio a$$ai $tato $arebbe il non porvela, mentre non corri$ponde in parte menoma colle altre, nè coll’ Architettura di tutto l’intiero comple$$o. Errori $on que$ti, che mo$trano l’ Architetto digiuni$$imo di quella cognizione, che è nece$$aria per rettamente operare.
Offervabile $i è pure que$ta porta per l’errore, che vi $i rileva, ed è, che $o$tie- ne tutto il pe$o della $opraccornice in fal$o, cioè, a rido$$o della propria $oglia, re- $tando la mede$ima caricata oltre il dovere, e pe$ante anche per la $ua figura, la quale appari$ce dalla $ini$tra mede$ima, che lo alza $opra il vano. E’ veramente co$a da $tordir$i il veder fare così reo u$o di quell’ Architettura, che quello $oltanto approva, che è ragionevole, e rigetta ciò, che è lontano dal vero, e perciò difet- to$o, e mancante.
Non $i può mai dire a ba$tanza, quanto grande $ia l’errore di tagliar la propria $oglia con men$ole, non potendo que$ta mai e$$er tagliata, per non contra$tarle la $ua forza naturale; e tanto più, che la mede$ima re$ta aggravata dal pe$o della pro- pria cima, che le $ta al di $opra con fronte$pizio, oltre l’ arme, e i fe$toni, co$e tutte, che maggiormente l’opprimono. Tutto quello poi, che appari$ce ornamento, quì non fa il $uo effetto, ma produce piutto$to carico, e pe$o. ( Anche le $ini$tre ne’ fianchi $ono $trette dai riquadri dei pila$tri, che loro $tanno appre$$o, $enza $a- pere ove abbiano a terminare ). Bella co$a in vero operar $enza ragione, e porre $oltanto la rama d’ olivo, od altra co$a attaccata al cartoccio, per occupare il vano, e così confondere il termine dei mede$imi pila$tri!
Dee dir$i anche di que$ta porta, che trova$i pure aggravata $opra la $oglia in buo- na parte, e di pe$anti$$ima apparenza, o$$ervando$i nel rimenato la men$ola grande non leggiera, con le alette le$enate nei fianchi, dove termina la chiocciola del goc- ciolatojo, ed appre$$o i due $porgimenti di cornici, che compari$cono circolari, con i>$cannellature, e goccie al di $otto: co$e tutte, che non reggono $econdo il dovere dell’Arte: ma $ono fanta$ie mere $ognate. O$$ervo eziandio e$$er con frequenza pra- ticato l’u$o dei Serafini così ingombrati nelle loro ale, i quali, in vece d’ apportar leggerezza, mo$trano per lo contrario pe$o, e goffezza. Ciò, che o$$ervo in que$ta porta, $i rileva in altre molti$$ime in Roma. Non $i creda però, ch’ io $ia per con- dannare l’u$o di tali Serafini; anzi a$$eri$co, che vanno beni$$imo, allorchè vengan po$ti ne’ luoghi, e colle funzioni ad e$$i $pettanti, decoro$amente; ma non po$$o mai approvar la maniera, colla quale veggogli sì $ovente me$$i in opera.
Fra tutte le $opraffine$tre di $concia figura, che $i o$$ervano nella facciata di que- $to Collegio, la pre$ente $i di$tingue, che in $e nulla ha di buono, e di bello. Servirà il $olo o$$ervar la $ua forma, come è compo$ta, e nel vedere que’ due cir- coli cantonali po$tivi per accre$cerle gentilezza ( così almeno dee congetturar$i che abbia creduto l’Architetto ) i quali girando nella coda all’ insù, $i portano a $o$te- nere il proprio fronte$pizio, quando que$to ad altro non $erve, che ad aggravare la $te$$a $oglia, formando in tal modo una figura goffa, e niente leggiera. Di tali $tra- vaganze è piena tutta Roma.
Il Cavalier Fontana nel $econdo Libro della $ua Opera ai Capitoli terzo, e quar- to, a$$eri$ce, come intorno all’ anno 324. di no$tra Redenzione, dopo la guerra di Mezzenzio, da Co$tantino Magno fu eretta dopo il $uo Batte$imo la Ba$ilica nel Va- ticano, luogo delle Memorie di San Pietro. Che in quel luogo $te$$o Anacleto Papa $opr’ e$$e Memorie, e Corpo di San Pietro, alzò l’ Oratorio, e il Cimiterio per i Sommi Pontefici, ove appunto trova$i al pre$ente la Confe$$ione del nuovo Tempio. Cominciò Co$tantino a imitazione dei XII. Apo$toli a cavare dodici $porte di terra nel luogo, ove $i era de$tinato di gettar i fondamenti d’e$$a Ba$ilica. La mede$ima fu fatta in forma di croce, di grande capacità, per includervi quei dati $iti, nei quali erano $tati martirizzati tanti Cri$tiani, e venne finalmente e$$a Ba$ilica con$a- grata il dì 18. Novembre da San Silve$tro Papa, a contemplazione del quale fu la mede$ima dal detto Imperatore innalzata.
Niccolò V. poi ordinò all’Architetto Antonio Ro$elini la rinnovazione d’ e$$o Tem- pio: e Papa Giulio II. comandò a Bramante Lazzari da Urbino, a Giuliano da San Gallo, a Fra Jacopo Verone$e, a Balda$$ar Peruzzi da Siena, a Raffael d’ Urbino, ed a Gio: Bati$ta Berti, che forma$$ero un nuovo di$egno. Fra que$ti venne pre$cel- to Bramante, e fu $ul $uo di$egno dato mano al lavoro. Operò anche dopo del Bra- mante $otto lo $te$$o Giulio II. Antonio da San Gallo. Que$to $te$$o Papa ordinò po$cia il $uo $epolcro a Michel Angiolo Buonarrotti, al quale, dopo la morte del San Gallo rima$e la cura, e direzione del Tempio, ed egli ridu$$e la $orma di cro- ce $otto i Pontificati di Leone X. d’ Adriano VI. di Clemente VII. e di Paolo III. il quale dichiarò Capo della Fabbrica e$$o Buonarrotti, approvandone il $uo model- lo. Continuò il Buonarroti l’ opera $ua anche $otto Giulio III. Marcello II. e Pao- lo IV. da cui benchè Pirro Ligorio come $uo Architetto $o$$e de$tinato a que$ta fab- brica, tuttavia non gli fu perme$$o il porvi mano, per aver tentato di di$truggere le ordinazioni di Michel Angiolo. Pio V. ele$$e Jacopo Barozzi da Vignola, con precetto di nulla innovare ri$petto alle di$po$izioni di Michel Angiolo. Gregorio XIII. non mancò di far continuare i lavori; e nel Pontificato di Si$to V. con ogni celeri- tà venne accudito a cuoprire il Tempio con farvi innalzare la Cupola con i di$egni di Michel Angiolo, $otto la cura di Jacopo della Porta, il quale per e$$er molto vec- chio ebbe l’ajuto a$$egnatogli del Cavalier Domenico Fontana. Dal tempo di Si$to V., d’Urbano VII., di Gregorio XIV., d’ Innocenzio IX., di Clemente VIII., fino al Pontificato di Paolo V. re$tava ancora in piedi la parte della Ba$ilica vecchia, la quale più non potendo$i riparare, $i determinò finalmente que$to Papa a farla de- molire, e ad aggiungere colla $te$$a occa$ione alla figura quadrata del Buonarroti quella porzione ordinata da e$$o Paolo V. $otto la direzione di Carlo Maderni.
La Magnanimità d’Urbano VIII. ordinò all’ Architetto Cavalier Bernini l’erezio- ne di due campanili per magnificenza, e $ovranità del Tempio Vaticano, e in$ieme per ornamento della facciata; ma per l’i$tabilità della parte, $u cui po$avano, ben- chè vi fo$$>e per direttore lo $te$$o Maderni, nulladimeno nel Pontificato d’Innocen- zio X. fu tolto l’ordine dei Campanili. Dovevan que$ti e$$er po$ti $opra i pa$$aggj, che conducono alla parte po$teriore del Tempio. Que$ta facciata fu eretta di figura quadrilunga nel Pontificato di Paolo V. e $i argomenta, che i Pro$e$$ori di quel tempo non ave$$ero la nece$$aria e$perienza per creare idee nobili, e adeguate ad un sì co$picuo edifizio, come neppure per imitare glì ornamenti laterali del Tempio, e quelli del tamburo della Cupola; $endo no$tro parere, che non fo$$e dai mede$i- mi bene inte$a la di$tribuzione delle porte, e di tutto il rimanente.
Tutto il da me finora divi$ato vien riferito dal nominato Cavalier Fontana nel
$uo V. Libro del Tempio Vaticano al Capitolo II. continuando a rilevarne diver$i
errori fino a carte 285. ove ragiona di quei mendicati fori della facciata con orna-
menti così minuti, che $cemano il decoro dell’ edifizio; e continuando a parlare del-
la $acciata per le $conce $ue parti, dopo d’aver parlato dei grandi colonnati, e cor-
nici ordinate dal Buonarroti, pa$$a a ragionare d’altro ordine inferiore $o$tenuto dal
principale, compo$to di parti mi$te sì improprie, che non ci è riu$cito trovare il
loro proprio nome $econdo gli Antichi. E’ que$to compo$to di me$chini pila$tri,
nella $ommità dei quali $i veggiono de’Cherubini, che mo$trano di dirigere i capi-
telli colla cornice, in vece d’ architrave, $opra la quale rimane quella picciola ba-
Si rileva da ciò, che $i è detto finora evidentemente, e$$er que$ta riu$cita una fab- brica di$ordinata a motivo dei diver$i Architetti, che la compo$ero: e veramente dà nell’occhio in primo luogo la $ua piantazione così me$china in proporzione della gran mole: ed in fatti o$$ervate i grandi pila$tri Corintj piantati $ul pavimento, $enza al- cuno innalzamento, come richiedeva il decoro, e la grandio$ità, che $i face$$e: poi- chè lo $te$$o $arebbe, che un Per$onaggio fo$$e riccamente ve$tito, ed ave$$e i piè $cal- zi, e nudi, e $enza $carpe. O$$erva$i inoltre con $orpre$a la di$uguaglianza degl’ in- tercolunnj, parte $tretti, e parte larghi, $icchè le nicchie inca$tratevi, alcune rie$con comode, altre grette ed angu$te, e que$to a motivo della $correzione dei mede$imi intercolunnj; quindi il di$ordinato modo di piantare i pila$tri $epolti nello $porto del- le cornici delle impo$te degli archi delle Cappelle, che ri$altano in fuori di e$$i con taglio $piacevole, e $concia figura, fuori dell’e$$er $uo naturale, il quale con$i$te nell’ e$$ere al dritto del vivo de’proprj pila$tri, e non più. Non sò, come po$$a $o$$rir$i un tal di$etto, $enza fare le dovute rifle$$ioni pel retto $i$tema delle proporzioni, che dee $empre avere in mira un vero Architetto. Certamente in que$t’ opera fu quel tale di$uguale e $corretto; poichè chi può mai immaginar$i, che tali cornici così ta- gliate po$$an tener l’uguaglianza non $olo della legatura, ma nemmeno quel comun $en$o, che è proprio della $te$$a Architettura?
Co$a degna di maggior o$$ervazione altresì mi rie$ce il vedere nel foglio di$egna- to, e intagliato dal Pirane$i dell’interno di detta Chie$a, e$t>ere il cornicione, che gira tutt’ intorno al gran Tempio, piantato $opra i pila$tri, mancante della propria gola dritta, che in ogni tempo è $tata praticata per cima, e gentilezza d’ e$$a cor- nice, e che $oltanto $i la$cia, allorchè $i leva fronte$pizio, o rimenato, e in tal ca$o il $olo gocciolatojo cammina, e non in altro modo; nè io per quanto cerca$$i ebbi in alcun Tempio mai a vederne di $omiglianti; ma trovai bensì nel quarto Libro delle Antichità del Palladio a carte 14. il Tempio della Pace, in cui rilevai la cor- nice $enza gocciolatojo, ma con la gola dritta appoggiare $opra i modiglioni; e que- $to pure e$$endo come il primo un mancamento dell’Architetto, che non o$$ervò a dovere la buona Architettura.
Inoltre dee rifletter$i, come in un Tempio così magnifico, il quale pel computo fattone dal Cavalier Fontana, può in tutto, e per tutto pareggiar$i al Tempio di Salomone, $i po$$ano rilevare tanti errori sì patenti, $embrando che per la $ua gran fama e$$er dove$$e il tipo d’ogni per$ezione: ma eppure $egue tutto all’ oppo$to, e ciò a motivo della diver@ità degli Architetti, che in varj tempi ne ebbero la $oprin- tendenza. Di$grazia ella $i è que$ta, per cui le fabbriche di maggior momento ven- gon gua$tate dall’ opinione varia degli uomini, poichè cadaun d’e$$i pen$a di di$tin- guer$i colla bizzarria delle proprie idee. Così avvenne al Tempio Vaticano tanto fa- mo$o, che dal non e$$er del mede$imo $tata formata di pianta un’idea $tabile nell’e$- $er più uni$orme, po$itivo, e vero, nacquero tante diver$ità di pareri, quanti gli Architetti furono, che lo compo$ero.
E di vero troppo vi vorrebbe a porre in veduta tutti i difetti, che o$curano la nobiltà di tal Tempio. Un $olo e$empio mi $i potrebbe addurre per i$cu$are le cor- nici tagliate, ed i pila$tri inca$$ati entro le mede$ime, dicendo, e$$er così anche i pila$tri, e le impo$te degli archi nell’ Anfiteatro di Pola: ma ciò e che rileva? quan- do anche quello è male ideato, nè mai potrà dar$i per modello di per$etta Archi- tettura, e$$endo certamente una gran fabbrica, che dee perciò ammirar$i, ma non imitar$i.
Niente meno o$$ervabili $ono i pa$$aggj di Cappella in Cappella, poichè hanno
gli archi non per$etti, ma compo$ti da $oli rimenati, che formano $garbatamente
l’arcata, o mezz’ arcata, la quale è fal$a, e ne produce la $concia figura, che rap-
pre$entano, appoggiando $ulle cornici, con quei tronchi Zoccolati, che gua$tano, e
non adornano: e $e $on po$ti per corri$pondenza delle colonne, dico, che tal rime-
nato non conviene, per la compar$a indecente, e tronca, che nulla pre$enta di mae-
$to$o, e grande, ma $ola immaginazione $ognata. Oh quanto miglior compar$a a-
Egli $i dee però con$iderare per ultimo l’univer$ale ornamento di que$to Tempio, che è sì abbondante, e ripiento di $tucchi, e di bagattelle, le quali, sì nel $offitto, che nei pila$tri degli archi delle Cappelle, ed in tutte le altre parti, non corri$pon- dono punto al vero, $erio, e lodevole ornamento di nobile, e decoro$a Architettu- ra, $econdo il vero antico, ed il parere de’ più $aggj Architetti, che hanno perpe- tuamente $chivato gli $cherzi, e $i $ono valuti del $olo ornato puro e ma$$iccio, ed in quei dati $iti, che non toglie$$ero all’ one$ta Architettura il grandio$o e$$er $uo tanto pregevole.
Con ragione poi il Cavalier Fontana vitupera quei tanti $ori po$ti nella $acciata con ornamenti tanto minuti, che $cemano il decoro dell’Edi$izio, e per fino il $e- cond’ Ordine po$to $opra i grandi colonnati, compo$to di me$chini pila$tri inferiori al primo. Veramente a con$iderar la facciata vedendola così piena d’irregolarità; e fra le altre quei due mi$erabili pa$$aggj, che portano alla parte po$teriore di detto Tempio, sì mal pen$ati, $enz’ alcuna correlazione all’ ordine della mede$ima, dico, che $e era di nece$$ità il fare tali pa$$aggj per comodo della propria $trada, conve- niva adattargli $econdo la ben regolata Architettura, corri$pondenti a tutto l’in$ieme, e non così tronchi, e po$ticcj, quali $ono, rappre$entando un’ apertura forzata, o per dir meglio, un ponte di campagna di $concio mezz’ arco, e di $garbata figura, che non $olo $cema, ma toglie intieramente la buona grazia, che richiedeva un $i- to così riguardevole. E quando tal licenza u$arono i buoni antichi? E$$i non mai, ma i $oli moderni Architetti la praticarono, gua$tando il buon ordine, ed introdu- cendo la $correzione, $enza riguardo al nobile, e mae$to$o, che conveniva. Con a$- $ai minore $pe$a e fatica, $e ave$$er riflettuto alla grandio$ità e decoro dovuto a $i- to tanto riguardevole, e $econdo la purità dell’ Architettura, $arebbe$i tal Opera com- pita. Dee$i dire pertanto, che tutti i di$ordini procedono dalla $ola ambizione di- chi $oprintende. Gon$j co$toro di $e $te$$i nulla pen$ano al decoro, e $olo s’ appa- gano del capriccio$o loro s$ogo, $enza riflettere al di$capito, che pur troppo incon- trano con loro $corno, e di$gu$to, con$iderati e$$endo dall’Architettura eretici appa$- $ionati.
Quei fronte$pizj tagliati, che $i veggiono po$ti $opra le fine$tre nel $econd’ Ordi- ne della Facciata, e ne’ fianchi della Chie$a di S. Pietro, non corri$pondono al loro fine, che è quello di cuoprire, e di difendere dalle piogge. E’appunto lo $te$$o, che un uomo in tempo piovo$o per cuoprir$i porta$$e $otto il braccio, e non in capo il cappello. Inoltre l’ ornamento quì è troppo pe$ante sì nell’ occhio della conciglia, che nei fe$toni attaccati alla cartella, co$a, che meglio potrebbe $ervire per ornare un cammino da camera, anzichè per una fine$tra in $ito così nobile, e magnifico. Il riflettere $opra tali co$e sì $conce, e malinte$e $ervirà a$$ai per tener$i lontani dall’ u$o degli ornamenti $uperflui, e vizio$i, che tolgono il bello, ed ingombrano il buo- no della quadratura, la quale altro non ricerca, che leggerezza, e grazia, appagan- do così più l’ occhio di chi ha piacere, e ottimo di$cernimento.
Anche in que$te fine$tre rileva$i una ragione d’ ornato a$$ai $concio, come, a ca- gion d’ e$empio, piantare $ul cantone del telaro cornice tagliata, con men$ole per fianco, che nulla $o$tengono, e terminano con gocce al di $otto: e que$te per e$- $er nel $econd’ Ordine detto Attico, e $opra il Corintio, non torna bene, e$$endo le mede$ime del $olo Ordine Dorico. Mi fa però gran maraviglia l’ imperizia di tali Architetti, che voglion valer$i per tutto di ciò, che non conviene, togliendo l’ or- namento d’un Ordine, per darlo ad un altro. Lo $te$$o è, che il voler ve$tire una per$ona con abito non $uo, nè $atto a $uo do$$o, che in vece di far buona figura, $i renderebbe ridicola per e$$ere $conciamente ve$tita. Però $arà $empre vero il det- to, che ogni frutto vuole la $ua $tagione, e che nell’ Architettura cia$cun Ordine ri>chiede i proprj ornamenti a norma di $ua $tabilita perfezione.
Molto a propo$ito mi $i offre la gran fabbrica del Pantheon, detta pre$entemente la Rotonda; avvegnachè $ia eccellentemente lavorata. Ha que$ta diver$e Cappelle, ed è di vaga forma circolare, avendo ugual larghezza, ed altezza. Si po$$ono quì con$iderare varie co$e, come o$$ervò il Palladio, trattando del Pantheon nel $uo Li- bro IV. a carte 73.; ed anche il De$godetz nel $uo Trattato $opra l’ i$te$$o Pantheon, de$crivendo in 23. tavole sì mae$to$a fabbrica tutta d’ Ordine Corintio non meno in- ternamente, che e$ternamente.
Leggendo i lodati Autori, rilevai della varietà d’ opinioni ri$petto alle mi$ure, ed altre particolarità; ma ri$petto all’ antichità s’ accordano nella $te$$a co$a, vale a di- re, che tutto il di dentro $ia $tato rifatto in uno $te$$o tempo, a ri$erva del porti- co, che fu aggiunto da Marco Agrippa per maggior decorazione di que$to $te$$o Tem- pio. In e$$o adunque, tuttochè $ia di perfetto lavoro, $i o$$ervano ciò non o$tante diver$i, e notabili errori. Il primo na$ce dalle due arcate, che $ono al di dentro, cioè, una nell’ ingre$$o, l’ altra di fronte, che forma la Cappella maggiore; e que- $te arcate vengono $o$tentate da due pila$tri. Inoltre cia$cuno di que$ti due archi ta- glia quattro pila$tri del $econd’ Ordine: la qual co$a non è buona, per la deformi- tà, che produce, facendo vedere i pila$tri tronchi e $mezzati. Que$ta è la co$a $te$- $a, che un uomo, al quale fo$$ero tagliate le gambe, e fo$$e fatto comparire $torpia- to, e deforme. Lo $te$$o può altresì dir$i delle colonne, le quali $endo tronche ne’ piedi, non po$$on più mo$trare la loro forza, e $u$$i$tenza. Io per me direi, che l’ Architetto, che ha eretto tal Tempio, $i prefigge$$e di farlo $eguente, $enza inter- rompimento alcuno, e così vole$$e $eguitare i pila$tri del $econd Ordine, affinchè com- pari$$e l’ uniformità anche $opra i divi$ati archi. Egli però poteva beni$$imo ripie- gare e$$i pila$tri, che cadono $opra i detti archi, convertendogli in men$ole $otto il capitello, e così avrebbe ottenuto il $uo intento, $enza mo$trare la brutta figura dell’ e$$er tagliati dall’ arco. S’ o$$ervano inoltre due colonne, all’ incontro dei due pila- $tri della Cappella mede$ima, le quali re$tano i$olate, tenendo $opra la cornice, che gira all’intorno, parte della ba$e del ba$amento del $econd’Ordine, che forma piedi- $tallo per $o$tenere alcuna $tatua, che vi $tarebbe a$$ai bene. Que$to $porgimento di piedi$tallo, che s’alza al di $opra del peduzzo dell’arco, gli toglie la buona grazia, e lo fa comparire mezz’arco, e non perfetto, come dovrebbe: lo che mi fa credere, che le $uddette colonne fo$$er piantate po$teriormente, e non nel ri$tauro di detta fabbrica, mentre avrebbe l’Architetto veduto, come riu$civano inutili. Que$te colon- ne però hanno una particolarità, $econdo il parere de’$oprallodati Autori, cioè, tra lo $pazio d’un canale, e l’altro della $cannellatura certi intagli a tondini molto puli- tamente fatti; ed in ciò $ono diver$e dalle altre d’ intorno, che $ono $cannellate $chiettamente; e però può dar$i, che a motivo di tal rarità $ia $tato pen$ato di por- le in opera in quel tal $ito, $ebbene inutili in rapporto alla buona ragione. A tal propo$ito mi $ovviene, che anche il San$ovino, allorchè ornò la $cala, che monta al Collegio pel Palazzo Ducale, $i val$e d’ un ripiego a$$ai buono per collocarvi le due Statue dell’ Ercole, e dell’ Atlante appoggiando pre$$o ai due pila$tri due colon- ne i$olate, e sì bene adattate, che pajon fatte in uno $te$$o tempo coll’ arco mede$i- mo della $cala, e $opra vi collocò le divi$ate Statue. Quindi o$$ervando in $eguito l’ Ordine $econdo, o $ia Attico di leggieri pila$tri parimente Corintj, che $tringono nicchie per Statue, e fine$tre, ed avendo i mede$imi telaro e cornice $opra, lo $por- gimento della quale $orpa$$a affatto i pila$tri, che re$tano a fianco, appoggiano i mede$imi $opra zoccolo le$enato; e que$to $opra il ba$amento $emplice, che gira in- torno a tutto l’ Attico. Tutte que$te co$e in niun modo convengono: diformano e tolgono il bello della buona Architettura. Ciò io volli dire per coloro, i quali non di$tinguendo il buono dal reo, lodano tutto quello, che loro $i para innanzi. E’ ve- ro veri$$imo, che que$to Tempio è, e $arà $empre $timato per quel buono, che ha in $e, ad eccezione però di quanto ho detto per lume di chi $tudia la per$etta Ar- chitettura.
Dobbiamo ora far parola del ri$tauro ordinato da Papa Benedetto XIV. nell’anno
$ettimo del $uo Pontificato, il quale venne indotto a far accomodare e correggere gli
errori quì $opra da noi indicati. Fu pertanto dato mano al ri$tauro della gran vol-
ta, e per render più lumino$o il Tempio venne anche pen$ato d’imbiancarla. Que-
$to pertanto è il primo $propo$ito d’ un tal ri$tauro, mentre a un Tempio di que-
$ta fatta di$dice affatto tale imbiancatura, e vi voleva piutto$to una tinterella armo-
nio$a, e corri$pondente all’ antichità del $ito mede$imo, introducendo nelle ca$$ette
alcun poco di oro, che avrebbe nobilitata una tal volta. Quindi pensò di far levar
via tutti i pila$trini Corintj del $econd’Ordine, come altresì tutto l’Attico, e $oltan-
to la$ciarvi quei nicchi, o fine$tre, che $ono quattordici in tutto il giro, prolungan-
dole al di $otto qua$i fino al peduzzo dell’ Attico $te$$o, aggiungendo nel di $opra il
fronte$pizio. Piombano que$ti $opra gli Altari, e $opra le mezzarie degl’intercolunnj
del prim’ Ordine, coll’ aggiungervi fra l’ una, e l’ altra fine$tra, o nicchio, un gran
riquadro corniciato da ovoli, e fu$aroli, con altro di $opra bislungo, figurando in
e$$i e fuor di e$$i con pittura varietà di marmi. Non $arà fuor di propo$ito il fare
alcuna con$iderazione intorno al divi$ato regolamento. Veramente qualora s’ abbia
intenzione di togliere alcun difetto a qual$ivoglia fabbrica, ciò $i dee fare col fine
di migliorarla, non mai per deformarla di più: ma pure da ciò, che venne e$eguito
entro un Tempio tanto $timabile per la $ua Antichità, $i rileva un sì enorme $con-
certo. Doveva$i que$to perfezionare in ciò, che peccava per rapporto alla per$etta
Architettura, e non mai $pogliarlo in gui$a, che compari$$e nudo, $iccome $i è al
pre$ente, ridotto e$$endo ad un $emplice muro qua$i li$cio, con quei $oli riquadri,
che nulla concludono, ma che altro non fanno che ingombrare un tal $ito, riducen-
dolo ad una figura pe$anti$$ima; nè po$$iamo altro approvare, che i fronte$pizj ag-
giunti ai nicchi, o fine$tre, e que$ti parimente al di$otto tenendo la $te$$a cornice,
che gira intorno. Altra figura non rappre$enta, $alvo che un quadro atraccato alla
muraglia, che abbia bella cima, e niente affatto di piede, e non figura da nicchio,
come dovrebbe, a differenza del primo $uo e$$ere, il quale appoggiava coll’ erte $o-
pra il ba$amento; e que$to era il vero appoggiar con ragione: ma nel modo, nel
quale vede$i e$eguito, mo$tra un lavoro da legnajuolo, che tutto vuol corniciato, per-
che il legnajuolo più non intende. La $tatua poi entro po$ta anderà bene, e qua-
drerà a maraviglia, mentre s’ uniforma anche al parere del Palladio, il quale nel $uo
IV. Libro dell’ Architettura e$pone i di$egni d’ e$$o Pantheon, e pone le $tatue nelle
nicchie divi$ate per più decoro d’ e$$a Architettura. Si o$$ervano inoltre le due co-
lonne po$te $ull’ ingre$$o della Cappella maggiore po$teriormente, che $econdo anche
il parere degli accennati in$igni Autori, altro non $o$tengono, che uno zoccolo alla
dritta del ba$amento, che gira intorno $opra la cornice del prim’ Ordine: e come
non pen$arono, in vece dei tre monti, e della $tella Stemma del Pontefice Clemen-
te XI., il quale pure ordinò un ri$tauramento, all’ Attico mede$imo, $enza gua$tare
co$a alcuna di ciò, che vi era di gentile, e collocare que$to $te$$o Stemma in altro
$ito, cioè, in uno $cudo $opra la mezzaria dell’ Arco, $o$tentato da due Angioli in
aria, lo che $arebbe riu$cito a$$ai grazio$o, anzichè por$i la men$ola, o modiglione
in$erito $conciamente nell’ Architrave, che al di $otto tiene le gocce, che $i conven-
gono al $olo Ordine Dorico, nè mai $opra l’ Ordine Corintio, che le rigetta? E di
vero rie$ce co$a $trana il veder$i introdotto in Roma l’ abu$o dalla maggior parte de-
gli Architetti, $ommamente vaghi delle gocce, $enza curar$i di riflettere a che $erva
l’u$o delle mede$ime, e dove, e quando $i debbano praticare; non convenendo col-
locarle così alla cieca, e porre inoltre $opra le due colonne due Angioli, od altra
$tatua rappre$entante alcuna Virtù. Hanno e$$i la$ciato le mede$ime pre$$ochè inuti-
li, e che hanno pochi$$ima con$onanza coll’ opera $te$$a. Rie$cono parimente o$ter-
vabili i riquadri po$ti $opra lo $te$$o arco, i quali non $olo $cemano la figura, ma
rie$cono ancora $ommamente di$adatti ad un tal $ito, come quelli che $ono raddop-
piati e me$chini, che nulla hanno di nobiltà, in corri$pondenza degli altri $termi-
natamente grandi, che trovan$i all’ intorno, che in vece di formare una compar$a
mae$to$a, quale $i converrebbe, la rappre$entano $concia e mi$erabile. E poi quel
formare dei finti marmi in un Tempio tanto co$picuo, è co$a da Teatro, e non ci
rappre$enta, che uno $car$o pen$are, e una povertà d’ornare, e per dir la co$a com’
è, egli $i è que$to un di$onore fatto alla $te$$a venerabile Antichità, e dentro una
Gran co$a in vero, e non mai a ba$tanza dete$tata ell’ è que$ta, il pretender, cioè, di migliorare, coll’introdurre le co$e peggiori, che $i po$$ano ideare. Il $olo $tudio poteva rimediare ai di$ordini accennati, e prima di venire all’ e$ecuzione, l’ e$aminar prima a dovere, $e conveniva, o nò, quanto $i pen$ava di fare, e colla $eria con$iderazione a quanto occorreva, sì per la $tima dell’ Antichità, come pel buon gu$to, e $immetria conveniente, e non operare alla cieca, $enza più poter rico- vrare il perduto, non aoqui$tando$i tali Architetti altro nome, che quello di cor- rompitori dell’ Antico, e non il ri$pettabile, che quello $arebbe di con$ervatori del mede$imo.
Veramente mai non $i finirebbe, $e vole$$imo continuare a con$iderare gli errori patenti, che non $olo $i praticano $enz’ alcuna con$iderazione, ma $ono benanche $o$tentati da chi gli commette, allegando in$u$$i$tenti ragioni, $iccome appunto pen- sò di $cu$ar$i l’ Architetto $opraccennato, col dire, d’ aver ciò fatto per mera nece$- $ità, poichè nel $alvare i $oli pila$tri nell’ Attico $opra i Corintj del prim’ Ordine, que$ti non venivano a corri$pondere colle facce dei riquadri nel cupolone, e per tal motivo credè ben fatto il totalmente levargli. A $cu$a così frivola $i ri$ponde, che il cappello non tiene in piedi la per$ona, ma bensì le gambe: lo $te$$o è appunto nell’ Architettura, cioè che le colonne e i pila$tri $o$tengono in piedi le fabbriche, e perciò avendo la ragione il $uo luogo, conveniva a$$ai$$imo il con$ervare i pila$tri $ul vivo di quelli di $otto, $enza riguardo alcuno al cappello, cioè, ai riquadri, e alle facce del cupolone, e così $arebbe$i fatto onore l’ Architetto, ed avrebbe con$er- vato l’ Ordine antico pregiabile perpetuamente pre$$o l’univer$ale.
Rilevo altresì, che $i accorda con quanto e$pongo il mede$imo Cavalier Fontana nel $uo Trattato del Tempio Vaticano, ove al Libro Settimo pagina 460. aggiunge la de$crizione del famo$o Pantheon, della $ua antichità, ed a propo$ito dei co$tolo- ni del Cupolone dice così: = “Degli ornamenti aggiunti da Agrippa dentro il Tem- pio del Pantheon, $iccome quei nicchionì del Tempio più antico, $enza ornamen- ti, non avevano alcuna obbligazione di corri$pondere nei co$toloni del volto; così Agrippa non potè di$por gli ornamenti aggiunti delle colonne $otto gli $te$$i co- $toloni, i quali non cadono colle debite leggi d’ Architettura, cioè, $opra il vivo delle colonne, dovendo l’ uno, e l’ altro corri$pondere, vivo $opra vivo, e non va- riare, come $i vedono i loro po$amenti, che vengono a cadere, parte fra gl’ in- tercolunnj irregolarmente; onde $i $corge che que$te co$tole cadevano prima $opra la punta di quei nicchioni, e che dalla qualità dell’innalzamento di e$$i fo$$e co- $tretto a incorrere in tal difetto nella di$po$izione dell’ornato anche l’ Artefice.
Que$to però non merita d’ e$$er cen$urato, ma dee $timar$i degno di $omma lo- de, per aver $aputo accomodar$i al fatto Tempio, e $chermir$i da molti obblighi, che dal mede$imo gli venivano impo$ti nel far le $ue aggiunte. E’ dunque da cre- dere, che $e il Tempio fo$$e $tato co$trutto in$ieme con gli ornamenti, collo $te$- $o valore, che di$po$e l’ Architetto i mede$imi, avrebbe $imilmente di$po$ti i co- $toloni colla dovuta corri$pondenza $opra i vivi delle colonne.
Tutto que$to pertanto di$trugge la frivola $cu$a addotta dall’ Architetto; quando vi $ono altri e$empj, che provano in contrario non $olo, ma che applaudi$cono, e rendono degno di lode l’ Artefice, che ha $aputo $can$are tale impegno, con$ideran- do di maggiore importanza la buona di$po$izione dei colonnati, e degl’ intercolunnj, che i co$toloni del cupolone: e così doveva far$i in ogni tempo pel decoro del me- de$imo Tempio.
Dopo d’aver parlato della $concia maniera tenuta nel ri$tauro del Pantheon, $em- bra proprio il produrre alcun’altra idea, che pote$$e più appagare i dilettanti, e i fore$tieri molto amanti dell’ Antichità, e in$ieme bramo$i di ricono$cere le $ontuo$e fabbriche per lo $timabile, che in $e contengono. Mi par co$a ottima il valer$i in ciò delle $te$$e antichità per accomodare l’ Attico del divi$ato Pantheon. Furono adunque tolti via tutti quei pila$trini Corintj, che circondavano l’ Attico, e mi $i- guro aver dato a ciò motivo il vedere i $uddetti tagliati dagli archi, ed anche per la figura alquanto me$china, che rappre$entavano. Certamente è più che vero, che avevano poca correlazione coll’ Ordine di $otto, non $olo a motivo della $overchia leggerezza, ma ancora per corri$pondere ai vivi dei pila$tri inferiori; e di più ezian- dio a motivo della cornice dei nicchi, o fine$tre, che $ormontavagli: errore con$i- derabile, come altrove abbiamo o$$ervato. Ora mi è venuto a$$ai in acconcio lo $te$$o Ordine Corintio, che o$$erva$i nel terz’ Ordine del Colo$$eo, che e$$endo $tato diligentemente mi$urato dal De$godet, e di$tinto nel $uo mede$imo Libro, rilevo in e$$o una proporzione, che quadra a maraviglia nel ca$o pre$ente, non meno per la proporzione, che per l’ unione della mede$ima antichità, che a$$ai vale in$eren- dola ad altra antichità $omigliante. Quindi valendomi di que$t’ Ordine Corintio, e ponendolo nel luogo ove era il me$chino, que$to viene a prendere maggior mo- dulo, ed a corri$pondere di vantaggio all’ Ordine di $otto, nè $arà mai di$prez- zabile, benchè non abbia altezza di te$te nove e mezzo, com’è il $uo $olito, ma $olamente di nove te$te, com’ è quello del Colo$$eo nel terz’ Ordine. In tal modo piomba beni$$imo $opra i pila$tri di $otto, e fa buona compar$a ricevendo modulo competente e proporzionato. Vi ho po$to i $uoi primi capitelli, perchè erano anti- chi, e di buona $timabile maniera, ed inoltre $cannellati i pila$tri, perchè formino un’egual leggerezza. Inoltre avendo o$$ervato gli otto altari nel giro di detta Roton- da, cioè, che quattro occupano il fronte$pizio, e $ono i due vicini alla Cappella mag- giore, e gli altri due vicino all’ingre$$o d’e$$o Tempio, e che gli altri quattro oc- cupano il rimenato, ma parve a$$ai dicevole farne la $te$$a corri$pondenza anche nell’ Attico $opra i nicchi, colla varietà di collocar $opra il fronte$pizio il rimenato, e> $opra il rimenato il fronte$pizio: di più per maggior grazia, e dicevolezza dei nic- chi, $embrami co$a ottima il porvi la piana $o$tentata da due modiglioni, che ac- cre$ce a$$ai nobiltà, sì per la buona legatura, e per l’ appoggiar naturale degli $te$- $i nicchi, come altresì per la buona compar$a delle $te$$e $tatue. I riquadri parimen- te s’ uniformano a quei, che vi erano prima, e tutto fa la $ua armonio$a compar- $a, non meno $opra l’arco, che tutto all’intorno. Nel mezzo del $opr’ arco ho col- locato lo $temma Pontificio di Clemente XI., che ora $ta $ulla colonna nudo, e me$- chino, e quì compre$o da cartella lo $te$$o $temma $o$tenuto da due Angeli, che coll’ azione, e coll’ali occupano il $ito leggiadramente, la$ciando i riquadri corri$ponden- ti agli altri, liberi, e netti. Sopra le due colonne ho collocato due Angeli in piedi, che formano leggiadrae conveniente compar$a col rimanente dell’opera. Vi aggiun- go inoltre per maggior decorazione nelle ca$$ette del cupolone i ro$oni toccati con oro, che certamente $arebbero riu$citi di molto $plendore, e di magnifica compar$a. In $omma l’ ornamento al $uo luogo $arà $empre commendabile, e da praticar$i per rilevare quella grandio$ità, che tanto $timavano gli Antichi, ed i moderni d’ ottimo gu$to; e così dee$i fare imitando perpetuamente il buono, e la$ciando tutto quello, che non conviene, che non $arà mai lodevole per i di$ordini, che produce.
Eccovi pur quì due porte in una; ma di figura diver$a, poichè $ono alquanto $velte, e leggiere: per altro ciò nulla affatto rileva, poichè il loro comple$$o $i ri- duce ad una me$chinità, che nulla ha di buono: tutto è $ecco, nè ha co$a alcuna conveniente alla buona, e perfetta Architettura. Non so comprendere, come po$$a- no pen$ar così male quelli, che voglion e$$er chiamati Architetti. Io per me gli de- nominerei Architetti di confu$ione, non già di giu$ta ragione, mentre l’ornato po- $to $opra que$te porte altro non rappre$enta, che un tra$tullo da fanciulli, i quali credono ogni co$a $timabile e buona. E di vero in que$to luogo, nèi circoli forman- ti piramide nella mezzarìa delle porte, nè le cornici po$tevi $opra $o$tenute dal fron- te$pizio, $ono adattate, ma bensì goffe, e pe$anti; come altresì i geroglifici po$ti nel mezzo nulla hanno di buono grazio$o aggruppato intreccio. Povera Architettu- ra ridotta a sì mal partito in una Roma, le cui Antiche fabbriche $on famo$e per tutto il mondo, e $ono l’e$empio del vero, e del bello operare! Nel pre$ente $tato di co$e tutto è al rover$cio, mentre ciò, che $i vede operare, ri$ulta piutto$to lavo- ro da $tuccatori, che da Architetti.
Si o$$ervi per un poco la $compo$ta Architettura di que$ta porta. E’egli pen$are da buono Architetto, o piutto$to da $cempiato, e di$ordinato il voler rigirare la cor- nice in sì mala forma, la quale, oltre al dar pe$o alla $oglia, porta in$ieme $opra il $uo $porto anche il fronte$pizio, che ri$alta in fuori, e rie$ce di pe$anti$$imo a$- petto? Le zanche poi delle due tei>te così replicate $ono a$$ai trite, e niente affatto corri$pondenti colla faccia del telaro: la medaglia parimente, che $ta nel mezzo, non rappre$enta che un me$chino $igillo, anzichè rie$ca di decoro$o ornamento. Per me io la battezzerei per una quadratura pe$ante, $torpiata, e pe$$imamente ideata, priva affatto di buona proporzione, e di figura mo$truo$a.
Simile foggia di fine$tre viene o$$ervata, e datone l’e$empio dal Palladio nel $uo Libro pag. 94., che dice d’averla veduta in Tivoli in un Tempio rotondo dedica- to alla Dea Ve$ta, aggiungendo inoltre, che Vitruvio in$egna la maniera di fare tali fine$tre: ma non già come dimo$tra il pre$ente e$empio della fine$tra della cu- pola del Tempio della Sapienza di Roma, che ha la $oglia a modo di fronte$pizio, e non dritta, co$a, che $compone grandemente la bella $immertrìa, $endo una bia$i mevole bizzaria per la deformità della figura. Non è così nelle fine$tre del Tempio di Tivoli, che hanno le $oglie dritte. Inoltre que$ta ha gli ornati intorno non $o- lo pe$anti, ma di$dicevoli, mentre i triglifi, e le gocce ne’fianchi $ono certamente per l’Ordine Dorico, non mai per que$to, che vien $o$tentato dall’Ordine Corintio, come rileva$i dal di$egno dello $te$$o Tempio. Laonde ella $i è co$a di$dicevoli$$ima, ripugnante alla ragione di buona Architettura, che vuole, che $i $chivi tutto quel- lo, che la di$ordina, e che $i la$ci perpetuamente nella $ua primiera purità, e $chiet- tezza.
Io direi, che que$te fine$tre $uperiori così aggravanti $opra la propria $oglia, po- $te $enza regola, altro non $ieno, che $travolte immaginazioni lontani$$ime dalla vaga, e giu$ta maniera nobile, e leggiera, che dee procurare l’ottimo Architto, il quale dee far cono$cere in tutte le occa$ioni il pregio e valore dell’Arte, ornando $empre mai con po$atezza, e ragionevol modo $econdo ciò, che conviene.
Vorrei veramente por $ine a $imiglianti o$$ervazioni, poichè molte già ne ho fat- te; ma $iccome m’imbatto di quando in quando a vederne di quelle, che non $i po$$ono $orpa$$are, forz’è, ch’>io mi ponga a far l’e$ame anche della pre$ente. Di- co pertanto, che la compo$izione di que$ta fine$tra è lontani$$ima dal $ano operare, poichè mirando quelle due non $o $e cartelle, od altro, che fiancheggiano l’arco, battendo nella $erraglia, e trovandovi$i attaccati a ro$ette i due fe$toni pendenti, formano una $conci$$ima figura: di più quel pezzo d’architrave piantato $opra la luce di detta fine$tra interrotto per accompagnar la $erraglia, e col rimanente del pe$o, che gli $ovra$ta, ove $otto al rimenato $ta attaccata la gran conchiglia, e nel di $opra anche il fronte$pizio, forma un pa$ticcio, che $e vi fo$$e chi lo pote$$>e ap- provare, mi appellerei ai periti, che $on certo lo condannerebbero altamente.
Non $arà parimente inutile l’o$$ervare que$ta fine$tra, che è alquanto $travagante. Che gli uomini pen$ino di variare per mo$trar talento, nol di$approvo, purchè va- rino nel miglior modo, corretto, e commendabile; ma che $i pen$i così $travagan- temente dagli Architetti, non $o intenderla. Veggo in que$to luogo una fine$tra no- bile, per decoro e magnificenza della fabbrica, ornata d’Architettura; ed o$$ervo a un tempo $te$$o $opra il telaro, o $oglia un fronte$pizio a maniera di rimenato, che divi$o nella mezzaria $orma un buco, dal quale e$ce furio$amente un Leone. Che improprio pen$are! Pretendere, che in un tal luogo $ia una tana di fiere per porre $pavento! Oltredichè non $i $a come il fronte$pizio po$$a reggere $opra il telaro, quando lo $porto del fregio della cornice lo $pinge in $uori, mentre per potervi $ta- re converrebbe, che il fregio fo$$e piano, e non gon$io, com’egli $i è. Que$ti $on giocolini da ragazzi, e non $erio ornamento nobile e decoro$o.
Molto a lungo, ed a parer mio con gran giu$tezza parla il Galazzini degli erro- ri di que$ta Porta; ed io pure con e$$o di$approvo tutto quello, che la di$ordina e $compone. Parrebbe $uperfluo pertanto, ch’io ne favella$$i, dopo che ne ha per$etta- mente trattato il mede$imo $crittore. Tuttavia $embrami dover$i aggiungere, che que- $ta Porta tanto decantata, ed in tante e varie $tampe manife$tata, altro non voglia $ar comprendere, che fino a’no$tri giorni meriti qualche con$iderazione di buona e vaga Architettura l’intreccio. Ma e chi crederà mai ciò, $e non $e quelli, che nul- la affatto intendon$i della vera Architettura, e$$endo più che certo, e$$ere una tal Porta un fa$cio aggruppato di parti $proporzionate, che non potrà mai e$$ere appro- vato dai Saggi?
L’errore di que$ta Porta $i rileva nel rimenato, dove accartoccia, rimanendo in aria: nè può mai dir$i, o creder$i a$$icurato dalla tavoletta dell’I$crizione, che è $o$tentata dal rocchello, che gli fa piede, e$$endo la mede$ima di gretta e mi$era forma; e perciò lo $te$$o rimenato viene patentemente a re$tare in aria: inoltre il cantonale $enza la propria ca$$a, l’ornato del fianco non corri$ponde col rimanente di e$$a, niente e$$endovi di buono, fuorchè le bugne, perchè $i portano al centro, a differenza di quelle della colonna, che $on gonfie a pero rover$ciato, novità, che poco vale per mo$trar grazia, che anzi produce goffezza.
Il Palladio nel $uo Libro d’Architettura a carte 51. dice, che non $i può $enon bia$imare quella maniera di fabbricare, la quale partendo$i da quello, che la natu- ra delle co$e c’in$egna, e da quella $emplicità, che nelle co$e da lei create $i $cor- ge, qua$i un’altra natura facendo$i, $i parte dal vero buono, e bel modo di fabbri- care. Per la qual co$a non $i dovrà in vece di colonne, o pila$tri, che abbiano a $o$tener qualche pe$o, porre cartelle, le quali $i dicono cartocci, che $on certi in- volgimenti, che agl’intendenti fanno brutti$$ima vi$ta, ed a quelli, che non $e n’ intendono, appari$cono piutto$to confu$ione, che rechino piacere; nè altro effetto producono, $e non quello d’accre$cere $pe$e agli edificatori: mede$imamente non $i farà na$cer fuori delle cornici alcuni di que$ti cartocci; poichè importa, che tutte le parti della cornice per qualche effetto $ien fatte.
Di que$ta Porta, e di que$ta fine$tra, che $tanno nella facciata del Palazzo della Villa Borghe$e non può negar$i, che compari$cano vaghe alla vi$ta, ma non man- cano ad e$$e i loro difetti, e tutti hanno rapporto al pe$ante. Se $i con$idera la por- ta, $i vede e$$er la mede$ima caricata $opra la $oglia, pel riquadro della cornice, e pel fronte$pizio, il quale po$ando $opra, è evidente, che un tal pe$o viene a po- $are $ul fal$o. Non gli producono tampoco alleggerimento le due cartelle. Si potreb- be for$e dire, che gli de$$ero un po’di forza le due zanchette alle te$te. Ben è vero però, che $iffatte con$iderazioni non ba$tano a $cu$are l’Architetto. Quanto alla fi- ne$tra, e$$a pure compari$ce realmente pe$ante ri$petto al riquadro della $oglia; ol- tre di che il rimenato è troppo alto, e ma$tino, mentre a proporzione della porta, ingrandi$ce più del dovere, nè punto viene alleggerito il pe$o dalle aquile volanti adattatevi.
Non $arà fuor di propo$ito l’o$$ervare in que$ta porta la $travaganza del $uo com- ple$$o. E$$a adunque è d’Ordine Dorico, ma alquanto $conciato. Inoltre è pe$an- ti$$ima la $oglia d’e$$a porta pel ripiego, cherileva$i nel di$egno. Simili $oglie veg- gion$i pure così pe$anti in varie altre porte, come in quella del Palazzo del Princi- pe d’E$te, in quella del Palazzo Lancellotti, in quella del Palazzo del Marche$e Cre- $cenzi, e in diver$i altri luoghi. Ma tornando alle prime con$iderazioni, dopo d’ aver veduto la pe$anti$$ima incoerente $oglia, rileva$i, ch’e$$a porta ha il trigli$o con goccie $otto il fregio; e perchè que$to non è il $uo vero $ito, ma nel fregio $te$$o, produce de$ormità. Sì palpabili errori è più $trano, che veggian$i in Roma, in quella Roma, che $erve di norma a tutto il Mondo. Eppure i moderni Romani Architetti non po$lon $ottrar$i alla giu$ta cen$ura di tali $propo$iti: debbon$i loro mal- grado arro$$ire, $endo convinti, che operano contro la vera ragione d’Architettura, e contro il retto modo di fabbricare.
Anche que$ta è deformata dal $uo grande errore, ed è, che la $oglia d’e$$a porta viene aggravata da certa bizzarra invenzione, che taglia i trigli$i, e le merope all’Or- dine Dorico, che le $ta $opra, e le toglie il leggiero, comparendo pe$ante per lo $cherzo, che produce, e che è di$adatto a $egno che s’oppone a tutte le naturali ragioni. Siffatte incoerenze nulla vagliono, nè po$$ono aver luogo nella verace, e $oda Architettura. Tal difetto è omai divenuto comune in mezzo ad una Roma.
Que$ta porta è molto particolare. Ella compari$ce d’Ordine Dorico; ma $enza derogare alla $tima dovuta al $uo Architetto, forz’è dire, che non può compren- der$i, come po$$anvi aver luogo i due pila$tri, che la formano, $altando agli occhi le bugne dei pila$tri $te$$i po$te in modo, che dalla parte di fuori rimangono entro il vivo del pila$tro, e dalla parte di dentro $cappan fuori. Non $o intendere, che razza di vivacità $ia que$ta, per non dirlo $componimento patentemente vi$ibile. Inoltre ha que$ta porta cinque bugne nel di $opra, ed e$$e formano la $oglia, mo- $trano d’e$$ere sbandate occupando tutta la cornice, talchè giungono fino al di$otto del Fronte$pizio. Ora io dimando, $e le mede$ime po$$ano così da $e regger$i, e$u$- $i$tere?
Più, che ognialtra, que$ta certamente è $trana a motivo di quella ringhiera, che vi $i o$$erva, e per la novità del pen$are. Il porre per cantonale alla detta ringhiera una colonnella in vece di pila$trini $e4; a dir vero una particolare $travaganza, che pre$enta inoltre me$chini$$ima apparenza. Il rimanente poi, vale a dire, che la $o- glia non corri$ponda col capitello, oppure coll’architrave, ma che que$to re$ti $mez- zato, fa sì, che nulla componga buona armonia colle parti mede$ime, la$ciando di più tronco l’architrave per ampliare il vano, e porvi $emplici fe$toni. Pen$are egli è que$to privo di ragione, e di fondamento.
Da que$ta porta $i può con più evidenza rilevare, quanto di$dica il porre $opra le $oglie ornati pe$anti, che aggravino a$$ai le mede$ime. Chiunque attentamente $i farà ad o$$ervarla, vedrà manife$tamente e$$er la mede$ima d’a$petto impropri$$imo, non meno pel rimenato adorno di copio$e gocce, come altresì pel fronte$pizio sì ma- le accomodato, appoggiando il tutto $ulla povera $oglia; che $e e$$a re$i$te, e non cede, non può e$$ere, che una $pezie di prodigio, naturalmente non potendo regge- re in cotal gui$a.
Que$ta merita la no$tra attenzione per la $ua $travagante figura, e pel modo, col quale è e$eguita. Si o$$ervino pertanto le zanche, una grandi$$ima, l’altra $ulla $o glia piccola, e come que$ta $o$tiene il fronte$pizio, che viene ad aggravar$i tutto in fal$o $ulla $oglia $te$$a. Si$$atte co$e $ono, e dir $i debbono sforzature, e non co$e naturali, e $econdo l’arte; e perciò $ommamente bia$imevoli, e da $chivar$i.
Que$ta porta è pure di$ordinata, perchè ha il rimenato pe$ante $ulla propria $o- glia e zanca appoggiata al cantonale, e fuori del vivo. Ella forma figura po$ticcia, e non naturale e $tabile: tiene al di fuori la cartella per ornamento; ma ciò non vale a renderla leggiera, ed avvenente, $iccome converrebbe sì per la nobiltà, e mae$tà dell’ ingre$$o $te$$o, come altresì in rapporto alla mede$ima Architettura.
Anche que$>ta porta con $opra la ringhiera tiene della $omiglianza con quella del Principe Altieri poc’anzi o$$ervata. Sarà pertanto molto a propo$ito il riflettere al mal u$o o$$ervato nel cantonale d’e$$e porte, in cui vien po$ta la colonnella in vece del pila$trino. Le no$tre o$$ervazioni pertanto in tal particolare comincino dalla fi- gura delle cartelle laterali alla porta, cioè, quella di mae$tà alta, l’altra di fianco ba$$a, l’una non corri$pondente all’altra, ma di$giunte. Vero $i è, che la princi- pale $ta bene nel $uo luogo; ma e come mai la $econda può accompagnare la pri- ma, quando que$ta nè per la cornice della zanca, dove comincia, nè dove termi- na, ha la menoma correlazione colla principale, ein o$$ervando la $ua figura fa ma- ravigliar$i della gran di$$onanza delle parti? Venghiamo ora alla ringhiera. Se nell’ altra abbiamo dete$tato il modo così $concio di porre la colonnella nel cantonale, in que$ta dobbiamo confermarci vie maggiormente nella no$tra cen$ura; poichè vie- ne anche raddoppiata dalla mezza colonnella, per accompagnar le altre porte fra i pila$trini, le quali in vece di nobilitare, di$dicono per la me$chinità della loro com- par$a non meno, che pel di$ordinato pro$ilo, che pre$enta la sì $compo$ta figura- Dove mai cotali Artefici hanno appre$o sì $torto pen$are? Certamente non mai da- gli Antichi, che $ono $tati mai$empre corretti$$imi nel loro operare; ma bensì da moderni Artefici d’umore $travolto, che col di$tinguer$i allo $propo$ito e capriccio- $amente, hanno creduto di $egnalar$i; ma $i $ono renduti oggetto di bia$imo a chi- unque gu$ta la buona Architettura.
Dopo d’ aver bia$imato le due antecedenti ringhiere, $i deve far parola anche di que$ta, come per $igillo, e conferma di quanto $i è detto per rapporto al reo u$o tenuto nel cantonale delle mede$ime. Anche il pre$ente e$empio $ervirà per fare in- tieramente cono$cere, quanto di$dica l’u$o sì $corretto e fuori di ragione, praticato $oltanto da quegli Architetti, che non intendono il modo, che dee praticar$i nel giu$to maneggio della nobile Architettura, la quale altro non vuole, nè intende di volere, $e non $e ciò, che $ia ragionevole, e perfetto. Adulterare il buon u$o, e corromperlo non è $offeribile. Delle altre $i è detto ciò che occorreva; ora dee$i ag- giungere alcuna co$a particolare della pre$ente. L’Architettura di que$ta, sì per la ringhiera, come pel fronte$pizio, e per le men$ole, che adornano la fine$tra, merita alcuna rifle$$ione, per rilevare tutti i difetti, che l’accompagnano. In primo luogo, e che $ono mai, od a che mai $ervono quelle due orecchie, o cartelle po$te ai fian- chi della porta in così me$china forma? For$e per tenere, o $errare il modiglione della ringhiera, che e$ce della cornice di detta porta? Nò certamente, poichè non $e gli addice co$a così $car$a, e dappoco, ma bensì qualunque altro accompagna- mento più con$acente, e regolato in retta Architettura. Si o$$ervi poi la $travagan- te ringhiera, e foggia sì di$dicevole al vero $uo e$$ere naturale, mentre anche que- $ta termina colla colonnella in vece di pila$trino, ed è anche po$ta fuori del vivo qua$i abbandonata. Que$to pure è operare fuori di ragione: e per meglio rilevare quanto dico, dia$i un’occhiata al profilo d’e$$a ringhiera, e $i $cuoprirà, che tutte le colonnelle re$tano abbandonate, e prive dei loro pila$trini, che uni$cono in$ieme, e adornano; ma quì nel modo, che $ono e$eguite, non hanno alcuna naturalezza, nè grazia. Similmente quanto alla fine$tra io domando, $e quei due pendenti, o men$ole, che $o$tengono il fronte$pizio, po$$ano commendar$i? Quanto a me tengo per fal$o tal pen$amento, e non mai naturale, poichè $ono sì rover$ciate, e pe$anti al di $otto, che niente più. Le due zanche poi in giro, che rie$cono $otto il goc- ciolatojo del fronte$pizio, non $ervono, che ad imme$chinire l’Architettura, non mai ad ingrandirla. In $omma $e vi è nulla di buono, $ono i $oli quattro modiglioni, che $o$tiene que$to pergolato, Tutto il rimanente è dete$tabile, e cattivo.
Dobbiamo ora parlare di varie porte, che $opra e$$e hanno ringhiera, e prima d’ ogni altra di quelia, che è nel Palazzo dell’Altezza Reale del Gran Duca di To$cana, che è d’Ordine Jonico, ma col $olito difetto divi$ato nelle antecedenti; vale a dire, colla $oglia ma$tina, e a$$ai pe$ante $ul fal$o; col di più, che la ringhiera, che $ta $opra, prolungando$i fino al termine del gocciolatojo della cornice, rie$ce di $concia figura. Non $arà difficile in que$to luogo il far ciò intendere, e rilevare, mentre o$- $ervando i $eguenti di$egni $i può chiaramente comprendere quanto e$pongo. Piomba $opra la mezzeria della colonna il pila$trino del poggio, e va bene; ma il $econdo al di fuori appoggiando $ullo $porto del gocciolatojo fa $comparire la figura, in gui$a che $embra un pe$o fuori del vivo, e$$endo certo, che dalla mezza colonna di dentro portando tratto $pazio$o di colonnelle $ino alla mezzeria della porta, re$ta leggiera; ma dalla mezzeria di detta colonna al di fuori tenendo appre$$o altro pila$trino con $ole due mezze colonnelle, $ubito que$ta parte rie$ce gretta, me$china, e $garbata. Nè mi $i dica, che ciò $ia $tato fatto per allungare la ringhiera, perchè ciò $i po- trebbe $olo tollerare, $e la ringhiera fo$$e fatta di ferro, e non di pietra; poichè la pietra non può $tare $enza il $uo $o$tegno reale. Di quelle di ferro $e ne veggiono $opra la porta del Palazzo Chigi, e $opra le due porte del Palazzo Falconieri, $opra la porta del Palazzo Giu$tiniani, e $u quella del Ca$ino $ul Gianicolo alla Lungara. Diver$e pure ve ne $ono di pietra, come $ulla porta del Palazzo Sacchetti, $u quel- la del Palazzo dei Cornari, $u quella del Palazzo del Principe Altieri, come anche $o- pra quella del Palazzo del Marche$e Paluzzi Albertoni: tale $i è anche quella $ul Pa- lazzo Cor$ini, quella del Palazzo della Cancelleria, e $u quella del Palazzo del Cardi- nal Dezza. Per altro $iflatta foggia di ringhiere mo$tra piutto$to uu terrazzo, o al- tana, che altro, mentre que$ti terrazzi, o altane $i prolungano fin $ull’orlo delle tra- vi, che le $o$tengono: ma le ringhiere di pietra debbono perpetuamente appoggiar- $i $u i vivi, o delle colonne, oppure delle muraglie, e così formano ottima com- par$a. Nè mi $i aggiunga, che la $te$$a cornice $erve loro di $o$tegno; poichè in tal ca$o dirò, che i $oli modiglioni, che piombano di $otto al pila$trino, $ono quel- li, ai quali conviene un tale ufizio per la loro forza connaturale: e così la ringhie- ra può aver luogo. Que$to ba$ti per appagare in certo modo gli umori bizzarri, e $travaganti, i quali credendo di nobilitare la fabbrica, l’aggravano per lo contrario, e l’indeboli$cono molto colle $te$$e cornici, e molte volte $e ne $ono vedute $pezzar- $i e rovinare, e ciò a motivo del pe$o, che non po$$on portare, nè regger$i in ve- run modo.
Ringhiera $ulla Porta del Palazzo della Cancelleria.
Ringhiera $ulla Porta del Palazzo del Cardinal Dezza.
Ringhiera $ulla Porta del Palazzo Sacchetti.
Ringhiera $ulla Porta del Palazzo dei Signori Cornari.
Que$te quattro porte con ringhiera, delle quali già parlammo, e$$endo le più par- ticolari, e di$tinte, oltre le altre, che a bella po$ta $i pa$$ano in $ilenzio, debbon- $i con$iderare. Sarà dunque bene l’o$$ervare la loro figura, perchè $i comprenda mag- giormente, e $i rilevi lo $garbato modo, che appari$ce; poichè tali ringhiere $on po$te $ull’orlo del gocciolatojo, fuori del vivo, e $enza la loro ragione reale. Sarà pertanto co$a ottima il riflettere in avvenire ammae$trati da $iffatti errori sì univer- $ali, e maju$coli, qual modo debba$i tenere nel farle.
Dopo d’aver con$iderato tante varietà di $conce fine$tre, e di $oglie di porte pe- $anti, è nece$$ario dar parimente un’occhiata a quelle, che ci pre$enta il Padre Poz- zi nella $econda Parte del $uo Libro, in cui dice d’aver cavato da molte fabbriche di varia invenzione quelle porte, e fine$tre, che gli $ono parute più nobili, e che $i $co$tino dalle volgari, e d’avervene aggiunte altre di $ua fanta$ia, perchè $e ne po- te$$e $ervire chiunque ne ave$$e voglia. Fa bene a dire, che $e ne $erva chi ne ave$- $e voglia: poichè 10 non $aprei, come mai pote$$ero aver corpo fra gl’intendenti le figure, che que$to buon Frate propone, che $ono delle condannate, e da perpetua- mente condannar$i, a motivo delle grandi improprietà, che in $e racchiudono. Si o$$ervi la prima $otto il Numero 1., che è di $ua invenzione, da e$$o propo$ta per la $acciata di San Giovanni in Laterano nel $econdo di$egno, che il mede$imo ne fece. Que$ta è di $oglia fal$a, perchè, oltre l’e$$ere colle due te$te in aria, facendo arco nel mezzo, ha di $otto conchiglia pure in aria, che pareggia la dirittura della $te$$a $oglia, collo $concerto del modiglione, ocartella nel mezzo della cornice, che gira in fronte$pizio cu$pide, il quale appoggia $ull’arco, e lo aggrava, in vece di $ollevarlo. Co$a $travagante certamente, non ragionevole in verun conto. Quanto alla fine$tra, che $egue $otto il Numero 2. e chi può tacere, vedendola così $travolta nelle $ue cornici, che piombano tutte $opra la $oglia, facendo qua$i centro colle car- telle, e col ma$cherone, $opra cui vi è il ripieno riquadrato, e $ommamente pe$an- te? Se que$ta fine$tra po$$a dir$i nobile, la$cio a$$erirlo da chi po$$iede il buon gu- $to. Similmente è di $ua invenzione la porta $otto il Numero 3. Que$ta non contie- ne un jota d’Architettura, ma è puro lavoro da $tuccatore. Si o$$ervi poi altra fi- ne$tra $otto il Numero 4. con i rimenati a rover$cio, terminanti $ul mezzo della $o- glia, interrotti pure da cartelle; ed ha nella mezzeria per ripieno te$ta con cimie- ro, e fe$toni, e campanelle; e nelle parti il riccio, che $o$tiene le$enatura della cor- nice. In que$to luogo dee dir$i parimente, che la cornice, e i rimenati a nulla $er- vono per riparar dalle piogge; ma bensì, che tutta cada la pioggia $ulla mezzeria della fine$tra, lo che non $olo r<007>e$ce incomodo, ma forma figura d’ecce$$ivo pe$o alla $te$$a $oglia. Lo $te$$o dee dir$i dell’ altra $otto il Numero 5. per rapporto alla deforme figura formata dalla $oglia, e$$endo così inzancata e pe$ante colla me$chini- tà delle due cartelline alle parti $otto alle zanche: come altresì dell’altra, che $e- gue al Numero 6. la diremo mo$truo$a pel cantonale fatto alla foggia di legnajuolo, non mai d’Architetto. La $ua compagna poi al Numero 7. è malamente compo$ta, qua$i priva della $ua vera $oglia, perchè parte inzancata con cartelle, che $o$tengo- no tutta cornice cu$pide, e nella mezzeria $cudo con fe$toni appoggiati $ullo $car$o filo della $te$$a $oglia. Le altre, che $eguono ai Numeri 8. e 9. $ono d’a$$ai $travol- ta invenzione. Dimando ora io: $e que$te porte, e fine$tre ricono$ciute dal P.Pozzi per particolari, e nobili, s’abbiano a creder tali, oppure pe$anti, mentre ve ne $ono di me$chine, e volgari; e $e debban $ervire d’e$emplari, oppure $ien tanti gruppi d’errori da evitar$i quanto è mai po$$ibile, non e$$endo nè grandio$e, nè proprie, nè giu$te, nè convenienti? Dirò adunque, che molti pen$ano di $aper molto, e $ono ignoranti$$imi del vero, e del po$itivo. Le idee volgari di$dicono certamente all Ar- chitetto giudizio$o. Eppure a que$ti tali $i applaude dai cervelli corrotti, e vaghi della rea moda, e che $enza procurare d’intendere $i fi$$ano nell’opinione corrotta, e voglion $o$tentare il cattivo per buono, e non curando il buono amano perder$i negli abu$i, ed errori. Gran vergogna ell’è in vero il veder la verità, e la purità della $cienza sì conculcata, e che non s’abbia più a formar concetto dell’ottimo. Non torneranno più i pa$$ati tempi; ma potrebbe ben ri$orgere il buono, quando ven- gano e$aminati gli antichi e$emplari, e bandite le $travaganze.
Que$ta porta ha del particolare, mentre e$$endo contornata dal telaro, che le $er-
ve d’erte, e di $oglia, tiene tuttavia l’arco attaccato all’erte $te$$e, e que$to po$to
me$chinamente, privo dei requi$iti, che richiede la mae$tà, e il decoro d’e$$a por-
ta. Il meno, che pote$$e dir$i, è, che appari$ce po$ticcio, non mo$trando ragione al-
cuna per $o$tener$i, nè per e$$er $o$tenuto, e$$endo privo d’ogni $o$tegno, cioè dell’
Ha que$ta porta $imilmente del goffo, e del pe$ante, $econdo compo$ta di rime- nato, fronte$pizio, e zanche, ma $correttamente e$eguiti, come dimo$tra la $ua for- ma. E’a volta, ma l’arcata tiene fa$cia me$china; e abbonda poi ri$petto a zanche, e rizanche con giri, e rigiri, cioè a dire, la prima al di fuori con bovolo, il qua- le $o$tiene la cornice, e il fronte$pizio, e gira in dentro il luce dello $te$$o goccio- latojo, perdendo$i nel bovolo, ove rigira nuovamente per $o$tenere il rimenato $ot- to il fronte$pizio; il qual rimenato nella mezzeria re$ta tronco, e $pianato da appa- rente $erraglia, o men$ola, con ma$cherone, cartella, e conchiglia, $otto alla quale poggia $opra un me$chino giro di due cartocci, dai quali pendono due fe$toni di boccoli, o campanelli, che terminano nell’angolo della zanca di dentro. A vero di- re una tal figura d’ornamento po$ta $opra la porta d’un Palazzo non è punto deco- ro$a, perchè non pre$enta buona Architettura, e neppure $offribile quadratura rego- lata formata $econdo il buon gu$to direale compo$izione: e $iccome o$$ervammo nel- le di $opra accennate porte varj difetti, così in que$ta $econdo il $olito gu$to corrot- to o$$erviamo diver$e idee di$ordinate, e fal$e. Io mi per$uado, che gl’intendenti $ie- no per cono$cere, che quanto ho detto, e $ono per dire, tutto tende a $o$tenere il pu- ro decoro dell’ottima Architettura, in proporzione ragionevole e giu$ta, lontana da qualunque $morfia, e mala grazia, $con$iderata, e fal$a ne’$uoi principj, mezzi, e fini, che altro non producono, che confu$ioni, e di$ordini con$iderabili nella vera, e $oda Architettura, la quale null’altro approva, nè può approvare, $e non la rettitu- dine di piantazione, e d’elevazione ragionevole, e $oda, con $icurezza tale, e pro- babilità indi$pen$abile di $ua vera forza per reggere non meno all’intemperie dei tem- pi, che per e$$ere a un tempo $te$$o dilettevole alla vi$ta dei riguardanti, i quali debbon re$tar per$ua$i, che tali manifatture $ieno compo$te di $cherzi ragionevoli, e non di $ogni ridicoli, e vani, La $aviezza, la mae$tà, il decoro, e tutto ciò, che è ragionevole, è prezzato nell’Architettura; e non già le $concezze, le irregolarità, le $morfie, e quanto $i può pen$are di tali moderne invenzioni ridicole, e fal$e; non potendo mai dar$i, come pretendono certi moderni $corretti Architetti, che l’Archi- tettura giunga ad e$$er $imile alle $cuffie delle femmine, che tratto tratto $i mutano, or con boccoli, rizzetti, na$tri, ed altre $travaganti $morfie donne$che inutili, e $van- taggio$e, $enza verun propo$ito, nè ragione, ma $oltanto di capriccio$o u$o condan- nabili$$imo, e nulla più.
Il Palladio in $imil gui$a nel $uo Libro I. d’Architettura a carte 52. dice così =” Ma quello, che a mio parere importa molto, è l’abu$o di fare i fronte$pizj del- le porte, delle fine$tre, e delle Logge $pezzati nel mezzo: concio$$iachè e$$endo e$- $i fatti per dimo$trare, ed accu$are il piovere delle fabbriche, il quale così colmo nel mezzo fecero i primi edificatori ammae$trati dalla nece$$ità i$te$$a; non so, che co$a più contraria alla ragione naturale $i po$$a fare, che $pezzar quella parte, che è finta difendere gli abitanti, e quelli, che entrano in ca$a, dalle piogge, dalle cere, non $i deve però far ciò contro i precetti dell’Arte, e contro quello, che la ragione ci dimo$tra =. Si vede pertanto, che anche gli Antichi variarono, ma $i vede ancora, che non abbandonarono mai le regole univer$ali, e nece$$arie dell’ Arte.
Che il bizzarri$$imo Padre Pozzi inventore $trano di capriccio$i pen$ieri abbia pre- t>e$o d’accomodare la mae$to$a, e nobile Architettura naturale, $oda nelle $ue parti, e molto più $tabile nelle $ue piantazioni, al $uo modo, non mi reca alcuna mara- viglia, poichè altri vi furono innanzi a lui, che la rovinarono in molte parti: ma re$to però $orpre$o, che e$$o Padre Pozzi Ge$uita, e il di lui fratello Padre Giu$eppe Carmelitano Scalzo $ieno$i inoltrati a teatrizzare la $te$$a Architettura, in gui$a che dalle loro opere già o$$ervate in Roma, e quelle, che $i o$$ervano e$eguite in Vene- zia dal Padre Giu$eppe, $i vegga l’ ardir loro in$offribile nello $comporre la formale ragionevole Architettura tanto pregiata nella Grecia $uo primo nido, ed avanzamen- to, come in Roma, che ne adottò gli e$emplari, $iccome ci mo$trano quei pochi a- vanzi di vera, e buona antichità, che in e$$a $u$$i$tono, e$cludendo perpetuamen- te della moderna Roma le $compo$te, e $mor$io$e compar$e adulterate.
Ora mi aggrada d’ e$porre in que$to luogo la pre$ente figura, che il buon Frate propone nella $ua opera in una cima d’ altare con palla i$olata contornata dal tela- ro $eguente tutt’all’intorno, con quarti di colonna rotondi alle parti, le quali $o$tie- ne $ul capitello il $olo architrave, che gira $opra la detta palla. Que$ta ha doppia modenatura nel terzo del cerchio all’ incirca: la $erraglia vien rappre$entata dalla te$tolina del Cherubino po$tovi $otto, alzando$i tutta l’intera cornice nelle due mo- denature, la gola delle quali produce nelle te$te un gran cartoccio, inve$tendo$i con altro $imile del $opraornato, che viene a $ormar voluta alla cima $te$$a. Le due colonne principali $ono $pirali, inghirlandate d’ allori: hanno i contrappila$tri dritti, e dopo que$ti aletta circolare, e $cannellata. Sono d’Ordine Compo$ito, hannocor- nice intera, e la $pirale ha ancora il rimenato. Sopra la palla poi è o$$ervabile il grande ingombro della pe$ante cima, che termina colle due corna, e boccolo al di fuori. Que$te certamente non producono leggerezza; anzi ingombro pe$ante e ma$tino coll’aggiunta della conchiglia, e delle palme: nè per e$$ervi nella mezzeria $opra la modenatura della pe$ante cornice, e $erraglia il va$o con puttini, e con campanel- le pendenti dalle cornature delle $cherzevoli volute laterali vien prodotta leggerezza; ma tutto que$to contribui$ce a render l’arco, el’altare più pe$ante, e deforme, per le modenature della cornice correnti al punto del centro; ed o$$ervando$i tutto que- $to comple$$o sì aggruppato, irragionevole, e di$$onante dalla $eria uniformità ed u- nione delle parti, che dee dir$i contrario alle regole, che $ono indi$pen$abili da pra- ticar$i univer$almente. Manco male, che lo $te$$o Autore dice, che $i potrebbe cor- reggere, allorchè in e$$o $i trova$$e co$a, che non piace$$e. Ma que$to è dir poco, mentre affinchè pote$$e piacere a chi intende, converrebbe mutar tutto, eformarnuo- va invenzione.
Da tutte le propo$te invenzioni del Padre Pozzi già noto ai capriccio$i $tudenti di moderna Architettura, co$toro pretendono $o$tenere, e$$er giovevole l’ imitarlo, $timan- do, che invenzioni $if$atte $ieno pellegrine, e nuove; e ciò, perchè le veggiono così piene di fanta$ie, e nulla con$iderano ciò, che addimandi, e voglia l’Arte ragione- vole, e per$etta, e quanto importi l’aver l’occhio alle proporzioni, ed alla di$po$i- zione delle parti, col porle ai luoghi loro, e non alterarle, o coll’accre$cerle, o col diminuirle, ornando $oltanto quello, che ammette ornato, e que$to niente più di quello che convenga, non aggravando più del dovere, ma tutto collocando in buona regola, $immetria, e leggerezza. Ho $timato opportuno l’e$porre le pre$enti figure, quantunque non $ieno $tate tutte realmente e$eguite, perchè e$aminandole $i rilevino gli errori, dei quali pieno è l’Autore $uddetto, eper far cono$cere a quelli, che pren- don per buona Architettura gli $cherzi più $travaganti, quanto vadano errati, elun- gi dal vero.
Benchè abbiamo diligentemente e$aminato, e parlato di molte altre porte con $o- glia pe$ante, non credo $uor di propo$ito tuttavia il dare un’occhiata anche a que. $ta; affinchè $empre più re$ti condannato il reo u$o delle invenzioni di$$onanti, e lontane dal naturale. Que$to $i rileva nella pre$ente $oglia, che viene innalzata dal- la $te$$a zanca fin $otto ai modiglioni: $i o$$ervi la malagrazia, che e$$a produce, tagliando l’architrave non $olamente per $ormare uno $pecchio per porvi quegli $chi- ribizzi, e nelle cantonate le volute con cartelle, e a$$ai pe$anti. Que$te $concezze quel- le $ono, che dicon$i ripieghi di buona avvenenza.
Dalle molte porte e fine$tre, e da altre $abbriche $inora o$$ervate in Roma, e$egui- t>e in tanti, e sì varj modi, non $arà inutile il riflettere $opra quanto abbiamo $co- perto d’errore, e di$ordine nelle mede$ime; e que$to per $olo profitto di chi brama erudir$i nel vero modo d’ operare $enza inciampo e con$u$ione; e perchè ognuno po$- $a re$tare illuminato dagli e$empj finora divi$ati, e da quelli altresì, che andremo e$ponendo, non altra e$$endo la mira mia, che di giovare. Non bi$ogna adunque por mai pe$i $uori del vivo, nè aggravar mai le $oglie, $ieno di porte, $ieno di fi- ne$tre, $opra il vano: non $i dee porre cornici $uori del $odo: non tagliare i fron- te$pizj allo $coperto: non porgli a rover$cio: non tagliare gli architravi, poichè e$- $i formano la legatura principale delle fabbriche: non collocar pe$i $opra le Zanche, nè porre le mede$ime ove non convengono: non raddoppiare i fronte$pizj, o i rime- nati fuor di propo$ito, nè appoggiargli $ul fal$o: non formare archi privi di fian- cheggio, come diremo a $uo luogo, e faremo coll’ e$empio alla mano rilevare il reo ef$etto, che producono: non porre i pergolati, o ringhiere $opra il vivo de’ goccio- latoj delle cornici, poichè rie$cono di figura pe$ante, e $concia, come $i vede con frequenza; ma porgli nel vivo della $ottoccornice dei modiglioni, mentre allora rie- $cono più $velti, e grazio$i: in $omma guardar$i bene dal confondere un Ordine coll’ altro, e dal porre l’ ordine inferiore $opra l’ inferiore; ma o$$ervar l’ordine naturale. Dee altresì s$uggir$i di porre Architettura a rido$$o d’ altra Architettura, coprendo l’ una per far comparir l’ altra: finalmente s$uggire i pen$ieri irregolari, sì in riguardo alla $oda, e $eria Architettura, come ri$petto agli ornati, pen$ando ad operare $ol- tanto in quel modo, che in$egnano la ragione, e l’Arte, non curando$i di bizzar- rie, che $on $empre vizio$e, ma operar po$atamente, come conviene ad un $avio Ar- chitetto. Così operando $aremo certi di non por piede in fallo, e l’opera no$tra $arà approvata, e commendata da tutti i buoni di$cernitori, e ci acqui$teremo quella $te$- $a gloria, onde $on celebrati gli antichi Architetti.
Quanto $ia$i inoltratto, e tuttavia s’inoltri nell’ Architettura l’ abu$o vizio$o, ce lo manife$ta l’ e$perienza. Io o$$ervo certi Architetti, che fanno lor gloria nel dichia- rar$i Apo$tati nell’ Architettura $ull’ e$empio di Michel Agnolo Buonarroti, del Ber- nini, del Borromini, ed anche del Padre Pozzi, tutti Architetti vizio$i, e contrarj al vero, e retto modo, che hanno tenuto gli eruditi, e pratici mae$tri dell’ ottima antichità, e che ci viene additata chiaramente dalla $te$$a Natura.
Ora o$$ervando il Trattato, e gli e$empj di Bernardo Antonio Vittone Architetto Accademico di San Luca di Roma, che $i dichiara d’ e$$er uno dei veri Comentatorì> di Vitruvio, e di porre in chiaro tutte quelle o$curità, che altri prote$tano d’ in- contrare; e che per dimo$trar ciò ha prodotto i $uoi $ingolari $tudj e di$egni, $i crede di far con e$$i rilevare il fino $uo intendere, e la felicità del $uo capriccio$o pen$are, sì per quello che concerne l’ erudizione Vitruviana, sì ancora per la di$po- $izione degli Ordini Architettonici, $econdo la $ingolare opinione Romana, e le propo$izioni del Vignola. E pure fra quanti hanno $critto d’ Architettura il Vigno- la è uno de’più $car$i, e corti per far intendere qual $ia il vero buono, che debba imitar$i. Ora il Vittone bramo$o oltremodo di pale$are al Mondo lo $tudio Roma- no, $o$tenendo le ma$$ime degli accennati Autori, e$pone non $olo varie $ue idee di fabbriche, ma vi aggiunge varie $ue porte e fine$tre, per accre$cer quelle e$po- $te dallo $te$$o Vignola, dalle quali $i rileverà l’ avanzamento dell’ adulteramento, e corrompimento del buono, e vero gu$to della purità degli antichi tempi, facendo $empre più rilevare la vizio$ità dei tempi pre$enti, che rappre$enta $oltanto $ceniche apparenze, che nulla po$$eggono di quella vera $olidità, che è tanto pregevole, nè di quella nobiltà, che è tanto propria della reale e genuina Architettura.
Eccovi pertanto la prima $ua porta, e> la prima $ua fine$tra $emiru$tica, l’una, e l’altra d’ordine To$cano. Sopra la porta è ripiegata la cornice per includere una fi- ne$trella per dar lume all’ingre$$o. Que$ta $i poteva beni$$imo accomodare $opra la $te$$a cornice, nè $arle far compar$a, come quì, di prigione, anzichè d’ onorevole abitazione. Non $o intendere, come altri po$$a far$i lecito di ripiegar le cornici, ri- voltandole irregolarmente coll’idea d’ accomodamento, e a un tempo $te$$o romper l’ ordine, e l’u$izio d’ e$$e cornici, come appari$ce dalle due $ottoccornici tagliate, che $porgono in $uori a foggia di $perone, ed appoggiare $opra dei tu$i; quando que$te altro non rappre$entano, che legamenti ragionevoli delle fabbriche, e corona dell’ opera architettonica. Non $o tampoco comprendere la collocazione di quelle bugne, parte tu$e, e parte riquadrate $ulla $oglia po$te correnti al centro, mentre que$te al- tro non fanno, $e non figura di tagliare la $te$$a $oglia.
La fine$tra poi, che accompagna la porta, $e $i con$ideri, compari$ce $torpiata. Qual è mai la ragione di porre le erte sì tronche al di $opra, e non correnti in cor- nice, ma col tu$o $opra, formare il fregio parimente tagliato, la$ciando il vacuo al- la $ola $erraglia di tufo, la quale $opravvanza la cornice, e il gocciolatojo totalmente ra$o da’ membri. Smor$io$a co$a ella $i è que$ta al certo non mai lodevole, veder cioè, la $oglia sì $mezzata, parte li$cia, parte tu$a, e parte architravata: co$a pari- mente ridicola e montagnuola, e priva d’ ogni leggiera apparenza.
La $econda porta è detta dall’ Autore d’Ordine Jonico. Io non $o, $e debba con ragione così nominar$i a motivo di $ua sì $travagante $igura, lontana dall’ ottima Ar- chitettura, non avendo alcun alcun ordine, o regolamento po$itivo. Se è perme$$o dir ciò, che è, dovrà dir$i, che è lavoro da $tuccatore, di figura pe$anti$$ima, $enz’ alcuna proporzione, e mi$ura: $torpiamenti capriccio$i di bizzarri ingegni, che a briglia $ciolta $i la$ciano tra$portare dall’ impeto dei loro tra$porti vizio$i, non accorgendo$i, che il tutto altro non è, che con$u$ione.
O$$ervabile pure $i è in que$to luogo la fine$tra Dorica, che compari$ce pompo$a e leggiera; e tuttavia il dotto Galaccini la di$approva colla ragione da e$$o e$po$ta nel $uo Trattato _degli errori degli Arcbitetti_, ove propone l’e$empio di porre i telari a reggere tutto il pe$o della cornice, e del fronte$pizio. In que$ta però vi è di più, ed è la piana, che $porge in $uori, e mo$tra di non $o$tenere lo $te$$o telaro nè po- co, nè punto: ma per lo contrario $embra men$ola ornata dalla te$ta di leone, che abbraccia un occhio, che po$$a $ervire per fine$tra ad un $otterraneo. Bizzarrie di niun momento, e vani$$ime.
Eccovi ora la terza porta d’ Ordine Corintio. Si crederà pertanto, ch’ ella $ia a norma di que$to $te$$o Ordine, ma ell’è per lo contrario alterata dal $olito reo e cor- rotto gu$to Romano moderno. Primieramente ella ha la $oglia tagliata da una men- $ola irregolare, che $o$tiene animali: di più ell’ ha una cima innalzata pe$ante, e tutta appoggiata $ulla $te$$a $oglia, come dimo$trano le due Zanchette attaccate alle te$te dell’ erte, co$a $enza ragione architettonica, non e$$endo perme$$o in buona Mec- canica por pe$o $ul fal$o. Ella porta fronte$pizio con $temma prelatorio, ne’ fianchi tiene due cartelle a modiglione, che $o$tengono la cornice po$ta angolarmente in corri$pondenza del fronte$pizio, ed è la $te$$a ornata da due pine, che dimo$trano la ri$tretta fanta$ia di chi l’ ha inventata.
Vi aggiunge poi l’ Autore due fine$tre, perchè $ieno tenute per Ordine Compo$ito: ma $iccome o$$ervo, che la prima ha al di $otto le gocce, credo, che piutto$to deb- ba dir$i Dorica: e di vero un $iffatto ornato sì al di $otto, che al di $opra è a$$ai interrotto, e pe$ante. Forma $otto l’ appoggio una men$ola $o$tenuta dalla due Zatte correnti alla quadratura d’e$$a fine$tra, che appoggiano colle gocce $opra il loro ba- $amento riquadrato, e vengono a formare col loro pendìo $pazio nel mezzo per l’ ornato della corona, e delle palme; $iccome al di $opra $i $cuopre meglio la $oglia caricata, per riguardo al riporto po$ticcio della cornice, prodotto in corri$pondenza del rimanente nel timpano $otto il fronte$pizio: e dai due profili di cartelle appog- giati alle Zanche, mi $embra, come indicai, Dorica, e non Compo$ita una tal fi- ne$tra. Il più o$$ervabile però nella mede$ima $ono le replicate le$enature, che veg- gion$i nella cima, che rappre$entano un certo interrompimento niente naturale $opra la divi$ata $oglia, come altresì la cornice, ed il fregio gon$io. Que$to non è natu- rale, e $emplice ornato, ma bensì pe$anti, e bia$imevoli apparenze.
Può dir$i lo $te$$o anche della $econda fine$tra, che appari$ce picciola, e che $i tro- va in $imigliante corri$pondenza. Ella rappre$enta un gruppo di rappezzamenti fatti a>lla moda Romana gua$ta, lontani$$imi dal vero gu$to.
L'ultima porta, della quale fa mo$tra l’ Autore, vien da e$$o detta Compo$ita. Ve- ramente ha ragione di così nominarla, poichè è compo$ta di tante parti, e pezzami $torti, e dritti, che però non $on pre$critti dall’ Ordine Compo$ito, il quale anzi gli $tabili$ce tutt’ all’oppo$to; poichè un tal Ordine richiede, e vuole il tutto ottima- mente compo$to e regolato, come pre$crive, e per cui tale è decantato: imperciocchè gli ovoli furongli pre$tati dall’ Ordine Dorico, le volute dall’ Jonico, e le foglie dal Corintio, e que$te tre co$e lo formarono. Que$to è quell’ Ordine, che dal Palladio è ricono$ciuto per l’Ordine Romano: ma in que$to luogo il Vittone lo $travolge, e vuole, che il $uo capriccio prevalga, formando un mero pa$ticcio, che non rappre- $enta tal ordine, ma un amma$$o $garbato. L’erte colla $oglia così sbeccata ed ele- vata in cima grande per $o$tenere uno $temma pe$ante $ul vuoto; e po$cia i due pila$tri nei fianchi rappre$entanti termini $tracantonalmente po$ti, i quali e$$endo me$chini nella pianta, e nella cima imbrogliati di $agome $mor$io$e, e colla corni- ce ripiegata in giro, formano rimenato, e $chienale allo $cudo $te$$o. Sarà più di- cevole il denominarla fanta$ia $erpentina, poichè è collocata in guardia di due $erpenti.
Nego pertanto francamente, che tali pen$ieri debbano per buoni approvar$i, per- chè ripugnano affatto alla $eria, e naturale Architettura. E’que$ta per lo contrario una $travagante ed irregolar quadratura, pen$ata $ul modo degli $tuccatori, che cor- ra, o non corra in regola, vuol far figura. Così l’ intendono certi moderni Archi- tetti, che vanno in cerca di bazzecole, e tra$tulli, per far compar$a $pirito$a e va- ga. Que$ti però $on fuori di $trada. Lo $te$$o po$$iamo dire del Pirane$e, che van- ta il nome d’Architetto $pirito$o per aver ri$taurato in Roma la Chie$a del Priora- to dentro e $uori, sì per l’ Architettura, che per gli ornati. Que$to pure volendo$i di$tinguere più degli altri, immaginò un’ Architettura $econdo il $uo capriccio, e gli ornati parimente proporzionati al $uo $car$o giudizio, potendo$i in ciò accompa- gnare col Po$i, il quale s’ impiegò nel ri$taurare il Pantheon in tutto l’Attico, come dicemmo, il quale diè a cono$cere il corto $uo pen$are. Di que$ti due Architetti può dir$i, che uniformemente al Padre Pozzi tutto rivinarono e $convol$ero nell’ Archit- tettura. Co$a veramente deplorabile ai no$tri tempi per Roma, ove i $uoi Arte$ici vanno gua$tando i pochi aurei avanzi dell’ Antichità, $otto il reo prete$to di vie più nobilitarla. E’ co$a pur da maravigliar$i, che dopo il Padre Pozzi tutti gli Archi- tetti $ieno$i appigliati a pen$amenti lontani$$imi dal vero, ed a veri $eminarj d’ er- rori.
DOpo d’ avere $coperti in varie fabbriche di Roma i molti errori comme$$i dagli Architetti, non $arà fuor di propo$ito, che ci facciamo ad e$aminare altresì la bella e ricca Città di Venezia nelle $ue $ontuo$e, e magnifiche fabbriche, e$egui- te da celebri Autori, come rilevera$$i ciò, che $on per dire dai pre$enti di$egni, ri$petto agli errori comme$$i, e che tuttora $i commettono dai mal pratici Architet- ti, i quali hanno enormemente de$ormato la buona maniera d’ operare, sì nell’ ordine della $oda, e antica Architettura, come altresì negli ornamenti di quella; e $enza avveder$ene $i $on ridotti a non più cono$cere il buono dal cattivo, trovan- do$i così fuori di $trada, ed af$atto ciechi, rinunziando d’ aprir gli occhi, e di co- no$cere il vero, ed abbracciando $oltanto quello, che $i chiama bizzarrìa e moda; $icchè vanno in$en$ibilmente riducendo il per$etto nell’ imperfetto e gua$to. E ciò che giunto era al colmo della perfezione, come $i $corge in Grecia, ed in Roma, confondono per modo, che più non $i di$cerne la verità, nè la vera virtù. Que$to mio libero parlare non offenda alcuno, poichè io non ebbi mai, nè avrò altro $ine con ciò, $e non quel $olo, di vedere cioè ch’ entro una Città così nobile $i per- fezionino $empre più le belle Arti, e $i accre$cano, nè $i perdano fatalmente, $icco- me pur troppo è in altre Città accaduto.
Sarà quì pure da con$iderar$i l’ abu$o delle fal$e $oglie, non meno di porte, che di fine$tre, il quale abu$o vien praticato in $uppo$izione di novità, e bizzarria, non ri- flettendo quanto ciò $ia fuor di regola, nè po$$a aver luogo nel buono, a motivo della pe$ante, e $al$a figura, che rappre$enta fuori d’ ogni ragione. Se que$ti Ar- chitetti $ape$$ero ciò, che è nece$$ario a $aper$i, cioè, che le $oglie delle porte, e fine$tre altro non rappre$entano, che un arpice, per legare l’ erte, o $tipiti delle mede$ime, e che que$ti non po$$ono e$$ere aggravati dal pe$o $uori del vivo, perchè corrono ri$chio di $pezzar$i: e per difendergli da tale $concerto fa me$tieri valer$i del ripiego di formargli $opra un rimenato di cotto entro il proprio muro, affinchè lo $te$$o col proprio pe$o non gli opprima, certamente $e ne a$terrebbero. Que$ta è la maniera del buon praticato, e da praticar$i; e non mai nelle forme da noi o$$er- vate u$ar$i in Roma; $ebbene anche quì fra noi vi $ono i corrompitori, che $enza ritegno fanno$i ad imitare il cattivo gu$to, e non il vero, e buono, che convien$i, come $i rileverà dagli e$empj, che con chiarezza vedremo negli appre$$o di$egni.
Per $empre più comprovare quanto $i è detto, e far cono$cere quanto $ia da $chi- var$i l’ errore di porre i pe$i fuori del vivo, $ervirà anche la pre$ente porta. La ra- gione ha certamente il $uo luogo per ciò che riguarda il durevole, $iccome ho in que$ta o$$ervato, che $i vede entro il Fondaco de’ Tede$chi, e $erve d’ ingre$$o al luogo delle bullette, e $pedizioni delle merci di detto Fondaco. Dee o$$ervar$i la $ua $truttura, che è a$$ai $travagante, perchè mo$tra di tener la $oglia appena in luce del vano, lo che di$dice grandemente, oltre l’e$$er la mede$ima oppre$$a dal pe$o, che le $ovra$ta, e già $i o$$erva $pezzata, mentre ha cornice, pila$tri, e fronte$pi- zio per annicchiar$i nel mezzo il Leone Ducale. Non $o capire, come poffa pen$ar- $i così male, ri$petto alla $u$$i$tenza non meno, che alla $oda Architettura. Io vor- rei pur far comprendere tal verità, $e mai fo$$e po$$ibile, e che ritorna$$e l’ u$o del buono operare. Gran co$a, che il buono $ia cono$ciuto, e praticato da sì pochi, per non lo dire pre$$o che abbandonato da tutti, e venga approvato $olo quello, che non è degno d’approvazione, nè lo potrà e$$ere giammai.
Facciamoci pure ad o$$ervare e$$a porta, e dal $uo e$ame agevol $arà il compren-
dere la verità delle mie a$$erzioni. Que$ta non $olo ha la $oglia pe$ante, ma anche
po$itivamente in$u$$i$tente, a motivo del pe$o, che l’ opprime al di $opra; e poi per-
chè la $ua figura mo$tra di non aver te$te valevoli per abbracciare, e $tringer l’ er-
te mede$ime, ma mo$trando d’ e$ter qua$i in aria, e $o$tener così il pe$o $oprappo-
Que$ta porta $i vede $ul $econdo piano della Scala Maggiore nella Ca$a dei Civran a San Gio: Cri$o$tomo; e come l’ e$empio dimo$tra, è piena d’ irregolarità. La $ua $oglia è $ommamente pe$ante, le $ue cartelle nulla concludono, il mezzo $uo pila- $tro Jonico nulla $o$tiene, nè $erve a co$a alcuna il rimenato. Tutte que$te co$e $i trovano fuori di $immetria, e deformano, anzichè adornare.
E’ que$ta $oglia di porta di forma $travagante, e di mal compo$ta figura a mo- tivo dello $cherzo irregolare, che rappre$enta, girando al di $otto della propria gro$- $ezza della $ua $oglia naturale, e poi legando$i in rimenato al di $opra, produce alla mede$ima pe$o di con$iderazione. Sono que$te irregolarità, che deformano, e tolgon la grazia, e la $odezza.
La foggia di tali $oglie così inzancate con bugna nella mezzeria, che vengono ag- gravate di pe$o $ul fal$o irragionevolmente contro l’ e$$er loro naturale, dimo$tra e$- $er le mede$ime $tate ordinate $enza $apere a che debban $ervire, $e, cioè, per $o- $tenere e legare la porta, oppure per re$tar oppre$$e, ed infrante dal proprio pe$o.
Di que$ta $oglia dee pur dir$i, come delle altre la figura $compo$ta, lontani$$ima dal leggiero, e vero modo da praticar$i, non dovendo e$$er mai così ma$tina e pe- $ante, poichè è oppo$to ciò all’ ordine naturale.
Altra $oglia $omigliante $i o$$erva $ulle due porte laterali della Chie$a del S. Se- polcro, con que$to di più, che $opra la zanca tiene anche cornice le$inata con mo- diglioni, che le cagiona pe$o maggiore, e le dà più goffezza. Siffatte operazioni dir $i debbono mo$truo$ità, perchè $i dilungano da tutte le regole della $ana Architettura.
Di que$te porte, che $i veggono nella pre$ente Chie$a, e che $ervono d’ingre$$o alle Sagre$tie, trovando$i aggravate $ulla $oglia dalla men$ola, che $o$tiene il pul- pito, ful quale $i legge l’Epi$tola, e il Vangelo, debbo dire, che la lor maniera non è lodevole, e$$endo certi$$imo, che la men$ola ripo$a $olamente $ulla mezzeria della $te$$>a $oglia, e per trovar$i que$ta $pinta dal pe$o, che le è $opra, $ta $empre in procinto di $pezzar$i; e $e la porta non fo$$e così ri$tretta di luce, certo $i è, che a que$t’ ora $i $arebbe $pezzata. Il modo $icuro d’ operare in ca$i $omiglianti altro e$$er non può, $e non $e quello di formare la porta a volta, poichè l’arco fa perpetuamente forza, e con ragione $u$$i$te; e così uno opera $econdo l’Arte.
Non $i da error più $olenne dello ftravolgere gli Ordini, e confondere il retto u$o dei mede$imi, $iccome ci avverte il Galaccini a carte 65. dicendo, come non con- viene in verun conto il por l’ordine $uperiore $otto all’inferiore, cioè, che il fervo faccia l’ufizio del padrone, e vicever$a; $iccome rileva$i nel pre$ente e$empio, che e$$endo d’Ordine Corintio al di $otto, tiene nel $econdo di $opra l’Ordine Jonico, l’uno e l’altro a$$ai ornato $econdo il gu$to antico: e per e$$er la detta Architettu- ra me$colata di parti buone, $ebbene non $eguenti, ne ho po$to l’e$empio, affinchè $i rilevi il di$dicevole nello $calvacare gli Ordini, lo che non conviene in verun conto: in quella guifa appunto, che uno voleffe, che le braccia faceffero l’ufizio delle gambe, e le gambe quello delle braccia, del che dar non $i potrebbe defor- mità più $cempiata. Il di$ordine i$te$$o $i rileva parimente nel campanile della Chie- fa di San Gio: Cri$o$tomo, che è ornato d’Architettura, ma $cavalcata nella gui$a $te$$a, cioè, in cui è po$to l’Ordine Corintio $otto all’Ionico, lo che, come dicem- mo, è deformità.
Somma $i è certamente la $travaganza nel porre le colonne $opra replicati piedi- $talli, come $i è veduto ai giorni no$tri. Veramente con$iderando, come $iffatti erro- ri, e sì enormi incoerenze paffano per lodevoli compo$izioni, e ben e$eguite, mi rie- $ce $trano, che niun profe$$ore zelante dell’Arte nobili$$ima dell’Architettura non $ia- $i po$to a con$iderargli, gli abbia sfuggiti, ed abbia procurato d’illuminare il delu- $o mondo.
Quindi io dico, e perpetuamente dirò, che la bene ordinata Architettura non dee avere, nè tenere irregolarità $compo$te, e vizio$e, come le pre$enti; cioè, collocare i pila$tri di loro intiera proporzione e mi$ura, e poi formarvi dirimpetto colonna piccio- la e me$china, $icchè vi $ia bi$ogno, perchè abbia corri$pondenza col pilaftro, d’un replicato piedi$tallo, che la porti alla conveniente altezza, e alla proporzione, che $e gli a$petta. S’io non vado errato, eccovene gli e$empj. Sia il primo le due co- lonne d’Ordine Corintio po$te contro ai pila$tri alla Porta della Scuola Grande di San Marco Evangeli$ta: il $econdo poi $ieno quelle po$te all’arcata della Cappella degli Apo$toli nella Chie$a di San Giovan Cri$o$tomo. O$$erviamole un tratto. Che effetto vi fa mai il vedere il pila$tro sì prolungato, che arrivi a piantare $ul regolone di $otto, ed accompagni la $ua ba$e con quella del piedi$tallo; e poi $opra due piedi$talli, l’ uno quadro, l’altro rotondo, pieni tutti d’ornamenti, po$ta la colonna di fronte al proprio pila$tro, la quale $i agguaglia allo $te$$o capitello, portando del pari la propria $ua cornice? Quelle poi di S.Gio: Cri$o$tomo, che s’acco$tano molto alle già e$aminate, variano foltanto da e$$e, che il pila$tro pianta $opra il primo piedi$tallo, e la colonna $opra il $econdo rotondo e ornato. Simiglianti ripieghi in buona Ar- chitettura $i chiamano rappezzi, e giocolini. O il pila$tro trova$i in proporzione, o nò: $e $i trova, e perchè porgli di fronte una colonna di minor modulo, e che per arrivare all’altezza dovuta della propria cornice $ia di nece$$ità il porvi un piedi$tal- lo artifizio$o, che nulla abbia coerente al $uo e$$ere, $econdo l’ordine $opraccenna- to? Tali di$ordini ed errori finora non con$iderati $i $chivino in avvenire diligen- temente: e $ebbene gli Architetti di quei tempi, nei quali furono que$ti errori com- me$$i, ave$$ero $tima, tuttavia dee dir$i, che malamente operarono, perchè trincia- vano, e $cemavano le debite $immetrie $tabilite agli Ordini re$pettivi, $econdo la buo- na Architettura.
Dobbiamo con$iderare in que$to luogo, come nel buon ordine di retta Architet- tura non debbon$i mai tagliare le parti principali d’e$$a Architettura, che anzi per lo contrario debbon con$ervar$i intiere, e nette pel maggior loro decoro. In que$ta Chie$a, che abbonda di leggiera Architettura, $i rileva il groffo errore di tagliare i pila$tri in modo di$dicevole, e mo$truo$o. Si offervi la $ua figura: l’Ordine è Corin- tio, ha piedi$tallo e pila$tri, con ba$e, e capitello, e cornice: formano cantonali agli archi $uperiori con dopo alette, ed impo$te con loro arcate; e que$te $te$$e impo$te le$inate girano a rido$$o, ed intorno al $uddetto pila$tro, di modo che troncano la $veltezza del mede$imo, rendendolo $mezzato, e che offende la vi$ta degl’intendenti.
Similmente $opra la facciata con ugual di$ordine $i offervano le pila$trate del prim’ordine con cornici le$inate, ed alzar$i nel cantonale $torpiatamente il rimenato, poichè trova$i piantato fuori della cornice, e che col $uo slancio giunge a tagliare per mezzo il pila$tro del $econd’ ordine, che ha parimente cornice, e rimenato $o- pra nella gui$a $te$$a dell’inferiore. Tutte $correzioni fon que$te da di$approvar$i, co- me quelle che $ono effetti di fal$a Architettura gua$ta e corrotta: e di vero tutto quel- lo, che rappre$enta pila$tro o colonna, dee perpetuamente comparir libero, affinchè mo$tri tutta la $ua forza nel $o$tenere: come altresì i rimenati debbono piantar $empre $ul vivo, e non $ul fal$o, $iccome trovan$i que$ti. Errori tutti, che non po$$ono $cufar$i, e che di$onorano l’Arte.
Lo fte$$o dir po$$iamo eziandio delle alette collocate pre$$o le colonne nella porta della Chie$a di San Martino, ed in quella del Sepolcro, nelle quali, come appari- $ce dal di$egno, re$ta l’aletta di fuori col capitello Corintio tagliata nel traver$o della cornice dell’impo$ta dell’arco di detta porta. Così ancora dee intender$i di quei ca- pitelli po$ti all’alette, che tagliati da fa$ce vanno poi a terminare in volute, come $ono appunto quelle del $econd’ordine della facciata di S. Maria Zobenigo, come anche l’altre d’e$$o $econd’ordine $u quella dei Carmelitani Scalzi, che non rappre- $entano nè alette, nè volute, ma piutto$to mo$tri, che abbiano bella te$ta, e che poi vadano a finire in aborti. In alcuna occa$ione $i può far u$o della voluta, ma $enza capitello fogliato, e vi potrà $oltanto aver luogo quello, che $ia d’Ordine To- $cano, o Dorico, che forma te$ta, o berretta, e niente più; e que$to dice$i il vero modo d’operare da favio Architetto.
Simigliante Architetoura non può in verun conto approvar$i, come quella, che è deformata e fal$a nelle $ue parti. Si o$$ervi, quanto è $garbata la $ua po$itura, e quanto male $ia appoggiata. Sono anche più bia$imevoli i $uoi colonnati tozzi, e deformati, sì mal me$$i nel loro peduzzo. Il rimanente poi, della cornice cioè, e d’altro venne affai male concepito. Eppure l’Architetto credeva d’e$$er$i fatto par- tito, col far mo$tra d’una nuova invenzione, che $i lu$ingava e$$ere una prova di $ua in$igne bravura. Gran cofa, che quell’Architettura tanto ftimata, onorevole, e pura, colla quale i famo$i Artefici antichi adornavano le fabbriche con loro gloria, e fama, per le ottime proporzioni, e adeguati pen$amenti in tutti gli Ordini $em- pre di$po$ti con nobiltà: dove per lo contrario veggion$i ai tempi no$tri pregiudica- te, e gua$te, con ornati privi di grazia deformati, e ridotti a sì mal partito, che non $i $a oggimai più ricono$cere il pregio della felice, e virtuo$a Architettura.
Da que$ta $corretti$$ima porta $i potrà rilevare, quanto $ia bia$imevole l’ u$o di $corrette proporzioni, che $i $co$tano dall’unione di retta $immetria. Sembra, che que- $ta porta $ia d’Ordine To$cano, tanto $i manife$ta l’alto, e il piano; concio$$iachè le colonne $ieno $car$iffime nella loro altezza, come quelle, che non pa$$ano le $ei te$te del loro peduzzo, compre$o il capitello. Quanto a me, pen$o, che que$to Ar- chitetto, che $i val$e di sì $car$a mi$ura, pretende$$e di $econdare il gran Vitruvio, ove dice, che nella Jonia fu fabbricato ad Apollo Pannionio un Tempio, perchè pri- ma ne aveva veduto un altro eretto nella Città dei Dore$i, ove volendo por le co- lonne, nè avendo peranche le $immetrie delle mede$ime, perchè pote$$ero reggere il pe$o con qualche vaghezza di proporzione, quel tale Architetto mi$urò la pianta del piede virile, e di gro$$ezza formando da baffo il fu$to della colonna, la levò $ei vol- te in altezza da terra col $uo capitello: e così appunto pretende$$e di fare lui. In que$to ca$o può $uppor$i, che il $uo $pirito$o intendere abbia pen$ato a quel bel ri- piego mo$tratoci dal Palladio nel $uo IV. libro dell’Antichità, praticato per allungar le colonne, veduto e difegnato da e$$o nel Tempio del Batte$imo di Co$tantino in Roma, e da e$$o pur praticato in S. Giorgio Maggiore in Venezia alle colonne po$te nella porta maggiore dentro la Chie$a, e ai due Altarinella crociera: così que$to pen- sò valer$i dello $te$$o partito, allungando colla pera aggiuntavi, e zoccolo al di $ot- to, finchè arriva$$ero a far mo$tra di quella grazia, che non avevano, e veni$$ero a comporre in$ieme otto te$te della loro altezza. Siffatto ripiego fu buono nel Batte$i- mo di Co$tantino, e più ancora del Palladio in San Giorgio Maggiore: ma in que- $to fa compar$a molto pe$ante, nè ha ve$tigio della grazia e gentilezza delle colon- ne accennate; ed in quelle pure vi è la $ua ba$e ornata, e bella; dove in que$te, $uppo$to l’Ordine To$cano, il loro plinto è troppo alto, e lontano dalla convenien- te $ua proporzione, e bellezza. Sotto poi i regoloni vi è il modiglione cartellato per $o$tegno della detta colonna, ed in e$$o terminano gli $calini della $te$$a riva.
Sopra le $uddette colonne appoggia la cornice architravata e le$inata, con appre$$o il pilaftro. Il punto $ta, come po$$anvi aver luogo l’altre le$inature al di dentro nel- la $te$$a cornice corrente fopra l’arco: può avervelo la le$inatura $opra la ferraglia, nol nego: ma che abbia$i a le$inare perpendicolarmente anche $opra le impo$te, e- gli è errore maju$colo, e $ommo, sì per l’una, che per l’altra parte, la quale le- $inatura $ta $opra la $te$$a cornice in aria, e que$ta po$ta $ull’ angolo dell’arco, ed arriva all’ovolo $otto il gocciolatojo. Come $ia$i ideato tale improprietà lo $pirito$o Architetto, non $o comprenderlo, non e$$endovi la menoma ragione; che anzi per lo contrario vi ripugna totalmente la buona Architettura: come altresì quel raggio, che $e ne $ta in aria così pendente, in vece d’appoggiare $ulle proprie impo$te, centro per e$$o proprio: nè potrà mai $alvar l’Architetto quella me$chini$$ima zat- tina cerchiata, per indicare il $uo appoggiamento $aldo. In $omma gua$ta è una tale Architettura, male e$eguita fuor d’ogni ragione. Così l’Architetto, che non ha fon- do d’Arte, falla a occhi veggenti certamente.
In que$ta Chie$a adunque $i o$@erva, per così e$primerci, il modello di figura pe-
fante $ul fal$o, aggravando la $oglia, che la fo$tiene, ed è alli due altari laterali
La porta ru$tica, che quì e$pongo e$$endo d’Ordine Dorico, è a$$ai incoerente nelle $ue parti. Prima di tutto ha la $ua $oglia molto pe$ante a motivo delle cin- que bugne pendenti, che la formano, $enza alcun legamento, nè $o$tegno, mo$tran- do di cader $ul capo a chi v’entra. Si o$$ervi poi la me$chini$$ima cornice po$ta $u i capitelli, che $o$tengono il f>ronte$pizio, come compari$ce povera, oltre l’e$$ere per- fino priva delle proprie erte. Tali porte non po$$on$i altrimenti denominare, che ba$tarde e tronche, perchè prive delle parti, che $econdo l’arte ad e$$e convengono.
Que$t’altro e$empio mo$tra patentemente, quanto arditi $ieno certi Architetti, che $enza alcun rifle$$o e$pongono il loro fal$o pen$are, pretendendo di $egnalar$i colle più $travaganti novità, O$$ervi$i que$ta porta, che è non $olo bugnata con pe$an- ti$$ima $erraglia, ma tiene anche bugnato il fronte$pizio; trovando$i e$$e bugne in- ca$$ate al di $otto, rimangono al di $opra pe$anti, e in aria, co$a lontani$$ima dal- la $u$$i$tenza. Da ciò appari$ce, quanto male inte$a venga la vera Architettura. In niun tempo $ono$i veduti fronte$pizj bugnati, come lo è que$to. E’ ben vero, che tali@$cempiati$$imi errori ci ammae$trano, perchè ci additano a non incorrere in or- ridezze sì contrarie alla verità, ed alla nobiltà della vera Architettura.
Siccome tutte le mie o$$ervazioni altra mira non hanno, che la perfezione degli Ordini, così non po$$o a meno di non e$porre tutte le improprietà, ed irregolarità praticate in varj tempi. La pre$ente cornice Dorica non corri$ponde a quel fine, che ragionevolmente le è dovuto; e l’errore con$i$te nell’ e$$ere $cavalcata nei $uoi modiglioni, $endo que$ti po$ti fuori del triglifo, che chiama $opr’e$$o il modiglione per capo di corri$pondenza a $o$tenere il gocciolatojo, e la gola $opra. Nel veder$i così fuor di luogo non rileva$i certamente quella corri$pondenza, che dee avere col triglifo, che gli è $otto: per lo contrario qualunque volta, che pongan$i i modi- glioni in $imil cornice, $i dee $eguir l’e$empio la$ciatoci dagli ottimi Mae$tri, come venne praticato dal famo$o Giammaria Falconetto nell’Arco da e$$o fatto in Padova nel Cortile del Mantova, co$a che molto nobilita un tal $ito. Così pure il San$o- vino nella facciata della Zecca $opra la Pe$cheria; e $e ne val$e anche il Vignola nel $uo Libro d’Architettura, ed altri molti, i quali po$ero in tal Ordine i modi- glioni: per la qual co$a o$$ervando la $travaganza d’un tale operare, cioè, di por le o$$a fuori del luogo loro, rilevo, che que$ta parte di fabbrica non è $tata compita dallo $te$$o Scamoccio, che ne fece $opra la Piazza gran parte, ma bensì dopo di lui da altro poco intendente del modo da tener$i in tal Ordine, e nelle $ue parti. Re$ti pertanto avvertito ogni $tudente, che $opra l’Ordine di cornice Dorica non conven- gono altri modiglioni, $e non uno $olo $opra ogni triglifo, oppure $enza, come ve- de$i praticato nella fabbrica $te$$a $opra la Piazza cominciata dal San$ovino, che ornò la cornice di triglifi, di metopi, dentelli, e fu$aroli; e così fu anche pratica- to in altri tempi $empre con lode: ma nel ca$o pre$ente $arà perpetuamente condan- nabile, perchè non corri$ponde al $uo fine, nè all’Ordine ri$pettivo.
Avendo que$ta porta così pe$anti letre bugne del mezzo, non mo$tra $e non $a$- $i, i quali oltre il tagliare la $oglia, e la cornice, vengono anche $pinti a cadere dal proprio fronte$pizio, come mo$tra in fatti la figura. E di vero $arebber più at- ti ad u$o di prigioni per imprimer terrore, che per ornato d’una decoro$a abi- tazione.
Offro alla con$iderazione dei periti anche que$ta porta con $oglia bugnata e ma$ti- na. E$$i certamente non potranno $e non condannare tutto quello, che veggono e$e- guito fuor di ragione. Si o$$ervi attentamente, e $i dirà, come non $olo è $omma- mente pe$ante, ma mo$tra d’e$$er perpetuamente in atto di cadere, facendo paura a chiunque vi o$$ervi in entrandovi. Quanto alla $ua figura, $embra di gentil forma per i due rimenati po$ti $ulle due erte, e nella mezzeria gocciola, e va$o $opra. Ma e che rileva, quando tutto $marri$ee alla vi$ta a motivo della pesante $oglia, che in- gombra tutta l’apertura? Di que$ta, come di tutte le altre, ho condannato $imiglianti bugne, non accordando$i la loro forma pel pe$$imo effetto, che producono, Dico ben- sì, che anche le bugne $i po$$ono, e$i debbono praticare, e l’hanno praticate diver$i, come veggiamo in molte fabbriche, e fra le altre le due porte, cioè quella di $tra- da, e quella della riva dei NN. UU. Grimani Spago a S. Maria Formo$a. Que$te per e$$ere a volta molto $i confanno colle bugne, che danno forza alla fabbrica, ed in tal gui$a $ono commendabili, ed ottimamente $ituate: ma $opra $oglie dritte porre bugne pendenti, o $erraglie bugnate, $ono $cherzi irragionevoli. Con$iderando la loro figu- ra, que$te tagliano la $oglia, come è in fatti, ed appari$ce, o rappre$entano cugni per i$tringere: e que$to $arà $empre fal$o, non e$$endo arco, perchè non potrà mai $tringerlo, $e non $arà aperto. Dunque tali bugne rappre$entano $oltanto una finzio- ne, la quale non dee mai praticar$i nell’Architettura, che non ammette, $e non $e ciò, che detta la pura ragione. Quindi $i dee concludere, che le bugne ben colloca- te non $olo $aranno lodevoli, ma convenienti; ma da non praticar$i mai $opra $o- glie piane pel reo effetto, che producono. Que$to per mio avvi$o ba$tar dovrebbe a per$uadere chi intende ragione, commendando io $empre la retta e vera $olidità, parte nece$$aria a que$t’Arte, e vituperando le in$u$$i$tenti chimere, che tolgono all’ opera lo $tabile fondamento.
Que$ta porta d’Ordine Dorico $i vede nel Palazzo Cavagnis a S. Severo, ed il $uo o$$ervabile difetto con$i$te non $olo nell’aver la $oglia dentro l’architrave, ma anche nel tagliarlo in gui$a, che ripiegato, come appari$ce, $embra, che gli $tia a rido$lo, comparendo pe$ante al di $opra per le bugne, che porta, e me$chino ne’ fianchi, e tozzo. Tali architravi così tagliati non $ono, nè $aranno mai lodevoli, perchè non può veri$icar$i, che po$$ano $ervire in un mede$imo tempo a due funzio- ni, vale a dire, a legare la fabbrica, quale è il $uo ufizio, e a $ervire d’arco alla porta, quando lo $te$$o re$ta divi$o, e $mezzato.
Anche nella Chie$a de’SS. Apo$toli $i rileva l’errore d’aver l’Architetto antepo$to l’Ordine Jonico al Corintio, nell’accre$cimento, che po$e nel $econd’Ordine per or- nar le fine$tre, non avvertendo a ciò, che conveniva in buona Architettura. Appa- ri$ce poi anche di più il di$ordinato modo degli archi aggiunti, i quali rie$cono me$chini$$imi per la mancanza delle facce, che formano legatura indi$pen$abile; e molto più per aver po$ti i modiglioni nelle cornici delle impo$te, co$a a$$ai trita, e di niun conto, nulla affatto corri$pondendo con la cornice Corintia, che è intieramen- te $chietta. Se l’inventore di tale aggiunta ave$$e o$$ervato ciò che dice il Palladio nel IV. Libro della $ua Opera pagina 74., ove parla del Pantheon di Roma commen- dando l’Architetto, il quale $eppe così bene ripiegare le parti della cornice de’Ta- bernacoli in facce, perchè $ervi$$>ero di reale legamento alla fabbrica, avrebbe e$$o pure potuto imitare l’e$empio, e far$i onore.
Dalla porta di que$to Palazzo $i rileverà, quanto di$dica il tagliare colle cornici i pila$tri, o colonne, e ciò, non meno per l’appoggiar$i a rido$$o dei mede$imi, che per la me$china apparenza, che produce. Dove per lo contrario per e$$er que$ta la porta principale, dovrebbe comparire molto mae$to$a, e grande pel decoro di sì ma- gnifica fabbrica: era pertanto nece$$ario la$ciar libero il pila$tro, nè cuoprirlo, nè ta- gliarlo con la cornice della $oprapporta, e$$endo que$to un gua$tare la parte princi- pale della nobile Architettura. Vi $arà per avventura chi vorrà difendere un tale er- rore con addurre per i$cu$a, che il $ito, in cui la mede$ima è po$ta, $i trova al- quanto ri$tretto per la vi$ta, e pel comodo d’e$$a porta; e che que$to po$$a e$$ere $tato il motivo, onde non averle potuto dare forma migliore. A chi ciò mi dice$$e ri$ponderei, che l’Architetto non dee giammai $car$eggiar di partiti per fare $picca- re la $ua intelligenza in più modi, $tando$i però $empre entro i limiti del ragione- vole.
E’parimente bia$imabile la fa$cia po$ta $otto al regolone della ba$e dello $te$$o pi- la$tro, che $porge eccedentemente in fuori, $o$tentato dal me$chino cerchietto cartel- lato, e al di dentro ugualmente dritta, potendo$i pure allungare fin $otto la $te$$a erta, che gli avrebbe $ervito di zoccolo, ed avrebbe prodotto maggior grazia, e fi- nimento.
E’o$$ervabile l’errore particolare, che chiarameute $i mani$e$ta nella $ontuo$a fab- brica della Salute, $endo que$to Tempio compo$to di $ommamente ornata Architettu- ra, onde $i di$tingue da qualunque altro Tempio. Il lavoro, che ha sì al di dentro, che al di fuori, è di tre Ordini d’Architettura, cioè, di Dorico, di Corintio, e di Compo$ito, ond’è, che venga univer$almente ammirato. Ma giacchè mi $on po$to a trattare degli errori degli Architetti, mi giova e$porre anche il mio parere intorno al pre$ente edifizio, $iccome appun>to ho fatto degli altri, con nuda ingenuità libe- ra da ogni adulazione. Con$iderando pertanto ciò, che pre$entemente dee avvertir$i, dico, che avendo o$$ervato in que$to sì magnifico Tempio il difetto $te$$o, che ho rilevato in altre Chie$e, mi pare una gran co$a, che $i abbia dai periti a $allare sì patentemente. Lo sbaglio pre$o dall’Architetto $i è l’aver po$to l’Ordine Compo$ito $otto al Dorico: ciò $i rileva entro alla cupola maggiore: co$a a dir vero di$dicevo- le e mo$truo$a, il veder$i cioè $opra colonne con $uo piedi$tallo e cornice di leggia- dra proporzione altr’Ordine in$eriore, che tenendo pur e$$o piedi$talli con $tatue rap- pre$entanti i Profeti; e $opra capitelli, e cornici con $agome più ordinarie, ed in e$- $e pe$anti modiglioni, raddoppiati e $cannellati a foggia di triglifi, gonfj $oltanto al di $otto $opra i mede$imi pila$tri, lo che toglie a$$ai la leggerezza all’opera: con que$to di più, che le colonne Compo$ite vengono ingombrate, e qua$i $trette dalle cornici delle impo$te degli archi, le quali vengono $o$tentate da pila$tri d’Ordine Corintio, il qual Ordine gira tutt’all’intorno di detta Chie$a, e $erve d’ornamento alle $ei Cappelle compre$e entro il giro del gran va$o della mede$ima. Dee$i pure in que$to luogo con$iderare la ringhiera molto pe$ante, e fuori del vivo, come appun- to o$$ervammo nelle ringhiere di Roma, della quali e$ponemmo gli e$empj. Sarà anche bene aggiunger gli altari collocati nelle anzidette Cappelle, i quali, benchè $ieno di gran lavoro, non tengono però quella proporzione armonica, che loro $i converrebbe, mentre que$ti col loro grande ingombro di rimenato, che porta $opra, $orpa$$ano i limiti della buon’Arte, cuoprendo e$$o rimenato parte dalla cornice Co- rintia, che gli re$ta dietro, e gira d’intorno. Que$to pure è errore non così leggie- ro, perchè cuopre ciò, che non dee, non e$$endo mai lecito porre Architettura a ri- do$$o d’altra Architettura, cuoprendo l’una per far grandeggiar l’altra. Si potrebbe- ro indicare altri errori; ma $iccome non $ono così vi$ibili, come i $opraccennati, ne fo di meno: e $arà più proficuo, che o$$erviamo il primiero u$o degli Antichi, i quali non praticarono giammai que$ta maniera d’arricchire $garbatamente con in- venzioni raddoppiate, cioè, che una affoghi l’altra, ma oprarono $emplicemente, come rileviamo dai nobili avanzi dell’Antichità, ed anche dei tempi a noi più vi- cini. Si toccherà con mano ciò, ch’io a$$eri$co, col confronto d’altre fabbriche $ti- mabili, quali in fatti $ono le Chie$e del Redentore, e di San Giorgio Maggiore, o- pere del Palladio, il quale o$$ervò una compo$tezza ed uni$ormità alla $te$$a fabbrica, ponendo entro la $te$$a Architettura gli altari al luogo loro, $enza togliere un mini- mochè alla nobiltà, e bellezza della principale invenzione; e veramente rie$cono $em- pre gentili, e $ommamente vaghi. Que$ti $ono gli e$empj, dai quali dee trar$i pro- fitto, $eguendo il parere, e lo $tudio fatto dallo $te$$o Palladio, quale egli e$pone nel proemio del $uo Libro d’Architettura, ed ancora a carte 15., ove tratta della di$po$izione dei cinque Ordini, per profitto dei veri $tudio$i di tal Arte.
Que$ta è la cima dell’Altar maggiore della Chie$a di San Luca, che è molto al- terata dai due fronte$pizj, cioè dal primo di $opra con cartocci $uperiori e inferio- ri, la cui metà è $ul fal$o; ed il $econdo re$ta colla metà in aria: inoltre ha due $oli modiglioni nelle cornici, quando tre e$$er dovrebbero: e la cartella dal fianco po$ante in fal$o $ull’orlo della cornice, e portante il va$o fuori del vivo; finalmen- te la $erraglia re$ta imbrogliata da fe$toni e cartelle, che la rendono pe$anti$$ima. Gruppo d’errori, che non $ervono che ad ingombrare, e a toglier la leggerezza, e la grazia.
Ha la cima di que$to Altare i fronte$pizj tagliati, inca$$ati con modiglioni, e col- la metà del gocciolatojo in aria al di fuori. Que$to porta cartella $opra, di$te$a in luogo di figura, e $otto altra cartella, che va ad aggrappar$i $ulla $erraglia. Que$te $ono co$e tutte pe$anti, incoerenti, prodotte dal mero capriccio, e non dal buon or- dine d’Architettura ragionevole.
Anche nei fronte$pizj di que$to Altare $i rilevano gli $te$$i errori di $opra divi$ati, vale a dire, che tutti re$tano in aria, e tagliati. E’veramente $trano, che errori sì patenti non $ieno$i avvertiti per is$uggirgli, mentre tanto s’oppongono alla ragio- ne; e che non $ia$i tampoco cercato il fine di tali fronte$pizj, ed a qual u$o $erva- no: una tal rifle$$ione avrebbe fatto cono$cere agli Architetti, che in tal gui$a non $ervono nè per coprire, nè per ornare, quale è appunto l’ufizio loro, o e$$er deve.
Se abbiamo $coperti degli errori nell’Altar Maggiore della Chie$a di San Luca com’ era prima, certamente nel nuovo non po$$iamo dare la no$tra approvazione. L’Ar- chitetto, che n’ebbe l’incarico, $i $tudiò di farlo $piccare maggiormente in mae$tà; ma s’ingannò a partito. Primieramente nel piantarlo s’avvisò d’appoggiarlo $ul pie- di$tallo dei pila$tri d’Ordine Ionico, che girano intorno a tutta la Chie$a, e $opra que$to po$e un regolone, e $opr’e$$o il piedi$tallo delle colonne Corintie. Fin qui vi $i o$$ervano tre innalzamenti per piantarvi le colonne, e $ormar l’Altare. Si trat- terà di $imigliante abu$o, e incoerenza a $uo luogo, ove cioè faremo rilevare l’u$o $uperfluo dei piedi$talli replicati. Tanto adunque $i alza il macchino$o Altare, che colla $ua cima $orpa$$a la cornice della $te$$a Chie$a. Sconcerto, e di$ordine di di$u- guaglianza, $enza alcuna proporzione di corri$pondenza armonica. Que$to Altare riempie qua$i tutta la Cappella, ed è d’Ordine Corintio. Le $ue colonne $ono me- $chine; e l’Architetto primo per prolungarle v’aggiun$e il pe$o $opra la ba$e, pre- tendendo così d’imitare il Palladio nelle dieci colonne, che prolungò in S. Giorgio Maggiore, come dicemmo. Sono pure del vecchio Altare le cornici con li due mo- diglioni per colonna. L’aggiunta poi dell’aletta di dentro in faccia alla $oazza della palla non $a veder$i la ragione, per cui debba $ervire, $e non $e quella di poter $o- $tenere il catino, e l’onde del mede$imo di $otto al pe$ante rimenato ma$$arino, che s’alza fuori di $ua competente altezza, a motivo del di$ordine nella partizione dei $uoi modiglioni, dei quali i primi $ono a$$ai di$tanti l’uno dall’altro; e gli al- tri, che $eguitano, più vicini: edi quella pe$anti$$ima $erraglia altro non può dir$i, $e non che rappre$enti una cre$ta, ovvero un fagotto aggruppato, non già $erraglia adeguata, che adorni. Dirò di più, che un rimenato così e$eguito rappre$enta una $cu$$ia alla Tede$ca pe$ante, e $garbata, fuori totalmente dell’ordine di buona Archi- tettura, non u$ata mai da alcuno antico buono Architetto, $endo più Teatrale, che $o$tanziale. La $oazza parimente, che circonda la palla in larghezza qua$i delle $te$$>e colonne; come anche le zanche pe$anti, sì al $ito d’impo$te, che di $otto, non $er- vono, che a maggiormente ingoffire, e rendere il $ito più largo del convenevole. Quanto meglio avrebbe fatto, $e ave$$e ingentilita per la metà la detta $oazza, e di quel di più po$to l’aletta anche al di fuori; e così $arebbe riu$cita di più avvenen- za, e leggerezza! E chi non $a, che tutte le regolate aperture non debbono ecceder meno dei due quadrati? E $e alcuna co$a di più $i fanno, $i fanno a norma degli Ordini dell’Architettura mede$ima, e fanno $empre bene. Certamente in que$ta apertura non vi $i rileva una tal proporzione; ma per lo contrario compari$ce toz- za, e goffi$$ima. Mi fa gran maraviglia il veder praticar$i ciò nell’Ordine più gen- tile, e grazio$o, quale $i è il Corintio, che vuol$i porre al paro del più $emplice, e $chietto, quale è il To$cano, nel quale facendo aperture per u$o di campagna, ove debbon$i introdurre carra cariche di fieno, o d’altro, $i tengono e$$e aperture como- de, e vi $i pongono per tale effetto gli architravi di legno. Ella è una vergogna de’no$tri giorni il non con$iderar$i punto le convenienze de’ri$pettivi Ordini, nè il vero modo d’e$eguirgli.
Dopo d’aver diligentemente e$aminato l’Architettura del nuovo Altar Maggiore
eretto nella Chie$a di S. Luca, a confronto del vecchio, che era molto di$ordinato e
$compo$to, mi fo ora ad o$$ervare con i$tupore la prete$a del $uo regolamento, che
non dimo$tra alcun ri$tauro coerente a quanto richiede la per$etta Architettura: ed
avendo anche in que$to $coperti errori $ingolari di gran momento ri$petto all’u$o d’
e$$a Architettura, mi convien dire ciò, che è di ragione, per ridurre la mede$ima
alla più purgata maniera Greca, e Romana antica. Non pretendo ri$cuotere da que$to
Altare ciò, che vuole ed e$ige l’ottima per$ezione; ma per lo meno ciò, che è ne-
ce$$ario pel $uo decoro, e gentilezza. Quindi a confronto di quello già e$eguito dal
no$tro novello Architetto pongo il mio pen$iero, il quale non $i oppone totalmente
all’e$eguito; ma e$po$to con quella maniera regolata, che più appagar po$ta chi o$-
$erva, ed è pratico della buona foggia, che dee praticar$i, nelle giu$te ri$pettive
proporzioni, e mi$ure, rileverà to$to la verità di quanto propongo, vale a dire,
che l’Architettura dee e$$er più per$etta che $ia po$$ibile nelle $ue parti, e che non
dee alterar$i, nè trar$i fuori del ragionevole $uo e$$ere; di modo che $e la differen-
za con$i$te nel darle maggior grazia e gentilezza, sì di membri nelle cornici, che
di $camili per gl’innalzamenti delle colonne, quando que$ti $ieno nece$$arj, e ade-
Nella facciata di San Giorgio dei Greci $i o$$erva, che il fronte$pizio delle fine- $tre $ormonta la prima, e la $econda fa$cia dell’ Architrave nell’ Ordine Dorico, e taglia il legamento del mede$imo; come altresì le alette dei pila$tri d’ e$$e fine$tre rimangono in aria $enza alcun po$amento.
Nelle due fine$tre di que$ta facciata $i rileva una $pecie di rimenato $opra, po$to $uperfluamente, e non corri$pondente alla propria cornice, che lo $o$tenta, e a dir vero, fuori dell’ e$$er $uo naturale. Dico di vantaggio, non e$$ere neppure $cu$abile, $e $i vole$$e $upporre, che lo $te$$o fo$$e corri$pondente all’alette, o ai modiglioni; poichè in tal ca$o, o il rimenato pa$$a dietro la cornice, e così e$$a cornice non en- tra nel muro, ma $arebbe $olo appoggiata $opra i modiglioni, co$a affatto fuori del naturale: oppure, $e appoggia$$e $opra la cornice, non avendo $porgimento, $arebbe inutile la cornice per $o$tenerlo, e per con$eguenza $arà $empre fal$o.
Il pre$ente pergolato $i vede collocato $opra la porta del Palazzo dei Signori Conti Algarotti entro il cortile. Que$to è, come appari$ce, grandemente $concertato nelle $ue parti. Se que$ta foggia d’ operare $ia da approvar$i, lo dicano gli $te$$i Architet- ti, i quali $apranno ben le ragioni del retto operare; vale a dire, di piantare il pe$o $ul forte, e $olido, e non mai $ul fal$o, nè fuori dei $o$tegni naturali. Senza dub- bio quì $ono i pila$trini, o colonnelli fuori di corri$pondenza de’ $ottopo$ti modi- glioni, che $o$tengono e$$o pergolato; e nemmeno incontrano i pila$tri delle fine- $tre: oltredichè per le di$uguaglianze, che $i rilevano dal primo al di fuori, e dal $econdo ver$o la mezzeria, malamente appoggiano i colonnelli, uno un terzo, l’ al- tro la metà fuori del vivo. La forma certo è bizzarra quanto al parapetto per le $cannellature forate al di $opra, e ripiene nel fondo; come altresì per la maniera della gola rover$cia, che fa tutto il pergolato, $econdando il pro$ilo del pila$trino, o $ia colonnello. Ma ciò non fa, che dir non $i po$$a patente errore, l’e$eguir cioè un pergolato in tal gui$a, così $garbato, e fuori d’ogni ragione d’ Architettura.
L’e$empio del $eguente rame $ervirà molto per rilevare diver$i errori, nei quali cadono $enz’accorger$ene gli Architetti. Que$ta parte di facciata adunque è compo$ta d’Ordine Dorico e Jonico, ma enormemente $proporzionata. Primieramente l’ altez- za data al Dorico è eccedente, nè gli conviene per verun conto, ma s’ addirebbe bensì all’Ordine Compo$ito per e$$er $uperiore agli altri Ordini tutti; imperciocchè, $econdo anche il Galaccini, non vengono a$$egnate al Dorico più di $ette te$te, pro- porzione da e$$o riputata dicevole a un tal Ordine. In oltre la porta sì $tretta e al- ta forma figura me$china a proporzione delle fine$tre, che le $ono appre$$o; come altresì le due colonne $o$tentanti l’arco d’e$$a porta rie$cono molto $garbate e minu- te, per e$$ere $cannellate, a motivo della $overchia loro altezza: di più vengono le $te$le deformate dalle due bugne, o fa$ce, che le $tringono, non $aprei dirmi, $e per accre$cer loro corpo, o per i$comporle maggiormente. Nella cornice poi ornata di triglifi, metope, e modiglioni, per e$$ervi male attaccato al modiglione $opra le colonne altro modiglione, che $cavato al di $otto s’uni$ce col triglifo, tagliando Parte della cornice, fa ri$altare una deformità da sfuggir$i.
Nel $econd’Ordine pure $i o$$ervano altri rilevanti$$imi errori. Il primo con$i$te nell’e$$er l’Ordine Jonico parimente di eccedente proporzione, come dimo$tra lo $te$- $o Galaccini, il quale v’adatta $ole otto te$te, e non dieci, come veggon$i in que$to ca$o. Que$to $i chiama $convolgere gli Ordini d’Architettura, attribuendo all’uno le proporzioni dell’altro; quando ragion vuole, che cia$cun Ordine $ia la$ciato entro le $ue ri$pettive leggi. Il di$ordine però non fini$ce quì concio$$iachè $e $i o$$ervi- no le ba$i delle colonne principali, appoggiate $ullo zoccolo, vedremo, che non han- no alcuna corri$pondenza con quelle della fine$tra principale, che $on po$te in mag- gior altezza, e perciò alterano la legatura armonica, che è dovuta. E’$imilmente error notabile, che le dette colonne della fine$tra non fieno perpendicolari alle infe- riori della porta, ma po$te in fal$o. Si o$$erva ancora, come il rimenato $opra la $uddetta fine$tra cuopre, e mangia tutto i’architrave della cornice $uperiore, e viene a rompere la continuazione : co$a bia$imevoli$$ima, e mo$truo$a : e $pecialmente $i potrebbe poi aggiungere, che il capitello principale, la cornice, e l’ impo$ta dell’ arco nel mezzo d’e$$a facciata forma una fal$a pro$pettiva. In $imil gui$a il fronte- $pizio delle due fine$tre laterali, che $orpa$$a le colonne maggiori, colla gola mangia ad e$$e la loro gro$$ezza naturale, e forma di$ordine imperdonabile. Gro$$i pure $i o$$erva li modiglioni della cornice Jonica, anzi ba$tarda, perchè non portano treper colonna, com’e$$er dovrebbero, ma un e mezzo in circa. Se que$to $ia il vero ope- rare dicalo chi intende i $oli principj dell’Arte.
Que$t’ arco, che vede$i nelle cappelle laterali all’ Altar maggiore della Chie$a di S. Ca$$ano, taglia, e cuopre l’ architrave: deformità $olenne, di cui trattammo, e$- ponendo gli e$empj delle fabbriche di Roma. Il pre$ente e$empio pertanto confer- ma $empre più l’errore, e mo$tra, che sfuggir $i devono perpetuamente quelle li- cenze, che tolgono la legatura, ed union principale dell’Architettura.
L’Architettura di que$ta cima d’Altare $embra Compo$ita, ma e$eguita $enz’ ordi- ne in tutte le $ue parti. Primieramente i capitelli principali deformati $i converto- no in modiglione, e gonfiano in fuori a foggia di cartelle. Ha fe$tone, non $aprei dirmi, $e per $o$tegno, o $e per darle maggior pe$o; e $otto a detto fe$tone ha cer- ta cinturella, che $tringe il pila$tro $cannellato. Quanto poialle due alette de’ $ian- chi, con capitelli, ed architrave, una d’ e$$e rie$ce inutile, l’ altra $i va perdendo nella cornice con minuta le$enatura; ed il rimenato po$to fuor di regola $tringe conchiglia pe$ante, la cui coda s’attacca alla $erraglia, opprimendo l’arco della pal- la, e facendo fare figura deforme e me$china. Si vede altresì la prima faccia dell’ architrave $cherzare fuor di propo$ito contro la $erraglia. Tutte co$e fuor d’ ordine, che non hanno, $e non una fal$a apparenza per ingannare chi nulla intende dell’ Arte.
Que$ta cima d’Altare, che e$i$te nella $uddetta Chie$a, non è $ola, ma accom- pagnata. Ha colonna, e cornice po$ta angolarmente, con $opra rimenato a cartoc- cio, da cui pende fe$tone. I pila$tri poi $on fuori della colonna, $enza la minima corri$pondenza di legatura armonica : e la cima è $concia, e di figura $torpiata, lontani$$ima da tutto ciò, che vuole ed in$egna la buona Architettura.
E’que$t’ Altare di $igura irregolare, come rileva$i dalla pianta dei capitelli, e dal- le cornici po$te angolarmente, e dalla colonna, che non corri$ponde ai contropila- $tri, come e$$er dovrebbe, $econdo l’ avvertimento del Galaccini. Tiene poi molti cartellami, che formano cima, ed altri, che tagliano i pila$tri $otto il capitello, $endo lor tolto il proprio ufizio, per mo$trar ch’ e$$i $o$tengano in vece di quelli : co$a $trani$$ima, poichè la cartella è bizzarrìa, non architettura. Sarà bene e$por quì la $ua figura, affinchè ri$alti meglio l’ improprietà e di$$onanza di que$to Al- tare.
Que$to Altare, che è d’ Ordine Corintio, ha cornice con modiglioni, ed il rimena- to, che è $opra la colonna principale, rie$ce alto, e torto, con modiglione $imilmen- te obliquo. La detta cornice $cherza $opra la palla, formando figura di lancia, e di $erraglia all’arco, $opra cui s’ inve$te un gruppo di cartocci, e di campanelle am- maffati in$ieme a foggia di fiocco per $o$tentare altra cornice irregolare, e un Angio- lo con dei Trofei. Se que$te co$e sì male ordinate vengano amme$$e dall’ Architet- tura, lo giudichi chi ne è vero intendente. Io per me le riguardo come chimere, $ciocchezze, ed irregolarità.
E’da notar$i la $concia $igura del mal u$ato rimenato, fuori del $uo fine, che è quello d’ ornare, o cuoprire, e non di formare arcate, o mezze arcate, nè per $errar cappelle. L’ Altare po$to $otto, ove è il rimenato $uor del dovere, che gli $erve di cima, e d’ altezza, è di figura $regolata, tenendo parte dei modiglioni $conci, e $garbati, nella le$inatura il cartoccio, che gira alla mezzerìa, formandone altro mol- to maggiore, $o$tiene $e$tone al di $otto, e architrave al di $opra, formando piedi- $tallo per $tatua: ed il tutto rie$ce in $omma pe$ante, e di cattiva compar$a. Il fronte$pizio $imilmente, che appoggia $opra la men$ola nella mezzerìa della cornice della colonna, forma figura trita e me$china in proporzione al di $opra, nè ha al- cuna correlazione colle parti mede$ime.
Nella facciata della Chie$a di Santa Giu$tina veggion$i le quattro colonne princi- pali ingombrate e $trette, circa la metà della loro altezza, dallo $porto della cornice dei pila$tri vicini. Errore con$iderabile $i è que$to per l’apparenza deforme, che pro- duce, che è $tringere ed affogare in tal modo la parte principale dell’ Architettura, co$a in vero da dete$tar$i; poichè debbon$i perpetuamente la$ciar libere e nette le parti principali, perchè ri$alti il grandio$o e nobile, che $i conviene alla fabbrica.
O$$erva$i parimente entro la Chie$a di San Pantaleone, che è d’ Ordine Compo$i- to, e$ler le colonne $trette ed abbracciate dalla cornice delle impo$te degli archi delle Cappelle, lo che di$gu$ta grandemente la vi$ta pel mal u$o $corretti$$imo quivi e$eguito.
E’a$$ai particolare l’ Altar Maggiore di que$ta Chie$a per lo $concio modo dei due rimenati d’ altezza eccedente, i quali $i uni$cono con cartella al modiglione cartel- lato nella mezzerìa, che $o$tiene la figura del Redentore. Hanno que$ti rimenati i modiglioni, che pel numero non corri$pondono alla cornice di $otto, ma $olamente al loro giro $regolatamente di$ordinato e$al$o. Errore è que$to, che tutto mette in di$ordine.
Altro $omigliante $i o$$erva nella Chie$a di San Domenico di Ca$tello $opra l’ Al- tare della Madonna del Ro$ario così $regolato e de$orme con figura a$$ai grande di- $te$a $opra, privo affatto di grazia e di proporzione.
Altro pure qua$i $imile vede$i ancora $opra l’Altar Maggiore della Chie$a di Santa So$ia.
Altri rimenati altresì con $imiglianti modiglioni $i o$$ervano nella Chie$a dell’An- giol Raffaele $opra l’ Altare dell’ Angelo Cu$tode; e que$ti hanno di più nella cima due bovoloni $ommamente eccedenti, che ingombrano ed aggravano molto, oltre lo $tarvi anche un Angiolo, che s’ appoggia ai mede$imi. Co$a ella è que$ta mo- $truo$a a motivo della $ua forma $regolata.
Que$to Altare fa toccar con mano quanto $convenga la me$chinità dei rimenati po$ti $enza quelle con$iderazioni, che il dover vuole, e richiede la buona maniera, cioè l’ Arte $te$$a, con tutte le parti che gli compongono, enon mai nella $compo- $ta maniera di que$ti, che ora e$aminiamo, ai quali manca la loro $ottocornice. Que$to errore gli fa $ecchi, e mi$eri. Si o$$ervi, come $compari$ca il maggiore, il quale fa più mo$tra d’un coperto po$ticcio, che d’un adorno rimenato; tanto più, perchè il modiglione, che forma $erraglia all’arco, è ornato di tutta la $ua cornice $omigliante alle colonne; dove il $econdo di$opra non ritiene, che la forma $empli- ce e $chietta, ed è nelle te$te accartocciato, e tagliato $otto al cartoccio $uperiore per unir$i ai bovoloni nella mezzerìa: tutto que$to $erve unicamente a formar figu- ra pe$ante, e in$ieme di$cordante dalle altre parti. Sopra que$to rimenato $iede un Angiolo, che ingombra il cartoccio di $opra. Ho la$ciato di porlo nel rame, affin- chè meglio $i rilevi l’errore. Inoltre ionon $o comprendere, che v’abbiano a farei fe$toni, i quali null’altro rappre$entano, $e non $e ornamenti po$ticci, che ingom- brano, ed opprimono a un tempo $te$$>o le parti principali dell’ Architettura: e quan- do voglian$i adoperare, $i debbon collocare in luoghi, che loro $i addicano, $iccome $e ne veggiono in varie fabbriche antiche e$eguite da eccellenti Autori.
Que$ta cima d’Altare piena d’irregolarità, e di confu$ione non con$erva l’Ordine po$itivo della buona Architettura, ma tutto vi è fal$amente di$po$to.
Compari$ce que$t’Altare di figura grandio$a, ma $corretta, tenendo il rimenato a volta guidato dal centro $te$$o della palla; e que$to $opra la prima colonna ri$trin- gendo$i gonfia $opra la $econda. So$tiene $e$tone, il quale s’ attacca nel cartoccio per te$ta della $erraglia, e taglia l’arco della palla, e la $erraglia grande: $o$tiene piedi$tallo per figura, e continua l’i$te$s’ordine altro rimenato con cartocci alle te$te per termine di detta cima, riu$cendo di figura a$$ai ma$tina, $enza verun ordine, nè ragione. Chiunque o$$erva tali rimenati così di$po$ti, agevolmente gli rileva mala- mente piantati. Come mai po$$on $ervire d’ornamento quei cartocci $uperiori e in- feriori, che gonfiano, e che pare che forzati dal proprio pe$o $i $chiaccino: come altresì quelle orecchie o manichi po$ti alle cimarie di detti rimenati, che mo$trano piutto$to, quelle e$$er $ome di frutti, che rimenati di vera Architettura?
Dalla cima di que$to Altare $i può chiaramente cono$cere il mal effetto prodotto dai fronte$pizj fuor di propo$ito raddoppiati, e $opra la $te$$a colonna. Il primo vien $o$tentato da men$ola nella mezzerìa della cornice, e termina $o$tenuto dalla $erra- glia grande dell’arco, $opra la quale le$enato tiene anche la $te$$a gola: altro reme- nato $imilmente, cioè il $econdo, $ta$$i appoggiato $ul fine della propria cornice, e termina $ul vivo della colonna. E’uno $trafare il raddoppiare gli oggetti in que$ta gui$a; oper meglio e$primerci, un operare $enza ragione, raddoppiando il $uper$luo. In oltre il fe$tone attaccato al cartoccio pre$$o alla $erraglia $i trova $imilmente $ot- to l’orlo della cornice pendente, e viene a cuoprire porzione dell’arco, nèproduce che male e$$etto, togliendo la grazia ad e$$o arco, che dee ingentilire, e nobilitare l’opera $te$$a.
Sembra impo$$ibile, che tanto $ia$i avanzato l’abu$o della $corretta Architettura per la $convolta maniera di pen$are, ed e$eguire dei bizzarri imperiti Architetti mo- derni, che abbianla oggimai rover$ciata dai fondamenti. Mi fanno realmente $tupo- re gli errori, e $concezze, che $i rilevano nell’Altar Maggiore della Chie$a de’ PP. Carmelitani Scalzi. In e$$o è affatto $compo$ta e di$ordinata tutta l’Architettura in $e, ed in tutte le $ue parti. O$$ervo innanzi a tutto, e$$er que$t’ Altare d’Ordine Corintio, che è il più leggiero, e grazio$o di tutti gli Ordini: e malgrado ciò, for- ma una compar$a pe$ante, e grave. Si o$$ervi dalla cornice in sù, che $cherza in concavo, e in conve$$o, gira, e rigira $regolatamente: l’arco $te$$o non è $incero, ma $i ri$tringe, e mo$tra il fianco alle parti riu$cendo angu$to, me$chino, e $tret- to: tiene otto colonne $pirali, e que$te $ono teatrali: quattro contrappila$tri; e tutta in$ieme la gran macchina non fa, che un’appari$cenza in$u$$i$tente, che nulla con- clude. S’alzino gli occhi, e $i o$$ervi la tronca cima mal compo$ta, ed e$eguita sì $conciamente, che peggio non può idear$i. Che altro mai que$ta rappre$enta, che due $garbati rocchelloni con cornice $gu$ciata po$ta $opra altra cornice zancata, la quale termina in riquadro $tri$ciato, e male appoggiato $ull’Attico ornato di goffi ro$elloni, e di fe$tone attraver$ato dietro alla Statua del Salvatore? Ciò compari$ce figura ornata sì, ma ri$tretta, e angu$tiata. In $omma $iffatte rappre$entanze non meritano altro titolo, che me$chinità da acconciatori, non parti da nobili Architet- ti. Se poi$i ri$letta al baldacchino, que$to potrebbe $ervire per decorare lo $te$$o Al- tare; ma come è e$eguito, così aggruppato, e pe$ante, appe$o da una parte all’al- tra della Cappella, non merita approvazione, a motivo del grande ingombro, erea $ituazione. E’ que$to formato di la$tre di piombo dorato, co$a che impone, veggen- do$i, che tanta doratura $erva per campo, o $chienale al mede$imo Altare. Vera- mente l’oro fu $empre mai, e $arà l’incanto degl’ignoranti, che non comprendono la vera ragione delle co$e per$ette: ma nella mente dei buoni cono$citori tali co$e pa$$eranno perpetuamente per fanta$tiche immaginazioni, e $ogni. Compari$e ai dì no$tri l’Architettura così $concia, e malmenata, che non $i rileva più l’ottimo e$- $er $uo, fondato in proporzioni, e mi$ure la$ciateci dagli antichi Mae$tri dell’Arte. Tal di$ordine $empre più s’inoltra, e $embra ben accolto, poichè la corrotta moda s’è impegnata a lodare tali incoerenze, gittando$i dietro le $palle quel buono, che in tutti i tempi s’acqui$tò tanto onore pre$$o i $aggj ed intendenti cono$citori.
Se il far toccar con mano errori sì palpabili e chiari produce$$e l’effetto, al qua- le $ono diretti, che bella co$a $arebbe il veder rina$cere il buon gu$to, ed il $incero modo da praticar$i, a norma dell’ ottima maniera degli Antichi, i quali, sì nelle mi$ure, che nelle compo$izioni, o$$ervarono quel decoro, che è tanto proprio dell’ Architettura genuina, che $u $empre il vero, e $o$tanziale ornamento dei Regni, della Città, e del Mondo?
Importa altresì molto il ri$lettere all’abu$o di$ordinato, che $i pratica col non o$-
$ervare ciò, che competa, o non s’adatti al mae$to$o decoro, che conviene alla San-
ta Chie$a di Dio. Que$ta dovrebbe e$$er compo$ta in modo, che concilia$$e devozio-
ne, e compunzione, e che non move$$e mai a curio$ità, ed eccita$$e $viamento col-
le bizzarrie $mor$io$e introdotte, come in fatti veggiamo in que$ta Chie$a dei PP.
Carmelitani Scalzi, più, che in ogni altra. In fatti non può e$$ere più $concia, $gar-
bata, edimpropria. Si o$$ervi, com’ella è piena dall’alto al ba$$o di ricchi marmi,
parte veri, e parte finti, tutta ingombrata d’idee fanta$tiche e da $cena, frami$chia-
te con oro, e pitture varie: tutto per far compar$a ricca e pompo$a; ma priva e
$poglia affatto delvero $uo decoro, che e$$er dovrebbe pura, $olida, e $emplice, ed
eccitante, come dovrebbe, venerazione. Chinon cono$ce quanto e$pongo, ènudo af-
fatto d’intelligenza, e s’accorda collo $tile corrotto, approvato da coloro, cui piace
l’attillatura, e il fa$to $cenico, credendo que$to e$$ere il vero, eil buono: ma dob-
biamo confe$$are e$$er di$ordinato e fal$o, non mai praticato nei buoni tempi, anzi
perpetuamente aborrito, come non accordante$i colla buona Architettura praticata$i
dai buoni Mae$tri, che decoravano le Chie$e, come conveniva. Si o$$ervino digrazia
le fabbricate dal famo$o Architetto Andrea Palladio, cioè, quella del Redentore fatta
erigere per voto dell’Eccellenti$$imo Senato; quella di San Giorgio Maggiore; quel-
la di Santa Lucia; e quella delle Zittelle. Que$te quì in Venezia $i o$$ervano tutte
purità, e mae$tà, di $emplice, ma grande, ma vera Architettura, $chiette ne’loro
Allora $oltanto arricchì il Palladio d’ornamenti di $tucchi, e dorature, e vaghe pitture, che ordinò, e fece la $ala detta quattro Porte nel Palazzo Ducale. Quivi sì, ch’ei $i sfogò con tutta la pompa, poichè era $ala di Principe terreno: ma nella Chie$a, che è la $ala della Divinità, non deve $piccare che la $ola purità, e non trionfarvi la boria, nè lo sfoggio, che è moda vizio$a, la quale in que$to ca$o dee aborrir$i, alterando grandemente la magnificenza proporzionata al culto, che a Dio Signor no$tro è dovuto.
Scherza $opra que$to Altare irregolarmente la propria cornice, facendo l’ufizio d’ arco rove$ciato, ed anche di rimenato accartocciato, $tringendo conchiglia $opra l’ occhio, che è aperto per dar lume alla parte inferiore dello $te$$o Altare. E’ pure arricchito da $e$toni di $iori e frutte nei lati, che pendono dal $econdo cartoccio. Il rimanente poi della cornice, che appoggia $ulle colonne, e che porta rimenato, $i o$$ervi come $cherza circolarmente. Co$a è que$ta licenzio$a, formando un in$ie- me $travagante, lontani$$imo dal $ano operare, a norma degl’ in$egnamenti dei ve- ri Mae$tri dell’Arte, come $i può rilevare dalle loro fabbriche.
Figura di mezzo al grande Altare. E’que$to affatto $cenico, nè ha ve$tigio di $o- dezza, e di nobiltà, lontani$$imo dalla buona Architettura, che quì non ha luogo- Si e$amini il pre$ente e$empio, o$$ervabili$$imo, pere$$ere la parte principale, che lo compone, che $ono le cornici, volte, e rivolte, girando a foggia d’ arco rigon$io, e fuori del vivo, e formante lavoro più atto ad un’arcova, che per un Altare. La buona Architettura aborri$ce tali $cherzi, e sfugge perpetuamente $iffatti fal$i$$imi ri- pieghi.
In que$ta Chie$a o$$erva$i la pre$ente cima d’Altare, che tiene cornice in forma di cu$pide nella mezzerìa, formando pila$tro, ed appoggia $opra il rimenato, co$a $ommamente di$dicevole. Vi $ono pure i due rimenati a cartoccio, e d’altezza $pro- porzionata, e qua$i in piedi, contro il loro giu$to e$$ere. Similmente il modiglione, o men$ola appoggia $ul telaro della palla, e forma figura molto pe$ante. Siffatta maniera mi$ta, cioè parte di buono, e parte di cattivo, altronon dee dir$i, che pa- $ticcio, e con$u$ione.
Rileva$i in que$ta fine$tra il capriccio bizzarro, e in$ieme $concio, non$olo dipor- re a $edere il fronte$pizio, ma di portarlo anche $regolatamente in punta, $otto la quale vi è la $erraglia con fogliami, e ripo$a $ul telaro d’e$$a fine$tra. O$$ervando ciò, a prima vi$ta compari$ce co$a nuova e capriccio$a; ma in verità ella non è, nè $arà mai $e non co$a da teatro. Que$te $ono fanta$ie $ognate, non dettami di buona Architettura.
Intorno agli $cherzi di $iffatte cornici debbo dire per decoro della vera Architettu- ra, come tali irregolarità di cornici non vennero mai u$ate dagli Antichi, i quali praticarono gli archi retti, e naturali, come appunto in$egna l’ Arte, e non mai le $morfie, che u$an$i ai tempi pre$enti, col di più, che $i aggravano que$te con ci- me al di $opra, fuori del vivo, e del loro $o$tegno naturale. Errori irrimediabili, e mo$truo$ità ine$plicabili. Si con$ideri que$to Altare della Chie$a di S. Bartolommeo, e $pezialmente $i o$$ervi la $ua forma irregolare nella cima della palla. Vegga$i la cornice, che $cherzagli $opra ad u$o d’ arco a bi$cia; e poi s’ o$$ervi l’ ornato di $opra, che pe$anti$$imo s’ appoggia $ulla $te$$a cornice col $olo bovolo, dal quale na- $oe la palma, fermando$i $ul pila$tro. Il rimanente poi di $opra ri$tringendo$i for- ma cartocci, e conchiglia con te$toline di Cherubini $otto, e $opra. In quello poi, che $i dice Cima, non $o come vi po$$a capire un tale $cherzo, che $ervirebbe più acconciamente per cimiero, o per $chienale ad un banco da Ingre$$o di ca$a, che $opra un Altare. Tali Architetti in $omma pretendono di far agire l’ Architettura a lor talento, non altrimenti che fo$$e un’ Arte libera, in cui tutti pote$$ero $cherzare a lor $enno.
Molto irregolare $i è certamente que$ta cima d’ Altare, mentre il $uo naturale ri- menato è po$to $opra le colonne principali d’ Ordine Compo$ito, le$inato, e $offoga- to dal picciol fronte$pizio nel mezzo, po$to $opra la $erraglia dell’ arco, $o$tentato da altre due cartelle alle parti, che cuopre la mezzerìa dello $te$$o rimenato, che $opr’ e$$o pure da men$ola e cartocci alle parti $o$tiene un bu$to. Così parimente il fronte$pizio, che comincia alle due $econde colonne, batte nel rimenato, e $i per- de, con$ondendo$i in quello. Incoerenza grandi$$ima, ed irregolarità di$ordinata, e mo$truo$a, che nell’ ordine di $ana Architettura di$dice totalmente. La vera Arte ri- chiede maniera regolata, netta, e chiara, $enza confu$ione, nè imbrogli, come $i o$$erva in que$ta cima. Anche que’ due bovoli, che na$cono di $otto alla cornice, e rivalta nel timpano, vien creduto un bel ripiego per riempire il vacuo. Simil- mente quegli altri due, che dalla propria $oazza dell’ arco na$cono, $i vogliono ap- pre$$o alla $erraglia. Que$te $orte d’ ornamenti accartocciati non $ono in verun con- to Architettura, ma imbrogli, che $ovvertono, e $concertano l’ Arte mede$ima.
La figura di que$to Altare mo$tra gli ornati $conci$$imi, fuori del loro luogo, e po$ti non per altro, che per togliere l’ aria e la buona grazia all’ arco, per confon- dere la parte principale dello $te$$o Altare, tagliandolo con fe$toni, e con gruppo di Cherubini, che lo cuoprono nel mezzo, e gli tolgono la $ua proporzione ed avve- nenza.
In que$to Depo$ito innalzato alla glorio$a memoria de! Sereni$$imo Principe France$co Venier, può rilevar$i l’ enorme errore di porre gli archi $opra le colonne $enza alcun fiancheggio. Si o$$ervi quanto di$dica il pe$o della cornice poveri$$ima nei peduc- ci, non avendo la minima forza per i$tringer l’ arco, $alvo la mi$era dirittura dell’ angolo mede$imo. Co$a ella è que$ta, che $i dilunga grandemente dal ragionevole, e dalla buona maniera di piantare gli archi, che debbano $u$$i$tere. Oltre agli altri molti errori, che $i rilevano in que$to mau$oleo, come le trite colonnelle Joniche po$te $opra l’ ultime colonne degl’ intercolunnj, che $ono Compo$ite, le quali $ono parimente aggravate di cornice con $regio gonfio e pe$ante, che non corri$ponde nè poco, nè molto col fregio del fronte$pizio, $i o$$erva aver l’ Architetto antepo$to l’ Ordine Jonico, e que$to po$to $opra il Compo$ito, che è il $uperiore d’ ognialtr’Or- dine, facendolo in tal modo comparire inferiore. Qua$i nel modo $te$$o compari$ce pure o$$ervabile altro Depo$ito del Sereni$$imo Principe Andrea Vendramino ai Servi; come altresì l’ Altar maggiorc nella Chie$a di S. Rocco, che $imilmente tiene l’ Or- dine Jonico $opra il Corintio, come i due divi$ati Depo$iti; e parimente nella Chie- $a mede$ima i quattro Altari $imili hanno eziandio gli archi $enza fiancheggio. In $imil gui$a l’ Altare del Cri$to nella Chie$a dei Servi, ed in altri luoghi $i o$$erva. Tali archi sì mal pen$ati non po$$ono aver luogo nella vera Architettura; ma e$$en- do tanto $provveduti di forza, e piantati me$chinamente, formano figura impropria, e di$$onante dal fine richie$to dall’ Arte.
Lo $te$$o errore del porre l’ Ordine inferiore $opra il $uperiore $i o$$erva anche $o- pra l’ Altare di S. Girolamo nella Chie$a dei Frari, il quale e$$endo d’ Ordine Com- po$ito tiene $opr’ e$$o Ordine altre due colonne d’ Ordine Jonico. Simiglianti incoe- renze debbono perpetuamente sfuggir$i, perchè contrarie affatto alla $ana Architet- tura.
Anche in que$to Altare è palpabile l’ errore dell’ arco $enza fiancheggio. La figu- ra da que$to rappre$entata mo$tra dello $pirito, ma $con$iderato. Primieramente o$- $erviamo le due colonne Joniche $o$tener la cornice, e parimente quella di dentro tener l’ arco colla dirittura perpendicolare fin $otto la cornice $uperiore: la $econda di fuori non gli $ta punto $opra; perchè la cartella, che $o$tiene men$ola, modi- glione, cornice, e fronte$pizio con va$o, po$$a que$ta, ri$tringendo$i nel piede, e nella men$ola appoggiare bensì $opra il contropila$tro, nè mai $opra la colonna, $icchè que$ta re$ta inutile. La mezzerìa parimente re$ta confu$a e pe$ante, priva di quella leggerezza, che adorna, e $tabili$ce perfetta la figura. Perchè poi meglio $i rilevi quanto e$pongo, $i o$$ervi il profilo; eri$alterà viemaggiormente la $trana $ua po$itura, ed il $uo mancameuto.
Dando$i una $emplice occhiata a que$to Altare, $i rileva to$to la $ua figura $ecca e $garbata. Non ha il mede$imo altra legatura, fuorchè nella $opraccorniceCompo$ita $otto al fronte$pizio. Adorna l’ arco la palla, il qual arco appoggia $opra colonne Corintie con cornice formante impo$te al mede$imo. Que$t’ arco $porge in fuori tut- to lo $porgimento della propria colonna, e nel peduzzo abbandonato e $provveduto $enza $palleggio: alza perpendicolarmente la dirittura dell’ angolo $in $otto alla cor- nice. Nel fondo sì di dentro, che di fuori ha l’ aletta, che lo adorna certamente, ma non gli dà forza alcuna. La colonna maggiore, che è Compo$ita, re$ta i$olata, $o$tenendo il $olo fronte$pizio: per lo che rileva$i la $travaganza d’ un errore, che di$corda, e di$ordina tutta l’ architettonica $immetria.
Altari così di$uniti nelle loro parti pur troppo $e ne veggiono in copia; ma que- $to ha molto del particolare; poichè ha que$te mede$ime parti qua$i po$ticce. Si o$$ervi la colonna, e l’ aletta con $ua cornice, e rimenato, e $i vedrà $eparato dalla cornice, e fronte$pizio po$to nel mezzo $opra la palla, che vien $o$tenuto da tre mo- diglioni cartellati: quello di mezzo più grande forma $erraglia all’ arco della palla, e i due piccoli appoggiano $u l’ arco $te$$o, $enza verun fondamento, nè ragione. Vi è parimente la cartella, che gli $ta a fianco; ed anche que$ta $i vede $cherzare in certo modo per far mo$tra di $o$tenere, ma non $o$tiene, e non è $o$tenuta, ed il pezzo d’ arco, che la mede$ima cuopre, a null’ altro può $ervire, che per $econ- dare il rimenato, oppure per far comparire in realtà una giunta, che di$ordina, o $ia un malinte$o ripiego, che altro non fa che confondere.
Dell’ Altar Maggiore di que$ta Chie$a, che $erve di $edia al mede$imo Santo Ve$co- vo Titolare, convien dire, che ha l’ arco privo d’ ogni fiancheggio e proprietà, ab- bandonato, e $oltanto caricato dalla $opraccornice. Que$to appoggia a dirittura $opra il capitello Jonico $enza cornice: $tannogli appre$$o due colonne Corintie, che $ono i$olate, e $porgono in fuori, nulla $ervono alle Joniche $o$tenenti l’ arco, ma mo- $trano $olo di regger la cornice, e il rimenato, che le $ta $opra, il quale cuopre tut- to l’ Altare, interrotto que$to dallo $porgimento nella mezzerìa, che vien legata da due $cartoccioni, i quali ingombrano tutto il timpano, riducendo$i alla figura ma- $tina, e pe$ante: co$e tutte oppo$te al buon $i$tema.
Ha que$to due fronte$pizj di$$onanti, l’ uno $o$tenuto da men$ola e cartella, che $tringe la $erraglia cartellata con cornice $opra, che nulla $o$tenta: l’ altro maggiore ingombrato dal rimenato, che gli $ta a rido$$o, viene appoggiato $ul pila$tro cartel- lato, i modiglioni nella cornice due $oli per colonna, $i $cavalcano nella mezzerìa, e falla la corri$pondenza; poichè di $opra nel fronte$pizio vi è il modiglione nella mezzerìa, e di $otto $opra la $erraglia vi è la$ciato lo $pazio. Finalmente l’ arco è $enza fiancheggio, e abbandonato. Errori tutti da o$$ervar$i attentamente per con- dannargli, e per tener$ene alle occa$ioni lontano.
In que$to Tabernacolo, che è tutto d’ Ordine Corintio, $i rileva patentemente il di$ordine negli archi privi di fiancheggio. Si o$$ervi quanto ciò $ia di$dicevole. E’ più che vero, che le colonne principali po$te ne’ fianchi a nulla $ervono, e null’ altro $o$tengono, $e non la pura cornice, che corre all’ intorno, e que$ta $opra archi forma i fronte$pizj. Si o$$ervino gli archi $te$$i po$ti me$chinamente, privi della no- biltà della loro faccia, e $olo $i ravvi$ano dalla $erraglia, che $ta nella mezzerìa. Appoggiano que$ti $opra altra cornice ad u$o d’ impo$te con picciole colonne tutte i$olate, e nella ba$e s’ uguagliano alle principali. Il tamburo di $opra ai $ronte$pizj $i o$$ervi nel $uo ba$amento, che piomba a dirittura $ullo $porto del gocciolatojo della cornice, e così collocato viene a po$are $ul fal$o: forma due gradini al di $o- pra, che a nulla $ervono; e lo $te$$o tamburo, pel peduzzo, e ba$e, che ha, com- pari$ce tozzo, e di $concia figura. In $omma convien dire, che gli errori non cono- $ciuti dai Profe$$ori $ono la cagione, onde tutto vada in di$ordine.
Anche nel pre$ente Depo$ito $i rileva un errore di rimarco, $econdo il vero mo- do d’ operare pen$ando. Appari$ce que$to $opra le due porte, che in e$$o $i trovano, quella cioè, che introduce nella Cappella, e l’ altra $opra la $trada. Que$te due por- te $ono a volta, e l’ arco delle mede$ime appoggia $ull’ erta attaccata al piedi$tallo delle colonne Corintie; ed il mede$imo parimente dalla parte delle colonne non mo- $tra $orza alcuna per reggere il pe$o, che $o$tenta; e trovando$i privo di fiancheg- gio, compari$ce di me$china forma, non avendo altro che lo accompagni, $alvo la $ola dirittura, che corri$ponde perpendicolarmente coll’ erta: dove $opra ha cornice, e piedi$tallo, ove $ono collocate le $tatue de’ Principi. Produce inoltre ingombro co’ $uoi $porti all’ aletta Corintia, che gli è pre$$o. Tutti gli altri errori, che vi $i po- trebbero far rilevare, $i trala$ciano, ba$tandoci d’ avere accennato i principali, cioè, quelli che a dirittura tolgono il bello, ed il nobile dell’ Architettura, come $i $cuo- pre dallo $trato, ed Attico al di$opra.
E’da o$$ervar$i in que$to Altare l’errore ma$$iccio, che rileva$i nel veder$i po$ti i modiglioni nel rimenato. Si può dire in que$to luogo, che la maniera di voler con durre i mede$imi tutti al centro, abbian obbligato il taglio, o $ia modenatura dello $te$$o rimenato $opra la colonna a portar$i al punto mede$imo: quindi $i vede quan- to $garbata figura pre$enti, priva del naturale $uo $porgimento; e per e$$ere così in piedi, non può nemmeno ben $edere la figura, che gli $ta $opra. Novità sì $trava- gante non può dir$i $e non $e $torpiatura, e non mai ornato, a motivo del reo ef- fetto, che produce, non e$$endo regolato $econdo i dettami dell’ Arte: $picca poi tanto più l’errore, a motivo della cornice $uperiore, la quale è $o$tentata da due cartelle, che ripo$ano $opra l’ultima colonna. Que$ta pure tiene i modiglioni, che $ono Compo$iti, ma non $on po$ti in buona forma corri$pondenti perpendicolar- mente con quelli del fronte$pizio; e$ono appunto quelli, che più patentemente fan- no $comparire il rimenato, che $ta loro $otto.
Que$te $ono incoerenze, che offendono la vi$ta, e che fanno bia$imar l’Architet- to come imperito. Tali rimenati con i modiglioni sì di$ordinati $i vedono pure al- trove, e fra que$ti il grand’arco del frontone $opra la facciata della Chie$a di Santa Maria dei Miracoli, che portano i correnti $te$$i al centro. Se ne vedono altri non perpendicolaria quelli della cornice, ma diritti a $quadra del gocciolatojo, nel fron- te$pizio $ulla porta della Cappella di San Niccolò, nel corridore $opra la Scala de’ Giganti nel Palazzo Ducale. lo dico però per maggiore intelligenza degli $tudio$i, che $e mai s’imbatte$$ero in tali ca$i, $arà $empre meglio il trala$ciargli sì nel ri- menato, che nella cornice, anzichè porgli in gui$a sì $concia e di$ordinata, poichè non po$$on giammai formare figura perfetta.
Dobbiamo anche quì dire, e$$er male e$eguito il rimenato po$to in figura di terzo aggù, coni modiglioni correnti al centro, che di$cordano da quelli del fronte$pizio, formando apparenza di$$onante e mo$truo$a, veggendo$i i primi perpendicolari, ed i $econdi po$ti tra$ver$almente; oltre la figura del terzo aggù, che termina alla metà del fronte$pizio. Ognun vede, che ciò non può fare che figura $corretta, e di$or- dinata. L’arco poi, ed il nicchio $te$$o è intieramente slegato, non o$$ervando al- cuna con$onanza delle parti col rimanente, $icchè lo $te$$o re$ta qua$i po$ticcio, e abbandonato; nè può dir$i altro, che la $erraglia, cioè, la grande pe$ante ma$che- ra, che mo$tra di $o$tenere il fronte$pizio, e $errar l’arco, figuri legatura, lo che non è in fatti. Errori di tal fatta na$cono d’ordinario, per non $aper$i da certi Ar- chitetti di quale importanza $ia la vera, e nece$$aria unione, e legatura delle par- ti, per sè tanto importante; appagando$i que$ti d’una certa tal qual compar$a, al dir di loro, bizzarra per varietà di mo$$e, che realmente non vale, nè può valer co$a alcuna.
Nella cornice, e nel fronte$pizio di que$to Altare $i o$$ervano i modiglioni male ordinati. Si faccia pertanto attenzione alla cornice, e $i vedrà, che la mede$ima ha i $uoi modiglioni bene ordinati, e nella mezzerìa lo $pazio, e non il modiglione; ma $i o$$erva tutto l’oppo$to nel fronte$pizio, poichè non vi è la corri$pondenza, che $i richiede, vale a dire, che un modiglione corri$ponda all’altro, e $i uni$cano armonicamente, e non varino, come in que$to luogo fanno, ove è accre$ciuto il nu- mero, e $cavalcato l’ordine, fuor di luogo, e $enza alcuna ragione. Sì bizzarre $tra- vaganze $ono$i $empre vedute, poichè non $i fece mai rifle$$ione al di$ordine, ed er- rore; ma ora, che veggion$ene in copia, forz’ è porre argine; e reprimere sì enor- mi abu$i praticati a man $alva da quelli, che $pacciano per bellezze sì fatte mo$truo- $ità. Se vogliamo parlar con verità, $on que$ti tutti $convolgimenti dell’Arte, ed er- rori, fanta$ie $ognate, $enza il fondamento della vera ragione.
A quanto abbiamo $coperto d’errore, nel maneggio di malinte$a Architettura, ag- giunga$i anche il mal u$o praticato in certi tempi nel piantar gli archi in ogni ma- niera: ma ciò che più $orprende l’uomo ragionevole, $i è il vederne dei pendenti appoggiati a $emplici men$ole, o capitelli a men$ola, come quelli $ono, che $i ve- dono in S. Niccolò $o$tentati da capitello a gocciola, $opra cui è la $tatua dell’ A- po$tolo; come altri nella Chie$a di S. Ba$ilio, che non hanno altro $o$tegno, $alvo una $emplice cornice, in figura d’impo$ta con $otto ro$etta per termine, e nello $pa- zio di mezzo $ta in pittura a $edere il S. Apo$tolo Pietro. Quelli poi, che $ono in San Polo, $ono pure qua$i nel modo $te$$o, appoggiando $opra men$ola molto pe$an- te, e da que$ta pende una lampana, e $opra $tatua dell’Apo$tolo, con taglio e mo- denatura di cornice in figura $garbata, ornata di triti lavori, e tutto l’in$ieme altro non pre$enta, che confu$ione, e mal ordine.
Siffatti Archi in tal gui$a e$eguiti $ono di fal$i$$ima figura, ordinati $enza la ret- ta ragione, poichè non po$$on mai avere alcuna reale $u$$i$tenza. Si o$$ervi, come i detti archi s’uni$cono nel piede, appoggiando $oltanto $opra il capitello, o men$o- la pendente in aria; ovvero $opra impo$ta con ro$etta al di $otto. Se bene $i riflet- ta al po$itivo e$$ere dell’arco, que$to con$i$te nel $o$tenere ciò, che gli $ta $opra, e $pingere ciò, che gli è $ottopo$to. Laonde $arà $empre vero, che il capitello, o im- po$ta, $endo $pinto, abbia per nece$$ità a cadere, poichè non può in verun modo $o$tenere, trovando$i abbandonato, e in aria. Può dar$i, che anche in que$to ca$o alcun bell’ingegno voglia far$i a difendere tale $travaganza, con dire, che tali Chie- $e $ono antiche, e tuttavolta non abbiano mo$trato alcuna le$ione. A ciò ri$pondo con tutte le più $olide ragioni, che l’audacia umana è $tata, e $arà perpetuamente condannabile, quando $ia fuor di ragione, $iccome appunto è negli e$po$ti e$empj.
Per quello poi ri$guarda il $o$tenergli, e$$endo di puro legname, po$$ono beni$$i- mo e$$er $o$tentati da fili armati, guerniti d’appiccaglie, e ferramenti, perchè po$- $ano $u$$i$tere. Ma $ia com’ e$$er voglia, non può mai dir$i, che $ieno buoni, ed e$eguiti con retta ragione, mentre tali operazioni $ono mancanti nel loro fine, che è a$$egnato a tali archi, cioè, appoggiare per $o$tenere, e per $u$$i$tere; nè nulla di ciò compari$ce negli archi di $imil figura; ma anzi tutto il contrario, riempiendo d’ un perpetuo timore chiunque gli o$$erva.
Cotali Architetti $on per$one, che come è in proverbio, vogliono tirare la camoz- za co’denti, per $econdare il loro capriccio, e malgrado la $te$$a ragione e$eguire qualunque co$a loro $alti in pen$iero; e poi vantar$i, $toltamente dicendo, e$$er loro riu$cito ciò che gli altri non $eppero ordinare. Di tali Artefici $e ne abbonda. Non dico, che l’ingegnere, il falegname, il muratore, lo $carpellino, ed altri tali non po$$ano e$$ere periti Architetti; dico bene, che per lo più pochi $i affaticano per ben cono$cere, e di$tinguere quale $ia la vera perfezione degli Ordini, e delle loro par- ti, a$$egnando a cia$cun d’e$$i le proprie ri$pettive proporzioni, ed ufizj, e non o- perando così alla cieca farne mal u$o e $trapazzo.
E’ o$$ervabile il pre$ente Depo$ito per la $travagante novità del pen$are. Si o$$er- vi la maniera della progettura, che forma la cornice, priva que$ta e$$endo dell’ ar- chitrave, ed appoggiata $opra il $olo fregio. Que$to vien $o$tentato da modiglione, che $ta $opra men$ola fitta nel muro. E’ co$a maraviglio$a, io dico, il vedere e$$a cornice con le$inatura non $olo fuori del modiglione, ma formando il quadrato ap- poggiare la $te$$a $ul capitello Jonico i$olato in figura di men$ola, quando $opr’ e$$a cornice ripo$a $edente un leone, che guarda l’Urna Sepolcrale, come per cu$todi- re, e difendere la mede$ima. Molto non vi vuole in que$to ca$o a cono$cere il pa- tente errore, quando $i con$idera e$$er tutto il pe$o in aria, e non $ulla forza del capitello, che lo $o$tenti, mentre que$to non può nemmeno e$$ere attaccato, $e non $e per aggravar maggiormente, e per tirar giù il pe$o $te$$o.
Nella Cappella Trevi$ana in faccia il Depo$ito di Luca Zeno vi è que$to Depo$ito, in cui $i rileva tal bizzarria, per cui può dir$i, che l’Architetto abbia volutodi$tin- guer$i con mo$trare un prodigio d’Architettura, facendo $tare in aria quello, che realmente non può. O$$ervi$i la $ua figura nel pre$ente profilo, e $i con$ideri quan- to in e$$a contien$i. Quivi è la cornice con fregio ed architrave, che gira tutt’ in- torno e$$o Depo$ito. Vien e$$a $o$tentata da modiglione cartellato, e que$to appog- gia $opra pila$trino, $otto cui $ta men$ola di capitello Jonico fitto nella muraglia. Fin quì po$$iamo dire, che è e$eguito con buona maniera, $tando tutto al $uo luo- go ben adattato; ma ciò, che dee o$$ervar$i, $i è, che continuando la propria cor- nice, e progettando fuori con le$inatura dal modiglione in gui$a, che forma il qua- drato di colonna, appoggiando $ul capitello qua$i Compo$ito, pendente in aria, ed i$olato, la faccenda muta faccia. Si rifletta di grazia, come mai po$$a detto capitello $u$$i$tere, e $o$tenere il pe$o, che gli $ta $opra, cioè, non $olamente la cornice, ma eziandio piedi$tallo con figura guerriera, con i$cudo nelle mani, e con altro a’ pie- di. Io non crederò mai, che po$$a trovar$i chi voglia $o$tentare, che detto capitel- lo $erva di forza per reggere un tal carico; ma mi $i dovrà bene concedere, che nulla vale, e che non tiene alcuna forza. So bene, che il capitello $u$$i$te, allora quando $i trova po$to $ulla colonna, e così può portare la cornice, e ciò, che $e le a$petta, ed anche appoggiando$i alla muraglia, in$erendo$i in e$$a, e converten- do$i in men$ola; ma nel modo, che quì $i o$$erva, non $arà mai credibile, che po$- $a $tarvi adeguatamente, ma cadere. Direi pure, che $e vi fo$$e $o$tituito al capi- tello un’ Aquila, od altro animale alato, que$to colla forza delle ali potrebbe far fi- gura di $o$tenere, vale a dire, per poco, perchè anche que$te naturalmente $i $tan- cano; ma il capitello, non potendo aver ale, per con$eguenza non potrà $tare in aria nemmeno un momento un $olo momento. Tali operazioni $i oppongono total- mente alla $ana ragione; poichè in aria $tar non po$$ono, che le nuvole, che ven- gono $pinte dall’aria $te$$a: ma nella pietra far co$a di compar$a aerea, non vi è co$a, che po$$a aver $olidità e forza per far l’ ufizio $uo $econdo l’ e$$er $uo natura- le: nè l’Architetto prudente dee far mo$tra di prodigj, volendo mo$trare la $tolta $ua vivacità col porre l’Architettura in aria, mentre l’e$$er $uo con$i$te nella $tabi- lità, e nella forza. Concludiamo adunque con verità, che tali operazioni $ono veri e reali ca$telli in aria, cioè dire pazzìe.
E’ parimente da con$iderar$i ciò, che anche pre$entemente $i vede praticato nella Fabbrica nuova del Collegio de’PP.Ge$uiti, che è appunto nella $offitta della Scuola di Filo$ofia, ornata di pila$tri Dorici tutt’all’intorno. E’que$ta nel clau$tro pre$$o al- la porterìa. Tale $offitta e$$endo $compartita in tre divi$ioni, vien $o$tentata da due fili, il primo de’quali nella mezzerìa tiene una colonna Dorica con piedi$tallo otta- gono per $o$tegno: l’altro poi ritiene il $olo capitello, il quale termina in gocciola attaccato al di $opra, non $i $a come, ma bensì compari$ce in aria, co$a che non
$olamente di$gu$ta l’occhio, ma che fa anche na$cer le maraviglie, $acendo paura nel mirarlo. Quì pertanto non vi e$$endo nè naturalezza, nè fondamento veruno, vien$i a far $olo compar$a di$ordinata e mo$truo$a. Que$ti a dir vero $on ripieghi di deboli Architetti, $creditano l’Architettura, volendola far comparire quella, che mai non fu, ne potrà mai e$$ere, poichè il $uo fondamento naturale e vero ed unico $i è la perfezzione.
Altro capitello Jonico pendente in aria $i o$$erva nel Depo$ito di Gian Pietro Stel- la nella Chie$a di S. Giminiano. Que$to parimente, come i due pur ora de$critti, $ta pendente pre$$o a un modiglione con cornice le$inata $opra lo $te$$o capitello, con puttino in piedi, che abbraccia lo Stemma. Co$e $on que$te ridicole da abor- rir$i, e da sfuggir$i a tutto potere.